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Autore: Utrem    13/06/2015    1 recensioni
Cosa accadrebbe se ad un tratto le bugie di Walt fossero decifrate da un'altra bugiarda? Quali conseguenze avrebbe questo?
AU ambientato durante e dopo l'episodio Fifty-One della quinta stagione.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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QUATTRO ORE DOPO...
"Il numero selezionato non è al momento raggiungibile".
Così intonava l'inflessibile voce della segreteria telefonica di Lydia Rodarte-Quayle.
Così s'ingrossava il grumo di saliva nella gola di Hank Schrader.
"È andata" rincarò l'agente Gomez, con un aperto tono di compatimento.
"Porca puttana..." Hank rovesciò il capo sulla scrivania e batté una forte testata.
"Avranno sicuramente distrutto tutto. Non vale nemmeno la pena di provare... e che cazzo... brutti figli di troia..."
"Hank..." lo ammonì Steve, il quale ben sapeva che dagli improperi dell'amico raramente nasceva qualcosa di buono "Guarda il lato positivo: adesso abbiamo la certezza del fatto che coprisse l'operazione di qualcuno."
"No, Gomez, cazzo! No! Non abbiamo niente! Niente di niente... e continueremo a non avere nulla finché neppure tu ti convinci che Heisenberg è ancora in circolazione! Testa di cazzo che non sei altro..."
"Calma, Hank. Quello che si sa di per certo è che la sua ricetta ha attraversato i mari e che la sua crew è ancora attiva, nonostante la morte di Fring. Ora, quello che non è comprensibile è se ci sia effettivamente ancora un Heisenberg dietro a tutto questo, oppure si tratti solo delle biforcazioni della sua organizzazione."
"No, no, è lui... lo so che è lui... non appena trovo una traccia, un indizio, BAM! Fa sparire tutto come un fottuto prestigiatore... ascolta: voglio che le indagini seguitino almeno fino a stasera. Cercate di scoprire il più possibile su Lydia Rodarte-Quayle e di accedere a tutto ciò che è stato suo. Mi raccomando, massima attenzione: se vi impegnerete e avrete davvero culo, riuscirete a mettere mano su qualcosa. Nel frattempo, io mi preoccuperò di riassemblare da casa i vari pezzi dell'indagine"
"Come? Te ne vai?" Gomez era sorpreso. Non era normale da parte sua abbandonare il dipartimento così presto.
"Anche se rimanessi qui, non cambierebbe nulla. Vi informerò da casa su eventuali nuovi aggiornamenti. Mi raccomando: non alzare il sedere dalla sedia finché non hai in pugno qualcosa di buono"
Ciò detto, Hank lasciò l'ufficio con un diavolo per capello, innervosito, come di consueto, anche dalla lentezza della sua camminata.
La fretta era dovuta alla morte apparente di un altro cellulare: quello di Marie.
Ogni volta che aveva provato a chiamarla, aveva sentito rispondergli la stessa, medesima voce sibilante ripetere sempre le stesse, ineluttabili parole strascicate.
"Il numero selezionato non è al momento raggiungibile".
Quanto odiava quella frase. 
Quanto odiò sé stesso quando salì in macchina e, toccandosi casualmente il polso, sentì l'accelerazione della frequenza dei battiti. 
Marie stava bene. Probabilmente Dave aveva allungato la seduta, date le sue condizioni, e così aveva ancora il cellulare spento...
Era inutile.
Sentiva il rumore del fiato caldo ricadergli sul petto viscido di sudore e non poteva fermarlo.
Se solo si fosse ricordata di accendere il cellulare, solo per un attimo, e controllare le chiamate... solo per un secondo... un secondo, per fermare il tremito delle braccia torturate che maneggiavano pericolosamente il volante, per asciugare gli occhi coperti d'angoscia, perché la paura si disciogliesse in un cucchiaiata di sciroppo amaro, in modo che potesse così buttarla giù tutta in un colpo e poi dimenticarsene... per favore...
Marie non rispondeva.
Lo schermo del cellulare taceva, omertoso.
I nervi di Hank s'erano aguzzati tanto da forargli la pelle.
