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Autore: _matthew_    11/01/2009    7 recensioni
Un caso semplice,in pratica già risolto,che all'improvviso si complica,mettendo in pericolo tutta la squadra.
Amori e paure riemergono dal passato di Tony,stimolando la curiosità di Ziva; ha senso essere gelosa della pagina più triste della vita di Anthony DiNozzo?
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera! Allora, come va? Passate bene le vacanze? XP Io si, e mi hanno anche portato consiglio XD spero che il capitolo sia di vostro gradimento! buona lettura!




Si alzò di malavoglia, maledicendo i raggi di sole che filtravano dalle tende mal accostate. La sera prima si era buttato sul letto completamente vestito, da tanto era stanco, e ovviamente non aveva minimamente pensato di chiudere le persiane; risultato? Alle dieci del mattino del suo ultimo giorno di riposo, sebbene forzato, era già sveglio, sebbene lo stato di veglia non facesse assolutamente per lui. Sentiva la testa annebbiata e confusa, effetto collaterale dei farmaci, così gli avevano detto, le palpebre pesanti e i muscoli totalmente rigidi ed intirizziti.
Dopo quasi un mese passato in una stanza d'ospedale era ridotto peggio di uno straccio; e gli ultimi dieci giorni, bacio con Ziva escluso, non avevano contribuito a migliorare la situazione.
Undici giorni, si corresse mentalmente mentre andava a passo lento e strascicato verso il bagno, iniziando a sfilarsi gli abiti stropicciati con cui aveva dormito; dopo averli appallottolati li lanciò con gesto atletico nel cesto della biancheria sporca, complimentandosi con se stesso per il centro perfetto.
Rimase a fissare indeciso il rubinetto della doccia per un istante, prima di optare per il meno impegnativo lavandino; indossava ancora i pantaloni, e l'idea di una doccia non lo attirava particolarmente. Si limitò a far correre l'acqua fredda nell'elegante lavandino di ceramica bianca, scintillante, ficcandoci sotto la testa, lasciando scorrere rivoli d'acqua gelida sul volto e le tempie, prendendone poi un paio di sorsate che corsero giù per la gola, arrivando fino allo stomaco, gelandolo.
Adorava quella sensazione: il freddo pungente e rinvigorente dell'acqua che lo strappava dall'ultimo torpore del sonno, cancellando momentaneamente preoccupazioni e pensieri; anche l'immagine di Ziva, e il ricordo di quel bacio rubato, risultavano meno vividi e più vaghi mentre si strofinava con foga il viso e la testa con l'asciugamano.
Stava finendo di liberarsi i capelli da quella miriade di gocce gelate, quando qualcuno busso con foga autoritaria e quasi esagerata alla sua porta, facendola tremare. Sobbalzò, sorpreso e un po' preoccupato per l'integrità della sua porta d'ingresso; sarebbe stato scocciante chiamare un fabbro per farsela rimettere a posto.
I colpi si diradarono leggermente, ma crebbero d'intensità; attraversò il salotto, l'asciugamano sulle spalle, sbuffando un "arrivo" poco convinto. Possibile che lo scocciatore di turno non si fosse accorto della presenza di quel gioiello della tecnologia noto sotto il nome di campanello?
Solo dopo aver spalancato arrabbiato la porta ed aver incontrato lo sguardo di un'ancora più arrabbiata Ziva, si ricordò di essere a petto nudo, aiutato anche dalle mani bollenti della ragazza che si posarono incuranti sul suo petto, spingendolo nel salotto, mentre gli occhi scuri lo fulminavano con un'espressione che non prometteva nulla di buono.
Sembrava davvero arrabbiata, anche se non riusciva ad afferrarne il motivo; non poteva essere per il bacio all'ospedale, lo avrebbe ucciso subito se la cosa l'avesse fatta infuriare tanto, non avrebbe mai atteso undici giorni. Però si doveva anche considerare che l'ospedale era gremito di testimoni scomodi, mentre nel suo appartamento c'erano solo loro due, un lavoro facile e pulito, niente testimoni, niente tracce, niente prove.
Deglutì, cercando di ricordare quanti oggetti del suo salotto potessero diventare armi nelle mani capaci ed addestrate di Ziva; troppi, decise, mentre gli occhi saettavano dal tagliacarte in argento -regalo di una cugina di ritorno dall'Egitto- posato sul tavolo di quercia, alla brutta statua di gesso -ereditata da una prozia mai vista- che reggeva i libri nello scaffale più basso del mobile a muro che copriva un'intera parete.
Ziva continuò ad avanzare, spingendolo sempre più all'angolo, incastrandolo tra lei e uno dei due ampi divani in pelle che riempivano per metà l'ampia stanza ben illuminata. Le mani della ragazza erano ancora saldamente poggiate sul suo petto, bollenti ed inquietanti, ma allo stesso tempo dolci e sensuali; o per lo meno, così le percepiva lui.
