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Autore: williewildcat    15/06/2015    0 recensioni
Se la Mela avesse mandato Kadar nel 21°, più precisamente da una donna inconsapevole di avere legami con la Prima Civilizzazione? Cosa sarà scoperto per tutti i coinvolti? Seguito degli eventi di AC Kadar/OC, arancione per la violenza, il linguaggio e, più avanti, per sensualità.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kadar Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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“Non puoi andare in giro vestito così,” Alex indicò i vestiti di Kadar con preoccupazione. “Almeno non a Boston. Qualcuno potrebbe crederti un malato mentale.”
Il giovane assassino rimase in silenzio mentre Alex camminava spostando lo sguardo tra lui e la Mela. Quest’ultima era appoggiata sul tavolino, emettendo solo una volta una debole luce dorata, ma aveva smesso un’ora fa. Kadar passò le mani sui suoi vestiti sporchi e sulla tunica che ricopriva la forma agile, e aggrottò la fronte. Cosa c’era di sbagliato nei vestiti da Assassino? Li aveva sempre messi ed era un onore indossarli. Guardò verso l’alto per vedere l’abbigliamento dell’altra: una camicia verde oliva con le maniche che arrivavano neanche a metà braccio, mostrando forme femminili ma toniche; un materiale sconosciuto le ricopriva i fianchi e le gambe tornite. I suoi occhi scivolarono un po’ più in basso per notare un sedere ben arrotondato. Faceva chiaramente qualche tipo di attività fisica. Trovò quella scelta d’abbigliamento molto particolare. Le donne non indossavano i pantaloni nel suo tempo.
Non notò le lacrime che cominciavano a scivolarle dai lati degli occhi.
“Ho tenuto alcuni abiti di Clay,” prese un respiro profondo prima di crollare. Si portò le mani al volto per coprire la sua espressione di dolore. Anche ora era difficile menzionare il suo nome. La sua voce si ridusse a un sussurro addolorato. “Non ho il coraggio di sbarazzarmene.” Kadar vide le lacrime strisciare giù dai suoi occhi mentre lottava con il passato che riemergeva dal retro della sua mente. “Ma non credo che mi dispiacerebbe”. Fece un mezzo sorriso cercando di rimanere forte. Kadar poteva vedere il dolore in quei bellissimi anelli zaffiro, minacciando di oscurare la luce che emanavano. Non era l’unica ad aver perso qualcuno che amava.”Hai perso qualcuno,” parlò con calma e simpatia. “Qualcuno che amavi profondamente.”
“E mi manca ogni giorno. Ma suppongo che dovrei accettare che la vita non sia così gentile con me. Questo è solo un altro calcio nello stomaco.”
“Perché dici questo?”
Alex sorrise con amarezza alla sua innocenza. “”Non ho preso la strada più semplice, se così si può dire.”
Kadar non insistette ulteriormente siccome Alex stava chiaramente male, rivivendo uno degli eventi forse più dolorosi della sua vita. Si sentì invece costretto ad alzarsi ed andare davanti a lei. Alex alzò i suoi occhi tristi verso quelli più chiari e confortanti di lui. Le tese la mano con sguardo paziente. Lei fece scivolare la mano nella sua, trovando il suo calore sorprendentemente confortevole. La tirò gentilmente e la fece finire tra le sue braccia. Anche la l’aveva conosciuta da poche ore, il giovane assassino sentiva il bisogno di confortarla. Sentì la sua fronte, appoggiata sulla sua spalla, rimbalzare leggermente per i singhiozzi profondi, che le affliggevamo il petto e la gola. Alzò la mano per far scivolare le dita tra i suoi morbidi capelli. La seta più fine sembrava tela in confronto. Kadar pensò al fratello maggiore Malik, chiedendosi se fosse sopravvissuto alla lotta nel Tempio di Salomone. Non aveva ancora mai pensa al più anziano Al-Sayf da quando era arrivato in questa città chiamata Boston. La sua mente era stata occupata con Alex e la Mela, ma ora che il ricordo era affiorato l’angoscia gli sommerse la mente.
“Lo amavo,” lei strrinse le vesti di Kadar finché le nocche le divennero bianche. “Lo amavo e lo hanno portato via me!”
Kadar rispose portando entrambi verso il divano, senza lasciar andare la bruna singhiozzante. Una lacrima gli scivolò lungo la guancia mentre ricordava il fratello col cuore addolorato. Come avrà vissuto il pensiero della sua “morte”.  Eppure sentiva un po’ di conforto in presenza di Alex e ferocemente si aggrappò a quel magro “un po’”. Appoggiò la testa sulla sua spalla, sentendo che iniziava a calmarsi. Kadar continuò a stringerla, forse perché era lui a non essere pronto a lasciarla andare.
“Anche tu hai perso qualcuno”, disse lei tirando su col naso e asciugandosi le lacrime. “Era tuo fratello.”
Kadar riuscì solo a fare un cenno col capo.
“Malik”, balbettò lei, esitante. “Era come te. E gli manchi. Lo sento.”
Fu allora che sentì una leggera pressione sul petto, proprio sopra il cuore, quando la testa della ragazza tornò a riposare accanto alla sua. Guardò verso il basso con quelle acquose orbite azzurre e vide la sua mano appoggiata in quel punto. Alex era caduta in un profondo silenzio. Il giovane assassino allungò il collo in una posizione imbarazzante per vedere che si era addormentata.. Kadar non poté non sorridere. Gli sembrava di rivedere se stesso quando usava il corpo più grosso di Malik per avere conforto quando era spaventato o ferito. Era un sensazione di tepore, che partiva dal cuore fino ad arrivare a braccia e gambe. Un leggero rossore gli ricoprì viso e collo mentre le sue dita continuavano ad accarezzarle i capelli. Si sentiva come se ci fosse un filo che univa i loro corpi, e Kadar non aveva intenzione di mettere in discussione i sentimenti crescenti.
