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Autore: The Ghostface    01/06/2015    2 recensioni
Sono passati tredici anni…tredici lunghissimi anni da quando Ghostface è stato rinchiuso nel Tartaro.
Di lui non resta che un vago ricordo, voci, leggende urbane…tutto sbiadito dal tempo…dalla magia…
Sulla Terra le cose sono cambiate, nonostante il tempo trascorso i Titans sono rimasti uniti…e con un membro in più, un vecchio rivale pentito…
Alcuni si sono sposati, alcuni hanno avuto dei figli…alcuni nascondo terribili segreti nel profondo del loro animo che mai mai e poi mai dovranno essere svelati.
Il ritorno in circolazione di un noto avversario da un occhio solo terrà alta la guardia dei nostri eroi.
Ma quello che tutti loro non sanno…e che sono finiti tutti nel mirino dell’ormai leggendario…Ghostface.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Ghostface, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Rigor Mortis'
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CAPITOLO 17
 
In un vicolo di periferia Ghostface stava perlustrando bullone dopo bullone, vite dopo vite, ogni anfratto di Alighieri.
-Non è possibile!- sbraitò –Come può essersi dimenticata il mio detonatore, cazzo?! Senza quello non ho alcun potere sui Titans!-
Il vecchi aveva cercato in ogni possibile nascondiglio: niente. Il detonatore delle bio-sonde non c’era.
Si sedette sul marciapiede a rimuginare.
< Non può essere così scema da averlo lasciato a Slade, probabilmente l’ha portato via con sé…ma dove? Ah certo! Mi aveva detto di un certo appartamento che frequentava in questi giorni…dove andava a sbattersi Corvina…se Willy lo sapesse eh eh… >
Ghostface prese a frugare nelle tasche del soprabito e infine lo trovò, un bigliettino con su scritto l’indirizzo dell’appartamento.
Qualche giorno fa, e dopo qualche birra, Terra gli aveva lasciato l’indirizzo in merito a chissà quale stupida scommessa tra i due, il killer però era completamente sobrio e sapeva cosa faceva.
Conoscere è potere, in fondo.
<Craven Road 7, appartamento C17. Trovato. Ricordavo bene allora…per fortuna la biondina non i è presa la briga di controllare il mio spolverino>
- Quella ragazza ha la lingua troppo lunga, dovrebbe imparare a tenere più per sé i fatti della sua vita privata- commentò da solo.
-Con chi cazzo stai parlando, vecchio?- chiese un ubriacone a lato della strada.
Ghostface odiava i bassifondi, sede della peggior feccia, non gente pericolosa…gente disperata.
C’era una bella differenza, anche se il confine tra i due era sottile e sfumato.
Lui era pericoloso, molto pericoloso, ma da lì a poco avrebbe avuto un nuovo inizio…e non sarebbe stato da solo.
 -Affari miei!!-ringhiò in risposta.
Il dialogo finì lì.
 
Erano le cinque in punto del giorno dopo, a dispetto della stagione il clima aveva regalato un cielo azzurro e un bel sole caldo e raggiante.
Tutti si stavano godendo quel pomeriggio di Sabato.
Le auto si muovevano pigramente per le vie, gli uccelletti canterini solcavano i cieli, i bambini correvano per i parchi dietro a un freesbee o a una palla in compagnai di qualche cane…. E i giovani adolescenti di Jump City si incontravano per stare assieme ai loro coetanei dell’altro sesso.
Buck era un giovane ragazzo di 16 anni.
Studiava al liceo scientifico e lavorava sodo per ottenere buoni risultati con cui rendere orgogliosa la madre.
La vita non era stata facile per lui: arrivato in America a 3 anni, per sfuggire dalla guerra in Nigeria; aveva perso il padre a soli 7 anni.
Da allora era stata sua madre a mantenerlo, cosa non facile per una donna sola, Buck non aveva molti amici, né una gran vita sociale e anche i primi approcci con la scuola non erano stati dei migliori.
Era mingherlino e anche un po’ impacciato, spesso vittima di bulli più grandi e cattivi di lui, perché nonostante tutto restava un ragazzo mite e tranquillo.
Forse un po’ troppo appassionato di videogiochi, ma coi piedi per terra.
Quel giorno era il più bello della sua vita.
Finalmente Kelly, la più bella ragazza della scuola aveva deciso di accettare il suo invito!
