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Autore: syontai    18/06/2015    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 68
Se è il lieto fine che cerchi...

 
L’ultima volta che Andres si era trovato al cospetto di Pablo gli era stato offerto di intraprendere un viaggio pericoloso che avrebbe potuto costargli anche la vita. Accecato dal dolore per la perdita del fratello, aveva accettato senza pensarci neppure un secondo. Aveva considerato quella missione come un modo per riscattarsi, con l’illusione di riuscire ad allontanare da sé il senso di colpa per la mote di Serdna. Al contrario, quel dolore si era radicato talmente a fondo nel suo essere da impedirgli di pensare ad altro. Poi era stata la volta di Emma e il senso di responsabilità lo aveva gettato in un baratro senza fondo. Solo da poco, grazie a Libi, aveva ritrovato la capacità di guardare in faccia la vita senza rifuggerla o nascondersi. Quando si era abbandonato ad Emma era stato per disperazione, per l’orrore di ciò che aveva visto e provato; adesso tuttavia, libero da costrizioni, riusciva finalmente a guardare in faccia la realtà. Provava nei confronti di Libi qualcosa di molto più forte della gratitudine, dell’amicizia che li aveva tenuti stretti. Già in tempi lontani si era promesso di dichiarare alla ragazza quell’attrazione che sentiva, solo che allora i suoi sentimenti erano molto più confusi.
“Lena ha ottenuto la possibilità di lavorare al castello, sono così contenta per lei!” esclamò Libi, raggiungendo Andres in una piccola stanza accogliente dove era stato detto loro di attendere l’arrivo del re. Maxi, seduto e con l’aria assente, alzò lo sguardo dall’elmo che teneva sulle  gambe: anche se Lena non aveva mai attirato le sue simpatie, era contento che fosse riuscita a trovare il modo per rendersi utile al castello. “E Thomas che fine ha fatto?”.
“Ha accompagnato Lena nella sua nuova stanza...penso che anche lui abbia comunque intenzione di fermarsi qui” rispose Marcela, riprendendo a fissare fuori dalla finestra. Non riusciva a rimanere ferma lì dentro al pensiero che da qualche parte in quella città poteva trovarsi il suo Matias.
Un tonfo riscosse tutti i presenti nella sala: Dj si era lasciato scappare lo scudo che era caduto a terra. “Scusate, questo coso pesa parecchio” mormorò imbarazzato il mago, cercando di rimetterlo in piedi e poggiandolo contro la parete. Dj si mise a contemplare il risultato, compiaciuto, quando due colpi secchi alla porta lo fecero sobbalzare. Chi era seduto scattò in piedi, mentre chi era già in piedi si mise sull’attenti.
Quando la porta si aprì si trovarono al cospetto della regina di Picche, Angeles, chiamata dal popolo Angie in tono amorevole. “E’ passato parecchio tempo” esclamò Angie, sorridendo e rivolgendosi ad Andres, Maxi e Libi. Guardò invece con notevole curiosità, ma allo stesso tempo con gratitudine, Dj e Marcela. “Il Re arriverà a breve, sono venuta ad assicurarmi che steste tutti bene”.
“Purtroppo Broadway e Emma...loro non ce l’hanno fatta” disse Andres, facendosi portavoce del gruppo. Nonostante tutto omise volontariamente la parte del tradimento del loro compagno, perché la sua memoria non venisse infangata. Era stato accecato dal denaro e dalla possibilità di salvarsi da quella missione suicida, non se la sentiva di accusarlo anche dopo la sua morte.
Il sorriso di Angie si spense e la sua espressione si fece subito cupa. “Io...capisco...Sarà meglio che mi occupi di informare le famiglie della perdita” balbettò la donna. Andres leggeva nel suo sguardo l’incredulità di ancora non riusciva a fare i conti con la guerra e con la morte. Quando sentì parlare delle famiglie non poté non pensare a quella di Emma, che l’aveva sempre disprezzata, ritenendola inferiore solo per il suo sesso. Voleva che sapessero quanto era stata valorosa e indispensabile per la riuscita della loro missione. 
“I genitori di Emma dovrebbero essere fieri della loro figlia. Senza di lei probabilmente non ce l’avremmo mai fatta”.
Angie annuì, gli occhi che brillavano di una viva tristezza.