Kadar non voleva muoversi dal divano, ma una sensazione di pizzicore tra il collo e la spalla si rifiutava di lasciarlo stare. La sua spada aveva iniziato ad aggravare il suo disagio puntando contro il suo fianco. Il fastidio iniziale divenne una pressione pungente che aumentava man mano che restava in quella posizione.
Lentamente, come aveva imparato in molti anni di formazione da assassino, Kadar manovrò con cura braccia e busto, mentre le gambe scivolavano verso il bordo del divano. I suoi occhi erano vigili su Alex, per notare un suo qualsiasi cambiamento di postura, non importa quanto minimo. Una persona normale non se ne sarebbe accorta, ma i sensi più fini di Kadar potevano avvertire ogni scossa o movimento. Per fortuna lei non si mosse, e il corpo seguiva i movimenti del suo senza protestare. Kadar sentì gli angoli della sua bocca arricciarsi e un caldo formicolio nel petto.
“Ka…”. La voce stordita riverberò contro il suo petto.
“Shhh”, le sussurrò vicino a un orecchio. Alex era mezza addormentata ma le sue braccia gli stringevano forte il petto. L’assassino si ricordò della grande stanza dove, presumibilmente, lei dormiva , e si avviò nel corridoio, verso l’ultima porta a sinistra.
Il letto era spazioso, per niente simile ai mucchi di fieno, o alla fredda terra, o ai tappeti infestati dalle pulci a qui era abituato uno spietato assassino. Kadar posò Alex su un lato del letto e si fermò ad ammirare l’aura di serenità che le aveva levato dal volto quel velo scuro che l’aveva coperto per la maggior parte del tempo in cui si erano incontrati. Sentì i suo cuore leggero per quanto serena le appariva, mentre era passato al fondo del letto.
“Sai che  quello che stai facendo è considerato illegale in tutti i 50 stati degli Stati Uniti?”
Alex sollevò la testa dal cuscino per incontrare l’espressione stupita dell’altro. Chiaramente il suo tentativo di fare dell’umorismo non era stato capito dall’assassino.
“Non sto facendo niente di male.” Alzò le mani, sentendosi sempre più a disagio mentre stava lì.
“Kadar, vieni qui,” Alex si mise a sedere e accarezzò la parte di letto vuota accanto a lei. I piedi del ragazzo scattarono verso il punto che gli stava indicando. Si piazzò sul bordo del letto, appollaiato come un animale spaventato.
“Rilassati,” sospirò lei. “Il mio senso dell’umorismo non è molto buono. Mi dispiace.”
Alex chinò la testa e chiuse gli occhi, sentendosi in imbarazzo per il suo ultimo errore. Una lieve pressione, seguita dal calore, avvolse la sua mano.
“Non dispiacerti.”, ribatté con dolcezza il ragazzo.
“E’ passato più di un anno e mi ritrovo ancora a svegliarmi urlando, quasi piangendo. A volte di notte, giuro, lo vedo disteso accanto a me. Ma è un miraggio crudele. Ma sai una cosa? Non dovrei scaricare il mio dolore su di te. Non è giusto e…”
“Sei ancora in lutto. E’ naturale sentirsi così. Era qualcuno molto legato a te.”
“Dovremmo essere sposati adesso”, disse tirando su col naso.
Kadar si strofinò la base del collo, senza sapere bene come rispondere. Fu il corpo a farlo. Alex gli si avvicinò, facendo premere insieme i loro fianchi e le gambe, rendendosi conte di quanto le mancasse sentirsi abbracciata, mentre le braccia del giovano si avvolgevano intorno a lei. Kadar la strinse al petto, mentre ondeggiava per cullarla. Cantava piano una vecchia melodia araba, parlando nella sua lingua nativa. Era una delle sue preferite, una di quelle che in certi momenti Malik cantava per lui.
Alex sorrise lievemente e chiuse gli occhi, lasciandosi avvolgere dall’incantesimo della melodia. Era davvero bella, e la cosa strana era che ne capiva ogni sillaba, come se stesse parlando inglese. Ma questa aveva una grazia delicata che la lingua inglese non avrebbe mai potuto imitare.
“Non mi lascerai, vero?”
Kadar smise di cantare e incrociò lo sguardo implorante della ragazza.
“No,” si ritrovò ad accarezzare quella morbida seta ancora una volta. “No, non ti lascerò”.
“Sembra che tutti quelli che amo o a cui tengano se ne vadano da me. Sono così sola.”
“No,” sentì la sua voce ringhiare sopra di lei. La sua mano scivolò sulle sue stringendole insieme. “Non sei sola.”
Alex voleva credere che non l’avrebbe lasciata, ma il suo lato pessimista le stava dicendo che invece l’avrebbe lasciata proprio come i suoi genitori, i suoi amici, Clay, e anche Desmond l’aveva lasciata a modo suo.
“Devi riposare Alexandra.” Esordì col suo forte accento.
“Resterai?”
Alex si rannicchiò ulteriormente contro di lui.
“Sì, resterò.” Non intendeva andarsene, ma era felice che gliel’avesse chiesto. Con gentilezza fece sdraiare entrambi sul letto, e Alex poté sentire il piacevole odore di muschio e spezie che emanava. La sua mano si ritrovò di nuovo ad accarezzarle i morbidi capelli e la ragazza appoggiò la testa sulla sua spalla.
“Mi insegnerai?”
Kadar ritrasse il braccio mentre Alex si sistemava più vicina a lui.
“Fammi vedere ciò che sai. Insegnami tutto il possibile.”
Insegnale, figliolo…
Una voce femminile esortò l’assassino.
Aiuatala…Ha bosogno di te…
“Sì,” le promise, e lei gli sorrise con gratitudine e l’abbracciò.
“Grazie.”
Alex sbadigliò e nascose il viso nell’incavo del collo del ragazzo. Kadar sentì il suo cuore battere più veloce per quella vicinanza. Non era mai stato così vicino ad una donna, siccome suo fratello l’aveva sempre dissuaso dall’avere delle relazione con delle donne, perché potevano esser una distrazione o un’arma Templare, che ti seduceva per poi puntarti una lama alla gola.
Ma questa, Alexandra, non lo era. Il suo dolore era genuino, per il dolore di troppe perdite. La Mela aveva risposto positivamente quando lei l’aveva presa in mano. Intanto si era finalmente addormentata.