Era dalla prima che le faceva il filo, ma la sua scarsa disponibilità economica, il suo aspetto poco attraente e la sua media per nulla eccezionale l’avevano sempre lasciato nell’ombra.
Ma quella mattina a scuola, Kelly gli aveva che sarebbe volentieri venuta a prendere un frullato con lui, un invito ricevuto la settimana prima ma comunque valido, Buck non se l’era fatto ripetere!
Ah Kelly… lunghi capelli rossi e smossi, corpo non slanciato ma proporzionato e ben “curvilineo”, gambe lunghe sempre avvolte in jeans attillati che lasciavano poco all’immaginazione, occhioni verdi pieni d’astuzia, un visetto ovale color latte, tempestato di lentiggini e sempre sorridente…e che sorriso! Tutto rose, campi di fragole, coniglietti, fiumi di caramello e pinguini cavalca-arcobaleni.
Era impossibile non perdersi in quella splendida visione.
Buck era sicuro che quel giorno sarebbe stato memorabile, per la prima volta qualcosa nella sua vita andava per il verso giusto: Kelly si sarebbe innamorata, si sarebbero sposati e avrebbero vissuto per sempre felici e contenti… e che più conta, quel giorno lui avrebbe avuto il suo primo bacio, e lo avrebbe avuto da Kelly! Una volta accaduto ciò, il ragazzo sapeva che tutto per lui si sarebbe aggiustato…finalmente.
Perso a far castelli in aria, ipnotizzato da quei magnetici occhioni verdi, Buck quasi non si accorse dell’espressione terrorizzata di Kelly che gli urlava di spostarsi.
Ancora imbambolato Buck volse il viso verso la vetrina di fianco al loro tavolino, che dava sulla tangenziale, quella che la ragazza indicava con tanto fervore… e il suo sorriso ebete si trasformò in una maschera di panico.
La ruota anteriore della Harley Davidson sfondò la vetrina, atterrandogli dritta sul viso, la faccia gli venne letteralmente raschiata via.
Pochi istanti dopo, l’imponente motocicletta, atterrata dal nulla in mezzo al locale, riduceva in poltiglia il giovane corpo adolescente.
Sì…la vita era sempre stata crudele con Buck.
 E anche la morte non fu molto gentile.
 
Tutti si volsero a guardare sgomenti; utilizzando un’altra auto come rampa, un pazzo era saltato sopra la corsia trasversale, evitando il fiume di macchine che scorreva sotto di lui, e atterrando nel mezzo del locale, uccidendo sul colpo un povero ragazzo che era lì completamente a caso, nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Per nulla turbato, l’uomo alla guida scese dalla moto, alto oltre la norma, avvolto da un tetro spolverino nero, aperto sul davanti, con una maglia a collo alto grigia e pantaloni neri lunghi oltre la caviglia.
Il casco nero sul viso impediva di vedere la faccia.
L’uomo scese dalla moto senza nemmeno spegnerla, e senza badare a quel che restava del cranio spappolato del sedicenne finito sotto le sue suole.
Mosse alcuni passi nel più completo silenzio avvicinandosi adagio a un tavolo più interno nel locale.
Cinque ragazzi seduti lì stavano festeggiando un lavoro ben fatto.
-Gli Hive Five?- domandò il misterioso motociclista ai cinque.
Mammut, Gizmo, See-More, Wykkyd e Billy Numerous erano andati lì a brindare alla morte di Ghostface e alla vendetta di Iella, finalmente compiuta, con il frullato preferito dalla ragazza: quello ai mirtilli.
E Ghostface decise di unirsi a loro.
Non era stato difficile rintracciarli, See-More dovrebbe aggiornare meno dettagliatamente la sua pagina twitter.
-Chi lo vuole sapere?- ringhiò minaccioso Billy alzandosi dalla sua sedia, mentre un suo sosia compariva alle sue spalle, picchiando il pugno nel palmo dell’altra mano.
Il motociclista sfoderò veloce come un serpente una pistola.
Bang! Bang!
I due morirono ancor prima di toccar terra.
Doveva essere un pigro sabato pomeriggio allo Smooty Bar, invece in meno di un minuto al suolo giacevano tre cadaveri, di cui due della stessa persona, coi visi orribilmente deturpati dai fori di proiettile.
Si scatenò il pandemonio.
