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Autore: Ghost Writer TNCS    24/06/2015    2 recensioni
Secondo racconto della saga La via degli assassini (sequel di VdA - 1 - La Contessa di Genseldur).
Hélene Castillon, forte dei suoi innumerevoli successi, ha sia il talento che la volontà per essere la migliore, ma per chi percorre la via degli assassini, vanità e senso della giustizia sono sentimenti pericolosi.
Un giorno si sveglia in una stanza sconosciuta, con un occhio bendato e il corpo indolenzito. I ricordi sembrano inaccessibili, invece le basta vedere la sua immagine riflessa per ricordare ogni cosa e scoppiare in un pianto irrefrenabile.
Cosa può aver spinto una sicaria nobile e infallibile come lei a versare tutte quelle lacrime?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. Essere un’assassina

La Contessa di Genseldur uscì guardinga dal passaggio segreto e, dopo essersi accertata che nessuno l’aveva vista, richiuse dolcemente la piccola porta. Quel passaggio dall’aria dismessa conduceva alla caldaia di uno degli edifici vicini a casa sua, e il fatto che fosse sempre deserto, ne faceva un ottimo passaggio segreto.

Si aggiustò sulle spalle la custodia del fucile costruito per lei da Etienne e poi accese le Ali di Vento. Quello che si portava dietro era il modello definitivo dell’arma, il prototipo invece lo teneva in una teca a casa sua come ricordo insieme ad altre armi che ormai non usava più.

Purtroppo nel tornare a casa si era lasciata un po’ prendere dalla fretta, col risultato che, quando aveva controllato l’indicatore di carica delle Ali di Vento, si era accorta che era a meno di un quarto. Ovviamente non aveva il tempo di metterlo in carica e il catalizzatore sostitutivo era scarico, quindi avrebbe dovuto usarlo con la massima moderazione, o c’era il rischio di trovarsi a piedi proprio nel momento di vera necessità.

Senza perdere tempo, corse verso la scala antincendio dell’edificio che aveva davanti e usò le Ali di Vento quel tanto che bastava per raggiungere la rampa più bassa. Salì di corsa i gradini metallici senza preoccuparsi del rumore prodotto dai suoi passi, sforzandosi di reprime il senso di stanchezza che quasi le annebbiava la vista. Non poteva fermarsi proprio adesso!

Attraversare la città si rivelò un’impresa atroce per le sue gambe: non c’era un muscolo che rispondesse come al solito e ad ogni passo temeva di inciampare nei suoi stessi piedi. Un paio di volte rischiò addirittura di andare a sbattere contro le facciate degli edifici su cui stava saltando a causa delle sue gambe sempre più molli.

Arrivata a circa tre quarti del percorso si concesse una pausa. Si sedette su una pila di mattoni lasciati da qualcuno su una terrazza e si abbandonò con la schiena al muro alle sue spalle, respirando affannosamente.

«E pensare che lo sto pure facendo gratis…»

Le sue palpebre si abbassarono, dolci come una ninnananna, donando finalmente riposo ai suoi occhi affaticati.

«Dovrei andare da Aubierre e chied-» Un grasso sbadiglio interruppe il suo monologo, accentuando ulteriormente il senso di rilassamento che stava cullando il suo corpo. «Dovrei andare da Aubierre e chiedergli una bella ricompensa…»

Di colpo riaprì gli occhi. Si guardò intorno, terrorizzata: quanto aveva dormito?! Il cielo era ancora punteggiato di stelle, ma all’orizzonte cominciava a profilarsi una sfumatura calda e mattiniera.

«Maledizione, che idiota che sono!»

Inveendo contro se stessa e contro il tempo, si rimise a correre da un tetto all’altro, ricordandosi solo dopo alcuni salti che doveva limitare l’uso delle Ali di Vento. Per fortuna le restava ancora un po’ di carica, adesso però era il tempo che scarseggiava.

Senza smettere di imprecare, continuò a correre, più rapida e precisa grazie al sonno ristoratore. Se non altro era servito a qualcosa…

Con un ultimo salto fu sulla spaziosa terrazza di uno degli edifici che davano sulla strada per la porta sud-ovest, proprio di fronte alla vecchia tessitoria. Il sole stava cominciando ad affacciarsi proprio in quel momento oltre l’orizzonte e i suoi raggi caldi delineavano ombre lunghissime, inducendo la Contessa ad aggiustarsi il cappuccio sul capo. L’effetto del filtro ormai era svanito, quindi le uniche cose in grado di proteggere la sua vera identità erano il tessuto sul capo e la mascherina sugli occhi.