“Dj, tutto bene?” domandò Libi, preoccupata. Il giovane mago era diventato improvvisamente pallido. Lui più di tutti aveva sofferto la morte di Emma e il solo ricordo gli faceva più male di ogni altra cosa. Il suo sguardo cadde sullo scudo, ottenuto a scapito del sangue della ragazza.  “Si, scusate...ero sovrappensiero” rispose Dj, abbozzando un sorriso per rassicurare l’amica, che in ogni caso decise di lasciar stare, seppure affatto convinta.
“Scusate se vi ho fatto attendere”. Pablo fece il suo ingresso con l’aria assorta, ma subito dopo la sua attenzione fu catturata dai tre scintillanti antichi cimeli: lo scudo, l’elmo, la spada. Il fulcro della magia del Paese delle Meraviglie era racchiuso in quella stanza. “Portatela qui” sibilò l’uomo, rivolto a una delle tre guardie che lo avevano scortato. L’uomo annuì e fece un mezzo inchino per poi uscire dalla stanza. Dopo pochi minuti rientrò, seguito da altri due uomini che reggevano una portantina di legno con una teca di vetro. Al suo interno, deposta su un soffice cuscino di velluto scarlatto, giaceva l’ultimo pezzo: la corazza. Dj, prese lo scudo e si avvicinò, seguito da Maxi e Andres con l’elmo e la spada. Fortitudo, Vis, Virtus e Sapientia erano le scritte incise su ciascuno di questi oggetti, che avvicinati tra loro sembravano vibrare. In pochissimo tempo però quello strano effetto scomparve, lasciando tutti delusi.
“Non è successo nulla” constatò Libi.
“Qualcosa è successo...hanno vibrato!” esclamò Maxi, che seppur sfiduciato, tentava di cacciare l’idea che forse quel viaggio irto di pericoli fosse stato completamente inutile.
“Oh, benissimo, sconfiggeremo i nemici a suon di vibrazioni! Tanto vale mettersi a cantare allora” continuò la mora, sbuffando.
“Ricordate tutti che nelle nostre mani possono essere delle semplici armi dai poteri magici, ma solo la Prescelta può usarli al massimo delle loro possibilità” concluse Dj, appoggiando lo scudo a terra.
“Spero allora che ci raggiunga presto. Nerdicorallo e il Regno di Picche non potranno reggere ancora per molto. Vi ringrazio per i mille pericoli che avete dovuto affrontare, stasera festeggeremo il vostro ritorno, ma adesso sfortunatamente sono richiesto altrove” sentenziò Pablo, uscendo di fretta, seguito da Angie che mai aveva visto il marito così turbato, neppure nei momenti più bui della guerra.
 
“Grazie per avermi accompagnata fin qui” disse Marcela, guardando le pareti di quello stretto vicolo in cui erano finite lei e Libi.
“Non c’è nessun problema, davvero. Andres è scomparso, Dj è chiuso in biblioteca e Maxi si sta ancora riprendendo dal viaggio” sorrise la mora, toccandosi la spalla istintivamente, dove di solito portava l’arco a tracolla. La ritirò con una leggera traccia di delusione: da quando erano arrivati aveva chiesto ad Andres, l’unico che si intendesse di armi della compagnia, di aiutarla a rimpiazzare il suo vecchio arco, ma il ragazzo aveva sempre qualcosa di improrogabile da fare. Così era passata una settimana e lei ancora non aveva fatto il suo acquisto. In compenso quella mattina, che era iniziata come tutte le altre, aveva subito una piacevole svolta quando aveva visto le lacrime di gioia sul volto di Marcela. La donna aveva parlato con una delle spie del sovrano di Picche, il quale le aveva assicurato che Matias si trovava a Nerdicorallo. Dopo essersi fatta dare le indicazioni per raggiungere l’abitazione dell’uomo, aveva subito chiesto a Libi di accompagnarla, tanto emozionata quanto piena di timori: c’era il rischio che Matias avesse voltato pagina, credendola morta? Poco tempo prima erano stati sul punto di sposarsi, ma adesso tutto le appariva incerto. Anche per questo non se la sentiva di andare da sola, aveva bisogno di qualcuno che le infondesse coraggio e in fondo Libi le sembrava la persona giusta, in mancanza di Francesca, con cui aveva instaurato un legame più profondo, anche per il fatto che le aveva salvato la vita.