L’uomo estrasse dal soprabito un lungo e sottile coltello, dalla lucentezza innaturale, affondò l’arma nel palmo di Wykkyd inchiodandolo al tavolo prima ancora che il ragazzo potesse capire cosa stava accadendo, la lama trapassò ossa e tavolo come foglie d’insalata.
-AAAH!!!- gridò di dolore mentre il sangue zampillava come il petrolio dalla terra, le sue urla si mischiarono a quelle dei presenti che fuggivano terrorizzati.
L’uomo col casco scaricò l’intero caricatore sugli inermi civili che si davano alla fuga, una dozzina caddero senza rialzarsi, solo una persona riuscì a rimanere ferita, senza morire sul colpo.
<Quindici colpi. Cariche esaurite> ruotò di scattò il braccio nuovamente verso gli Hive sbattendo con quanta forza aveva la pistola contro il cranio di See-More che aveva tentato di balzargli alle spalle.
<Ma la pistola resta utile>
Mammut ruggì come un animale, sollevò il tavolo sopra lo sconosciuto, incurante del fatto che Wykkyd ci fosse ancora inchiodato, e glielo scaraventò addosso.
Ghostface balzò all’indietro, atterrando sulle mani e con incredibile agilità felina ruotò posandosi sui piedi, un altro salto ed era di nuovo sulle mani e infine riatterrò proprio sul tavolo lanciatogli, che era caduto alle sue spalle, mancandolo.
Tutto era avvenuto in una frazione di secondi: una serie rapidissima di flic flac*.
Afferrò l’impugnatura del coltellaccio di adamantio, con un unico gesto ben calibrato tagliò per il lungo il braccio del ragazzo agonizzante, dividendolo in due dal palmo alla spalla.
-AAAYYYAAAA- strillò terrorizzato Wykkyd per il dolore  per l’effetto che gli faceva vedere il suo braccio destro e le ossa sbucciate come una banana.
-Avanti, fatevi sotto- ghignò il vecchio da sotto il casco nero.
Evitò con grazia e grazie al suo longilineo corpo snodabile, raggi e micro razzi sparatigli in abbondanza da Gizmo, alzatosi sulle sue quattro zampe robotiche da aracnide.
Non lo salvarono.
Ghostface spiccò l’ennesimo salto proprio davanti al viso di Mammut, il mutante tentò di afferrarlo ma le sue mani si chiusero sul vuoto, il vecchio atterrò dritto sul suo viso, mandandolo a terra dopo quell’incontro “piedi a faccia” e da lì si slanciò contro il genio della squadra.
La lama saettò silenziosa fendendo l’aria a tutto ciò che c’era sulla sua traiettoria.
Ghostface atterrò con le gambe piegate e pronte a scattare come una rana, con una mano aperta sul suolo a bilanciarlo e l’altra che reggeva la corta spada insanguinata, a fianco a lui giacevano le braccia mozzate di Gizmo.
Come si ritrovò mutilato il ragazzo pelato andò giustamente nel panico, non poteva più governare il suo esoscheletro robotico che dopo aver barcollato alcuni passi rovinò  a terra  schiantandosi sui resti dei Billy.
Tese la gamba e la spostò compiendo ampio un arco, rasente al suolo; Mammut, appena rialzatosi col naso rotto e sanguinate, e l’occhio pesto, non riuscì a evitare il colpo e cadde sul pavimento.
Senza perdere un istante Ghostface li fu addosso affondando la lama del coltellaccio nelle caviglie pelose del gigante, incurante di tormenti del nuovo leader degli Hive, il vecchio gli mozzò entrambi i piedi, lasciandolo a strisciare nel suo lago di sangue.
Si alzò in piedi e gli tirò un calcio in pieno volto, che gli fece sputare i denti.
Affondò ancora una volta la lama in lui, perforandogli la spalla.
-Così la prossima rapina la farai in sedia a rotelle- sbuffò altezzoso, rimettendosi in posizione eretta, guardando soddisfatto il massacro di cui era l’artefice.
Un urlo rabbioso alle sue spalle.
A Ghostface bastò un rapido movimento delle dita per trasformare quel grido di battaglia in uno di dolore.
See-More brancicava a terra, a quattro zampe, tastando tutto attorno a sé, probabilmente avrebbe pianto ma non poteva
–Il mio occhio! Non ci vedo! Non ci vedo! Mi ha strappato l’occhio!!-  l’orbita vuota e sanguinate era come una voragine di carne pulsante nera e rossa da cui colavano incessanti lacrime di sangue di un pianto inarrestabile.
