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Autore: Biszderdrix    11/06/2015    3 recensioni
Come possiamo sapere se siamo pronti per le sfide del mondo? Come possiamo sapere se saremo all'altezza di ogni nemico? Ma soprattutto... se fossi tu stesso il tuo nemico?
L'intera saga di Dragon Ball e degli eroi che tutti amiamo riscritta dalle origini del suo stesso universo, per intrecciarsi a quella di un giovane guerriero, che porta dentro sé un potere tanto grande quanto terribile, dai suoi esordi fino alle sfide con i più grandi nemici, e la sua continua lotta contro... sé stesso.
Se non vi piace, non fatevi alcun problema a muovere critiche: ogni recensione è gradita, e se avete critiche/consigli mi farebbe piacere leggerli, siate comunque educati nel farlo.
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO TRENTASEIESIMO- FAMIGLIA

2 anni dopo…

«Signora, quello che deve fare è riempirmi questo modulo e poi mettersi in fila a quello sportello…»

«Ma è sicuro di non poter fare nulla?!»

«Gliel’ho già spiegato, signora, per rinnovare la sua patente deve presentare la richiesta a me, ma il modulo lo deve consegnare al mio collega a quello sportello…»

L’anziana sbuffò, compilò il modulo che le porsi e si allontanò, con fare piuttosto irritato: eppure le avrò spiegato la procedura per almeno quattro volte. Non poteva essere colpa mia se questa burocrazia è allucinante, però se siedi dietro uno sportello ti toccherà sempre subire: e certe giornate sanno essere peggio di molti pugni.

Però dovevo farlo: era la promessa che avevo fatto a mia moglie. Me lo ricordo ancora, anche dopo due anni: «Adesso però devi alzare il culo anche tu! Il tempo per gli allenamenti lo troverai!» aveva urlato. E aveva ragione: con un figlio, ora le spese erano aumentate considerevolmente.

Avevamo deciso che lui a scuola ci sarebbe andato: trovare un istituto fu abbastanza semplice, qui in zona di scuole ce ne sono a bizzeffe. Il difficile fu per me trovare un impiego, con un curriculum praticamente vuoto: mi resi conto che forse il metodo di mia moglie, ossia “chiama Bulma” era ancora piuttosto necessario, nonostante mi desse piuttosto fastidio. Ma era tutto per il bene di Keiichi.

Ed eccomi qui, alla motorizzazione di Pepper Town, dietro una vetrata, seduto ad una scrivania piena di scartoffie e moduli prestampati, il turno ormai terminato. Ero francamente esausto.

«Meno male che è venerdì! Vero, Daniel?»

«L’hai detto, Ted!» gli risposi, voltandomi verso la postazione alla mia destra.

«Programmi per il week-end?»

«Beh, stasera ho una festa da amici… poi le solite cose. Tu, invece?»

«Ah, porto la famiglia  due giorni al mare! Città del Sud! Ho trovato un’offerta sensazionale e ne ho approfittato subito! Parto giusto stasera»

«Ah, fai bene! Inizia proprio a far caldo…»

«Infatti! Beh, buon week end!» disse, alzandosi dalla sua poltroncina.

«Altrettanto!»

E così terminò l’ennesima conversazione di routine tra colleghi, una delle tanti susseguitesi negli anni, momenti che non facevano che ricordarmi di come fossi ormai affondato nella routine. Eppure io non ero uno abituato alla routine, alla normalità.

Se solo Ted sapesse chi sono, chi conosco, cosa sono in grado di fare, probabilmente smetterebbe di parlarmi: ormai sappiamo come reagiscono davanti a ciò che non comprendono. Come tutti, preferisco lasciare che adorino il buon mr. Satan: alla fine, sono più soldi che può mettere nell’organizzazione di qualche bel party, come quello che ci sarebbe stato giusto stasera, una rimpatriata che questa volta si sarebbe tenuta nella sua enorme villa.