Si fermò di fronte a un’abitazione un po’ dimessa, con una porta di legno consumata che ne impediva l’accesso. Con il cuore in gola bussò una volta. Nessuno venne ad aprire. Dalla bocca non le usciva neppure un filo di voce per chiamare il suo amato.
“Forse non è in casa. Sarà meglio provare più tardi, penso che tra poco pioverà” esclamò Libi, indicando i nuvoloni neri sopra le loro teste. Marcela abbassò lo sguardo, afflitta, quindi annuì e si voltò di spalle per seguire il consiglio della ragazza, affrettandosi a coprirsi con il cappuccio del mantello. Mosse appena un passo quando si udì il cigolio della porta che si apriva.
“Che volete?”. Era la voce di una donna. A Marcela si fermò il cuore in gola. Matias aveva preso la sua decisione, ne era convinta. Aveva scelto di ricominciare da capo, e in quel nuovo inizio lei non era inclusa. Una lacrima di rabbia e impotenza le rigò il viso. Lei non aveva smesso neppure per un istante di amarlo, nella speranza di poterlo rincontrare, ma quel forte sentimento non era ricambiato, non più.
“Esmeralda!” salutò Libi, avvicinandosi alla donna sul ciglio della porta; su una spalla era appollaiata Ambar, la figlia tramutata in aquila, che rivolgeva uno sguardo imperioso ovunque. La ragazza mora prese per mano Marcela, costringendola a voltarsi. “Lei è Esmeralda, una compagna di sventure di Matias...a proposito, Matias è in casa?”.
Il cuore di Marcela si alleggerì appena nel sapere che Esmeralda non era chi credeva che fosse; ma questo non cancellava affatto i suoi timori.
“No, Matias non c’è, ma dovrebbe stare per tornare. Se volete entrare...” disse cordialmente Esmeralda, invitandoli con un ampio gesto. Le due diedero un’ulteriore occhiata al cielo plumbeo, quindi non se lo fecero ripetere due volte.
La casa non era molto grande e anche un po’ spoglia, ma confortevole. C’erano due stanze, la più grande adibita a sala da pranzo, con tanto di camino per cucinare. Di fronte ad esso c’era un giaciglio sfatto, con ciuffi di paglia sparsi sulla coperta. La stanza accanto aveva un piccolo letto, con vicino un trespolo.
“Gradite del tè?” chiese Esmeralda, chinandosi sul camino per accenderlo. Libi e Marcela si guardarono, pallide: con tutte le volte che Beto le aveva invitate a prendere un tè durante la loro permanenza, avevano sviluppato una sorta di repulsione per quella bevanda. Rifiutare però le sembrò scortese, quindi si limitarono a rimanere in silenzio, gesto che la donna interpretò come un assenso. Riempì un bollitore di rame e lo mise sul fuoco, attenta a non scottarsi.
“Come vi dicevo Matias dovrebbe tornare a breve...il suo turno di lavoro è quasi finito”. Per poco Marcela non cadde dalla sedia nel sentire quella notizia: “Lavoro?!”. Non aveva mai visto Matias nemmeno sollevare un forcone per il fieno, non ce lo vedeva proprio a spaccarsi la schiena in un qualunque lavoro pesante. Era vero che le aveva promesso che una volta sposati avrebbe messo la testa a posto, ma vista la sua inclinazione per la truffa non credeva sarebbe mai successo davvero.
“Con la guerra in corso c’è mancanza di manodopera. Matias non è un soldato che potrebbe fare la differenza sul campo di battaglia, ma si occupa insieme a pochi altri delle riparazioni che necessita la città” spiegò Esmeralda, guardando verso il giaciglio improvvisato, che sicuramente doveva appartenere proprio al biondo in questione. “E’ molto gentile con me e Ambar, non ci fa mancare nulla. Pensate che si sveglia all’alba e lavora fino a quest’ora, senza neppure un’interruzione! Torna sempre distrutto, poverino”.