La mano artigliata di Ghostface stringeva tra le dita l’unico occhio del ciclope.
Gli era bastato allungare la mano per conficcare gli artigli nel cranio dello sventurato fuorilegge, da lì cavargli l’occhio era stato facile.
Strinse il pugno e uno schifoso liquido molliccio colò tra le sue dita mentre il bulbo oculare veniva ridotto a una nauseabonda poltiglia biancastra sul pavimento lordo di sangue e frullato al mirtillo.
-Sei patetico- disse, un rapido gesto della mano e la lama d’adamantio si abbatté sul ragazzo inerme mozzandogli il braccio sinistro all’altezza del bicipite.
-AAARGG!- anche l’ultimo degli Hive stramazzò al suo, affondando il viso nel viscoso fluido caldo e  rosso dall’odore acre, versato da lui e dai suoi compagni.
Ormai l’intero pavimento de locale era ricoperto di tale liquido.
Ghostface salì in piedi sul bancone e urlò a gran voce –Quelli di voi che hanno ancora una vita ringrazino per essa e se ne vadano! Ma i vostri arti lasciateli qui. Ora sono miei. Potete venirli a prendere quando volete, ma se fallite ve ne strapperò altri, statene certi- si calò il casco scuro dal volto rivelando lo spettrale aspetto della sua faccia, i capelli erano sudati e attaccati al volto, gli occhi scoperti, agghiaccianti, insostenibili.
-T-tu..- mormorò Mammut arrancando al suolo sulle braccia possenti.
Il vecchio gli gettò addosso il casco con non curanza, non lo degnò di uno sguardo ma per mammut fu una fortuna non vedere quegli spettrali occhi di ghiaccio, occhi freddi, morti insensibili, pietrificanti come quelli di una Gorgone…occhi senza lacrime.
Balzò a terra a pochi metri da lui…comunque troppi per il novello storpio.
-Quando vi chiederanno chi è stato…rispondetegli che è opera di Ghostface-
Detto questo il vecchio scoppiò in una macabra risata, pulì l’arma con le maniche ( e le braccia) di Gizmo e si diresse verso la vetrina sfondata, inforcando la moto.
Scorse casualmente, con la coda dell’occhio, una ragazzina raggomitolata sotto il tavolo, dai folti capelli rossi.
-Come ti chiami, piccola?- chiese quello estraendo da una tasca interna dello spolverino gli occhiali da sole e mettendoseli sul naso.
-K-Kelly…Kelly Stuart- rispose quella con un fil di voce, tremante come una foglia nella Bora, quando aveva visto il cranio di Buck venire spappolato da quel motociclista assatanato le gambe l’avevano abbandonata, non era stata in grado di fuggire e si era rintanata sotto il tavolo, assistendo alla strage.
15 morti, più 5 feriti…15 di loro erano persone innocenti, come Buck.
Ghostface si accese un sigaro e continuò –Lo conosci?- domandò indicando con un rapido movimento della testa i resti del corpo straziato di Buck.
Kelly annuì terrorizzata come mai prima d’ora.
-Mezzasega- sbuffò rivolto al cadavere –Credimi ragazzina, puoi avere di meglio. Qualcuno grande e grosso, che ti stringa tra le sue braccia e ti faccia sentire sicura, qualcuno con lunghi capelli, una folta barba e un fascino vichingo, più o meno com’ero io alla tua età. Sono sicuro che con quel faccino puoi avere che vuoi- detto questo diede un colpo d’acceleratore e l’Alighieri sgommò in avanti, slittando sul sangue, fece un’inversione a U passando sulle ginocchia di Wykkyd, che gridò in maniera disumana il suo dolore lancinante di trovarsi le ossa e i muscoli schiacciati da quei tre quintali di ferro e acciaio rombante, infine la motocicletta scattò in avanti sfondando la porta con un rombo assordente, sollevando schizzi di sangue ovunque che investirono Kelly e gli Hive.
In breve l’Alighieri portò Ghostface lontano da quella bolgia infernale prima che sopraggiungessero i Titans o le autorità e il ruggito del motore sostituì in breve le urla strazianti dei mutilati che agonizzavano a terra, immersi nel loro sangue sempre più scuro, sempre più denso.
