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Autore: Erina91    25/05/2015    3 recensioni
-Una dottoressa di un ospedale pischiatrico; devota al padre, in crisi economiche, e pronta a tutto per aiutarlo.
-Un affascinante e carismatico giornalista della rete “five”, risoluto e ben inserito nell'ambiente di lavoro grazie alle positive conoscenze del padre.
-Troviamo un giovane uomo intelligente, bellissimo e dagli ambiziosi progetti. Perfettamente inserito e rispettato nell'alta società.
-Una misteriosa e seducente ballerina di danza moderna con un passato difficile, ridotto in miseria, salvata da un inquietante uomo.
-Una ragazza dalla bellezza africana, in passato vittima di razzismo da parte del patrigno.
Viene adottata da un ospitale famiglia, che gestisce un ristorante italiano.
-Un ex regbista trasferito in Francia a causa della separazione dei suoi genitori. Amante dei cibi deliziosi e conditi.
-Un uomo vissuto in Italia per diversi anni.
Conserva il ricordo di una bambina di cui era innamorato, celando i suoi sentimenti per lunghi anni.
-Una ricca ragazza appassionata d'arte e proprietaria di una galleria che gestisce con tanta cura.
Otto giovani adulti. Otto incontri dettati dal fato. Otto legami profondi.
Otto storie separate, eppure connesse. Questo per raccontare quando l'amore nasce grazie al destino di un incontro non premeditato ma estremamente rilevante.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Karin, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Naruto/Sakura, Neji/Hinata, Sasuke/Karin
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Salve! ;D in qualche modo inspiegabile sono riuscita ad aggiornare anche questa storia, nonostante sia invasa dallo studio. Vi confesso che è stata molto dura, poiché è parecchio lungo e complesso come capitolo. Presentare tutti e 8 i personaggi è stato faticoso e stancante, ma ci tenevo tanto a farlo.
Inoltre, avevo paura di perdere l'ispirazione. E' un capitolo molto introspettivo e di prima presentazione: per ora ho fatto incontrare solo Naruto e Sakura, e Sasuke e Karin (anche se loro due non si sono ancora propriamente incontrati, ma sono vicini). Nel prossimo descriverò per bene anche gli altri incontri.
Intanto, ringrazio tantissimo chi mi ha recensito soprattutto!! <3 ma anche chi ha messo la storia tra preferite, seguite e ricordate.
Alla recensioni vi prometto che risponderò domani appena posso, scusatemi! >.< spero di non deludervi con questo capitolo, anche perché credo di essermi superata! XD (non sono presuntuosa, di solito, lo preciso.. ma ho messo tutta me stessa in questo primo capitolo).
Vi prego, chi mi legge, mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate!^^


"A few years later.."
 


Londra 2015
Abbondanti, saporiti e sfiziosi erano i piatti del ristorante italiano a gestione familiare della famiglia Akimichi.
I clienti erano per lo più conoscenti, clienti abituali o semplici lavoratori che desideravano gustarsi un piatto ricco e appagante durante la pausa pranzo che gli offriva l'ambiente lavorativo. Un profumo invitante proveniva dalle cucine del locale, condito da quello stagnante che partiva dal fiume Tamigi, che si faceva strada sulla terrazza fiorita del ristorante “Due Strade”: il nome del ristorante Akimichi.
Karui, una giovane Tret'enne di colore, era stata adottata dalla famiglia Akimichi diversi anni fa e adesso viveva con il padre adottivo lavorando al ristorante con lui. I genitori di Chouji, il suo fratellastro, si erano separati una decina di anni fa e l'ex moglie di Chouza era andata a vivere con il figlio in Francia, poiché si era risposata con un uomo di origine francese. Chouza vedeva il figlio una volta al mese e di consegueza anche Karui.
Lei e Chouji avevano da sempre avuto un rapporto burrascoso, perché il secondo inizialmente aveva faticato ad accettare una nuova sorellina, ma alla fine a suo modo l'aveva accettata come una di famiglia e adesso il loro legame era diventato almeno “pacifico”, sebbene sempre un po' distaccato.
Il fine settimana scorso, Chouji era arrivato a casa del padre con la sua compagna francese e per sua sfortuna ella l'aveva presa in antipatia.
Non che a Karui stesse particolarmente simpatica, poiché le ricordava più un'oca senza cervello, però sperava di istaurarci una relazione civile; invece aveva attirato addosso solo la sua gelosia. Non comprendeva perché, poi.. Gelosia?
Lei era solo la sorellastra di Chouji, una di famiglia, una persona con cui suo fratello non sarebbe mai stato.
Tuttavia, a Karui quella Geraladine_così si chiamava la compagna di Chouji_ non piaceva.
Dentro sé la considerava fastidiosa, priva di sale in zucca, troppo “perfettina”, dalla gentilezza apparentemente troppo ricercata, quasi finta, dagli atteggiamenti contenuti e dai sorrisi falsi. Insomma.. Karui la trovava un'ingannevole conquista.
Un po' com'erano tutte le persone con cui Chouji aveva a che fare, a causa del suo ricco patrigno e agli ambienti che per colpa di esso frequentava. Sicuramente, la vita di Karui era più tranquilla e normale, assai più soddisfacente.. o almeno così a lei sembrava.
Dunque, Karui era convinta che suo fratello meritasse di meglio.. non era un caso se, ogni volta che si presentava a casa assiame ad una nuova ragazza dalle fattezze francesi, avvertisse una stretta di fastidio. Fastidio che aveva sempre collegato alle deludenti compagne con cui usciva Chouji.
-Karui.. porta gli spaghetti alla carbonara al tavolo 3.- la distrasse suo padre, mentre armeggiava in cucina aiutando i cuochi: Chouza era il capo Chef della cucina, oltre che il proprietario effettivo del ristorante, ed era lui che dirigeva la brigata di cuochi.
-sì, subito.- prese in mano i piatti destinati al tavolo 3.
-ecco a voi signori!- sorrise servendoli con maestria.
-Karui bella, sempre efficiente e rapida! Sei proprio figlia di tuo padre.- gli fece un occhiolino, un uomo, cliente abituale del ristorante e grande amico di Chouza. -certo! È il mio lavoro.- commentò lei, divertita.
Karui, appena allontanata, udì altre frasi provenire dallo stesso tavolo compiaciuta:
-è proprio diventata una bella ragazza.-
-già.. io me la ricordo piccola piccola e timida, ora è proprio diventata un fiore bellissimo. Fortunato il ragazzo che se la sposerà!- rispose l'altro.