Quando le sue gambe incontrarono i cuscini del divano fece uno sforzo inaspettatamente faticoso per non perdere l'equilibrio, afferrandosi ai polsi di Ziva, giustificando quel gesto abbassandole le mani, mentre le dita di lei scivolavano lente sulla sua pelle, lasciando sottili tracce bollenti al loro passaggio.
Un brivido lo percorse, ma non seppe dire se provocato da quel tocco inaspettato oppure dalla considerazione che a pochi metri da loro si apriva l'ampia cucina, con un assortimento di lame più che sufficiente a farlo morire tra atroci tormenti. Non riusciva ancora a capacitarsi di quello che gli stava accadendo intorno, sapeva solo che si era scordato di prendere la pillola che gli avevano prescritto per i polmoni; non sarebbe mai riuscito a capire, ne tanto meno a sbrogliare, quella stana matassa di sentimenti che lo invadeva quando si trovava vicino a Ziva.
"Si, Ziva?" si sforzò di chiedere, la gola secca, sfoderando il suo miglior sorriso, anche se leggermente inquieto. La ragazza arrossì lievemente, come se avesse realizzato solo in quel momento, dopo che la voce di Tony aveva spezzato quel loro intenso gioco di sguardi, che il ragazzo era per metà svestito.
"Ti facevo più muscoloso, camice imbottite?" frecciò pungente, mentre le dita, guidate dalla gravità e dai polsi ancora imprigionati nella salda presa del ragazzo, s'incastrarono nella sua cintura, provocando ad entrambi un'improvvisa vampa di rossore.
La risposta pungente che Tony aveva formulato si bloccò a metà strada, non riuscendo a giungere alle labbra a causa della gola improvvisamente secca. Un altro piccolo gesto come quello da parte di Ziva, anche se involontario, e non avrebbe più risposto di lui.
Allora alla fine era vero; si stava innamorando di lei. Deglutì, pensando alla regola numero dodici e alla caterva di pesanti scappellotti che gli sarebbe costata, ma era disposto a sopportare anche di peggio, per quella testarda, pazza, bellissima e spericolata agente del Mossad. Sempre che non l'avesse ucciso entro cinque minuti, ovvio.
"Perchè sei qui, agente David?" chiese con voce morbida, avvicinandosi impercettibilmente alle sue labbra. Movimento subito corretto, quando gli occhi di lei non si addolcirono, continuando a fissarlo irati.
Quello che avrebbe potuto essere un bacio a fior di labbra si trasformò in un sussurro provocante al suo orecchio, che la fece fremere.
In fondo quella di Tony era una domanda sensata: lei che diavolo ci faceva in casa sua, nel suo salotto, con i polsi imprigionati dalle sue mani e le dita poggiate sulla sua cintura? E per di più Tony era anche senza camicia; rischiava di perdere il controllo di se stessa se continuava a stargli così vicina, arrabbiatura o no. Reagì d'istinto, liberandosi con uno scatto secco dalla presa di DiNozzo, facendogli perdere l'equilibrio e facendolo franare sul divano in pelle alle sue spalle.
"Non ho bisogno di essere protetta, Tony!" sbottò improvvisamente, senza un senso apparente.
"Si...lo immagino" replicò lui spiazzato.
Lo immaginava, lui, certo, allora i tre poliziotti che indagavano su di lei erano morti per caso; erano sbadatamente andati a sbattere con la fronte contro un proiettile, ovvio. Si fermò, inspirando a fondo per riprendere fiato; anzichè parlare aveva quasi urlato, dando sfogo ad una rabbia giusta, ma allo stesso tempo immotivata.
Non poteva essere solo quello a farle provare tutto quel confuso guazzabuglio di emozioni; doveva c'entrare anche quello stupido bacio, e il fatto che Tony fosse sparito per undici giorni.
Ok, lei non l'aveva incoraggiato, e aveva cercato di evitare l'argomento, ma lui non si era certo sforzato un granché per parlarle, per cercare di chiarire. Si era limitato ad incassare in silenzio ed alzare le spalle: era questo che le dava fastidio, che le faceva male.
E chissene frega di tre stupidi poliziotti uccisi in un vicolo di uno dei quartieri più malfamati della città. Sparatoria con una banda, avevano detto, e da quando i membri delle bande uccidevano con due colpi al cuore e uno alla testa?
Diede voce a quell'ultimo pensiero, la voce però più flebile a causa della gola improvvisamente secca; doveva essere colpa di Tony. Il ragazzo si era rialzato, avvicinandosi pericolosamente a lei e prendendole il viso tra le mani.