 
Terra diede un’ultima controllata al suo zainetto.
<Allora, il copione l’ho preso, ho preso la chiavetta, la lettera di Striker allegata all’adamantio, le chiavi del covo le ho in tasca…manca solo quello>
Non era stato complicato per lei impossessarsi del copione scritto da Slade, buttato in un angolo assieme alle altre centinaia di scartoffie dimenticate che si ammucchiavano nello studio del guercio, infatti lui aveva preferito non archiviare quel documento, non voleva che tra le sue referenze comparisse “sceneggiatore porno”.
Neppure copiare sulla chiavetta le varie prove aveva richiesto troppo impegno, visto che possedeva la password del computer e Slade non era in casa, per precauzione la bionda si era curata di salvare anche i primi tentativi del video, in cui ancora c’erano gli attori prima che l’immagine fosse modificata.
Assieme ad esse sulla chiavetta c’erano anche il programma utilizzato da Slade per sostituire i pixel e camuffare la falsità del suo operato, e la vasta e approfondita collezione fotografica di Ghostface e Corvina, collezione tra cui comparivano le famigerate foto erotiche messe online da BB…quelle però Terra le copiò anche su un’altra chiavetta a parte tutta per sé.
Mancava solo una cosa, la più importante: il detonatore.
Quello però non aveva idea di dove fosse, se Ghostface l’avesse nascosto da qualche parte o se Slade ne fosse entrato in possesso.
L’aveva cercato dappertutto senza trovarlo, erano già le sei e mezza, le restava solo mezz’ora di tempo e non aveva idea di dove guardare.
-Cerchi qualcosa?- la voce cupa dell’uomo alle sue spalle la fece sobbalzare.
Si volse di scatto trovandosi faccia a faccia con quella fredda maschera inespressiva.
Slade era sgusciato alle sue spalle furtivo come un ombra, silenzioso come un fiocco di neve…chissà da quanto la osservava.
-Allora?- Terra deglutì in preda al panico, la tensione cresceva sempre più ad ogni secondo che passava  e quello sguardo così penetrante di quell’unico occhio la terrorizzava al punto da spingerla a confessare tutto.
Non le venne in mente nient’altro da dire se non –Sì…- si fece coraggio e continuò –Stavo cercando qualcosa…- si avvicinò a lui sensuale, passandogli un dito su quel petto scolpito, risalendolo adagio fino a circondargli il collo taurino con entrambe le braccia –Ma ora l’ho trovata…- socchiuse le labbra sollevando la maschera appena sopra il naso del guercio, ma quella la fermò afferrandola saldamente per i polsi, una stretta d’acciaio l’attanagliava.
-Questi giochetti non funzionano con me. Dimmi la verità- quel tono così duro la spaventò più di quanto già non fosse… ricordava bene cosa significava quel tono: dolore.
Ricordò quand’era solo una ragazzina, aveva 15 anni quando l’aveva presa come apprendista…e l’aveva costretta a diventare la sua amante.
All’inizio era stato orribile, lei non voleva e lui la forzava: le faceva male, ogni volta.
Il sesso era diventato qualcosa di terribile e doloroso…molto diverso dalle dolci carezze che si scambiava di nascosto con Corvina, nel buio della sua stanza.
Poi, un po’ per abitudine un po’ per l’innegabile fascino magnetico dell’uomo, arrivò a piacerle, affascinata com’era da quel suo essere così oscuro e misterioso…ma col tempo il piacere lasciò nuovamente posto al dolore, l’attrazione alla repulsione, il desiderio alla paura.
Le carezze divennero schiaffi, a baciarla non fu più la sua bocca ma il cuoio di una frusta…ogni volta, per quanto cercasse di dimostrarsi forte, lei gridava, strillava mentre veniva violata in ogni suo orifizio.
Quante lacrime e quanto sangue aveva versato in quei mesi “d’addestramento”?
Aveva solo 15 anni….
Lui diceva di amarla…ma a trattava come una schiava, non esitava a colpirla, a picchiarla a sangue ogni volta che falliva o che lo deludeva…o che  non era abbastanza brava.
Lei sapeva cos’era l’amore, Corvina gliela aveva insegnato, se lo erano sussurrate da ragazze, avvinghiate assieme sotto le lenzuola, se l’erano trasmesso l’un l’altra tramite le loro lingue, l’avevano visto riflesso nei reciproci occhi.