A quel punto, decisi di alzarmi anch’io: ormai erano dieci minuti che lo sportello era chiuso, eppure ero rimasto lì seduto quasi inconsapevole. Neppure il fatto di appartenere ad una razza di fottuti salutisti mi aiutava a superare lo stress di certe giornate: a casa avrei dovuto meditare, e tanto.

Proprio in quel momento, il telefono vibrò nella mia tasca.

“E adesso che c’è?” mi chiesi, mentre lo tiravo fuori. Sullo schermo vidi il faccione di mia moglie, il che mi fece subito rabbrividire: normalmente non mi chiamava mai a quest’ora se non per delle emergenze. O peggio, per chiedermi dei favori.

Accettai la chiamata, cercando di apparire il più rilassato possibile: «Pronto?»

«Pronto, tesoro? Come va? Tutto bene al lavoro?» disse, con il suo solito tono squillante.

«Si certo, amore, tutto a posto qua… te?»

«Oh, anche a me, adesso sono in città con le ragazze... e mi servirebbe un favore.»

Alla faccia di Baba, a me non serve la sfera di cristallo. Non provai nemmeno a controbattere, era una sconfitta certa. Sospirai: «Va bene, cosa c’è?»

«Puoi andare tu a prendere Keiichi a scuola?»

Pensavo peggio.

«Va bene. Pensi di tornare a casa? Ricorda che dobbiamo andare a Satan City stasera!»

«Tu stai tranquillo, preoccupati di recuperare Keiichi. Ti amo!»

A quel punto, interruppe improvvisamente la chiamata. Non lo trovai un gesto maleducato, ma sospirai comunque: il fatto che fosse in giro con le amiche poteva significare solo una cosa, shopping. E lo shopping implicava per loro una concentrazione maniacale sulle vetrine: quindi una telefonata al marito era già una distrazione di troppo, anche quando era necessaria.

Spero che quantomeno si comprasse qualcosa di carino da mettere stasera.

Uscii dalla motorizzazione, ed estrassi dall’altra tasca un altro oggetto fondamentale. Premetti il pulsante sulla capsula, ed ecco che comparve la mia macchina, uno degli ultimi modelli usciti: una splendida macchina levitante, di un rosso fiammante, leggera e spaziosa per “portare tutto ciò che vuoi nel tempo che tu vuoi”.

Imparare a memoria le pubblicità non mi parve comunque un buon segnale. “Qui c’è proprio bisogno di una sana meditazione” mi dissi, mentre mettevo in moto. Iniziai quindi il mio viaggio verso la scuola di Keiichi, che sfortunatamente si trovava dall’altra parte della città. “Sfortunatamente” era comunque un avverbio per quelli che non amavano guidare quanto lo amassi io, soprattutto con questa macchina.

Quando mi resi conto di essere vicino alla scuola, abbassai un attimo lo sguardo e guardai l’orologio: erano giusto le quattro meno dieci del pomeriggio, dieci minuti all’uscita di mio figlio.

Mi accostai quindi vicino al marciapiede, scesi dalla macchina e la ridussi nuovamente ad una capsula, dopo di che mi incamminai verso l’ingresso della scuola, dove si era già radunata una buona massa di genitori in attesa: rimasi in disparte, attendendo con pazienza.

Finché, soffocato dalle pareti in cemento della scuola, non sentii il suono della campanella. Allora mi spostai, abbastanza per poter essere visto, mentre un’orda di bambini usciva correndo dall’ingresso e si ricongiungeva ai parenti in attesa.

Ne uscirono a bizzeffe, la ressa iniziò a diminuire, eppure Keiichi non si vedeva. Mi preoccupai per un istante e feci per entrare nel giardino della scuola, quando lo vidi: era in compagnia di una ragazza, che avrà avuto si e no qualche anno in più di me. Teneva i capelli raccolti  in una lunga coda di cavallo, e indossava una polo verde acqua, sopra un paio di jeans scuri: doveva essere l’insegnante di mio figlio.