“Prima di venire sono passata da Dj...mi ha detto di riferirti che sta lavorando ad un modo per spezzare l’incantesimo lanciato su tua figlia. La biblioteca di Picche è piena di libri interessanti, anche se rimane convinto di dover andare al Tridente. Credo abbia intenzione di partire” disse Libi, colpita dallo sguardo ansioso della donna per quella notizia, che evidentemente non vedeva l’ora di poter riabbracciare la propria bambina. Marcela assistette a quella conversazione senza comprendere appieno di cosa stessero parlando, la mente ancora ferma alle parole di Esmeralda. Il suo Matias era diventato un uomo, pronto a prendersi la responsabilità del benessere di altre persone. Era così strano immaginarlo in quelle vesti, ma questo cambiamento accresceva in lei il desiderio di rincontrarlo. Un desiderio che la stava consumando minuto dopo minuto. Con la tazza del tè ancora in mano, si voltava continuamente verso l’uscita, nella speranza che Matias varcasse la soglia.
Quando finalmente la porta si aprì Matias entrò con le spalle basse e l’aria di chi aveva si sarebbe retto in piedi ancora per poco. Nemmeno notò che c’erano degli ospiti, a stento riusciva a tenere gli occhi aperti. “Sono...a...casa” farfugliò. Quando riuscì a mettere a fuoco la stanza però notò che c’era una donna con il cappuccio calato seduta di profilo e vicino a lei Libi. “Matias, che bello rivederti!” esclamò Libi, alzandosi e salutandolo con una pacca sulla spalla.
“A cosa devo questa visita?” domandò Matias, strizzando gli occhi, come succedeva sempre quando era nervoso.
“Adesso ti spiego...c’è una persona che è venuta apposta per te”. Libi si scostò sorridendo, e indicando con il braccio la donna incappucciata.
Marcela tentava di nascondersi il più possibile, non trovando il coraggio di mostrarsi. Aveva desiderato così tanto quell’incontro, ma adesso aveva terribilmente paura. Aveva paura che quel periodo di lontananza avesse cancellato per sempre le loro promesse. Matias era cambiato, ne aveva avuto la prova, ma non poté temere che anche i suoi sentimenti fossero cambiati. Libi rimase tra i due, Matias che fissava di sottecchi la donna che non aveva ancora riconosciuto, e l’altra che si abbassava sempre di più il cappuccio nervosamente. Esmeralda osservava la scena da esterna, avendo intuito quale fosse la personalità della misteriosa ospite dai racconti del suo compagno di truffe, ma non disse comunque nulla.
Alla fine Marcela con un sospiro si arrese all’inevitabile confronto. Si alzò lentamente, sempre con lo sguardo basso, quindi lentamente si voltò verso Matias, che non appena la vide rimase a bocca aperta. “M-M-Marcela...” balbettò l’uomo, senza riuscire a dire nient’altro.
“T-Tu, io credevo...insomma, ti avevano preso e io...non sapevo più...Marcela...”. Riprovò a parlare dopo qualche minuto, ma uscivano solo parole sconnesse. “Ti avrei cercato solo...non sapevo dove potessi essere, io...non sapevo che fare, credevo di averti perso!”.
Marcela si sentiva terribilmente male: continuava a guardarla come un morto tornato in vita da un momento all’altro. Non erano quelle le parole che avrebbe voluto sentirsi dire, non era tutto come l’aveva immaginato. Forse era stato uno sbaglio voler piombare a tutti i costi nella vita di Matias: che fosse stata tanto egoista da non voler vedere le possibili conseguenze delle sue azioni? “Mi hanno liberata, Matias, e adesso sono qui...Non per forzarti a tenere fede alla tua promessa, non devi preoccuparti di questo”.
“Ma cosa dici? Sono solo sorpreso, nulla di più! Ho fatto di tutto per poterti riavere, ma ti tenevano in trappola e io non sapevo come trovarti”. Matias si era avvicinato, prendendole le mani e accarezzandone il dorso. Marcela si lasciò cullare da quella ruvida carezza, mentre in lei si riaccendeva una speranza. “La mia promessa è stata fatta per durare in eterno, Marcela. Intendo ancora sposarti”. Venne interrotto dal singhiozzo della donna, seguito da alcune lacrime di gioia. Marcela si aggrappò a lui, che la strinse con forza e disperazione, sussurrandole di stare tranquilla, perché adesso erano insieme e nulla avrebbe potuto più separarli in quella città. Fronte contro fronte si ripeterono il vecchio giuramento che si erano fatti, ben consapevoli che tante cose fossero cambiate, ma che qualcosa del loro vecchio mondo era pur sempre rimasto intatto.