L’amore è rendere felici chi si ama ad ogni costo, amore è sacrificare la propria felicità per quella della persona amata, amore è non osare sfiorarla neppure con un fiore, amore è dare la vita per chi si ama.
Sì, Terra conosceva ben cos’era l’amore…e quello non era amore.
Per lui era solo una graziosa bambola da fottere e seviziare a piacimento, dietro tutte quelle calde parole vellutate Terra aveva sempre saputo che quello che c’era tra lei e Slade non era nulla di più.
Lui le strinse i polsi facendola gemere di dolore, le fitte alle ossa che scrocchiavano la riscossero dai suoi pensieri –Ti decidi  a parlare?!- insistette minaccioso.
-È…è che…non mi sento sicura!- disse tutto d’un fiato.
-Che vuoi dire? Spiegati!-
-R-ricordi il detonatore di Ghostface?- iniziò lei tremante come una fogliolina –Ebbene, visto di cosa è capace, non mi sento affatto tranquilla sapendo che può essere in una qualsiasi parte di questo posto, ovunque l’abbia intanato Ghostface, il pensiero che potrebbe essere attivato…o peggio, distrutto...accidentalmente mi inquieta. Volevo trovarlo-
Terra sperò con tutto il cuore che si bevesse quella mezza verità.
-Fatica sprecata- commentò l’assassino lasciandole i polsi –Ce l’ho io. Era nascosto in uno dei 3562 contenitori di barre al plutonio, al terzo piano della centrale…prevedibile. Era lo stesso con le prime tre cifre del suo numero di matricola ad Auschwitz , quello che ha marchiato sull’avambraccio. Mi è bastato controllarne una decina per trovarlo.
-E adesso dov’è?- domandò Terra con fare sornione, cercando di ottenere col miele informazioni che mai avrebbe ottenuto con l’aceto.
-In un posto sicuro- fu la criptica risposta che ricevette.
-Quale posto?- insistette la bionda.
-Uno sicuro- replicò l’uomo, impassibile come una statua, e il timbro della sua voce disse molto più di quanto non facessero le parole, il messaggio era chiaro: fine discussione.
 
Otto in punto.
Terra girava nervosa la forchetta nel piatto, era in ritardo per l’appuntamento più importante della sua vita, Corvina la stava aspettando, contava su di lei, ma Terra sapeva di non poter andarsene, non senza il detonatore.
Decise di tirare di nuovo in ballo l’argomento.
-Che progetti hai per i Titans? Cioè, adesso che Ghostface è morto, che farai? Continuerai a ricattarli o intendi colpire?-
-Ancora non lo so…- rispose svogliato Slade.
Odiava le chiacchiere a cena, e quando Jonathan era con loro la tavola diventava un vero e proprio simposio filosofico, lui e Terra non facevano che dibattere e discutere del più e del meno, praticamente tutti gli argomenti erano stati tirati in ballo: della poetica di Aristotele al perché i Simpson fossero gialli, dal primo colore della pelle di Hulk al sesso degli angeli, prima parlavano di quanto fosse alto un puffo e poi di cosa fosse per loro l’amore (e nonostante Ghostface fosse a conoscenza del rapporto lesbo che aveva instaurato con Corvina, Terra, dovette stare attenta dosare bene le parole a causa della presenza di Slade)  l’ultimo discorso che avevano fatto era più uno scambio di pareri: preferiresti fare sesso con l’uomo più bello del mondo o con la donna più brutta?
Entrambi avevano optato per l’uomo.
Slade era così simile eppure così diverso dal vecchio.
Lui non prendeva mai parte ai loro dibattiti, e odiava sentirsi escluso da quella che riteneva essere la SUA squadra.
-Tu non hai un piano?- Terra accompagnò il commento ad una risatina sarcastica.
-Forse non ho voglia di dirtelo- replicò il guercio.
-Forse non ti fidi di me- continuò la bionda pungente.
-Forse non ti riguarda!- l’uomo sbattè il pugno sul tavolo facendo sobbalzare Terra e le stoviglie.
La ragazza si ammutolì fissandolo spaventata con occhi straniti, allora, colpito da quegli occhi a lui così cari, Slade frenò la sua collera, non aveva voglia né tempo di litigare, aveva un importante lavoro da svolgere.
Si calmò e riprese il controllo di sé con la stessa rapidità di come l’aveva perso.
