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Autore: Nadie    29/05/2015    4 recensioni
Un giorno ha chiesto cosa fosse quell’amore ripetuto dai dischi in vinile di papà.
«Una cosa che aggiusta tutto.» gli hanno risposto.
«Come una super colla?»
«Proprio come una super colla.»
Adesso che il bambino che è stato lo ha abbandonato, capisce che gli hanno mentito.

[Ben e Prudence]
[La Legge del Resto - sentivo il bisogno di cambiar titolo]
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Temporale '
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21. Sirene



Occhi Bui ha due mani arrabbiate che spazzano via ogni cosa, che ricoprono il pavimento con i cocci di una casa che nemmeno gli appartiene.
Occhi Bui ha due piedi che spezzano i vetri a terra, che calpestano quello che resta, tutto quello che resta.
Non pensava di esserne capace, non pensava di averne la forza, di averne la rabbia eppure adesso sa, adesso sa che anche lui può distruggere le Cose Dolorose, sbatterle per terra, schiacciarle; adesso sa che può piangere di rabbia e non solo di tristezza, che è un uomo duro anche lui.
E i suoi compagni di scuola a volte gli spaccavano la pelle e gli dicevano non hai le palle! non hai le palle!
Buon Dio, se solo potessero vederlo adesso!
Adesso che è furioso, che è sudato, che è tradito, che è spezzato.
Ma il suono delle cose rotte non è abbastanza forte, la sua rabbia non fa abbastanza rumore e c’è una voce, una voce che pulsa nella sua mente cancellando tutto il resto.
Ci sono labbra che gli mordono la coscienza, occhi che lo feriscono e che gli scorticano l’anima, e mani che gli spaccano la pelle peggio dei bulli nei bagni di scuola.
Chiude gli occhi, cade in ginocchio sulla sua casa rotta ed è esausto, esausto, esausto, ma continua a sentirLa, continua a vederLa e Lei gli mangia la forza, gli mangia la speranza, gli mangia tutto l’amore che ha in corpo.
È la sirena.                    
Le sirene, si sa, sono sempre affamate e stringono tra le dita una bellezza che può far male, male come nient’altro.
Le sirene, si sa, si prendono l’amore e non danno niente indietro.
Le sirene, si sa, non ti lasciano vivo.
E allora annega nel buio di una notte irlandese, affoga tra i resti di una storia ammazzata senza pietà, chiude gli occhi e crolla sul fondale di casa sua, dove i vetri di ciò che è stato buttato a terra danno più fastidio della sabbia umida.
Chiude gli occhi, chiude gli occhi e il buio gli cade addosso, il buio lo ingoia come il mare ingoia le navi affondate, nascondendole nel profondo della sua pancia bagnata e salata.
 