 
****


-questo articolo televisivo credo che abbia bisogno di revisione.- disse un giovane e bellissimo uomo dai capelli biondi, brizzolati, e due splendide iridi cerulee, poggiando sulla scrivania di Gaara Sabaku_il suo capo_le informazioni scritte.
Davanti a Gaara si sistemò la sua cravatta nera, che lo stava stringendo: Naruto Uzumaki odiava le cravatte, si sentiva soffocare ogni volta che era costretto ad indossarle durante il suo impiego alla rete televisiva inglese “five”: canale dedicato all'intrattenimento, alla cultura e allo spettacolo.
Aveva appena terminato di dare le notizie dell'ora di pranzo, in diretta, all'interno del suo studio.
Finito prima, aveva colto l'occasione di leggere gli articoli che sarebbero andati in onda quella sera stessa, notando alcuni errori di battitura.
Gaara indossò i suoi occhiali da vista e lesse l'articolo, pacato e concentrato.
-hai ragione, Naruto, dirò a chi l'ha scritto di correggere gli errori di battitura.-
-posso andare a fare la mia pausa pranzo?- chiese sorridendo.
Gaara annuì dandogli il permesso. Naruto, facendogli un cenno, uscì dallo studio.
Tornò nella sua stanza, si “scaraventò” sulla sedia girevole togliendosi definitivamente la cravatta nera che quasi gli impediva di respirare e sospirò sollevato. Cercò di dare una sistemata al suo studio, perennemente in disordine, e in seguito uscì per andarsi a prendere un panino al chiosco nei pressi del famoso parco aperto al pubblico “Hyde Park”_il parco più grande di Londra_che si trovava vicino all'edificio dedicato alla rete televisiva per cui lavorava e dove spesso si dirigeva durante la pausa pranzo. Qui ordinò un Hot Dog con peperoni e maionese, e una vaschetta di patatine fritte.
Non aveva voglia di stare a sedere dato che c'era stato tutta la mattina, così decise di fare una camminata nel parco mentre si gustava il succoso panino. Naruto Uzumaki aveva da poco compiuto 26 anni, e lavorava per la rete televisiva “Five” da solo un anno: suo padre, che in passato ne era stato il direttore, gli aveva ceduto il posto dopo essere andato in pensione ed essendo molto conosciuto sul lavoro non aveva avuto molto problemi ad essere assunto come sostituto. A Naruto fare il giornalista televisivo piaceva, l'unica cosa che non sopportava erano gli abiti eleganti che era obbligato a mettere quando andava in diretta: giacca, cravatta e camicia bianca. Non ci stava molto comodo, preferiva dei semplici paia di Jeans.
A parte questo aveva scoperto di avere del talento per quel tipo di lavoro e, nonostante fosse solo un anno che lavorava lì, era già molto richiesto.
Tuttavia, pensava che tutte quelle richieste dipendessero soprattutto dall'influenza che aveva suo padre tra i vecchi colleghi, come direttore di rete, poiché assai rispettato. Però a lui non interessava molto la fama, gli bastava avere un lavoro piacevole per poter sopravvivere ed era stato fortunato a trovarlo appena uscito dell'università di Scienze Politiche.
Tra i pensiero continuò a passeggiare per l'Hyde Park e a mangiare tranquillo il suo panino.
Ad un tratto sentì abbaiare un maestoso Pastore Tedesco, costatando in seguito che gli stava correndo in contro con la lingua fuori: era proprio un bel cane. Si chiese a chi apparteneva. Quando la bestia lo raggiunse, l'accarrezzò e notò che osservava desideroso il panino che stava mangiando.
-i wurstel fanno male ai cani, sai? Non dovresti essere così goloso bel canone.- ridacchiò divertito, proseguendo a fargli le coccole.
-scusalo!- gridò una voce giovane e armoniosa. -credo che abbia sentito il profumo della carne.-
Naruto, avvertendo quella voce, alzò gli occhi nella direzione da dove proveniva e vide una ragazza di più o meno la sua età, rimanendo colpito dalla sua bellezza: aveva lunghi capelli di un particolare rosato, lisci, e una fascia gialla a scoprirle la bellissima fronte spaziosa. Quando incontrò i suoi occhi di uno smeraldo intenso ed espressivo, ornati da del lieve trucco, non riuscì a smettere di osservare i lineamenti delicati del suo volto.
Le labbra fini, arricchite da un rossetto rosato, erano distese in un accennato sorriso e la sua espressione pareva molto rilassata.
Non comprese bene cos'era a farlo restare incantato a studiare la sua figura, che trovò meravigliosa e in qualche modo poetica.
Forse era la sua posizione: seduta tranquilla su una pachina di legno, a leggere un libro, con alcuni ciuffi che ricadevano dolcemente sulle pagine e le gambe accavallate; Oppure, i due alberi ai lati della panchina, dai tipici colori giallo-arancio che erano solite adottare le foglie in autunno, vedendole cadere lentamente. Non lo capiva, ma gli parve quasi di vedere un quadro dove la figura di quella semplice ragazza era l'oggetto forte di esso, e faceva da contorno. Era semplicemente bellissima.
La ragazza indossava una camicia gialla, in pandant con la fascia tra i capelli, con i primi due bottoncini staccati in cima e la parte in fondo del tessuto infilata dentro i pataloni. Un coprispalle bianco a riscaldarle le esili spalle e un paio di jeans scuri; ai piedi delle semplici “Superga” bianche.
Eppure il suo viso non gli era nuovo, però in quel momento non riusciva proprio a ricordare dove poteva averla incontrata prima.
-non si preoccupi, signorina.- si grattò la nuca imbarazzato.
In quel momento di distrazione, il cane ne approfittò per saltargli addosso a sorpresa e il pezzo di panino avanzato cadde a terra.
La ragazza fulminò il suo cane arrabbiata:
-Rocky! Non si fa!- lo brontolò furiosa, alzandosi dalla panchina. -mi scusi, non so cosa gli sia preso oggi. Se vuole glielo ricompro.- disse dispiaciuta.
Avvolse attorno al collo del cane il suo guinzaglio rosso.
-non importa. Tanto non avevo più fame.- mentì lui, cogliendo l'occasione per guardarla da vicino.
Rimase ancora più colpito dal suo fascino. A quella distanza ravvicinata avvertì anche una dolce aroma, che doveva essere il profumo che portava, che in seguito riconobbe come quello della pianta di gelsomino.


 
 