Quel contatto le fece dimenticare la visita infruttuosa alla base di Quantico, dove alle accuse di Gibbs uno spocchioso sergente appena uscito dall'accademia li aveva buttati fuori ridendo loro in faccia. Solo il suo autocontrollo le aveva impedito di sparargli.
Tutta la rabbia che l'aveva sostenuta fino a quel momento scomparve, sciolta come neve al sole dalla vicinanza di Tony; e dire che fino a qualche minuto prima avrebbe voluto farlo a pezzi.
Il respiro accelerò, in accordo con il suo battito cardiaco: che gli era preso? Come gli era saltato in mente di prendere il viso di Ziva tra le mani, avvicinandolo così pericolosamente al suo?
Doveva essere colpa della notizia appena appresa, dell'omicidio di quei tre seccatori, attribuibile sicuramente al Mossad; certo avrebbero potuto fare un piccolo sforzo per confondere maggiormente le acque. Non voleva che Ziva potesse intuire la verità, e la sua mente, annebbiata dalla presenza della ragazza e dagli ultimi postumi della peste, aveva individuato un solo modo efficace per sviare l'argomento.
Un modo rischioso, che avrebbe potuto procurargli o un violento ceffone con conseguente colpo sotto la cintura, oppure una dozzina di sonori scappellotti,tanti come la regola infranta.
La distanza tra le sue labbra e quelle di Ziva si assottigliò ulteriormente, mentre le mani bollenti di lei tornavano, questa volta dolci e delicate, sul suo petto.
Quando la baciò trattenne il fiato, in attesa di un violento colpo basso che invece non arrivò. Riprese a respirare, assaporando il dolce profumo di mandorla di Ziva, il dolce sapore delle sue labbra, la sua pelle calda sotto le dita.


Aprì lentamente gli occhi, mettendosi con calma a sedere sul materasso morbido, il silenzio della stanza rotto dal ritmo regolare del respiro di Ziva accanto a lui, vestita solo dal sottile lenzuolo di cotone del suo letto.
Non resistette alla tentazione di accarezzarle la schiena con le dita, sentendo ancora una volta sotto i suoi polpastrelli quella fantastica pelle ambrata e calda, che sembrava aver imprigionato il sole del mediterraneo.
Sospirò piano, beandosi del suo profumo, del suo respiro, della sua presenza al suo fianco. Solo in quel momento si accorse di quante volte avesse sperato in quell'evento; solo in quel momento, con quella nuova consapevolezza, prese improvvisamente senso la gelosia profonda, irrazionale, che aveva provato a volte la notte, stretto nelle braccia di altre ragazze, quando veniva colto dalla consapevolezza che anche Ziva riposava tra le braccia di altri uomini.
E ora era li, rannicchiata vicino a lui, presa da un leggero brivido di piacere alle sue carezze gentili sulla sua schiena. Sorrise, non avrebbe mai pensato fosse così sensibili alle coccole.
Un mugolio, a metà tra piacere e protesta, lo informò che Ziva era sveglia; fece appena in tempo a scorgere il suo sorriso, prima di venire catturato in un nuovo bacio.
Cos'è che doveva ricordarsi? Ah, si, le medicine. Avrebbe avuto tempo dopo, per pensarci; ora l'unica cosa importante era vicino a lui, tra le sue braccia, e non se la sarebbe lasciata sfuggire per nulla al mondo.


Gibbs sbuffò, fissando per l'ennesima volta l'orologio che portava al polso. La commissione di Ziva si stava protraendo ormai da più di due ore, e DiNozzo non aveva ancora chiamato per comunicare se il giorno dopo avrebbe effettivamente ripreso servizio.
Sbuffò di nuovo, giochicchiando con la biro in attesa che la stampante del fax finisse il suo lento lavoro; qualcosa gli diceva che le sue regole avevano perso efficacia, e che la regola numero dodici, da quel giorno, durante le ore di lavoro, avrebbe dovuto essere imposta a suon di scappellotti. E forse anche con l'ausilio di qualche occhiata gelida.
La stampante, con un ultimo gemito soffocato, sputò l'ultimo dei suoi fogli; il volto di Gibbs si aprì in un sorriso sghembo: era curioso di vedere se avrebbero ancora avuto il coraggio di ridergli in faccia, a Quantico, quando sarebbe ricomparso con i mandati in mano.
Ma a quello ci avrebbe pensato domani, con calma; ora doveva rimettere in piedi la sua squadra, per metà dispersa in chissà quali strani meandri.
"McGee, chiama DiNozzo e scopri se è ancora vivo!" abbaiò poi, strappando dai suoi pensieri un distratto Timoty, e facendolo sobbalzare.
"Vivo, capo?" chiese perplesso.
"Credo fosse la 'commissione' di Ziva" spiegò con un sorrisetto eloquente, chiedendosi poi se lui avesse capito. Se così era stato, non aveva dato mostra di aver colto.
  
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