Libi rimase in disparte ad osservare la scena e per un momento giurò di aver visto persino scendere una lacrima lungo il viso dell’impassibile Esmeralda. Riscossasi come da un sogno, sentì di essere di troppo in quella stanza: Matias ed Esmeralda avevano sicuramente tantissime cose da raccontarsi, non voleva imporre la sua presenza incomoda. Con una scusa si congedò, per poi ritrovarsi a camminare per le strade grige della città. Un tuono in lontananza la fece sobbalzare e affrettò il passo.
Le guardie le rivolsero appena un cenno quando attraversò uno dei cancelli del palazzo reale. L’avevano vista girovagare molto in quei giorni quindi non si stupivano del suo continuo andirivieni. Piccole gocce d’acqua scesero dapprima rade, poi sempre più fitte, dal cielo plumbeo, battendo sul viale lastricato che tentava di percorrere correndo e stando attenta a non scivolare. Per guardare dove metteva i piedi finì addosso a qualcuno, a cui istintivamente si aggrappò per non cadere.
“Ehi, attenta!” esclamò Andres, stringendola a sé con naturalezza. Libi per un momento rimase a fissarlo incantata, quindi gli afferrò il braccio, allontanandolo con stizza.
“Non avrei rischiato di cadere se tu non ti fossi in mezzo” rispose piccata la ragazza.
“Per caso ce l’hai con me per qualche motivo?” domandò Andres, confuso.
“Qualche? Ho una lista di motivi per avercela con te, tra cui il fatto che sono giorni che non fai che evitarmi di continuo. Ma sai cosa? Ho rinunciato a capirti, Andres, ci ho rinunciato davvero!” strillò lei, con le lacrime agli occhi. Ringraziò il cielo che la pioggia nascondesse la sua debolezza, perché odiava ridursi in quello stato per un ragazzo che continuava a farla soffrire. Prima Emma, poi l’allontanamento, poi il riavvicinamento ed ora questo. Non appena nasceva in lei la speranza di aver fatto un passo in avanti, ecco che puntualmente le sue aspettative venivano deluse. Cercò di evitarlo di lato, ma Andres fu più veloce, afferrandola per la vita e bloccandola.
“Aspetta, aspetta! So di aver sbagliato con te, ma...vieni con me, ti prego”. Libi lo fissò allibita, guardando verso l’alto. Davvero le stava chiedendo di seguirlo chissà dove in mezzo a quel temporale? Era impazzito, non c’erano dubbi. Ma per quanto fosse arrabbiata non riusciva a dirgli di no mentre la guardava in quel modo supplicante.
“Sei un ruffiano” sbottò alla fine, senza riuscire comunque a trattenere un mezzo sorriso, e tendendogli la mano. Andres sorrise, scostandosi i capelli bagnati incollati sulla fronte. Le prese la mano con dolcezza, conducendola lontano dall’entrata del palazzo. Libi non aveva il coraggio di chiedergli dove la stesse portando e per un certo verso il fatto che si trattasse di una sorpresa la elettrizzava tantissimo.
Raggiunsero di corsa il piccolo cottage del Cappellaio Matto, aggirandola completamente. “Ci siamo!” esclamò d’un tratto. Le lasciò la mano per andare a prendere qualcosa che era poggiato sulla parete esterna posteriore della casa. Quando si avvicinò di nuovo, Libi spalancò la bocca per lo stupore: tra le mani reggeva un arco nuovo fiammante. Libi lo prese con mani tremanti, non per il freddo bensì per l’emozione che stava provando in quel momento: l’impugnatura era anche più leggera del suo vecchio arco; le estremità terminavano con delle piccole spirali intagliate.
“Lo so che non è il luogo né il momento adatto per dartelo, ma...sono giorni che provo a fartene uno come si deve e mi sono dovuto far aiutare da una mano esperta. Non vedevo l’ora di dartelo, però non ti trovavo e...adesso sono un po’ agitato a dire il vero” ridacchiò nervosamente Andres, con lo sguardo fisso sul terreno.
Libi ancora non riusciva a credere che fosse vero: quello era il vecchio Andres, quello che amava con tutto se stessa, quello che riusciva a sorridere nonostante tutto. Di slancio lo abbracciò e rimasero stretti a lungo, incuranti della pioggia che batteva sui loro corpi. Quando si separarono, Libi in punta di piedi gli lasciò un bacio sulla guancia. “Sei un buon amico, Andres, il migliore”.