****


Pochi minuti prima...
Quel giorno Londra era colorata di un cielo azzurro e il leggero solicino rendeva la giornata viva e luminosa, quasi calduccina, priva del tipico triste e spento colore. Sakura, siccome aveva il giorno libero a lavoro, ne aveva approfittato per fare una bella passeggiata con il suo Rocky, il Pastore Tedesco al quale era tanto affezionata, e per continuare la lettura del suo libro “Delitto & Castigo” (famoso romanzo di uno scrittore Russo) all'Hyde Park.
L'atmosfera in quel parco era sempre capace di rilassarla: il prato verde, curato minuziosamente e ora ricoperto di foglie gialle, rosse e marroncine che erano cadute dagli alberi secolari. L'aria respirabile, lontano dal traffico londinese, il cinguettio dell'uccellini e il dolce remare delle barche sul lago artificiale “The Serpentine” che produceva un suono acquatico e quasi ipnotico, dove d'estate si tenevano anche gare di nuoto a cui poteva partecipare chi voleva. Non era un caso, infatti, se quel parco veniva considerato il più grande e il più bello di Londra.
Sakura, ogni volta che sentiva il bisogno di godersi un po' di serena pace, andava sempre lì.
Due volte a settimana, tra l'altro, ci andava perfino in tuta sportiva a correre e in maniera da tenersi in forma. Quel pomeriggio, però, aveva deciso solo di portare a spasso Rocky e leggere beata il libro. La bella giornata le aveva fatto venire voglia di uscire.
Sakura Haruno aveva terminato l'università da almeno un paio di anni e adesso gestiva un ospedale pschiatrico per bambini, assieme alla sua tutrice Tsunade: sua madre se n'era andata quando era piccola, a causa di una grave malattia e lei era cresciuta con il padre che purtroppo, ormai da dieci anni, aveva dovuto abbandonare poiché l'azienda per cui lavorava era indebitata e seguentemente fallita.
Lei, solitamente, apparteneva ad una famiglia benestante.. ma da quando l'azienda di suo babbo era fallita, lui l'aveva mandata a vivere con la sua tutrice mentre suo padre campava grazie a dei miseri lavoretti manuali.
Era uomo intelligente e bonaccione, dolce, e non avrebbe mai fatto male ad una mosca. Era solamente stato molto sfortunato nella vita.
Meno male che la sua tutrice Tsunade li aiutava parecchio e lei, grazie all'impiego che aveva trovato e che le piaceva moltissimo, era diventata piuttosto indipendente. Certo.. la sua vita non era facile, considerati tutti i problemi che aveva suo padre, ma fin da piccola era stata molto testarda e difficilmente si arrendeva; per cui, nonostante tutto, cercava di andare avanti e di non deludere le aspettative che Tsunade nutriva su di lei: la considerava molto portata verso il lavoro che si era impegnata a fare.
Adesso viveva da sola, in un monolocale con giardino, per lei e Rocky bastava ed avanzava.
La sua casa si trovava a pochi passi dall'Hyde Park, ed era ubicata più distante del suo posto di lavoro.
Tuttavia, con la patente e la sua piccola macchina, si spostava bene.
La lettura di “Delitto & Castigo” scorreva facilmente e le pagine sembravano cedere il posto l'una all'altra, rapidamente, in quella placida atmosfera autunnale. La mite quiete fu interrotta dal corpulento abbaire di Rocky e Sakura fu costretta ad alzare lo sguardo per notare il suo Pastore Tedesco correre verso un uomo che si stava abbuffando con un succolento Hot Dog.
Sospirò rassegnata: Rocky amava troppo la carne per potergli resistere, tanto che si avvicinava perfino agli sconosciuti appena ne sentiva il profumo.
Sorrise sollevata, vedendo che il bel ragazzo biondo non aveva paura dei cani e iniziò ad accarezzare divertito il suo Rocky.
-scusalo!- esclamò da seduta. -credo abbia sentito il profumo della carne.-
Il ragazzo, sentendo la sua voce, portò lo sguardo su di lei e finalmente poté osservarlo in volto.
Era decisamente un bell'uomo: i capelli biondi, sbarazzini, venivano scossi delicamente dal vento.
I lineamenti del suo volto erano fini e due meravigliosi occhi azzurri la stavano guardando con un sorriso vivace.
All'apparenza pareva un ragazzo semplice, della sua età, solo il completo dall'accativante eleganza lo rendeva più distinto e raffinato: giacca nera, senza cravatta, camicia bianca e pantaloni di seta e mocassini, entrambi neri, ai piedi.
Rimase colpita dall'affascinante viso, che le ricordò un principe delle favole, accentuato da una bionda e corta barbetta in fondo che arricchiva la sua sensualità mostrandolo più virile ai suoi occhi.
Per un attimo ebbe paura che Rocky potesse sartagli addosso e sporcarlo con le sue zampe umide e terrose, rovinandogli così la divisa.
-non si preoccupi signorina.- rispose lui, rassicurandola.
Dopo poco, difatti, la sua paura divenne reale: Rocky aveva colto il momento di distrazione di quell'uomo per saltargli addosso.
Gli fece cascare a terra il pezzo rimanente del panino, annusandolo; e, come se non bastasse, gli macchiò la camicia bianca lasciando le sue belle impronte nere-marroncine su di essa. “Accidenti a te, Rocky!” imprecò fra sé, Sakura, le aveva appena fatto fare una figuraccia.
-Rocky! non si fa!- lo brontolò arrabbiata. -mi scusi, non so cosa gli sia preso oggi. Se vuole glielo ricompro.- si offrì rammaricata.
Non sapendo cosa fare, era corsa dal suo cane con il guinzaglio rosso in mano e si vergognò di guardare negli occhi il ragazzo, per paura di vederli neri di rabbia. Avvolse il guinzaglio attorno al collo massiccio di Rocky e si fece coraggio per guardare la reazione dell'uomo che aveva appena conosciuto per caso.
-non importa. Tanto ci sto scomodo con questi abiti. Ho la scusa per toglierli appena rientro a lavoro.- commentò lui tranquillizzandola.
-non dica sciocchezze! Capisco che le possa scocciare.- insisté lei. -Rocky!- tornò sul suo cane, -ti sei appena giocato il tuo pomeriggio al parco.-
Il Pastore abbassò il muso e iniziò a mugolare quasi risentito: sapeva che la sua padrona lo stava brontolando.
Il ragazzo scoppiò a ridere e tornò ad accarezzare la testa di Rocky.
-davvero, signorina, non è un problema.- le fece un'occhiolino che la sorprese piacevolmente. -però, avrei bisogno di un favore, ha per caso un fazzoletto di stoffa?- Sakura sussultò colta alla sprovvista.
-aspetti! Credo di sì!- iniziò a rovistare nella sua borsa e tirò fuori un fazzoletto bianco. -ecco a lei, signore.- sorrise.
L'uomo lo afferrò. -grazie. Mi dia del tu, per favore.- le concesse.
Sakura arrossì leggermente. -d'accordo. Anche tu, allora.-
Alzò il pollice in segno positivo.
-aspetta qui.- detto questo, lo vide allontanarsi e dirigersi verso la fontanella grigia per bagnare il fazzolletto di stoffa e strofinarselo sulla camicia.
-vieni Rocky.- disse lei, trascinandolo per il guizaglio verso l'uomo.
Sakura aveva notato che aveva un po' di difficoltà a strofinare e così, spontaneamente, aveva pensato di aiutarlo nella pulizia.
-ti serve una mano?- chiese infatti.
Il ragazzo smise di strofinare e ridacchiò. -eh.. magari! Scusami!-
-mi reggi un attimo Rocky? Sennò scappa!-
Annuì passandole il fazzoletto e prendendo il guinzaglio di Rocky.
Sakura si piegò verso le impronte sulla camicia e iniziò a strofinare più forte, con un'agilità incredibile. Una forza che a Naruto risultò quasi surreale.
-sei incredibile! Guarda? L'hai quasi tolte!- esultò stupito, assoporando il profumo di gelsomino che sembrava invadere tutto il bellissimo corpo della ragazza. - questione d'esperienza. Non è la prima volta che Rocky mi macchia.- sorrise divertita.
Naruto scoppiò a ridere. Poi vide Sakura alzarsi per tornare a guardarlo: ci fu uno scambio di sguardi intenso.
-ecco fatto.- affermò lei fissandolo, cercando di sciogliere la tensione e distogliendo gli occhi da lui per non fargli notare l'imbarazzo.
-grazie..- sussurrò lui. -non mi sono ancora presentato. Naruto Uzumaki, piacere.- gli passò la mano e lei gliela strinse.
-piacere mio, Sakura Haruno.-
A Sakura, però, ora che lo guardava meglio, non sembrava la prima volta che lo incontrava.
-comuque.. per caso ci siamo già incontrati?- chiese, non riusciendo a trattenere la curiosità.
-ho avuto la stessa sensazione anch'io..- iniziò evasivo, -ma non credo di persona. Può darsi che mi hai visto in televisione sulla rete “Five”: faccio il giornalista televisivo da un anno.- spiegò supponendo.
Sakura sgranò gli occhi sorpresa:
-wow! È vero! In effetti ci assomigli! A volte lo guardo il notiziario.-
-ebbene sì, ci sono 4 volte a settimana: il lunedì all'ora di pranzo, il martedì la sera, il giovedì la sera e il venerdì a pranzo.- elencò contando i giorni su le dita. -infatti, adesso mi ricordo bene di averti visto.- confermò lei.
-e tu? Che lavoro fai, Sakura?- sentire il suo nome attraverso le sue labbra le creò dei brividi d'emozione inspiegabili, che cercò di ignorare.
-gestisco un'ospedale pischiatrico per bambini.- affermò.
Naruto si stupì. -wow.. deve essere difficile come lavoro.-
-sì, lo è, molto. Però mi piace tantissimo!-
-deve piacerti, altrimenti credo che non potresti farlo.- convenne.
-già.. ci vuole molta forza di volontà e tanta pazienza per farlo. È dura.- spiegò concorde.
Naruto diede un'occhiata all'orologio.
-mi sa che devo andare..- annunciò. -è stato piacere conoscerti, Sakura.- sorrise.
-anche per me.- ricambiò il sorriso.
-è stato un piacere conoscere anche te, Rocky.- ridacchiò facendogli le ultime carezze.
Rocky inizò a scodinsolare felice.
-gli piaci, mi sa.- appurò sinceramente, Sakura.
-anche a me piacete tutti e due.- sorrise facendole un occhiolino. -grazie per il fazzoletto di stoffa, Sakura. Chissà se ci rivedremo a questo parco?-
Sakura sentì le sue guance candide accaldarsi.
-chissà..- sussurrò misteriosa. -buon lavoro!-
-grazie signorina.- rispose ironico.
In seguito, le diede le spalle dirigendosi verso l'uscita del parco.
Sakura rimase con Rocky accanto, ad osservare la bella schiena formata del ragazzo.
Lo trovò davvero affascinante in quel momento e sperò di poterlo incontre di nuovo.