“Ti prego, fa che non abbia combinato nulla…” pensai, mentre il grido “Papà!” mi accoglieva nel giardino dell’istituto: mio figlio, nella sua divisa, pareva avere un’aria tranquilla, come se fosse tutto normale. Sperai con tutto il mio cuore che fosse così.

«Papà, la signora Tanaka vuole parlare con te!» disse, esibendo un sorrisone dei suoi, i capelli scuri spettinati come al solito: a guardarlo con attenzione, era praticamente una mia fotocopia a cinque anni.

«Buongiorno, lei deve essere il padre di Keiichi! Mi aspettavo di incontrare sua moglie…»

Avrei voluto risponderle “anch’io, guardi…”,  e iniziai a sospettare che la mia presenza non fosse casuale, quel pomeriggio. A scagionare Pamela però ci pensò immediatamente l’insegnante stessa: «Sa, normalmente vedo sempre Keiichi andare via con sua madre e quindi pensavo mi sarei ritrovato a parlare con la sua signora. In ogni caso, la sua presenza mi fa comunque piacere: vede, avrei bisogno di scambiare due parole con lei riguardo suo figlio…»

Nonostante avessi constatato la casualità del nostro incontro, le sue ultime parole non mi lasciarono comunque più sereno. «Spero non abbia combinato nulla.» le risposi, volgendo lo sguardo verso Keiichi, che ora mi fissava quasi perplesso.

«Oh no, assolutamente niente, suo figlio è decisamente vivace ma anche molto disciplinato. Ma ci sono certe cose di lui che un po’ mi preoccupano, e mi sono sentita in dovere di riferirle anche a voi, che siete i genitori.»

A quel punto, feci segno a Keiichi che poteva andare a giocare nell’ormai deserta area giochi dell’ampio giardino: presi il suo zaino e lo guardai correre come un ossesso verso la giostra. Mi persi per qualche istante nell’ascoltare le sue risate vivaci, che persi per un attimo la percezione della realtà: così che un colpo di tosse forzato da parte della maestra mi fece sobbalzare.

«Oh, scusi…»

«Non si scusi: suo figlio è veramente un gioiellino.» mi rispose, guardandomi con fare comprensivo «Però…»

Ecco, ci deve sempre essere un “però”.

«Come le ho già detto, suo figlio è uno scolaro ineccepibile: ha sempre tutti i compiti, non è chiassoso, è molto intelligente e creativo. Forse, però, la sua fantasia lo porta un po’ oltre i limiti, e la cosa mi ha un po’ preoccupato.»

La guardai, piuttosto insospettito: «In che senso, scusi?»

«Vede,» proseguì «giusto qualche giorno fa ho assegnato ai ragazzi la scrittura di un esperienza eccitante vissuta in famiglia: normalmente leggo di giornate passate in posti esotici o nei luna park, ma questo, mai!»

E mentre terminava il suo breve discorso estrasse dalla tasca un foglio, che mi porse: riconobbi la scrittura, ancora piuttosto imprecisa, di mio figlio.

«È francamente assurdo, concorderà con me!» disse, mentre leggevo «Posso comprendere perfettamente l’assenza di parenti di sangue, ma alieni no! Alieni verdi o i cui capelli cambiano colore o le dimensioni aumentano! Guardi, ce n’è per tutti i gusti! Esseri in grado di volare e lanciare colpi energetici! E poi, il tocco finale: lei che arriva e salva tutti trasformandosi in una specie di lucertola o qualcosa di simile…»

Non prese quasi mai fiato mentre parlava, e quando terminò, stava ansimando: io potei perfettamente comprendere il suo disagio. Ma, personalmente, lo trovai quasi comico: perché era esattamente la realtà dei fatti.

Tutto quello che Keiichi aveva, ingenuamente, fatto, era stato descrivere nei dettagli lo scontro con Broly: il che fece tornare anche me a quel giorno, quando la mia vita prese una nuova, positiva svolta e, comunque, di come la monotonia di questa nuova vita mi stesse, al contempo, sfibrando. Poi mi ricordai che avevo comunque una sconcertata insegnante alla quale dovevo delle spiegazioni.