L’espressione di Andres si indurì, come se gli avessero dato la peggiore delle notizie. La guardò dritto negli occhi e Libi si sentì intimidita dall’ardore che emanava quello sguardo. “Non va bene, non va bene affatto” mormorò, posandole le mani sulle spalle senza interrompere il contatto visivo. “Non posso esserti amico. Per tanto tempo ho cercato di ignorare e nascondere quello che sento, ma solo da poco tempo mi sono reso conto dello sforzo inutile di cui si è trattato. Ma adesso devo andare avanti fino alla fine, l’ho capito”. Prese fiato e continuò: “Libi, tu mi fai stare bene. Ho bisogno di te”. Libi stava per ribattere qualcosa, ma Andres fu più rapido, le prese il viso tra le mani, facendo combaciare le loro labbra. Si staccò subito, confuso dal suo stesso gesto che eppure gli era uscito così naturale.
Libi rimase a bocca aperta, con ancora il sapore di quel bacio tanto sognato, appena intaccato dalle umide gocce di pioggia. Non le uscivano parole, non riusciva neppure a muoversi. Il suo desiderio, quello espresso fin dal giorno in cui l’aveva incontrato, si era avverato senza che nemmeno se ne rendesse pienamente conto. Il ticchettio della pioggia sfumò nell’atmosfera, fino ad estinguersi del tutto, lasciando tanti piccoli diamanti di rugiada su ogni stelo d’erba. Andres chinò il capo, contrariato; si scostò i capelli di lato, provocandosi così una piccola pioggia sul viso. “Mi ero immaginato una reazione un po’ diversa” mormorò alla fine.
“Provaci tu ad aspettare questo momento da una vita, e poi ne riparliamo” ebbe la forza di dire Libi, sciogliendosi in un sorriso luminoso. Il ragazzo rispose al sorriso, rianimandosi di colpo. Senza attendere un ulteriore consenso la baciò nuovamente, questa volta in modo irruento, e venne corrisposto immediatamente. Libi si aggrappò alle sue spalle, lasciando che le circondasse la vita e la stringesse a sé.
“Sono stato uno sciocco” soffiò Andres, separandosi di nuovo.
“Oh, si, lo sei stato” confermò la mora dopo aver finto di averci pensato su.
“Ehi!” si lamentò Andres, senza però riuscire a reprimere una risata. “Potresti andarci piano con me”.
“Potrei, ma non lo farò. Ricorda che una ragazza arrabbiata e ferita può essere molto pericolosa”. Libi gli fece un occhiolino, scoccandogli un bacio sulla guancia per poi arrossire subito timidamente.
“Adoro la tua ironia” esclamò Andres con un’espressiona a metà tra il divertito e l’incantato.
“ E tutto sommato io amo la tua stupidità” concluse Libi, rifugiandosi tra le sue braccia. Rivolse uno sguardo fugace all’arco che aveva lasciato cadere a terra, sorridendo. Si ricordò di quella ragazza che appariva tanto forte, ma allo stesso tempo era stata incapace di rivelare i suoi sentimenti al ragazzo che amava; molte cose erano cambiate, lei era cambiata. Non credeva più che avrebbe potuto essere felice solo con Andres, ma di una cosa era certa: con lui poteva esserlo davvero.
 
“Ecco la Grotta!”. Francesca, dalla cima dell’altopiano su cui si erano accampati, si sbracciava indicando verso la Palude di Jolly.
“Come fai a sapere che è proprio quella?” chiese Federico, aggrottando la fronte.
“Me ne ha parlato il Brucaliffo...ha detto che l’avremmo vista subito non appena arrivati al confine. Mi ha detto anche che gli abitanti del posto non vogliono che gli stranieri ci entrino, lo considerano un luogo sacro; ma non dobbiamo proeccuparci, lo Stregatto ci guiderà”.
“Camilla è qui?” chiese Violetta. Francesca scrollò le spalle: “Così pare”. Luca si avvicinò alla sorella e studiò la situazione: “Domani in giornata dovremmo raggiungerla, non è troppo lontana”.
“Sarà protetta da qualche trappola?” si interrogò Federico, che ne aveva ormai abbastanza di tranelli e pericoli.