 
****


I quadri della galleria d'Arte a “Trafalgar Square” chiamata “National Gallery”, erano tutti famosi dipinti dell'Europa Occidentale XIII e del XXI secolo.
Era un luogo immenso, spazioso e dalla bellezza ricercata, quasi principesca, affreschi e dipinti di artisti famosi come Van Gogh, Da Vinci, Renoir etc etc.. popolavano le pareti della galleria di proprietà della famiglia Hyuuga la cui gestione era nelle mani della primogenita, Hinata Hyuuga, che si occupava dell'organizzazione delle mostre, delle scelte delle opere da esporre e dell'aggiornamento degli archivi di artisti contemporanei e non, ma anche di tanti altri ambiti come ad esempio la gestione della pubblicità, in maniera da far conoscere la galleria ai visitatori e agli stranieri.
Hinata Hyuuga amava l'arte, era da sempre la sua passione, specialmente quella antica e orientale: infatti aveva fatto anche esporre una galleria di artisti famosi orientali e per ora aveva avuto un gran successo tra i visitatori.
Quel giorno era andata solamente a dare un'occhiata alla sua galleria perché adesso era in maternità.
Più precisamente da quando era nata Serenity, ovvero quasi due anni, ormai, ma non aveva mai smesso di pensare alla sua galleria e una volta a settimana andava a controllare che procedesse tutto bene.
Serenity era nata da un anno, da lei e Kiba Inuzuka, ma loro si erano separati dopo poco che la piccola era nata: non andavano più d'accordo.
Avevano gusti, modi di pensare e opinioni troppo diverse, anche sul come allevare la figlia; e inoltre, a suo padre Hiashi, Kiba purtroppo non era mai piaciuto: l'aveva trovato fin dall'inizio troppo selvaggio, poco raffinato e squattrinato. Tuttavia, lei e Kiba erano stati insieme sei anni e dalla loro relazione era nata Serenity. In qualche modo sarebbero sempre rimasti legati, perché la bambina li univa e si erano organizzati con i giorni facendo a turno, anche se l'affidamento completo ce l'aveva lei. La rottura con Kiba era stata dolorosa, ma se non si fossero lasciati avrebbero continuato a litigare e ad essere in contrasto con le opinioni e, per quanto si volevano bene, era stato difficile.
Tuttavia... ora si erano accorti di stare bene entrambi e avevano capito che tra di loro non ci sarebbe stato futuro.
L'unica cosa che adesso li legava era la loro figlia e i bei ricordi della loro relazione. Nulla di più.
Hinata diede un'occhiata all'orologio e notò che tra poco sarebbe dovuta andare a prendere Serenity all'asilo nido, ma non sapeva se ce l'avrebbe fatta in tempo; così, per sicurezza, compose il numero di Kiba per chiedergli a che punto era.
-pronto?- rispose il ragazzo.
-ciao Kiba, sono Hinata.-
-ciao Hinata. Dimmi?- chiese lui.
-a che punto sei con il lavoro? Oggi sta a te occuparti di Serenity.- iniziò, -ce la fai ad andare a prenderla all'asilo? Io sono di corsa, purtroppo.
Sono passata dalla galleria d'arte proprio ora e, visto che tocca a te oggi, ho pensato che potevi fare prima.-
Kiba non rispose subito, facendo un pausa di riflessione.
-credo di farcerla, sì. Ho quasi finito.- accettò, poi.
Kiba lavorava come meccanico da qualche anno ormai, ma alle 17.00 finiva il turno.
Lavorava a due passi dall'asilo nido di Serenity, avrebbe fatto in un attimo.
-bene. Meno male.- sospirò lei rilassata.
-te la riporto stasera dopo cena, d'accordo?-
-va bene. Nessun problema. A dopo.- è così riattaccò.
Nel frattempo le era anche arrivato un messaggio dal padre e lo lesse:


 
“Ciao figlia mia.
Ho bisogno che tu passi da casa.
Devo presentarti una persona.
Sono sicuro che lo troverai interessante.”