Vidic sedeva alla sua scrivania, rileggendo i rapporti sul Soggetto16. Avevano fallito nel trovare il luogo in cui i Frutti dell’Eden erano nascosti. Rikkin voleva delle risposte. Nakamura si era chiusa nel suo studio, cercando disperatamente il prossimo candidato per l?animus e il Progetto Uni. Quando si stava cominciando a spargere la voce del ritrovamento di un uomo sulla trentina nel Tiber River erano riusciti a far tacere in tempo le autorità. La maggior parte dei giornalisti aveva parlato di un incidente ad un turista che era andato a passeggiare al porto in una notte buia.
Il telefono sul tavolo squillò e Vidic esitò a rispondere. Tutte le altre volte che era squillato era Rikkin che voleva sapere che fine avessero fatto i risultati delle sue ricerche e Vidic non poteva fare altro che tentare di inventarsi una scusa plausibile.
“E’ tutto il giorno che ci lavoriamo Alan…”
“Sono stanco di sentire le tue stronzate Warren! Metti qualcun altro in quel dannato Animus e dammi i risultati o troverò qualcuno più competente per questo progetto. Sono stato chiaro Warren?”
“Cristallino, Alan… Cristallno…”
Al quarto squillo afferrò il ricevitore e rispose.
“Sì?” chiese semplicemente.
“Warren, sono Nakamura. Penso di aver trovato un altro candidato per il Progetto Animus.”
“Dove?” Vodic saltò sulla sedia. Non voleva crearsi false speranze ma si fidava di Nakamura.
“Il suo nome è Desmond Miles e si trova a New York City, L’abbiamo trovato grazie ad un’impronta digitale ne sistema DMV.”
“Eccellente!” Warren si sentì sollevato e si lasciò sfuggire una risata.
“Abbiamo anche scoperto che non è l’unico che potrebbe tornarci utile.”
“Puoi trovare qualcun altro?”
“Non ancora. La maggior parte di queste porsone hanno cambiato noto e sono emigrate, senza rimanere nella stessa zona troppo a lungo. Come se sapessero di essere cacciati.”
“Interessante,” disse Warren. “Dimmi dov’è e io manderò immediatamente un team a New York. Faccia un buon lavoro.”
“Grazie.”
Vidic sorrideva come un gatto che mangia il canarino. Finalmente Rikkin l’avrebbe lasciato in pace! Prese il telefono e fece scorrere le dita sulla tastiera, come aveva già fatto innumerevoli volte.
“Sì, sono Vidic. Ho bisogno di un team per New York. Abbiamo un obbiettivo da ottenere”.
Lasciò cadere il ricevitore al suo posto e fece un sospiro di sollievo. Le cose cominciavano finalmente ad andare bene. Ma abbe il tempo di riposarsi un po’ che il telefono riprese a squillare.
“Sì?”, gemette.
“Signore, il nostro ospite è sveglio e chiede di vederti.”
“molto bene,” ridacchiò leggermente. Vidic si chiedeva quando questo momento sarebbe arrivato.