“Da quel che so, nella Grotta riescono ad entrare solo gli abitanti della Palude di Jolly...tutti gli altri che hanno provato ad entrare sono fuggiti a gambe levate, farfugliando cose incomprensibili. Lì dentro si rischia di impazzire” raccontò Francesca. La principessa di Fiori non aveva voluto parlare di ciò che lei e il Brucaliffo si erano detti, ma non sembrava spaventata da ciò che la attendeva. Probabilmente Antonio le aveva illustrato un modo per spezzare quella maledizione mortale. Però come mai non aveva voluto condividere con loro quella buona notizia? Con quel dubbio che si rifiutava di abbandonare i suoi pensieri Violetta si distese, sospirando e osservando il cielo terso che si stava scurendo sempre più. Quel viaggio che le era sembrato interminabile stava per avere fine e forse avrebbe capito per quale motivo si trovava lì, nel Paese delle Meraviglie. Nulla accadeva per caso in quel mondo, ormai lo aveva capito, ma si chiedeva cosa c’entrasse lei in quella macchina dagli ingranaggi allineati, ognuno al proprio posto.
“Stai pensando a lui?” chiese Francesca, sedendosi al suo fianco.
“Lui?” domandò confusa Violetta, sollevandosi sui gomiti.
“Parlo di Leon, ovviamente. Ultimamente lo nomini sempre mentre dormi” sorrise Francesca, guardandola con aria furba. “Cominci ad agitarti e lo chiami continuamente. Dopo un po’ ti calmi, però...cosa ti spaventa tanto?”.
“Il riflesso dello specchio. E...se Leon mi odiasse veramente? Continuo a immaginare quello sguardo freddo. Mi mette i brividi addosso”.
“Credo che tu ti stia preoccupando inutilmente. Da quello che mi hai raccontato Leon ti ama veramente, non è una cosa che si cancella facilmente. Sono sincera, quando me ne hai parlato, sono rimasta sorpresa. Ho sentito tante storie sul principe di Cuori, una più terribile dell’altra...alcune persino assurde, come il fatto che facesse il bagno nel sangue dei suoi nemici. Ma giudicare senza conoscere è uno dei più grandi errori che un sovrano possa commettere...inoltre questa è la prova che le persone possono davvero cambiare con la giusta motivazione”.
“La giusta motivazione?”.
Francesca scoppiò a ridere, per poi scuotere la testa. “Come sei ingenua, sei tu la sua motivazione! Credi che davvero si sarebbe sforzato ad essere migliore se non avesse avuto qualcuno al suo fianco che lo incitasse in tal senso?”.
“Spero che tu abbia ragione, davvero” sospirò Violetta, ridistendendosi. Il cielo era già un manto stellato, e subito le venne in mente di quando Leon le aveva fatto osservare le stelle con il cannocchiale nella torre. Il pensiero di aver affrontato tutte quelle sfide senza di lui non faceva altro che rendere più acuto il dolore dovuto alla loro separazione. Però Francesca le aveva restituito una tenue speranza: se davvero Leon l’amava così tanto come credeva Francesca, allora si, forse tutto sarebbe stato possibile.
Il mattino si svegliarono tutti alla luce dell’alba. Dopo aver tentato di cancellare il più possibile i segni del loro passaggio, cosa che avevano imparato a fare grazie all’esperto Luca, si misero in cammino. Per tutto il tragitto non volò una parola, erano tutti troppo tesi e in ansia per parlare. Quando finalmente raggiunsero la radura che circondava la Grotta trovarono un solco sul terreno circolare.
“Non temete, voi potete entrare” disse una voce conosciuta. Camilla emerse dalla buia entrata, facendo ondeggiare la coda come ad invitarli. “E’ un antico incantesimo per tenere lontani ospiti sgraditi. Antico quasi quanto le profondità di questa grotta”.
“E’ qui che...?”. A Violetta si fermarono le parole in gola, non riuscendo a credere che il momento tanto atteso fosse finalmente giunto.
Camilla annuì. “Si, Alice è qui...e ti sta aspettando”. Finalmente. Era tempo che la verità venisse fuori, per quanto terribile potesse essere. Strinse il foglietto su cui sbiadito era ancora scritto Carroll. Attraversarono il solco sul terreno senza che succedesse nulla e seguirono lo Stregatto che pian piano finì inghiottito nuovamente nell’oscurità dell’antro.