Spalancò la custodia del fucile, aprì il bipiede e posizionò l’arma sul bordo della terrazza, il tutto senza smettere di guardarsi intorno circospetta. Stava cercando di non pensarci, eppure c’era una sgradevole sensazione che le stava salendo su per lo stomaco, soffermandosi in gola e rendendo pesante il suo respiro: e se Hanzo avesse già colpito? In strada non vedeva nessun segno che lasciasse supporre una colluttazione, eppure…

Un rumore di zoccoli fece scattare i suoi sensi. Si voltò di scatto, individuando la carrozza che si muoveva rapida per la strada, diretta verso la porta ovest. Il suo cuore accelerò il battito: era sicuramente il mercante amico di Aubierre, doveva essere lui. Ora non restava che capire dove si trovava Hanzo…

Sentiva le mani farsi sempre più sudate dentro i guanti, e non solo loro. Altro che Contessa, appena tornata a casa, si sarebbe fatta un bagno degno di una regina!

La carrozza intanto si avvicinava spedita, di Hanzo però ancora nessuna traccia.

Un movimento nella vecchia tessitoria tradì una presenza al terzo piano: era più in basso di lei di due piani, ma questo non era un problema. Si alzò leggermente sulle gambe e nel mirino comparve il corpo prestante di Hanzo de Sauze. Con un salto l’uomo atterrò direttamente sulla carrozza, facendo impennare i cavalli. Il cocchiere spaventato non riuscì a mantenere il controllo e il mezzo sbandò, piegandosi paurosamente di lato. L’assassino saltò giù con un balzo felino, poi balzò in avanti, afferrando la maniglia della carrozza. La tirò con forza e quella cedette con uno schianto di legno, terrorizzando ancora di più il mercante all’interno.

«Chi sei?!» esclamò la vittima «Cosa vuoi da me?!»

Hanzo salì il gradino sfoderando un coltello dalla lama ricurva. «Ti porto i saluti di Gordon Tadarés.»

Il mercante cercò di indietreggiare, ma era in trappola. Poi si udì un colpo e qualcosa centrò in pieno Hanzo, un proiettile che gli trafisse il cranio, conficcandosi nel sedile di fronte alla vittima. L’assassino crollò in avanti, il sangue che sgorgava impietoso dalla sua testa bucata.

La vittima dell’imboscata, ora divenuta un illeso testimone, si portò una mano alla bocca per soffocare un conato di gomito. Con l’altra afferrò la maniglia della carrozza e, non senza difficoltà, la aprì, rischiando si franare all’esterno.

Il cocchiere, che aveva cercato un improbabile rifugio sotto la carrozza, si sporse leggermente per vedere chi fosse uscito. Il mercante, quasi in trance, non lo degnò di uno sguardo e girò dall’altra parte del mezzo per capire da dove fosse partito il colpo. Era talmente scosso che non si preoccupò nemmeno di poter essere ucciso a sua volta dallo stesso sicario.

La Contessa, vedendolo comparire, si alzò in piedi reggendo il suo fucile. Ormai poteva dire di essere diventata piuttosto brava con quell’arma, il modello definitivo poi era ancora più preciso del prototipo, senza dimenticare che lo sbuffo di fuoco causato dallo sparo era notevolmente più contenuto.

Lo sguardo del mercante, a metà fra l’assente e l’adorante, era per lei come una bibita rigenerante, un premio più che meritato per tutta la fatica che aveva fatto. E poi tanto quell’uomo non sarebbe mai riuscito a riconoscere il suo viso da quella distanza, nemmeno se fosse stato perfettamente lucido.

Una volta soddisfatta delle attenzioni ricevute, si voltò e si chinò per rimettere la sua arma nella custodia. Si mise in spalla il suo bagaglio e poi si avviò verso casa, felice e appagata come poche volte le era capitato.

Era stanchissima e nel giro di neanche tre ore aveva un appuntamento dalla sua parrucchiera, però ne era decisamente valsa la pena. Magari non aveva proprio sconfitto Hanzo in un duello, però alla fine era lui quello con il cranio bucato. Ed essere un assassino non vuol dire combattere, vuol dire uccidere.

A pensarci bene, una simile impresa meritava un minimo di celebrazione, quella però poteva aspettare: ora la priorità era un bagno degno della regina degli assassini!

Si lasciò cadere dalla terrazza, attutendo all’ultimo l’impatto grazie alle Ali di Vento. Aveva vinto, ma allora cos’era quel peso alla bocca dello stomaco, quella gelida sensazione che le faceva tremare le mani…?

   
 
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