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Autore: Lady Warrior    29/05/2015    1 recensioni
Eva è l'unica donna rimasta al mondo. è stata salvata dall'estinzione del genere umano da una scienziata. Si risveglia dopo circa un millennio dall'accaduto, e scopre grazie a una voce meccanica registrata che il suo compito è ricreare il genere umano, grazie a una grande quantità di sperma conservato in alcune boccette dentro il bunker nel quale era stata rinchiusa. Eva si comporterà di fronte al mondo come una bambina, quasi come un animale, essendo l'unico essere vivente sul pianeta, e prenderà sul serio il suo compito. Ben presto, però, scoprirà di non essere sola e allora inizierà a porsi delle domande, e capirà che anche per lei vi sono delle scelte. Deve veramente portare a compimento il suo compito? Qual è il vero scopo della sua vita?
Genere: Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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       †Lo scopo di Eva†
 
 
 
Eva si destò all’alba del giorno seguente. Si voltò verso destra, assonnata. Dwigh era ancora lì accanto a lei, seduto su una sedia, pareva riflettere. Eva osservò non notata il volto dell’alieno. Ancora non le sembrava reale. C’erano altre forme di vita senzienti, oltre agli umani, ed erano nel mondo, nel suo mondo. Eva ancora non conosceva le loro intenzioni, ma parevano amichevoli. O almeno, Dwigh pareva tale. Era rimasto tutta la notte con lei, per farla sentire più sicura. Gli era grata, ma si chiedeva perché con lui si sentisse in effetti più tranquilla. Non lo conosceva, era un alieno, ma non le incuteva terrore, bensì una leggera fiducia.
Eva si stiracchiò ed emise un leggero sbadiglio.
-Buongiorno- la salutò il Dresdan.
Eva lo guardò, ma non rispose. Si sedette, spaesata. Aveva fame. Come se le avesse letto nel pensiero, il Dresdan disse che aveva già ordinato la colazione.
-Hai dormito bene?- le chiese, poi.
-Sì-
-Posso farti alcune domande? Non occuperanno molto tempo. Voglio conoscere un po’ meglio te e la tua specie-
Eva tacque.
-Presumo sia un sì. Sai fare a scrivere?-
Eva lo guardò, sorpresa.
-Cosa vuol dire scrivere?- chiese.
-Beh, vuol dire… Non ti preoccupare, te lo farò vedere. E leggere? Sai leggere?-
La ragazza scosse la testa, confusa.
-Vedo che gli umani non sono riusciti a trasmetterti queste capacità. Dimmi, Eva, cosa sai fare?-
- Io so camminare, parlare… non so cosa intenda tu per “saper fare”-
-Quindi non ti è stato trasmesso nulla riguardo alla tecnologia umana-
-Non so cosa sia la tecnologia. Non so perché gli umani non ci siano più, perché abbiano salvato proprio e solo me, però una cosa la so-
-E cosa?- chiese il Dresdan.
-So qual è il mio scopo, perché sono qui-
-E perché sei qui?- chiese Dwigh, pur immaginando la risposta.
Eva parve esitare, forse non si fidava abbastanza di lui per rivelargli il suo segreto.
-Prometti che non lo dirai a nessuno? Prometti che mi lascerai andare, quando sarò perfettamente guarita?-
-Prometto che sarà un nostro segreto, ma non voglio illuderti: ho ricevuto l’ordine di trattenerti qui-
-Da chi? Io voglio tornare indietro! Non sarai tu a impedirlo!-
-Cercheremo una soluzione, Eva. Qual è il tuo scopo?- chiese l’alieno.
-Non te lo posso dire. Te lo devo mostrare-
Non sapeva cosa l’avesse spinta a formulare quella risposta, dopo aver saputo che sarebbe dovuta rimanere tra gli alieni, forse la speranza di riuscire a fuggire oppure un barlume di fiducia in quell’essere tanto strano ma alquanto amichevole.