-Non hai toccato cibo…che c’è non ti piace?- disse con voce tranquilla, udirla così pacata dopo quello scatto d’ira terrorizzò ancor di più la giovane: quell’uomo era in grado di simulare e dissimulare qualsiasi cosa, era impossibile sapere cosa stesse pensando…davvero inquietante vivere soli con lui.
-N-non ho fame…- mormorò –Da quando Jonathan se ne andato qui è un tale mortorio…-
-Dovresti essermi grata per averlo fatto sparire- la interruppe lui.
-E lo sono- si affrettò a precisare –So bene quanto fosse pericoloso. Solo che ora è tuto così…silenzioso-
-Presto cambierà. Ho grandi progetti per noi. Adesso portami del vino, ho sete-
Terra si alzò al comando imperioso, sempre più nervosa, l’orologio batteva il minuto senza pietà, il rumore della lancetta che si spostava le pareva assordante, ogni movimento era come una scudisciata sulla pelle nuda.
Chissà cosa stava pensando in quel momento Corvina, come si sentiva, se era arrabbiata o triste o delusa o in pensiero per lei…
<Tu sia maledetto, Slade!> quanto lo detestava, e non solo per quello struggente ritardo.
<Vuoi il vino, eh? Spero ti piaccia “speziato”!>
Ghostface non c’era più ma il suo disordine sì: il vecchio lasciava oggetti sparsi ovunque.
“Solo i fessi tengono in ordine, i geni vivono nel caos!” a sentir lui.
Terra si ricordò di aver visto poco prima una siringa di narcotico tra le spezie, conteneva parte della neurotossina della Caravella Portoghese, la ruppe e versò l’intero contenuto nella bottiglia, scosse il tutto per mescolarlo e con un sorriso smagliante in viso tornò alla tavola.
Con gesti melliflui riempì il bicchiere di Slade fino all’orlo, assestandogli un bacio sulla guancia ispida di barba.
-Ecco a te- sorrise tra mille moine.
Terra era una ragazza volubile, dai rapidi cambi d’umore, questo il guercio lo sapeva bene, ma nulla lo insospettiva di più di quando lei gli sorrideva in quel modo.
Annusò dubbioso ma non rilevò nulla di anomalo.
-Tu non bevi?-
-No…non ho voglia- disse quella evasiva.
-Un bicchiere non potrà certo farti male- instette lui più deciso e sempre meno convinto dal comportamento della geocinetica.
-No, davvero…-
-BEVI!- tuonò.
Un comando scoccato come un colpo di frusta.
-V-va bene…- Terra si versò un mezzo bicchiere di vino e lo bevve annacquato tutto d’un fiato.
-Contento adesso?- Slade non rispose  facendo ondeggiare il calice tra le dita, poi bevve adagio.
Al primo bicchiere seguì un secondo, e un terzo…pochi minuti dopo l’uomo era disteso a col busto sul tavolo, privo di sensi.

Tuttavia anche la piccola quantità di narcotico ingerita dalla bionda si stava rivelando troppo pesante per il suo organismo, Terra capì che non sarebbe riuscita a resistere a lungo agli effetti della tossina.
<Devo…andare…da…C-Corvina>
Trascinandosi a fatica con le braccia riuscì a raggiungere la sedia di Slade, strisciando per terra, ormai non vedeva nient’altro che un bianco cupo attorno a sè, ogni cosa aveva perso colore, forma dimensione, non distingueva nulla, allungando la mano dove ricordava ci fosse il corpo dell’uomo riuscì ad aggrapparsi alla cintura di questo, sentiva delle nenie inesistenti nella sua testa che la intontivano, la rilassavano, le intorpidivano il cervello…aveva una voglia matta di addormentarsi in un sonno senza sogni.
Ma non poteva!
Corvina contava su di lei!
Questo pensiero le diede la forza di non cedere all’oblio, di costringersi a ignorare  quei caldi inviti al nulla.
Le dita erano anchilosate, il tatto informicolito ma a tentoni riuscì a trovare quello che cercava: la siringa del siero R!
O almeno lo sperava, non vedeva niente ma sapeva che Slade ne teneva sempre una co sé…assieme ad altre 5 diverse siringhe, tre delle quali cariche di veleno mortale, una di narcotico e una di adrenalina pura.
Quattro siringhe su sei l’avrebbero uccisa, e non sapeva che effetto avrebbe avuto l’adrenalina in quelle condizioni.