Accelerò, sfiorò il limite di velocità e, dopo una ventina di minuti di singhiozzo, bestemmie ed ingiurie variate e discordanti che partivano dai semafori e arrivavano a Heisenberg, raggiunse casa.
Suonò il campanello.
Iniziò ad aspettare.
E aspettò.
Aspettò così tanto, che arrivò a distinguere le sfumature di colore della maniglia della porta di casa.
Marie non rispondeva.
A malincuore dovette impugnare le chiavi e aprire la porta di persona.
Una volta entrato, notò che le luci erano accese. Da fuori non se n'era potuto accorgere perché le tende erano tirate.
Marie era in casa. Nevrotica com'era, non si sarebbe mai scordata di spegnere le luci.
Il sollievo lo inebriò. 
Posò tutti i bagagli che aveva in mano e che si era dimenticato di posare e rimise le chiavi in tasca.
Si aspettava di sentire la sua voce da un momento all'altro, spiegargli compiutamente perché non aveva potuto rispondere.
Ma nessuno lo venne ad accogliere.
"Marie?"
Non era in cucina o nel terrazzo.
"Marie?!"
Non era in camera da letto o in bagno.
"MARIE!" 
Non era nello studio o nel garage.
Spiò dei fanali e riconfermò così la teoria iniziale: Marie era in casa. Difficilmente si sarebbe avventurata nel vicinato senza la macchina -  e, comunque, non in quel giorno.
Eppure era sparita. 
L'auto era ancora più omertosa del cellulare. Hank la trafisse con più ipotesi, ma non notò nulla di strano.
Rimaneva solo il giardino... ma perché lasciare la luce accesa nell'ingresso, allora? Lei non l'avrebbe mai fatto...
Con un macigno sul capo, superò la soglia della porta sul retro e iniziò a scendere la scala.
Si sollevò, la mano malferma che implorava pietà, e cadde col piede buono sul primo gradino.
Il fruscio dei pantaloni contro la caviglia non lo aveva mai irritato così tanto.
Se con la sola forza di volontà avesse potuto, catapultarsi giù...
Fortunatamente, la fatica gli impedì di pensare e rimuginare ulteriormente.
Un'eternità era trascorsa, con i denti stretti e tutti i muscoli rigorosamente contratti, quando vide l'ultimo scalino.
Dopo essersi voltato per fulminare un'ultima volta quello che era stato né più né meno un baraccone infernale, guardò nuovamente avanti.
"Marie!"
Era sfiatato, il petto schiacciato, le labbra secchissime, ma la ricerca non era finita. Nessuna interruzione.
Zoppicò in giro, l'erba che scricchiolava sotto i suoi passi pesanti, quando avvistò del viola.
Un tessuto, un tessuto soffice.
Si avvicinò.
Era uno scialle viola ed era per terra.
Umido, insudiciato, sporco. 
Gli si incrociarono gli occhi.
"MARIE!"
Partì un terremoto.
Hank arrancava, senza più un viso o un'anima, urlando e sussurrando, balbettando e schiarendosi la voce, freddo, incolore, finché non s'imbatté nello stagno.
Una figura era adagiata sulla riva, rivolta verso l'altra sponda.

CINQUE ORE DOPO...
L'acqua della piscina, ripulita e filtrata dalla luce del sole pomeridiano, era davvero il palcoscenico di un magnifico spettacolo. 
Decisamente migliore rispetto a quello che aveva ospitato la sera prima.
Skyler lo riconosceva, da spettatrice e da attrice ritirata, senza orgoglio e senza invidia.
Tante sigarette avevano assistito e assistevano insieme a lei alla placidità soave, al dolce ristagnare, tanto etereo da sembrare frutto d'una grazia, d'una qualche benedizione. 
Ma non toccava lei, quella benedizione. Nessuna indulgenza: solo, forse, l'amaro sollievo d'aver salvato le coscienze dei due figli dalla contaminazione. 
In effetti Holly dormiva nella sua cameretta, nella culla, lontana dal fumo e dal mondo, mentre Junior quella mattina, appena udito l'accenno al trasferimento obbligato, aveva imposto che avrebbe trascorso la giornata con Louis, senza farsi vedere sino a notte tarda. Skyler non aveva avuto le forze, né il coraggio, di ribellarsi: aveva così tacitamente acconsentito ad ancora un giorno, un giorno solo di quell'agonia, d'averli vicini a lui, giusto per ribadire a sé stessa quanto necessarie fossero state la sua sceneggiata e la sua decisione.