Si alzò, e attese che l’altro le aprisse la porta per farla passare. Medici Dresdan camminavano in qua e in là per le stanze dell’ospedale di fortuna, con vari strumenti in mano. Nessuno pareva far attenzione a lei. D’un tratto un intenso desiderio di respirare l’aria fresca, sentire la brezza mattutina sfiorarle i capelli e vedere il colore del cielo riempì il cuore di Eva. Così iniziò a camminare più alla svelta che poteva, nonostante il dolore alla pancia e l’affaticamento per l’operazione. Non guardava il Dresdan dietro di lei: voleva solo uscire da quella struttura, e lo fece. Subito l’aria le scompigliò i capelli, ma quel che vide non corrispondeva a ciò che si aspettava: fra le grigie rovine camminavano molti Dresdan in una sorta di uniforme color kaki, e tenevano in mano strani oggetti dalla forma allungata. Parevano simili all’arnese che aveva trovato prima di essere ferita, solo erano più grandi. Alla vista di Dwigh, tutti si fermarono e accennarono ad uno strano saluto, poi iniziarono a scrutare la ragazza con sguardo indagatore. Eva si sentiva in difficoltà: quella era il suo mondo, la sua terra, eppure pareva che fosse lei l’aliena in quel mondo. Si coprì istintivamente il corpo con le braccia, imbarazzata. Si sentiva estraniata da quella situazione. Aveva promesso al Dresdan di condurlo a casa sua, ma si rese conto che non conosceva la strada.
-Lei è Eva. È un’umana. D’ora in poi risiederà con noi fino ad ordine contrario. Esigo rispetto nei suoi confronti. Il primo che proverà a farle del male verrà punito con la giusta pena- disse Dwigh, e gli altri Dresdan si cimentarono di nuovo in quel bizzarro saluto.
-In realtà- sussurrò Eva, arrossendo –Non so la strada, ma saprei riconoscerla, forse, se mi conduci laddove sono stata ferita-
Dwigh annuì, poi fece cenno a due suoi simili di venire con loro. chissà perché voleva che li scortassero. Forse temeva che lei tentasse la fuga, e con quei due esseri al seguito, non sarebbe proprio riuscita a farlo.
Tuttavia Eva non aveva pensato alla fuga, almeno non fino a quel momento. Però poteva provare, anche se le mancava un piano.
Eva guardò Dwigh, che la seguiva in silenzio, e notò per la prima volta che anche lui portava sulla schiena degli arnesi come quelli dei due accompagnatori, e su un fianco penzolava quella che avrebbe scoperto essere una pistola.
Osservò i due occhi dell’alieno, che le sorrise. Eva ricambiò. Forse un po’ le dispiaceva abbandonarlo. E comunque l’avrebbe ritrovata. Ma doveva tentare. Doveva provare a fuggire!
Arrivarono al luogo del suo ferimento in un tempo molto breve. Eva si fermò e si guardò attorno. Scorgeva i grandi massi e le rovine delle case, le distese di cemento armato. Sì, doveva essere quello il posto. Si avviò con passo deciso verso nord, ancora indecisa se fuggire dai Dresdan o no. Forse era più conveniente restare. Dove sarebbe potuta andare? Dove avrebbe trovato cibo? Certo, poteva cacciare qualcosa, ma non avrebbe trovato cibo a sufficienza per una vita lunga e agiata: il nutrimento fornitole dagli umani era molto, ma sarebbe bastato? Non sarebbe più potuta ritornare a casa: i Dresdan avrebbero controllato la struttura. No, fuggire non era un’ottima idea. Ma poteva portare a compimento la sua missione. Quello nessuno glielo avrebbe impedito.
Così si ritrovò davanti all’entrata del bunker. Aprì lentamente la botola e si calò giù con un piccolo salto, dopodiché scese le scale. Sentì qualcuno seguirla, ma lei corse verso l’armadietto e prese la siringa. Stavolta niente avrebbe fallito.
Iniizò a preparare tutto, mentre gli altri erano troppo distratti per notarla. Tanto meglio.
-Guardate! È meraviglioso!- esclamò Dwigh, aprendo le braccia.
-Sono riusciti a conservare tutto per più di 500 anni!- disse uno dei due accompagnatori.