«AH! Eh…. Ha ragione! È decisamente strano!» risposi, evidentemente in imbarazzo «Si sa, è un bambino… che fantasia, eh? Si, semplicemente ha un po’ elaborato quel giorno… in cui… ehm… si, ho scacciato un malintenzionato mentre facevamo campeggio!»

«Ma scusi, da dove pensa possa aver tratto tutte queste cose? Alieni, mostri, combattimenti…»

«Oh, penso sia la televisione: credo che tutte quelle storie su Cell lo abbiano influenzato parecchio. Provvederò io stesso perché inizi a leggere più libri!»

«E lei che diventa una lucertola, come lo spiega, scusi?»

A quel punto rimasi per qualche secondo in silenzio, tornando a fissare il foglio mentre mi sforzavo per inventare una storia.

«Ehm… È che… Ecco… Avevo addosso… il costume da Godzilla!»

«Costume da Godzilla?»

«SI! SI! Il costume da Godzilla! Sa, ai ragazzi piace tanto, quando organizziamo queste giornate mi piace, ehm… farli divertire!»

«Oh… beh, se le cose stanno così, credo di poter stare tranquilla…»

«Ma certo che può stare tranquilla! Non ha nulla di cui preoccuparsi! La ringrazio comunque per avermene parlato!» dissi frettolosamente, cercando di sbrigrare immediatamente quell’imbarazzante pratica.

«Keiichi! Andiamo!» gridai a mio figlio, che prese immediatamente a correre nella mia direzione, poi mi voltai verso la sua maestra «Arrivederci, signora Tanaka!»

Quindi presi Keiichi per mano e mi diressi fuori dal complesso scolastico, e non appena fummo in strada, tirai immediatamente fuori la capsula che conteneva la macchina. Quando fummo entrambi in macchina, posai il suo zaino sui sedili posteriori e misi immediatamente in moto.

Dopo qualche minuto di silenzio, Keiichi mi fece la domanda che mi aspettavo: «Cosa voleva dirti la signora Tanaka, papà?»

Sospirai, pensando a come elaborare un discorso sensato per un bambino di ancora cinque anni, e trovare comunque la concentrazione per guidare.

«Vedi, la tua maestra mi ha fatto leggere il tuo tema… quello sull’esperienza di famiglia…»

«UH! Ti è piaciuto?»

«Si… sei stato bravo…» dissi, smorzando un sorriso «Però, figliolo, forse sei stato TROPPO bravo…»

«E perché non mi sembri felice?» disse, con un tono che non nascondeva un pizzico di delusione.

«No… Non è per quello… Ok, io, tuo zio Goku, lo zio Vegeta, zio Crilin, Gohan, Trunks, Goten… siamo tutti molto potenti, giusto?»

«Si!»

«E ti sarai accorto che non tutti sono come noi, giusto?»

«Eccome! Voi siete i più forti dell’universo!»

«Vero… Ma devi capire che… ehm, non tutti sono forti come noi, e… ecco… potrebbero essere un po’ invidiosi!»

«E quindi?»

«Quindi non voglio che tu vada in giro a parlare di quello che facciamo o siamo in grado di fare. Alcuni potrebbero, diciamo, spaventarsi ed arrabbiarsi con noi.»

«Ma tu potresti liberartene facilmente, papà!»

«Si… ma non sarebbe giusto!»

«Uff…»

«Mi prometti che non parlerai più in giro di queste cose?»

«Oh… va bene, ma a me sembra stupido…» disse, incrociando le braccia e piegandosi nel sedile. Con un sbuffo pose definitivamente fine a quella breve ma pesante conversazione.

Dopo qualche minuto, arrivammo nei pressi del nostro condominio. Una volta parcheggiato, rientrammo entrambi in casa, per scoprire che Pamela era già rientrata da qualche minuto, per mia grande sorpresa.

«Dove siete stati?» chiese, improvvisamente.