Kadar si era addormentato ma la sua mente non si stava riposando. Nei suoi sogni vedeva una scena che pareva svolgersi tra le pagine di un libro.
Alex si trovava sul cornicione del palazzo, afferrando ferocemente la mano di Kadar. Erano circondati da uomini vestiti con uniformi dai segni particolari. I loro volti erano nascosti da cappelli e da caschi. Ma ad attirare l’attenzione di Kadar fu quello in testa al gruppo. Come? Era impossibile!
“Non potete andare da nessuna parte.”

Il pesante accento francese del calve fece gelare il sangue nelle vene al giovane assassino. Il suo ghigno sadico si allargava sempre di più mentre si avvicinava a loro con la spada sguainata. Gli uomini dietro di lui li stavano puntando contro delle strane armi. Alex gli strinse la mano e gli sorrise, e Kadar ricambiò il sorriso, cosa che fece infuriare l’altro. Era vestito con jeans scoloriti e una giacca che gli copriva le spalle larghe., tutto diverso dalla tunica con la croce rossa.
“Mi dispiace Mastro Lindo, ma noi ci congediamo,” disse infine Alex prima che lei e Kadar si lasciassero cadere all’indietro, eseguendo un salto della fede. La ragazza chiese gli occhi mentre un’ondata d’aria l’avvolgeva e  cadeva lungo la facciata in mattoni del vecchio edificio. Le urla stridule del loro inseguitore svanirono quando atterrarono con un tonfo in un bagagliaio aperto. Le ruote e gli ammortizzatori rimbalzarono all’impatto. L’adrenalina le scorreva nelle vene, quando un vecchio materasso assorbì l’impatto ma le fece mancare l’aria nei polmoni. Alex era un po’ stordita, sbatté le palpebre e scosse la testa, mentre Kadar era seduto e la guardava preoccupato.
Andiamo,” si alzarono e presore a correre lungo il marciapiede, cercando di seminare gli inseguitori.

“Tu sai chi era quel tizio? Sembrava conoscerti.”
“Era Roberto di Sable,” Kadar sbuffò il nome del loro odiato nemico. “Era al Tempio di Salomone quando la Mela mi ha portato qui.”
“Cosa? Non dovrebbe essere morto?”
“Sì, ma non lo è.”

“Buona osservazione Kadar,” ringhiò sarcastica mentre giravano l’angolo, infilandosi in un vicolo stretto. Alex ansimava pesantemente in cerca di un po’ d’aria. Le tecniche di respirazione che Kadar le aveva insegnato riuscirono a calmarla.
“Come è arrivato qui?”