Ecco appunto: suo padre, da quando lei e Kiba si erano lasciati, cercava di "accasarla" con un altro uomo in tutte le maniere.
Ovviamente un uomo totalmente diverso da Kiba: uno di nobili origini, pieno di soldi, un uomo che faceva parte dall'alta società e che poteva mantenerla senza che lei fosse costretta a lavorare.
Il problema, però,  e ciò che Hiashi Hyuuga non aveva ancora capito di lei, era che a Hinata piaceva mantenersi da sola, essere forte e indipendente, una donna abile che riusciva a vivere con la figlia anche senza l'aiuto di un uomo professionale e di classe.
Purtroppo suo padre era all'antica: formato da ideali arcaici, dove la donna restava ad occuparsi delle mansioni domestiche, ad allevare ed allattare figli, perché solo quello era capace di fare. Pensieri maschilisti, dove anche i matrimoni combinati erano ancora concessi: l'amore contava poco, l'importante era procreare e mantenere in vita la stirpe a cui apparteva la famiglia.
Così era suo padre e così dovevi fare se non volevi essere emarginato dagli Hyuuga.
Infatti, Hinata temeva un po' per la sua galleria d'arte: suo padre era capace di tutto, anche di farla fallire pur di costringerla a rispettare i suoi ordini.
Probabilmente, chi voleva presentarle era qualcuno che poteva occuparsi di lei, mantenerla in tutti i sensi, anche per non lasciare la piccola Serenity solo nelle sue mani. Mani del quale forse Hiashi Hyuuga non si fidava, dettato dalle sue opinioni assurde e sul quale lei si trovava totalmente in disaccordo. Nel frattempo che rifletteva, iniziò a piovere.
Hinata tirò fuori il suo ombrello dalla borsa per non dover fare nuovamente la messa in piega, arrivata a villa Hyuuga.
I li aveva fatti quella mattina stessa: si era tolta la frangia che ormai le copriva gli occhi, per farsi una divisa di lato e lasciare cadere un ciuffo lungo a coprirle le orecchie. I capelli neri tendenti al blu, erano lunghi fin quasi al fondoschiena e le iridi perlacee guardavano avanti a sé, osservando le goccie di pioggia cedere producendo un ticchettio sopra al suo ombrello, dal suono tombale.
Indossava una tuta abbastanza fine, di colore beage_che aderiva perfettamente al suo seno prosperoso e rotondo_essa esprimeva l'eleganza attraverso la cintura di pelle lucida, nera, avvolta attorno alla magra vita, mentre i pataloni calavano dolcemente, larghi, su cosce e caviglie; in fondo delle zeppe alte e chiuse, scure, che bilanciavano la sua bassa statura.
I capelli ondeggiavano ritmicamente al suo passo e una scia di profumo alle violette si sparse lungo le vie popolate di Londra.
Hinata era una ragazza di buona famiglia: apparteneva a una delle famiglie più ricche e rinomate di Londra, dato che il padre era il dirigente della più grande azienda farmaceutica della capitale inglese, oltre ad essere conosciuta in tutto il mondo per la qualità delle sue medicine e degli impiegati.
Non c'era nulla da fare, avrebbe rinunciato anche all'ennesimo uomo che gli avrebbe presetato come possibile canditato a diventare suo marito.


 
****


L'aeroporto “London City Airport”, quella domenica pomeriggio, era pieno di gente e di nuovi arrivi a causa dell'alta stagione.
L'ultimo aereo, quello con cui Chouji Akimichi e la sua compagna Geraldine erano atterrati, era arrivato da una mezzoretta e i due stavano aspettando che le loro grandi valigie uscissero dalla stiva.
Chouji aveva appena comprato un pacchetto di patatine per fare uno spuntino del primo pomeriggio, sotto gli occhi contrariati della sua ragazza che, invece, era vegetariana. -chissà che schifezze ci mettano dentro quei "cosi".- disse, lanciando un'occhiata disgustata al pacchetto.
-sai Geraldine, invece dovresti assaggiarle.- rispose lui, con il boccone in bocca, biascicando.
-sai che mi piace il tuo fisico robusto da regbista, ma vedi di non ingrassare troppo.- lo avvisò aspra. -fai parte di un mondo di lusso, devi mantenerti in forma.- Chouji non rispose a quell'affermazione e si legò in una coda i capelli castani, scoprendo il viso, contornato da due grandi occhi color castagna. Esatto, era robusto, e ne andava fiero. Questo perché? Perché il suo essere robusto, non era tutto e solo lardo, ma era la massa ideale per giocare a rugby e per la maggior parte erano addominali formati grazie ai lunghi allenamenti. Chouji, infatti, aveva giocato per anni a Rugby, entrando anche in una squadra assai conosciuta, che sarebbe presto andata ai mondiali.
Tuttavia, nell'ultimo periodo, aveva sentito il desiderio di cambiare aria e aveva deciso di tornare a vivere a Londra per un po': suo padre l'avrebbe sempre accolto con piacere per lavorare al suo ristorante italiano. Nei suoi piani di trasferimento, però, non rientrava la presenza di Geraldine: le voleva bene, era la sua ragazza ormai da diversi anni, ma non era sicuro che sarebbe riuscito a sopportarla tutto il giorno.
Inoltre, i suoi gusti nel magiare, erano assai discutibili: essendo vegetariana, mangiava solo verdura e si concedeva una volta a settimana un uovo affrittellato. Invece lui era un buon gustaio, mangiava di tutto, e in quel momento non gli veniva in mente se c'era qualcosa negli alimenti che  non gradisse nella sua dieta giornaliera. Geraldine, proprio per i suoi complicati indirizzi alimentari, avrebbe avuto serie difficoltà a campare a Londra dato che di verdura in inghilterra ce n'era veramente poca, poiché i cibi erano tutti ricchi e grassi; per la maggior parte, almeno, escludendo il ristorante italiano di suo padre Chouza_e forse qualcun altro_.
Ora che ci pensava, era un po' che non tornava a Londra e da oggi si sarebbe stabilito lì a tempo indefinito.
Suo padre lo aveva giusto avvisato, qualche giorno fa, di avere bisogno di nuovi cuochi e lui aveva colto immediamente quell'occasione per partire.
-ci siamo, tesoro, sono uscite le nostre valigie.- lo avvisò Geraldine, indicandole.
-meno male. Era ora. Tutto questo aspettare mi stava facendo venire nuovamente fame.- commentò sorridendo.
La ragazza alzò gli occhi al cielo esasperata.
-andiamo?- aggiunse, poi, Chouji.
Ci fu un attimo di silenzio, che fu interrotto da lei:
-ci sarà anche la tua sorellastra?- chiese in tono stizzito.
-certo che ci sarà. Vive con mio padre!- esclamò scocciato: ogni volta che arrivavano a Londra glielo chiedeva.
Si vedeva chiaramente che Geraldine non sopportava Karui: forse per gelosia o magare per invidiosa della sua bellezza africana, non l'aveva mai capito. In ogni caso, Chouji stava iniziando a stancarsi dei comportamenti sgradevoli di Geraldine nei confronti di Karui.
Lo irritava quando sua sorella veniva trattata male da qualcuno, soprattutto perché non aveva fatto niente di scorretto o sbagliato.
La gelosia della sua ragazza era insensata ed insopportabile. Sarebbe stato davvero duro un pernottamento indefinito a Londra, per entrambi.
-non ho mai capito perché tuo padre l'abbia adottata.- continuò Geraldine, -voglio dire.. non aveva già un patrigno da quello che mi hai raccontato?-
Chouji sbuffò seccato. -te l'avrò spiegato non so quante volte, Geral! L'ha adottata perché quello che tu chiami “patrigno” la trattava da schiava ed era un autentico razzista.- ripeté annoiato.
-scusa.. ma perché ti scaldi tanto? È solo tua sorella!-
-mi scaldo tanto perché, appunto, è una di famiglia. Ma soprattutto perché mi fai ogni volta la stessa domanda quando veniamo a Londra.
Non ne posso più! Se non la sopporti, potevi anche non venire.- ribatté irritato.
-mi stai dicendo che, se non fossi venuta, non te ne sarebbe importato?-
-non ho detto questo, Geral.- sospirò stancamente, -era un modo per farti capire che, essendo la mia ragazza, dovresti accettare anche la presenza di Karui nella mia vita, cosa che tu non stai affatto facendo.-
Geraldine decise di tacere, tanto sarebbe stato inutile e Chouji si sentì sollevato.