-E non è finita! Guardate l’impianto di stasi! Dovremmo studiarlo, immaginate se riuscissimo a replicarlo! Non ci sarebbe mai fine per il nostro popolo!- esclamò Dwigh.
Mentre gli alieni facevano discorsi di tal genere, Eva aveva finito di preparare l’occorrenza. Osservò l’ago. Sarebbe stato pericoloso? Era stata operata da poco. No, ci sarebbe riuscita. E se avesse fallito, beh, avrebbe tentato di nuovo.
Guardò la siringa un’ultima volta.
-Cosa stai facendo?- le chiese Dwigh, giunto in quel momento accanto a lei.
-Faccio ciò per cui sono stata creata- rispose Eva.
-Ripopoli il mondo? Tu? Da sola?-
-Esattamente- rispose la ragazza.
-Questo è ciò per cui sei stata salvata. Non ciò per cui sei stata creata. Dimmi, Eva, tu lo vuoi fare? Vuoi tu ripopolare il mondo in questo modo?-
-è il mio dovere- rispose confusa la ragazza.
-Non ti sto chiedendo cosa devi fare, ma cosa vuoi fare-
Eva rimase allibita. Finora si era posta molte domande. Si era chiesta perché proprio lei era stata salvata, perché gli umani fossero scomparsi, e molte altre domande, ma mai, mai, si era chiesta cosa volesse fare lei. Era sicura di volerlo fare? Per la prima volta guardò la siringa, perplessa, esitante.
-Non lo so. Non me lo sono mai chiesto. La voce ha detto che sono stata salvata per questo. Che io sono in vita solo per questo-
-Pensi che il senso della tua vita sia solo e unicamente quello di procreare figli per ripopolare il mondo e far rinascere la tua specie?-
-La voce ha detto così-
-E tu cosa dici? Sono gli umani ad averti dato il senso della vita?-
-Non lo so. Perché mi fai queste domande?-
-Perché tu mi hai parlato del tuo compito, della voce, ma mai mi hai parlato di te. cosa ti piace? Cosa vuoi fare? Cosa senti? Quali sentimenti provi?-
Eva lo guardò, e per la prima volta, ascolytando quelle parola, si sentì umana. Si sentì vivente. Si sentì una persona. Cosa provava? Non se lo era mai chiesto. Aveva sempre vissuto come un macchinario. Un macchinario senza sentimenti, pronto solo alla riproduzione.
-Non lo so. Secondo te perché sono qui? Perché sono stata creata?-
-Io non lo so. Noi dobbiamo cercare il senso della nostra esistenza, nessun altro. Io l’ho trovato nell’aiutare la mia patria. Tu lo troverai qui, o altrove. Ma non accettare un senso che ti hanno imposto. La vita è tua. Io non so se siamo stati creati da qualcuno o se siamo stati inviati qui nell’universo da una serie di formule ed eventi casuali, ma so che stiamo vivendo. E che se c’è stato qualcuno, qualcosa, che ci ha dato la vita, vorrebbe solo che noi fossimo felici. La tua felicità consiste nel fecondarti con quella siringa?- spiegò Dwigh.
Le domande del Dresdan la stavano facendo confondere. La stavano mettendo in crisi. Tutto ciò in cui aveva creduto, stava crollando. Per la prima volta si sentiva viva, per la prima volta non sapeva cosa fare. Qualcosa si era smosso dentro di lei. Domande. Domande che esigevano risposte. E lei doveva cercarle. Doveva cercare il senso della vita tra le rovine di quegli umani che non l’avevano trovate, tra l’erba del prato verde, tra gli occhi dei Dresdan, ma soprattutto dentro di lei, in quei sentimenti che non aveva mai indagato.
D’un tratto lasciò cadere la siringa per terra. La osservò scivolare giù e cozzare sul pavimento e infrangersi in mille pezzi.
-Voglio sapere perché sono qui- disse, prima di avviarsi verso l’uscita. Gli altri la seguirono.
Eva corse via, poi si guardò indietro, per l’ultima volta. Si profilava per lei un nuovo inizio.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 
   
 
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