«La signora Tanaka ha voluto parlare con papà!» gli disse, con il solito entusiasmo, Keiichi. Allora mia moglie mi guardò sorpresa, e potei immediatamente immaginare cosa stesse pensando.

«Non ti preoccupare… Keiichi, va pure a fare merenda e inizia a prepararti, dobbiamo partire tra poco!»

Non se lo fece ripetere due volte, e corse in cucina come un razzo. Mi voltai allora verso Pamela e le raccontai tutto: alla fine, anche lei si mise a ridere.

«Spero non ne combini un’altra del genere… sarà difficile trovare altre scuse plausibili…» dissi, sospirando.

«Beh, nel caso, oggi ho visto un bel negozio di costumi e articoli per le feste… forse un costume da Godzilla lo possiamo rimediare!» mi disse, stuzzicandomi con il gomito.

«Piuttosto, quanto hai spe… ehm, cos’hai comprato?»

«Oh, cosucce… un vestito, qualche accessorio…»

Sospirai per l’ennesima volta in quella giornata, a pensare che forse il trovarmi un lavoro serviva anche a garantirle certi vizi.

«Ah, ho preso una bella camicia anche per te!» disse, improvvisamente, risollevando per qualche istante il mio morale e stimolando la mia curiosità.

«Davvero? Dove l’hai messa?» le chiesi, mentre la vidi recarsi in bagno, probabilmente per vedere quali danni stese facendo nostro figlio, che vi era corso immediatamente dopo aver concluso la sua merenda o, guardando come fosse ridotto il suo viso, la sua “immersione nel cioccolato”.

«È nel sacchetto sul nostro letto!» rispose, frettolosamente.

Aprii allora la porta di camera nostra, e a quel punto sgranai gli occhi: davanti a me si apriva una gigantesca distesa di sacchetti, di cui almeno una decina erano posati sul letto.

Forse, se mi avessero dato uno zeni per ogni sospiro fatto fino a quel momento, forse avrei avuto abbastanza denaro per poter pagare tutta quella roba senza dover sentir piangere il nostro conto in banca.

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Il viaggio fu, tutto sommato, tranquillo. Il traffico fu, incredibilmente per un venerdì sera, scorrevole, il che mi permise di non imprecare davanti al bambino sul fatto che “ci si poteva andare volando!”.

Una volta giunti a Satan City, trovare la villa di mr. Satan fu un gioco da ragazzi: era forse ormai il luogo simbolo della città stessa.

Lasciai Pamela e Keiichi all’ingresso, e andai a cercare un posto comodo dove potermi fermare per poter incapsulare la macchina. Una volta trovato un buco in quella zona incredibilmente trafficata (e soprattutto piena di auto parcheggiate ai lati, evidentemente non prodotte dai Brief) scesi e mi bastò premere un pulsantino per poter trasformare quel bolide in quel piccolo oggetto a forma di pillola, che mi misi rapidamente in tasca.

«Ci siamo fatti la macchina nuova, eh?» disse improvvisamente una voce alle mie spalle.

«Yamcha! Come stai, amico? Non ci si vede da un sacco!»

Lo abbracciai senza pensarci due volte: tra tutti, era quello che vedevo effettivamente meno di tutti gli altri, escludendo Tensing e Reef, che continuavano a condurre la loro esistenza eremitica.

«Non è da solo, sai?» disse improvvisamente un’altra vocina molto familiare, che riconobbi immediatamente.

«Ciao anche a te, Puar! Allora, come ve la passate?»

«Ah, per ora non ci lamentiamo,» disse, mentre iniziavamo a camminare verso la reggia del campione del mondo «adesso devo vedere se riesco a trovare un nuovo impiego nel baseball, ormai sono tre anni che mi sono definitivamente ritirato. Tu piuttosto, mi sembra che non te la stia passando malaccio, eh?»

«Se ti riferisci alla macchina, è solamente il frutto del duro lavoro… e di qualche conoscenza giusta!»