 
Riemerge dal buio del suo sonno, si alza dal suo letto di vetri taglienti e si guarda attorno dove non c’è più una casa ma il Ciò Che Rimane di una casa, e d’altronde anche lui sente d’essere diventato solo il Ciò Che Rimane di un uomo.
Prova a prendere fiato, a respirare ma il suo petto non funziona più come prima, c’è una furia compressa sotto la sua carne che gli sgocciola via dagli occhi, e ha mani non abbastanza ferite per smetterla di distruggere ciò che non è distrutto, ciò per cui esiste ancora una speranza.
Ma infila le mani in tasca, va ad affacciarsi al davanzale sporco e impolverato e si fuma la sua sacrosantissima sigaretta, come se niente fosse.
E infatti non è niente, lui è un uomo adulto che può sopravvivere a viaggi fin troppo lunghi, mancanze, sbronze, bollette da pagare, interviste insistenti e invadenti, piatti da lavare, critiche che a volte gli sputano addosso veleno, partite di calcio da guardare da solo, compleanni da passare al telefono e sirene. Lui può sopravvivere anche alle sirene.
Anche se lo sbranano, anche se hanno gli occhi verdi che brillano più di ogni stella nel cielo e le labbra che potrebbero addentare il mondo come fosse un frutto maturo.
Lui può sopravvivere, lui sa sopravvivere e sopravviverà.
Ma è arrabbiato, c’è poco da fare.
Ma è furioso, e non lo può ignorare.
Non sa cosa lo ferisca di più, se il tradimento o la muta bugia che Lei ha saputo conservare così a lungo, anche davanti a lui, davanti ai suoi occhi neri e stanchi.
Prova a ripensare a otto anni fa, alla notte in cui ha alzato troppo la voce e Lei è scappata via, scivolata troppo lontano dalle sue mani, e ha commesso una sbaglio che, nonostante tutto l’amore che gli scorre nelle vene, lui non può perdonarle.
Neanche dopo otto anni.
Soprattutto dopo otto anni.
Fuori dalla sua finestra c’è un sole fastidioso che illumina una città già sveglia, già al lavoro, con persone rovesciate sui marciapiedi, negozi che alzano la saracinesca, bar che si riempiono di risate e metropolitane pronte ad accompagnare chiunque dovunque; e c’è chi cammina in silenzio e pensa ai fatti suoi, chi si è svegliato col piede sbagliato e ha negli occhi l’espressione del che-giornataccia-che-mi-aspetta!; e poi chi sorride, sorride, sorride e saluta anche gli sconosciuti, chi si specchia nelle vetrine e sbuffa, che capelli questa mattina!; e chi parla al telefono con qualcuno di importante e pensare che, dannazione, avrebbe voluto fermarsi al bar a fare colazione! Ma la vita non ti aspetta, neanche se sono solo le sette di mattina.
Neanche se hai il cuore spaccato a metà.
La vita non ti aspetta. Dublino non ti aspetta.
Dublino va avanti nonostante i cuori traditi affacciati alle finestre e i padri che volano via dai figli.
E lui non sa, non sa cosa lo trattenga dal fare la valigie e prendere il primo aereo per Los Angeles come ha già fatto Franziska solo pochi giorni prima.
 
 
Il ricordo è ancora vivido, nella sua mente può ancora vedere i capelli d’oro di Franziska stretti in uno chignon dall’aspetto severo, gli occhi di ghiaccio nascosti dietro a lenti grandi e scure, le mani strette ai bagagli e le labbra sottili che danno voce a parole dette con elegante freddezza.
 
Il mio posto non è con te.
Hai ragione.
Ho bisogno di un uomo innamorato.
È giusto.
Tu sei un uomo innamorato.
Davvero?
Sì. Ma non di me.
 
Un sorriso e Franziska sparisce, vola via come una farfalla.
 
 
La sigaretta gli muore tra le dita mentre assapora l’ultima boccata di fumo come se potesse mangiarselo, come se potesse distinguerne il gusto, ma il fumo sa del nulla e non può certo sfamare la sua lingua secca.
Si allontana dalla finestra, vaga per l’appartamento mentre Chissà Cosa continua a frantumarsi sotto ai suoi piedi poco attenti, il suo sguardo cade sul borsone scuro abbandonato vicino al muro sporco.
Si avvicina svelto e fruga tra i vestiti spiegazzati, affonda le mani tra una maglietta ed un jeans finché le sue dita non si scontrano con la copertina di un libro.
Lo afferra e lo tira fuori.
Ha l’aspetto ingiallito e logoro tipico dei buoni libri, quelli che si rileggono non importa quante volte, quelli che invecchiano con te, che hanno il loro posto fisso nella libreria o sul comodino e, se qualcuno li sposta anche solo di mezzo centimetro, te ne accorgi alla prima occhiata.
Si siede sul divano e apre il suo libro, che in realtà non è il suo libro.
È di Prudence, anzi, è di una biblioteca di Dublino che sta ancora aspettando di vederselo restituito e sì, lo so che è come se l’avessi rubato, ma in realtà è stato Lui a rubare il mio cuore! aveva detto Occhi Verdi durante un pomeriggio grigio e freddo, mentre restavano riparati nell’abbraccio di legno del loro albero grande.
 
Anche questo ricordo è ancora incredibilmente nitido, tanto che riesce a ricordarne le parole.
 
Benjamin, devi sapere che Cime Tempestose è il mio libro-nascondiglio.
Libro-nascondiglio?
Un bel posto in cui puoi nasconderti quando la realtà ti morde.
E come mai hai scelto di nasconderti proprio dentro a Cime Tempestose?
Perché Heathcliff mi lascia la porta aperta.
Davvero?
Se vuoi posso chiedergli di lasciarla aperta anche per te, che ne dici?
Mi farebbe davvero piacere.
 