Ogni tanto si chiedeva con ragione perché Marie non si fosse ancora fatta viva per venire a raccogliere la sua torturata e disgraziata prole, ma, dopo un po' di pensieri, finiva sempre per addurre qualche scusa più o meno illogica, per il gusto di proseguire con la contemplazione di quell'acqua lucente e vivificante.
Pendeva, Skyler, gli arti che molleggiavano sui bracciali della sedia, i lineamenti che puntavano al retro della nuca, senza mai esimersi dal guardare: le pareva di cogliere così nella luce nella piscina l'illusione della felicità della vita, stretta e costretta dalle fauci degli istinti innati e forti e inoppugnabili. 
Come agire, dunque?
Sottostare, sottostare, sottostare agli istinti, nel timore e nella paura di perdere anche l'amaro sollievo di quell'illusione, di perderla dilaniata e divorata dalla loro fame che giusto questo po' risparmiava.
E d'un tratto il campanello tuonò, o così le parve.
Skyler sussultò. Non poteva essere Walt: lui aveva le chiavi.
La bambina scoppiò a piangere.
"Skyler, per favore, aprimi" 
Riconobbe la voce di Hank. 
Il trillo tuonò di nuovo per un poco, incontrastato.
Ancora stordita, scattò in piedi e s'avviò scalpitando verso l'ingresso, facendosi scivolare furiosamente il putrido addosso.
Gli aprì la porta con gesto frenetico, ma lui non entrò.
La scrutò invece con uno sguardo rosso di follia, le mani che si massaggiavano convulsamente i fianchi, una reggeva una valigia. Digrignati i denti e spremuti gli occhi per farsi forza, mormorò con voce sofferta:
"Skyler Marie è morta"
Sbarrò gli occhi.
Aveva osato e il putrido le era stato risputato violentemente addosso. Tutta la cospargeva, e dagli orifizi la tentava, la lordava, la uccideva.
"Co? Hank... co?" esclamò con mezze parole, la fronte schiacciata dallo shock, mentre un torpore inquietante minacciava d'annichilirla.
"Non so che è successo sembra suicidio, non sono sicuro" rantolò lui, mordendosi la lingua, le palpebre che occludevano gli occhi gonfi.
"Suicidio? C-cosa? Marie...come?!" Skyler s'era alzata sulle punte dall'orrore, mentre il fiato iniziava a mancarle e le gambe a cedere. Hank le porse le sue braccia come sostegno, mentre le stringeva le mani, non meno allucinato di prima ma poco più consapevole.
"Io non lo so... io l'ho trovata lì, già così, non ho potuto... M-Marie era a terra vicino al laghetto con una p-p-pistola vicino e un buco i-i-i-n testa... non c'era p-p-più nulla da fare, era f-fredda... Gomez e la squadra hanno recintato la casa per i vari esami, sai... le cose che si fanno... io non sono v-voluto rimanere non ho voluto indagare, non ho alcun posto dove andare ...se non a casa vostra, se non... qui, perché non posso andare da mia madre, non posso allontanarmi... qui dentro ho le mie cose non vi darò fastidio, me ne starò per conto mio finché sarà necessario... verrà fatta luce sulla questione Skyler, lo prometto-"
"AAAAAAAAAAAAAAAAAH!"
Finito il discorso e anche il contagio dell'allucinazione, Skyler urlò, d'un urlo sviscerante, rauco, continuo, che le spaccò il petto e la fece rovinare a terra senza coscienza, senza ritegno: così noncurante aveva aperto il valico al putridume temuto. Sua figlia le faceva eco per empatia, la culla come una barca alla deriva nel mare inquinato qual era la sua cameretta, nascondiglio del "riciclo" e del sangue raggrumato. Il cognato la reggeva per le mani, incitandola a sollevarsi, ad alzarsi, a sedersi, ma l'allarme non intendeva cessare finché non sarebbe cessato il pericolo nascosto che segnalava. 