 
****


Lo stanzino era silenzioso, abbastanza vuoto, arredato solo da delle tende rosso fuoco a distaccarlo dal palco del “Royal Opera House”: il teatro più grande e famoso di Londra. Il pavimento fatto di parquet chiaro e illuminato da una luce suffusa posta sopra un comodino dedicato al trucco, alla pettinatura, e alle altre cure estetiche.. da dove si estendeva un grande specchio per guardarsi. Su un panchetto di legno sedeva una meravigliosa ragazza dai lunghi capelli scarlatti, sciolti, che ricadevano candidamente sulla sua schiena, sfiorando il legno del posto a sedere.
Una maschera dal contorno in nero, simile a quelle usate nel carnevale Veneziano, a coprirle gli occhi da dove un rosso acceso e luminoso si intravedeva attraverso lo specchio. Erano iridi penetranti, sensuali, pressoché agghiaccianti da quanto erano accattivanti ed aggressive.
Le labbra carnose ornate da un rossetto color porpora, quasi trasgressivo.
Indosso, la misteriosa ragazza, aveva un abito lungo con uno scollo ponderoso dietro, che arrivava fino al sedere e si allargava armoniosamente davanti, in fondo alle caviglie, in modo da non impedirle i movimenti di quella che sarebbe stata la sua danza.
Ai piedi un paio di scarpette aderenti, sempre rosse, simili a quelle usate per la danza classica nei balli tradizionali, con i fili intrecciati elegantemente sulle caviglie. Ma il suo non sarebbe stato un bello tradizionale, anzi.. sarebbe stato assai scatenato e provocante: un misto tra il flamenco e la danza moderna, così si poteva descrivere.
Si sarebbe svolto in tre atti, in due sarebbe andata in scena da sola, nell'altro l'avrebbe accompagnata un ballerino: colui con cui aveva lavorato e ballato altre volte, Suigetsu Hozuki, dotato di tanto talento ma che lei trovava insopportabile.
Karin era una ballerina del “Royal Opera House” ormai da diversi anni, dieci più o meno.
Era stata fortunata. Aveva perso i suoi genitori quando non aveva ancora sei anni e, non avendo altri parenti che potevano occuparsi di lei, era finita in un orfanotrofio dove, però, veniva trattata nei peggiori modi; finché un giorno, durante una “scappatella” dal suo orfanotrofio, si mise a danzare nella zona di Londra, nella piazza più viva della città, ricca di turisti e dove si trovava il massimo della movida e del divertimento, ovvero “Trafalgar Square”.
Karin aveva sempre nascosto il talento per la danza dato che, essendo povera, non avrebbe mai avuto una vera occasione per sperimentarla e migliore in quell'ambiente, ma quel giorno la fortuna era stata dalla sua parte: ballando aveva attirato una grande folla di turisti e non, e tra questi c'era un uomo dai lunghi capelli corvini e dal colore pallido cadaverico della pelle, sorridendo magnanimo e mellifluo si era fatto avanti e le aveva chiesto se le sarebbe piaciuto diventare una vera ballerina, alludendo anche alle sue doti naturali.
Karin era ancora piccola, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di andarsene da quell'orfanotrofio dove spesso veniva maltrattata e così aveva accettato la proposta di quel misterioso e inquietante uomo.
Da quel giorno fu adottata da lui e venne affidata alla sua ancora attuale insegnante di danza, Anko Mitarashi.
Da allora, grazie ai duri, faticosi e lunghi allenamenti di Anko, era diventata un'esperta ballerina, diventando un'artista ufficiale del Royal Opera Hause, e creando_con l'aiuto della sua insegnante_ un nuovo tipo di danza che era un miscuglio di, appunto, Flamenco spagnolo e Danza moderna.
-Karin!- la richiamò severa, Anko. -sbrigati con il trucco, tra poco inizi!-
-sì, ci sono.- rispose dura, lei. -dammi un attimo, Anko.-
-ho aspettato anche troppo, ragazzina.- borbottò la sua maestra.
Karin portò gli occhi su un portachiavi a forma di orsetto, che tempo fa un gentile bambino aveva perso e lei aveva raccolto: le piaceva pensare che le avesse portato fortuna nel corso di quegli anni, nella speranza di incontrarlo di nuovo un giorno, per poterglielo restituire e dirgli un semplice "grazie".
Con questo pensiero in testa, si allontanò dal comodino e scostò le tende rosse per salire sul palco, sotto l'annuncio del direttore di scena.
-ecco a voi la ballerina scarlatta!- esclamò e gli applausi risuonarono, rimbobando nel teatro dello splendido e reale dorato e rosso.
Ora si sarebbe concetrata solo sulla danza.