A quel punto scoppiammo tutti e tre a ridere, mentre entravamo nel cortile di reggia Satan, dove quello che doveva essere uno dei suoi numerosi maggiordomi ci accolse con fare decisamente pomposo: «Buonasera, gentili signori: il mio padrone, mr. Satan, vi dà il benvenuto. Se volete seguirmi, vi accompagnerò dove si tiene il banchetto.»

Mentre lo seguivo iniziai a sentirmi a disagio: se doveva essere una serata di gala, mi sarei messo qualcosa di diverso rispetto ad una camicia bianca (ancora nuova) e un paio di jeans. Ma poi non appena entrammo nel grande salone, i volti sereni della compagnia mi fecero immediatamente sentire a mio agio.

«Ehilà gente!» dissi, sedendomi di fianco a mia moglie.

«Come mai sei entrato così tardi?» mi domandò Gohan.

Io sorseggiai dal mio bicchiere un sorso d’acqua prima di rispondergli: «È stata dura trovare un buco per poter incapsulare tranquillamente la macchina… Piuttosto, tuo padre dov’è?»

«Oh, lui è ad allenarsi… anche questa volta.» mi rispose mestamente «Meno male che non l’hai chiesto alla mamma! Non fa che rimarcargli come anche tu ti sei messo a lavorare!»

A quel punto volsi lo sguardo verso Chichi, dall’altra parte del tavolo, che teneva in braccio una piccola bambina dai capelli scuri: la piccola Pan. Vicino a lei Bulma, anch’essa con in braccio una piccola bambina, Bra, la neonata di casa Brief.

«Che a proposito, ormai è passato già qualche mese, come ti trovi a lavorare?» mi chiese Crilin, seduto in fronte a me.

«Domanda di riserva?» gli risposi, affondando nella sedia «Insomma, non è che non mi piace, i colleghi sono simpatici, il compito non è gravoso, ma certa gente tende a darti delle motivazioni per lasciar tranquillamente distruggere il pianeta al prossimo pazzo che apparirà.»

Alla mia risposta si lasciarono andare a delle sane risate, che mi fecero sentire nuovamente molto sollevato. Sentii poi dei piccoli tocchi sulla mia spalla: mi voltai per ritrovarmi Marron che mi guardava con un sorrisone.

«Zio, grazie mille per il regalo!» disse, mostrando orgogliosa un paio di orecchini che non avevo mai visto in vita mia, al che mi voltai verso Pamela che mi guardò con uno sguardo innocente.

«Figurati, tesorino! Ancora buon compleanno!» le risposi, cercando di non smorzare il suo entusiasmo: allora mi ritrovai le sue braccia attorno al collo, e mi lasciò un bacio sulla guancia, prima di tornare al suo posto, di fianco a sua madre. Il suo compleanno fu giusto una settimana fa, ma evidentemente Pamela aveva optato per un altro regalo, tardivo, del quale non ero assolutamente a conoscenza.

«E questo quanto ci sarebbe venuto a costare?» le chiesi, sottovoce.

«Non ti preoccupare, e poi, se proprio vuoi saperlo, non sono molto costosi. E poi ha insistito tanto!»

Mi voltai verso il piatto, e tra i sorrisi solidali dei miei amici lì presenti, decisi di concedermi il primo e ultimo bicchiere di vino della serata. Quantomeno, il calore dell’alcol lungo il mio esofago mi fece rilassare, e parecchio.

Girai lo sguardo, guardando con attenzione la tavolata. Erano effettivamente venuti tutti, tranne Goku: vidi Vegeta, silenzioso di fianco alla moglie, così come Piccolo, seduto vicino a Popo e Dende.

Vidi qualche posto vuoto: erano quelli dei ragazzi. Alzai un attimo lo sguardo e vidi Goten e Trunks, seduti su uno dei lussuosi divani della sala, che intrattenevano Keiichi facendo dei giochi col ki, facendolo applaudire divertito.

Mi fece tornare in mente me alla sua età, affascinato da tutto quello che era legato al mondo nel quale oggi sono perfettamente integrato. Io, ai tempi, potevo concepire a malapena una kamehameha; lui, al contrario, era aveva già vissuto esperienze devastanti e incontrato esseri dalla potenza inimmaginabile.