Dovette così provare a tirarla su di peso, a forza, e trascinarla in piedi, mentre la faccia si allungava, si inumidiva, scoppiava e poi tramontava tramite le rughe che scendevano: a quel punto la disperazione cominciò a confrontarsi vocalmente e lo strazio divenne carne e ossa.
"No, no! LASCIAMI MORIRE! LASCIAMI MORIRE QUI! BASTA! LASCIAMI!"
"Skyler, ti prego!"
"VOGLIO MORIRE ANCH'IO! ANCH'IO VOGLIO MORIRE!"
"Non dire queste cose, ti scongiuro..."
"NO! È tutta colpa mia! Sono stata io, Hank, è COLPA MIA! Ti rendi conto?! Ho ucciso mia sorella! Ho ucciso MIA SORELLA, io! Con tutto quello che... oddio..." gli sussurrò con voce vibrante, come in una confidenza, strattonandosi verso il pavimento.
"Tu non hai fatto niente! Non può essere colpa tua! Skyler..." convinto e traboccante di compassione, Hank voleva redimerla: non la tirava più, le teneva soltanto gentilmente le punte delle dita, mentre lei lo pregava con occhi d'un ceruleo vuoto e si svincolava come poteva.
"Sì, invece, sì! Oh sì... SONO STATA IO! IO! Oh Gesù, non ci posso credere... non mi libererò mai più da tutto questo!"
"No, no! Skyler, smettila!"
"Sono davvero io... ahahah, IO! IO, la povera vittima! Pretendevo di SALVARCI, ma io, io ho contribuito, ho rovinato tutto, TUTTO... altro che vittima... io sono il peggiore... pezzo di letame... la degna moglie... FACCIO SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO! SCHIFO! SCHIFOOO! "
"SKYLER!" la rimproverò Hank, che, innervosito e alterato dal delirio crescente, aumentò bruscamente la presa, senza più tirare in attesa di un suo contributo volontario ad alzarsi.
"SONO RESPONSABILE! SONO LA RESPONSABILE! È  COLPA MIA, MIA! COSA HO FATTO! Oh mi dispiace... mi dispiace tanto... cosa è successo... che ne sarà dei miei figli, dei miei bambini! Che ne sarà di noi, Hank! CHE NE SARÀ DI NOI!"
"Skyler, alzati, per favore..."
"NO! SONO UN VERME! L'HO UCCISA IO! HO UCCISO MARIE! IO! IO! IO! ECCOLE, LE MIE COLPE! HO UCCISO MIA SORELLA!"
"Ti supplico, Skyler, ti prego, sta' zitta ed ALZATIIIIIIIIIIIII!!!"
Skyler si alzò, terrorizzata dal repentino cambio di registro, indolente e cieca, senza guardarlo, tenendosi il petto martoriato.
"VA' DA TUA FIGLIA, ADESSO!!!" le ordinò Hank, che aveva perso l'allucinazione ma non la follia nello sguardo e nella voce.
"Mia figlia non merita me..."
"Ho detto VA' DA LEI! SUBITO!"
"IO-"
"SkyLEEER!" Hank gridò ancora, con una veemenza da deformazione professionale che normalmente avrebbe saputo contenere: in realtà, a motivare il mancato freno agli istinti c'era qualcosa di perfettamente ragionato: tenere la bambina in braccio l'avrebbe costretta a calmarsi.
Ferita ma ancora risoluta a credere nella sua colpevolezza, Skyler obbedì e andò a raccogliere Holly.
Dal canto suo, Hank provò ad avvicinarsi al tavolo della cucina, barcollando come affetto da una labirintite. Stava sopraggiungendo un nuovo attacco di panico: il terzo  in poco meno di un'ora. Afferrò con due mani lo schienale d'una sedia, poco prima che lo sfregare delle gambe di questa col pavimento gli facesse realizzare che era troppo leggera per lui e che avrebbe dovuto invece sfruttare il tavolo: nel brusco cambiamento di appoggi però le dita scivolarono ed Hank precipitò in ginocchio, aggrappato quasi con le unghie al bordo del tavolo. Il colpo alla gamba malridotta lo fece sussultare, ma trattenendo il fiato cercò ancora di ripristinare l'equilibrio strisciando in avanti i gomiti sul tavolo e poi tentando di far leva su di essi per tornare in piedi: tuttavia, lo sbilanciamento delle forze fece sì che il tavolo gli si ribaltasse sulla testa, facendolo cadere, il legno che gli sfrigolava sulla punta del naso e gli martellava la nuca.