Un sorriso riaffiora sulle sue labbra, ma scompare appena il ricordo si dissolve.
Ora è tornato ad essere da solo, solo contro la realtà che lo morde coi suoi denti aguzzi, lo sbrana peggio di una sirena affamata e lui non sa a cosa appigliarsi per sfuggirle, come fai a rimanere vivo in mezzo alla realtà?
Il temporale dei brutti ricordi lo bagna da capo a piedi, diluviano attimi infelici sulla sua testa e lui corre, smarrito e confuso, tra le strade scure della periferia della sua memoria, dove l’unica luce sono i lampi che spezzano il cielo buio della sua mente, e le parole-coi-denti-appuntiti si abbattono a terra, si perdono tra i suoi capelli, inciampano nei suoi vestiti e piove, piove, piove perché anche le Cose Dolorose sanno piovere.
La realtà lo sta mordendo, lo sta spaccando e, francamente, a lui non va più di correre. Ma ci sarà un maledetto posto in cui nascondersi!
Volta la prima pagina, la lingua muta del pensiero assapora le parole, si perde tra le parole, parole che sanno far smettere di piovere, che sanno alzare abbastanza la voce per cancellare ogni altro suono esistente.
E allora la realtà molla la presa, lo lascia ferito ma ancora vivo perché i suoi denti non possono nulla contro quelle parole.
Sorride. Heathcliff gli ha lasciato la porta aperta.
 
 
 
Anche se lui resta fermo il tempo passa e non lo aspetta.
I giorni diventano inconsistenti, un miscuglio disordinato di sigarette, vetri che si rompono sotto il peso dei suoi passi, una finestra che si apre quando è buio e si chiude appena la luce illumina le strade, e ancora sigarette e poi alcol, decisamente troppo.
Il telefono urla nella tasca dei suoi jeans, lo sente strillare il Suo nome – Prudence!Prudence!Prudence! – ma non riesce a rispondere, la rabbia e l’umiliazione gli battono nel petto come un pugno.
Appena si sdraia sul divano il telefono riprende a squillare, frenetico e bisognoso di una risposta, e vorrebbe pigiare sul tasto verde ed essere tagliente come la lama di un coltello, sentirla restare senza fiato per il dolore, ma chiude gli occhi.
Lascia che il telefono continui a gridare.
 
Il terzo giorno è uguale ai due che lo hanno preceduto soltanto che, dannazione, ha finito le sigarette.
 
Il quarto giorno il cielo di Dublino sputa acqua sulle strade e gli alberi si muovono agitati dalle mani barbare del vento.
Lui ha dimenticato la finestra aperta e gli piove in casa.
Pazienza.
 
Il quinto giorno finisce anche la birra, la testa gli scoppia e la nausea lo sfianca.
 
Il sesto giorno si risveglia sul pavimento freddo del bagno.
Ha toccato il fondo.
Ma è scaduto il tempo, ma deve avere un po’ di rispetto per se stesso e quindi basta, che non è più il caso di restare.
Basta, che quella città fuori dalla finestra lo ha lasciato nudo e affamato, è una città che ti divora, con dentro sirene che ti divorano e lui non è abbastanza forte per restare.
E allora basta, basta, che ha toccato il fondo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Ciao a te, pazientissimo lettore.
Io, a quest'ora, dovrei star studiando e invece sto aggiornando Ben e Prue... non è eccitante? Infrangere le regole!(okay, okay, la smetto di rubare le frasi di Hermione Granger)
Comunque, caro lettore, dal momento che non aggiornavo da quasi un'intera era geologica, eccomi qui, con un nuovo divertentissimo capitolo!
Che dirti? Io lo so che sono una gran ritardataria, e per questo ti chiedo scusa e, se sei ancora qui a leggermi nonostante tutto, ti ringrazio con tutto il mio cuore.
GRAZIE!
C.

P.S: Lo so che avete anche voi un libro-nascondiglio... tutti ne hanno uno!
P.P.S: Ben Barnes riesce a essere faigo anche con una camicia da boscaiolo... mi spiegate come fa? Voglio saperlo!
P.P.P.S: La smetto con i 'P.S'!
 
 
 
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
  
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