Ma ne era rimasto affascinato esattamente come me: e allora mi tornò in mente fu proprio alla sua età che mio padre iniziò ad allenarmi.

«A che stai pensando?»

Quella voce mi fece sobbalzare: era già la seconda volta in quella giornata, ed ogni volta Keiichi c’entrava in qualche modo. Mi voltai verso la fonte della voce, e vidi Crilin che mi guardava: sembrava un po’ preoccupato. Notai che tutti in quella parte del tavolo mi stavano guardando allo stesso modo.

«Oh, scusate, mi sono perso un attimo…»

«Mi sembravi piuttosto preso… c’è qualcosa che ti preoccupa?» mi chiese Videl, molto gentilmente.

«Non è niente di particolare, in realtà… guardavo Keiichi e la mente mi è tornata a parecchi anni fa… ventiquattro, per essere precisi.» dissi, sogghignando verso Pamela.

«Ah, quel torneo mondiale! Bei tempi, eh?» disse Yamcha «Ai tempi eri ancora un mocciosetto entusiasta nel veder combattere la gente! E pensare che ora hai già famiglia… e io ho quasi cinquant’anni…»

A quel punto scoppiai a ridere: «Ma non abbatterti, amico! Il punto non è questo…»

«E quale sarebbe scusa? Adesso sono curiosa.» disse improvvisamente Pamela, al mio fianco.

«Ti ricordi cosa successe, dopo quel torneo?»

A quel punto sgranò gli occhi, realizzando improvvisamente cosa intendessi. Allora le sorrisi affettuosamente, e lei ricambiò, entrambi evidentemente  immersi nei ricordi.

«Scusate ragazzi, ma noi purtroppo non abbiamo ben inteso!» disse Crilin, interrompendo il bel momento. Presi fiato prima di rispondere, come dovessi dare una sentenza, ed effettivamente lo era: la vita di mio figlio avrebbe preso una svolta radicale.

«Credo sia il caso di iniziare l’addestramento di Keiichi.» dissi, davanti a tutti.

«Ma è una grande notizia questa!» disse, entusiasta, Crilin «Allora te lo dico fin da subito, se mai dovessi aver bisogno di una mano, io sono ancora disponibile!»

A quel punto però C-18 lo squadrò per un istante, prima di sentenziare: «Caro, sei a malapena ancora in grado di lanciare un Kienzan.»

Al che scoppiammo tutti a ridere, vedendo l’espressione sconfitta che assunse il nostro amico, che comunque fu lesto a ribattere: «Voi ridete ma credetemi, ci so ancora fare!»

«Lo sappiamo Crilin, tranquillo, non scaldarti!» gli disse Gohan.

A quel punto, la serata proseguì tra chiacchiere e risate, con il mio sguardo che ogni tanto cadeva sul ragazzino che si divertiva a osservare i grandi, e mi immaginavo come sarebbe stata la sua faccia una volta che gli avrei detto cosa stavamo per iniziare.

Mi resi conto solo in quel momento di quanto mi stessi godendo quella serata.


NOTE DELL’AUTORE
Ehilà bella gente! Ho deciso di lasciarvi un altro capitolo, molto tranquillo, mentre io tranquillo non sono per niente…

Giusto per farvi capire come in questi capitoli abbia poco da scrivere nelle note dell’autore, talmente è normale la situazione: ma le storie, soprattutto quelle lunghe, vivono anche di questi momenti, giusto? Questo sarà il primo di una breve serie di capitoli con questi toni, prima che l’azione ritorni, con prepotenza!

Nel frattempo, se volete lasciare una recensione, ogni tipo di opinione è ben accetta dal sottoscritto!

Dragon Ball è proprietà di Akira Toriyama.

Alla prossima!

P.S. Ogni citazione di lucertoloni radiottivi frutto della fantasia è volutamente cercata: io adoro Godzilla.
   
 
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