Prese la siringa e se la iniettò sulla coscia, pregando che fosse quella giusta, aveva paura, una terribile paura di sbagliare, di morire!
Ma per Corvina avrebbe corso il rischio.
L’avrebbe raggiunta con il detonatore o sarebbe morta nel tentativo.
 
-Uffa..- sbottò Corvina tamburellando infastidita le dita sul tavolo della pizzeria all’aperto.
L’appuntamento con Terra, l’appuntamento della sua vita, era per le sette di sera, ma erano già le otto e mezza e della bionda neppure l’ombra.
Neppure una chiamata.
<Basta, la chiamo io> decise la maga accendendo il T-caller.
Terra infatti possedeva ancora il suo comunicatore Titans, Corvina in persona glielo aveva restituito per tenersi in contatto.
Caso volle che quando Terra era fuggita dall’appartamento a Craven Road l’avesse però dimenticato sul comò.
E caso volle che nel momento in cui Corvina chiamò, l’appartamento non fosse vuoto.
La maga ascoltò la voce dall’altro capo, fortunatamente Terra teneva sempre il viva voce.
-Dov’è!? Dove cazzo è?!  Dove cazzo ha nascosto il mio detonatore quella dannata lesbica!-
Una voce che seppur distorta dall’apparecchio risuonò inconfondibile a quelle orecchie che tante volte l’avevano udita.
-Ghostface- mormorò con una mano davanti alla bocca per non farsi udire.
-Ho frugato ovunque in questo fottuto appartamento! Dov’è!!?-
<È a casa di Stella e Robin!!>
La mezzo-demone sentì la rabbia crescerle dentro al punto da soffocarle la ragione e ogni altra emozione dentro di sé, persino la paura.
Gli occhi le brillarono nuovamente come il fuoco infernale, le mani si contrassero e le nocche sbiancarono.
Il viso era una smorfia di furia: i denti serrati e i capelli sparsi nell’etere come il mantello, fu come se un vento impetuoso la sollevasse verso l’alto.
Neppure Medusa avrebbe saputo assumere uno sguardo più pietrificante di quello dei quattro occhi demoniaci che le coronavano il viso.
-Sei morto!!- ruggì con voce gutturale prima di sparire nel nulla, avvolta dal suo stesso mantello, davanti agli altri clienti che assistettero sbigottiti all’insolita scena.
Corvina si materializzò davanti alla porta C17 del numero 7 di Craven Road.
Attorno a lei le finestre esplodevano, i muri si riempivano di crepe e la ringhiera metallica delle scale si attorcigliava su se stessa.
-GHOSTFACE!!- gridò con quanto fiato aveva in gola, una voce che riecheggiò potente e intimidatoria, senza ricevere risposta –SONO QUI PER UCCIDERT…-
KA-POOW!!
Corvina stramazzò al suolo, sul pianerottolo a tre metri dalla porta, sbalzata via dal colpo di fucile a pompa che aveva sfondando l’uscio centrandola in pieno petto.
Un colpo troppo potente e vicino perché potesse andare a vuoto.
Era caduta a terra senza un lamento, incapace di reagire mentre dal body nero il sangue sgorgava copioso.
Sentiva solo il dolore…un atroce dolore…
E una voce…proveniva dall’interno dell’appartamento -Le tigri non ringhiano finché non hanno ucciso la preda. Dovresti imparare da loro- Ghostface aprì l’uscio sfondato dalla fucilata, ghignando davanti alla sua nemica esanime che ancora rantolava a terra con le ultime energie, a fatica il torace vermiglio assecondava il respiro che si faceva sempre più debole…
Il battito divenne impercettibile.
Con un sordo “c-ckalk” Ghostface ricaricò l’arma da fuoco e la puntò nuovamente su Corvina.
Un agghiacciante sorriso crudele  si dipinse sul volto dell’uomo.
 
 
*Lo so, è un nome scemo e fa ridere ma si chiama così, non l’ho inventato io. È quella acrobazia figa che non può mancare nel repertorio di un killer ginnasta.
 
Come avete letto Ghostface non è morto…e questo al dio Morte non è piaciuto.
Solo una vita può ripagare la morte.
Qualcuno andava sacrificato, mi spiace.
So che ora mi detestate, la morte è morte…ma era da un po’ che non scrivevo un capitolo decente.
 
Ghostface
  
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