C'era un tavolo. Lungo. Apparecchiato. E'forse l'ora del tè, chiese Alice. Ricordava vagamente quel posto, come in un sogno lontano, fatuo, scomparso. Se lo ricordava, ma non in quel modo: non c'era più luce, non c'erano farfalle e fiori rigogliosi e magnifici, nemmeno il sole sembrava voler entrare in un quadro che, evidentemente, non gli apparteneva. Non più, perlomeno. Un tempo c'era un bellissimo mulino a vento, e poco sotto un fiumiciattolo scorreva limpido e dolce. C'era ancora il Mulino a vento, in effetti. E anche il fiume. Ma il prio era ormai vecchio ed abbandonato, con le pale senza telaio, mentre il secondo era grigio e non c'erano più pesci. Scorreva impetuoso, ed era l'unico rumore che rompeva quella drammaticità. Un rumore non proprio melodioso, oltretutto. Alice fissò il tavolo. C'era una Lepre, seduta. Aveva gli occhi da pazza, il pelo spelacchiato, e rideva, rideva mentre la guardava con un occhio (era strabica. La lepre, dico). "Questa è Alice. Alice, il Leprotto Marzolino." "Una tazza di tè, Alice?" E rise. "No, io.. No, grazie." E poi lo vide. Sedeva là, a capotavola. Con lo sguardo fisso e chino sulla tazza vuota davanti a sè. Se la rigirava nervosamente tra le mani, con quelle lunghe dita bianche. Non si riusciva a scorgerne il volto, così com'era. Si vedeva solo la superficie di un cilindro nero malconcio, e quelle spalle magre, abbattute, senza posa, racchiuse in una giacca viola malandata. Inspirò, lui. Inspirò per dire allo Stregatto che lui un'altra Alice non l'avrebbe voluta vedere, che si era stancato. Avrebbe voluto dirgli questo. Di smontare tutto, che non ha più senso questa pagliacciata, dannazione, Stregatto, Alice non tornerà, quella bambina dai dolci boccoli d'oro e dalla pelle di porcellana non c'è più. E dovremmo farcene, noi tutti, io.. Insomma dovremmmo pur farcene una ragione, una volta buona. Non accetterò un'altra sfrontatella che si dichiari Alice. Non capisci, Stregatto, era così piccola e mi proteggeva, eravamo fratello e sorella e noi ci.. Completavamo, ecco. E io sono bloccato qui, è lei sarà cresciuta e chissà come sarà e.. E si fermò, dicevo, dopo aver inspirato. Perchè sentì un profumo che gli solleticò l'anima e gli attraverò il cuore. Non.. Non è possibile. Alzò la testa e la fissò. Occhi verdi. Quegli occhi verdi. Li aveva sognati per anni, Alice. E ora lui era là a capotavola, e la guardava. Sotto il cilindro, capelli rossi, crespi, tanti. Pelle bianca. Viso incavato. Non sei cambiato affatto. Sei completamente cambiata. Si alzò, e balzò sul tavolo. Cammino su pane, tè, tegliere e tazze. Fermati, diceva il Leprotto. Oh, puoi scordartelo. Attraverò il tavolo, scese, e si trovò di fronte ad Alice, che, data la strana pozione bevuta, non era più grande di un fungo. Si guardarono. E questo è bello. Questo non smetteranno mai di riordarsi, non tanto del primo bacio o dell'amore quella notte o le lacrime, ma di quello sguardo, perchè bastò un attimo ed entrambi seppero riconoscersi. Fu meraviglioso. "Sei tornata."