“Non lo so Alex,” avrebbe voluto darle un risposta.
“Deve essere l’Abstergo. Solo loro possono fare queste cose.”
“Staranno cercando il Grande Tempio”.

“Cosa? Che grande tempio?” I suoi occhi si spalancarono.
“E’ quello che i templari cercano. Contiene i segreti della prima civilizzazione…”
“L’Occhio,” sbottò improvvisamente. “Vogliono l’occhio.”
“E noi lo prenderemo!”
Roberto si trovava all’entrata del vicolo, e con i soldato bloccava ogni via di fuga. “Sai dell’Occhio, giovane.”
“E tu non l’avrai mai, pelatone.”

Roberto rise a quell’insulto. Kadar si posizionò tra Alex e il nemico, seguendo il suo credo.
“Ma non è commovente? Un piccolo assassino che pensa di potermi fermare.”
L’assassino brandì la sua lama, nascosta sotto la giacca. Alex impugnò un coltello da lancio, pronta ad affondare la lama tra gli occhi del Di Sable.
“Uccidetelo.”

Un uomo sparò un colpo che attraversò l’aria, colpendo il centro del petto dell’assassino. L’impatto riverberò in tutto il corpo.
“NO!” Alex urlò e corse a prendere l’assassino morente tra le sue braccia. Il sangue gli risaliva la gola e gli riempiva i polmoni. Le lacrime le bruciarono le guance e la pelle color oliva  si macchiò di chiazze rosse. Con una mano si coprì le labbra mentre gli accarezzava una guancia. I suoi occhi erano pieni di dolore mentre lei lo pregava di restare.
“Kadar guardami, guardami Kadar. Non… non…”
“Alex… ho fallito…”

“No, non morire!” premette una mano sulla ferita ma il sangue continuava ad uscire. Quegli zaffiri luminosi lentamente si offuscarono, mentre Kadar prendeva il suo ultimo respiro. “Per favore… non lasciarmi…”.
“NO!” Alex gemette si gettò sul suo corpo.
Roberto alzò gli occhi con disgusto e disprezzo.
“Prendetela!” sbraitò contro i soldati. Il primo si avvicinò alla donna ma lei scattò afferrandogli un braccio.Si udì il suonò di un osso che si rompeva, e gli altri non fecero in tempo a reagire che dei coltelli da lancio dì tagliarono l’aria bucando delle fronti. Gli uomini si accasciarono formando un circolo di cadaveri. Un uomo riuscì a raggiungerla e a sbatterla contro un muro, facendole mancare l’aria. Le testa le faceva male, come se un milione di aghi che le perforassero il cranio.
La sua visione si offuscò mentre Roberto le passò davanti. Una mano le afferrò i cappelli, che Kadar aveva accarezzato così tante volte, e tirò.

Sentì il suo alito contro il collo mentre si avvicinava e parlò con tono minaccioso.
“Quando avremo finito con te desidererai la morte.”
Meglio morire che diventare una cavia dell’Abstergo.
I suoni si ovattarono mentre lottava tra la coscienza e l’oscurità. Roberto uscì dal vicolo col suo solito sorriso arrogante.
“Abbandonate il corpo al porto.”

“Sì signore”, l’unico sopravvissuto annuì.

Kadar scattò a sedere senza fiato. Le sue mani corsero freneticamente sul petto, non rtrovano nessuno foro ne sangue sui suoi abiti. Gocce di sudore gli coprivano la fronte e il viso e si asciugò con la manica grigia. Era vivo! Roberto Di Sable era un sogno, anche se estremamente reale. E sia lui che Roberto erano vestiti come Alex. Che fosse un presagio? Doveva essere così! Altrimenti perché avrebbe assistito ad una scena del genere? Era un avvertimento. Qualcosa stava per accadere.
Si voltò a destra, trovando Alex ancora addormentata. Si lasciò fuggire un sospiro di sollievo, e più tranquillo si sistemò sul materasso con le braccia attorno alla vita della ragazza. Kadar non dormì dopo, rimase in ascolto per captare qualsiasi suono potesse annunciare dei guai in arrivo. Il suo cuore si rifiutava di calmarsi per l’adrenalina e la paura. Non era una Maestro Assassino come Altair, ma era ancora un killer altamente qualificato e spietato. Se i Templari erano qui, in questo tempo, Alex era in grave pericolo.
Ma dove potevano andare? Lui non conosceva questo periodo e la sua cultura. Non avrebbe saputo se c’era ancora qualche Assassino nei paraggi o un bureau.
Erano soli contro il nemico.
 
   
 
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