 
****


Una limousine bianca costeggiò il lungo viale alberato e cespuglioso che lo avrebbe portato in cima, al Cimitero di San Miniato, a Firenze, dove si sarebbe tenuto il funerale di suo padre, morto in un incidente stradale qualche giorno fa. Hizashi Hyuuga e suo figlio Neji, si erano trasferiti in Italia diciotto anni fa quando Neji aveva solo dieci anni, e ormai si era affezionato all'artistica città di Firenze.
In realtà, Neji, non era molto addolorato per la perdita del padre dato che comunque lui l'aveva sempre trattato con freddezza e ciò che contava di più per Hizashi Hyuuga erano i soldi e il lavoro, dopo “forse” veniva il figlio. Però, ora, con la perdita di suo padre, anche l'azienda per cui lavorava avrebbe chiuso perché nessuno se la sentiva di prendere in mano la cattedra del Sig.Hyuuga e, con tutta sincerità, neanche a lui interessava più di tanto: per quanto si fosse affezionato all'Italia, e soprattutto alla città di Firenze, non avrebbe mai voluto andarsene da Londra. Questo perché là c'era una persona a cui lui non aveva mai smesso di pensare da quando se n'era andato ed era anche l'unica che veramente gli mancava.
Sotto gli ordini rigidi di suo padre, Neji non l'aveva più vista né sentita: tante volte era stato sul punto di chiamarla di nascosto, ma non l'aveva mai fatto per paura che fosse arrabbiata o delusa da lui, visto che alla sua partenza non era venuta a salutarlo.
Per cui, ora che suo padre non c'era più, si sentiva libero di tornare alla sua patria. Libero di tornare da lei, di spiegarle tutto, di parlarle nuovamente.
Neji non era portato per lunghe conversazioni, poiché non era una persona esattamente socievole, ma l'unica bambina con il quale si era aperto era stata lei. Colei che era certo che lo stava aspettando e che desiderava vederlo almeno quanto lo voleva lui.
Lei: il suo primo, e probabilmente anche unico, amore.
Ovviamente aveva avuto diverse relazioni; però, più o meno, lei era sempre rimasta viva nella sua mente, non aveva mai cessato di esistere nel suo gelido cuore. La purezza, la delicatezza, la dolcezza di quella bambina erano l'unica cosa che lo spingevano a dare il meglio di se stesso, a mettersi in gioco e ad andare avanti deciso verso il suo cammino, la sua cosidetta carriera.
Il suo sorriso grazioso era il suo prezioso porta fortuna e ciò che lo rallegrava di più nei momenti difficili e duri, e sì, anche in quel momento che aveva perso da poco suo padre, sebbene il loro lagame era restato passivo fino alla sua morte.
I finestrini della Lemousine, neri come la pece, gli impedivano di leggere il panoroma nei pressi di San Miniato e lo nascondevano dai volti indiscreti e ciarloni. Solo il suo autista privato a fargli compagnia in quella immensa e lussuosa auto, dove la quiete più assoluta regnava.
Neji decise che era il momento di chiamare suo zio.
Si sistemò i lunghi capelli castano scuro, tendenti al nero, con i ciuffi in fondo legati con un piccolo nastro nero e si specchiò un attimo per vedere se era abbastanza decente da potersi presentare al funerale. Peccato che due profonde occhiaie cerchiavano gli occhi perlati: non aveva dormito molto in quei giorni, troppo impegnato ad organizzare il funerale del padre.
Dunque, ora che si era guardato bene trovandosi accettabile_a parte le occhiaie intorno agli occhi_ tirò fuori dai suoi pantoloni grigi, di seta, il suo Iphone di ultima generazione e cercò il numero di suo zio. Numero che, in realtà, non sapeva se era il solito dato che non si erano più sentiti da quando era andato a vivere in Italia, ma ci provò comunque. Dopo qualche secondo si accorse che squillava, così rimase in attesa: finalmente una voce profonda rispose. Riconobbe subito che era quella di suo zio Hiashi.
-pronto?- la voce era perlessa: probabilmente non aveva il suo numero salvato in rubrica.
-pronto zio Hiashi, sono Neji.- disse il suo nome perché si immaginava che la voce, ora che era adulto, era cambiata e poteva non riconoscerla.
-Neji? Sei davvero tu?- domandò sorpreso, forse era la prima volta che lo sentiva stupito.
-sì, sono io. Ti chiamo per dirti che mio padre è morto l'altro giorno.- il tono si fece cupo: non era mai bello dare certe notizie, sia per chi le dava, che per chi era l'ascoltatore. -come? Non è possibile?-
Neji avvertì che suo zio cercava spasmodicamente di contenere l'emozioni.
-sì, è stato un incidente. Uno scontro mortale: sia lui che il suo autista sono morti.- spiegò ombroso. -mi dispiace.. te l'ho potuto dire solo adesso.-
-non so che dire, Neji, mi hai scioccato. Mi dispiace..- la voce di Hiashi Hyuuga era quasi rotta per quanto tentava di controllare ciò che veramente provava. -se hai bisogno di qualcosa, conta su di me.- gli disse subito, in seguito.
-in realtà sì, zio. So che potrà sembrare inopportuno e forse neanche il momento ideale, ma vorrei tornare a Londra e lavorare nella tua azienda farmaceutica. Pensi che sia possibile?- chiese.
-penso di sì, Neji. Tu mi sei sempre sembrato precoce mentalmente per la tua età e immagino che là in Italia tu ti sia fatto diverse esperienze aziedali, credo che potresti aiutarmi nella sede qui a Londra.-
-grazie dei complimenti e della fiducia. Posso iniziare appena preferisci.- aggiunse deciso.
-allora torna a Londra appena avrai terminato tutti gli affari in sospeso, o anche dopo il funerale..- alla frase finale il tono glaciale si acuii leggermente.
-perfetto. Grazie zio.- detto questo concluse la chiamata e non riuscì a trattenere un sorriso all'idea di incontrare di nuovo la figlia di Hiashi Hyuuga.­