Era l'ultima goccia.
'Non piangere al telefono: sanno chi sei' piangendo, prima di chiamare la DEA.
'Non piangere di fronte a Gomie: ti conosce' piangendo, mentre aspettava la DEA.
'Non piangere di fronte a Skyler: peggiorerai le cose' piangendo, nel tragitto verso casa White.
'Non piangere, non piangere: farai impazzire la bambina' mentre saldava i palmi della mano al pavimento, la testa che bruciava a contatto col legno del tavolo, il sudore che impersersava fino a tappargli le orecchie ed il fiato che più respirava , più perdeva. 
'Ti devi alzare'
Ce la mise tutta: torse ginocchi e gomiti, iniziò a curvare la schiena e contrasse gli addominali, ma la testa pesante lo fece abbattere, il tavolo che colpì nuovamente il punto più largo del suo addome.
'ALZATI!'
Nuovo tentativo: sollevò il tavolo con successo, gambe all'aria, e volle rovesciarlo accanto a sé, così da liberarsi dall'intralcio. L'udire i passi di Skyler gli instillò però ansia da prestazione e, terminato il fiato, si dovette rassegnare a ricevere l'ennesimo colpo sulla nuca.
Al che, Hank non poté più nulla.
Era a terra, era vedovo ed era debole: scoppiò in un furioso pianto liberatorio, lasciando che gli interrogativi tremendi lo assalissero e lo rendessero consapevole.
Skyler, placata dall'assopimento di Holly, riscoprì l'instabilità non appena vide il cognato singhiozzante sotterrato sotto il tavolo. 
 "Oh mio Dio! Hank, stai bene? Cos'hai?" esclamò, rimettendo a posto il tavolo.
"Mi dispiace, Skyler..."
"Per cosa?!"
"Lei, M-Marie mi aveva chiesto di starle vicino ieri... non l'ho ascoltata. Lei sarebbe dovuta andare da Dave oggi... mi aveva detto che sarebbe andata da Dave, non avrei mai immaginato che potesse... Gesù Cristo, ma come, come ho potuto... io pensavo che, insomma, sapevo che era turbata ma che lei... pensavo che potesse e invece... aveva bisogno di me e io l'ho lasciata, per egoismo... per il caso, Skyler! Per IL CASO! Il mio caso, quel cazzo di caso maledetto! Mi sta facendo perdere... tutto quello che ho..." 
Skyler non aveva il coraggio di guardarlo, o di farsi guardare: aveva la testa ruotata verso la finestra e le labbra distanziate e gonfie, che celavano la lingua intorpidita.
"Che cosa faccio io adesso?"
La domanda nel sussurro fu sfibrata dall'apatia, ma Hank non si stava rivolgendo a Skyler, come mai avrebbe fatto in quei momenti. Era solo un monito, una presa di posizione.
"Che cosa faccio io adesso? Mia moglie si è suicidata... come faccio a...?"
La riformulazione fece dissipare l'apatia e Skyler si sentì ribollire di saggezza. Saggezza costretta dagli angoli della bocca tremanti, ma pur sempre saggezza.
"Pensa a Junior e Holly."
Sentirsi rispondere così urtò quel poco orgoglio che Hank stringeva ancora. 
Si sentì costretto ad alzarsi e abbracciare la cognata nel modo più normale di cui era capace in quella situazione. Poi si ritirò nella camera degli ospiti, a guisa di ultimo sopravvissuto, senza più considerarla.
Bastò quello perché Skyler comprendesse che, in quelle circostanze, doveva ancora aspettare Walt.
Il suo fumo tossico e nero risultato dell'attesa s'insinuò anche nella cameretta di Holly, mentre il cognato solo cercava l'amore nella rinuncia allo stesso, come gli era stato suggerito.

   
 
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