Dalle pareti trasudavano umidità e storia. Le pareti incise da scritte che si sovrapponevano l’un l’altra attribuivano un’inquietante aura di mistero a quel posto. Raggiunsero in breve tempo la fine della grotta, che si concludeva con un’ampia stanza, dal cui soffitto pendevano stalattiti di grandezza colossale. Una folata di vento gelido li colpì da dietro, ma quando si voltarono terrorizzati si resero conto che non c’era nessuno.
“Violetta”. Quella voce. La stessa dei suoi sogni, quella che l’aveva esortata a non mollare con Leon, quella che l’aveva spinta a tirare fuori il proprio coraggio. Si girò di nuovo lentamente e la prima cosa che vide fu una spessa catena ancorata al terreno. “Finalmente sei arrivata”. Una donna bionda, con un lungo vestito bianco lacerato, tendeva le mani verso di lei. I suoi occhi brillavano di un azzurro glaciale, che contrastava con la sua carnagione candida; i capelli le ricadevano morbidamente sulle spalle e intorno a lei brillava un’aura biancastra.  Com’era possibile però che nonostante fosse passato tanto tempo non dimostrava più di trent’anni? C’era qualcosa di strano in Alice, in quel suo sorriso enigmatico e in quello sguardo profondo. Luca estrasse istintivamente la spada, ma essa finì a terra, strappatagli di mano, come attirata dal terreno stesso.
“Qui le armi non sono permesse, è un luogo sacro” sibilò Camilla con un verso felino.
“Non è possibile, Alice non può essere viva!” esclamò Federico, attonito. Non si aspettava certo di trovare nel fondo di una grotta la leggendaria eroina del Paese delle Meraviglie.
Violetta invece vide finalmente ogni cosa con chiarezza: era stata lei fin dall’inizio. Era sicura che fosse stata lei a portarla in quel mondo, era stata lei a guidarla, a non farla cadere nei tranelli che aveva incontrato durante il tragitto. Si avvicinò quasi barcollando e mostrò il biglietto con la scritta Carroll. “L’hai scritto te?”.
Un lampo di tristezza balenò negli occhi di Alice, che annuì. Si sedette quindi su una roccia che sporgeva dal terreno, facendo stridere le catene con quel suo movimento. “Se è il lieto fine che cerchi...” iniziò, “Questa è la mia storia”.  








NOTA AUTORE: Perdonate davvero il mio orribile ritardo! Purtroppo sono in piena sessione estiva e...mancano pochi esami per finire la triennale, quindi- diciamo che ho passato le giornate sui libri e quando finivo ero troppo stanco perfino per pensare. Comunque pian piano sono riuscito a tirare giù il capitolo, che preannuncia il capitolo chiave della ff, il capitolo in cui finalmente capiremo tutto quello che è successo e perché. Preparandoci allo scontro finale che ormai è sempre più vicino. Tanti momenti dolci, a partire dai Maticela e...FINALMENTE! Non potete capire la mia gioia nello scrivere quella scena di Andres e Libi, era ora!! Nel finale invece incontriamo la misteriosa Alice, che eppure sembra essersi mantenuta stranamente giovane. Pronti a scoprire il segreto che cela Alice? :P Tra il prossimo capitolo e quello dopo ancora ci dovrebbe essere il tanto atteso incontro Leonetta...dovremo essere pronti anche per quello, non ci aspetta nulla di buono :( Lentamente le cose stanno tornando al nostro posto e alcune storie secondarie si concludono...Lena e Thomas hanno trovato un posto al castello di Picche, dove possono considerarsi al sicuro (non si sa nulla su qualcosa che potrebbe essere nato tra loro, chissà :P), Marcela ha finalmente incontrato il suo Mati mentre per Ambar Dj si sta impegnando molto...chissà che presto non trovi una soluzione :P Lascio a voi ulteriori commenti, alla prossima! Grazie a tutti quelli che seguono la ff, facendo anche supporto morale su twitter. Mi spronate a fare tutto il possibile per portare avanti la storia tra mille problemi, grazie di cuore! :3 Alla prossima, e buona lettura!
P.S: avrei dovuto aggiornare ieri, ma avevo un'emicrania assurda post-esame. Perdonatemi :') 
 
  
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