 
****


Un tinnio rumoroso di tacchi rieccheggiava all'interno dal salone di accoglienza del “Royal Opera House”, accentuato dai fruscii degli abiti in lungo e anche quelli più corti, dalla più grande versatilià di colori e arricchiti di gioelli luminosi e costosi, che donavano al salone un arcobaleno di colori che spiccavano grazie ai lampadari opulenti e dalle fattezze rigogliose.
A Sasuke Uchiha piaceva molto andare a teatro, sia per assistere ad opere liriche che per altri tipi di interpretazioni, purché fossero eccelse.
Tali interpretazioni, però, dovevano cogliere il suo gusto raffinato altrimenti lo avrebbero deluso.
Un giudizio così preciso e pungente l'aveva preso da sua madre che, fin da piccolo (e prima che morisse), lo aveva portato a vedere spettacoli teatrali di vario genere e stile; così come la sua lingua tagliente e dal difficile apprezzamento, che lo portava spesso a richiedere la perfezione assoluta su ogni cosa, presa da suo padre. In effetti si poteva dire che aveva una personalità molto complessa, rigida e selettiva al momento che doveva decidere qualcosa, anche la più piccola ed insignificante.
Sasuke lavorava da tre anni nell'azienda di suo padre, che si occupava della creazione di profumi ricercati, unici e raffinati provenienti da tutto il mondo: a partire da fiori, piante importate dalla Francia, più nello specifico dalla Provenza_regione francese dal patrimonio più infinito di aromi e fiori_ ma anche da paesi come la Turchia, la Tunisia, l'India dove si trovavano un'infinità di spezie di ogni tipo, e anche dall'Asia, in particolare dal Giappone, da cui importavano soprattutto i fiori di ciliegio ma anche altre piante ed alberi particolari.
L'azienda “The Uchiha's Perfume Company”, così si chiamava, era famosa in tutta Europa.. ma era conosciuta abbastanza bene anche in Oriente, dati i contatti che avevano con tali paesi. Sasuke si occupava specialmente di dirigere il reparto di ricerca e di creazione di profumi; mentre suo padre, Fugaku Uchiha, ne era il direttore completo di tutti i reparti e suo fratello Itachi il vice-direttore.
Quando suo padre sarebbe andato in pensione il posto l'avrebbe ceduto totalmente a suo fratello, così era già stato deciso da lui.
Sua madre era morta quando era piccolo: lui e suo fratello Itachi erano stati cresciuti dal padre e dalla nuova compagna di Fugaku, Shizune, che con loro si dimostrava sempre molto gentile e carina. Quella sera Sasuke e la sua compagna Kin (più che altro amante perché si divertivano e basta, o almeno per lui era così), suo padre, Shuzune e suo fratello con la sua ragazza, la bella bionda Ino Yamanaka_che lavorava con loro nell'azienda nel settore di creazione di profumi_ avevano fissato una serata a teatro.
Kin indossava un provocante vestito verde pisello, con uno spacco profondo di lato e i suoi lunghi capelli corvini cadevano lungo la schiena, limpidi e piastrati. Ovviamente bellissimi. Si muoveva ancheggianto, guardandosi in torno curiosa e tenendo in mano la sua borsetta nera, che aveva più le sembianze di una una busta porta lettere da quanto era piatta e piccola, della marca assai costosa: “Burberry”.
Poco più in là, Ino, dalla bellezza mozzafiato: le ciocche raccolte in una crocchia pomposa, ricoperta di forcine nere per tenerla su, e ornata da un bastone nero tra i capelli incastrato tra le ciocche bionde, da dove pendevano tre brillantini d'oro bianco e un tubino color viola melanzana senza spalline e lungo fino alle caviglie, dei decolleté con Plateau a spiccare ulteriormente la sua eccetrica figura.
Lui, Itachi e suo padre indossavano uno smoking: lui aveva un completo blu scuro, con una camicia bianca creata su misura e dei semplici mocassini.
Avevano prenotato i posti in Platea, centrali, spendendo un numero indefinito di sterline, ma che per loro non valevano più di alcuni oggetti comprati in negozio, dato che appartevano a famiglie ricche e benestanti, ai quali i soldi non mancavano di certo.
Le poltrone del Royal Opera House erano di un rosso maturo e sgarciante: tutto il teatro era rosso e oro, in realtà.
Le luci sotto i palchi e sotto la galleria, illuminavano il materiale pregiato della costruzione, di oro colato, creando un effetto acceso e splendente, maestoso e reale, con luci arancioni-marroccine estremamente accese. Davanti a loro il grande palco, con una scenografia della Spagna dell'Ottecento, dove l'arena dove i toreri combattevano era il pezzo forte dell'immagine. Il palco in legno di mogano e i tendoni del teatro scuri come l'inchiostro.
In mezzo, poco sotto il palco, era già sistemata l'orchestra nelle loro posizioni specifiche e nell'ordine richiesto dal direttore d'orchestra.
In cima, sul soffitto a cupola ornato da antichi affreschi di vario genere e secolo, si ergeva un grande lampadario, stilizzato, dorato e dalle lampade messe una sotto l'altra che concludevano l'effetto surreale che solo un'ancestrale ed elegante teatro poteva esprimere in tutta la sua più infinita ricchezza. -questo teatro è proprio bello, non trovi Sasuke?- chiese Kin sorridendo.
-già. Molto.- rispose schietto, lui, portando una mano tra i capelli bruni e lisci che gli cerchiavano il volto a diamante, pallido e cupo, dove due iridi scure come la pece si estendevano verso il palco con ipnotica attenzione.
-ma chi vedremo?- chiese Ino, che aveva scarse conoscenze sul teatro, benché fosse molto acculturata su altri fronti ed ambiti.
Suo padre era rimasto in un tetro silenzio, come sempre. Fu Itachi a rispondere a Ino, sorridendo:
-guarda. Ti passo il volantino.- lo tirò fuori dalla tasca. -è lei. La chiamano “la ballerina scarlatta”.- spiegò, puntando la foto di una ragazza con una maschera nera a coprirle il volto e le braccia incrociate come due lunghi colli di cigni bianchi.
-wow! è spaventosa!- escamò Ino divertita.
-già. In effetti fa uno strano effetto.- concordò Kin.
-eppure è affascinante.- intervenne Sasuke all'improvviso.
-mica ti innamorerai di lei, fratellino!- lo provocò Itachi, cogliendo la sua frase.
Sasuke lo fulminò seccato. -figurati! È solo una misera ballerina senza volto.-
-fate silenzio ragazzi.- li richiamò Fugaku, -stanno spegnendo le luci.-
-ecco a voi la ballerina scarlatta!- annunciò il direttore di scena.
Le luci del teatro iniziarono a spegnersi lentamente e il proittere illuminò il palco e l'orchestra; che, al via del direttore, cominciò a suonare una musica cupa prodotta inizialmente solo da bassi e in seguito coordinata con violini, tastiere e flauti traversi. Usando le note più basse e profonde possibile.
Finalmente la ballerina fece la sua entrata accompagnata da applausi di “benvenuto” e iniziò a seguire la musica prodotta con movimenti lenti, incroci di braccia e mani, con una grazia impeccabile e magnetica: Sasuke rimase incantato da quei movimenti magici, spirituali e delicati, incrementati dal battito dei piedi sul legno in mogano, tipici del flamenco, per poi tornare a porsi con un movimento leggiadro, tanto che sembrava non toccare quasi il terreno da quanto pareva sospesa in aria. Fece alcuni “Air”, alzandosi da terra e saltando scosciata, per poi tornare a fare passi “Arabasque”.
Le ciocche della ballerina erano sciolte e quando si adagiava a terra nei movimenti delicati e lineari, essi sfioravano il terreno con dolcezza e quando girava nel ritmo, seguendo la musica, giravano con lei in un tutt'uno che creava solamente un effetto ancor più aggraziato: l'aveva lasciati sciolti apposta. Ovviamente per fare effetto scena.
E l'abito rosso, scollato dietro la schiena, le scopriva la pelle nivea e le fasciava il fisico snello, seguendo i passi e ondeggiando ad ogni brusco scatto o a qualsiasi sinuosa movenza.
Quando girava le iridi verso il palco, nascoste dalla maschera nera, il suo sguardo appariva provocante, magnetico, tanto da crearli brividi di passione.
Sembrava una danza lussuriosa, dominata dal piacere e dal desiderio peccaminoso. Almeno era questo che Sasuke aveva avvertito osservandola danzare. Il nome “la Ballerina Scarlatta” ci stava tutto, era perfettamente coerente con il personaggio che quella ragazza stava interpretando con la sua danza persuasiva e seducente. Le labbra carnose, rosso porpora: un rosso pieno, ricco, succuso, invitante. La guardava e ciò che desiderava era solo assaggiare quella labbra floride e provocatrici: era semplicemente della bellezza più ardita e blasfema.
-la voglio.- dichiarò suo padre Fugaku. -le chiederò di ballare al mio prossimo banchetto a Villa Uchiha.- aggiunse fissandola estasiato. -questa danza indiavolata e misteriosa è incredibile! Ti incatena totalmente! A quella ragazza non manca certo il talento per attirare il pubblico e incantare gli spettatori.- concluse commentando.
-non eccitarti troppo, Fugaku.- ridacchiò Shizune, non abituata a sentirlo così compiaciuto verso qualcosa, seduta accanto a lui nel suo abito nero.
-tu che dici, Sasuke?- aveva udito appena la voce di Kin, da quanto era incatenato ad osservare i movimenti attraenti di quella misteriosa ragazza.
-ehi! Sasuke! Mi ascolti? Sei diventato sordo?- ripeté, scuotendogli la mano davanti agli occhi.
-sì, certo..- disse solo, distrattamente. Kin si strinse in una smorfia offesa.
-lascialo perdere, Kin, il mio fratellino è andato in tilt entrando nel mondo rosso di quella ragazza!- esclamò sorridendo, guardando Sasuke fissare concetrato il palco. -chiudi la bocca, Itachi.- lo rimbaccò solo dopo qualche minuto, il piccolo Uchiha.
Suo fratello ridacchiò divertito alla risposta seccata.
-è davvero bravissima. Nulla da dire.- sorrise soddisfatta Ino.
Dopo il primo ballo, il sipario si chiuse meccanicamente e le luci si riaccesero, seguite dagli applausi di approvazione dal pubblico e da alcuni "bravo" partire da ogni parte del teatro, sopra e sotto.
Il seguito l'avrebbero visto tra mezz'ora e Sasuke, con disappunto, già non vedeva l'ora.
Chi era quella splendida ballerina dall'aria familiare?
  
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