Fanfic su artisti musicali > HIM
Segui la storia  |       
Autore: Heaven_Tonight    25/06/2015    11 recensioni
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare.
Cogliendo la sua vera essenza.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Ville Valo
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Image and video hosting by TinyPic

Capitolo trentadue
"Northern Light, you call me home"
Image and video hosting by TinyPic

«Guarda Luly, ci sono i cerbiattoli!», disse eccitata la bimba.
«Sono scoiattoli, Evangeline. Sono carini, vero?»
«Sì, come quello dell’Era Glaciale!»
«Vero, come Scrat…», rispose Lou, baciando i capelli della piccola.
Sei giorni prima al suo arrivo a Colonia, aveva trovato una bambina diversa da quella che aveva lasciato l’Italia solo qualche settimana prima. Karl aveva ragione di essere ansioso, perché la bimba che conoscevano come vitale e combattiva era diventata di colpo timida e svogliata. Si era illuminata nel vedere
Lou e per un giorno intero non era voluta scendere dalle sue braccia.
Karl aveva permesso alla figlioletta di dormire con lei a patto che non diventasse un’abitudine.
Aveva fatto bene a correre da loro: il suo sesto senso le diceva sempre la cosa giusta.
Beh, quasi sempre.
La nonna della piccola al contrario non era stata molto contenta del suo arrivo: l’aveva squadrata con la sua aria gelida e altezzosa, facendola sentire a disagio. E lei dopo un primo istante di smarrimento aveva alzato le spalle e pensato che poteva andare a farsi fottere lei e la sua superbia. Aveva visto quella donna soltanto una volta dalla nascita di Lilly, al funerale di Mara e anche allora andava di fretta. Era ripartita il giorno seguente, senza tanti problemi. E ora pretendeva che si facesse da parte? Se lo poteva anche scordare.
Aveva fatto una promessa a Mara: quella di esserci sempre per la bambina e di fare quello che anche lei avrebbe fatto.
«Ora che ci sei anche tu, potresti aiutarmi a trovare un piccolo appartamentino per me e la bambina?» – le aveva chiesto Karl ancor prima che lei salisse sulla sua auto, in aeroporto.
«Perché, non avevi deciso di vivere con tua madre?»
«Beh, sì: all’inizio, per aiutare Lilly ad ambientarsi avevo pensato che fosse la soluzione migliore… ma adesso…» Aveva titubato lui.
«Adesso cosa?»
«Avevo dimenticato quanto fosse stressante vivere con lei.», le aveva sorriso con un’alzata di spalle.
«Oh, capisco… va bene. Ti aiuto volentieri, anche se non capisco a cosa ti servo io. Sei bravissimo in queste cose.»
«Ecco… », si era schiarito la voce, imbarazzato. «Pensavo di chiederti di venire a vivere qui.»
Lou lo aveva fissato come se fosse improvvisamente impazzito.
«Cosa?»
«Aspetta: non saltare subito a conclusioni. Ho solo pensato che la tua presenza qui potrebbe evitare che Evangeline si chiudesse ancora di più e iniziasse ad avere problemi seri. E ho pensato che dal momento che hai concluso il tuo impegno con le illustrazioni del libro potevi liberarti, e in ogni caso potresti lavorare ai prossimi anche da qui… e anche per il part time in libreria…»
«Karl, non so che dire: sai che per Lilly farei qualsiasi cosa, ma davvero... Questa cosa mi coglie impreparata.»
«Lo so e hai tutto il tempo che vuoi per pensarci. Capirei anche se tu rifiutassi, anche se mi auguro che accetti.»
Lou continuava a guardare fuori dal finestrino, in silenzio.
«Non credo sarà facile trovare un lavoro qui.»
«Lou, andiamo: è più probabile che tu trova qualcosa qui che sia di tua competenza, che in Italia. E poi anche se non trovassi niente, non ci sarebbero problemi!»
«Non dire assurdità: non voglio mica fare la mantenuta!»
«Guadagno abbastanza per poter mantenere altre tre persone e sai che i soldi non sono mai stati un problema per me: ci accontentiamo di poco.»
«Non lo so… dammi il tempo di pensarci su, va bene?»
Karl aveva sorriso, alleggerito.
«Hai tutto il tempo che vuoi per decidere.»
 
E così ora si trovava sulle rive del Reno mentre passeggiavano in lungo e largo per il Parco omonimo con la piccola Lilly, aspettando che Karl le raggiungesse, godendosi la prima giornata di sole da quando era arrivata.
Eccola lì a prendere una decisione che avrebbe dato nuovamente una svolta alla sua vita.
Col passare delle ore quella proposta le sembrava la decisione giusta: Roma le provocava stress e anche il suo dirimpettaio, si sentiva inutile e con la perenne sensazione di perdere del tempo prezioso.
«Tesoro, ti piacerebbe se rimanessi qui con voi, fin quando non torniamo a casa?», chiese alla piccola che le saltellava contenta accanto indicando ora un gruppo di bambini intenti a tirarsi la palla, ora una barca  che passava lungo il fiume. Lilly strinse la manina nella sua e guardò in su strizzandole gli occhi verdi.
«Sì! Tanto tanto: così è come quando siamo in Italia a vieni da noi a casa nostra?»
«Certo: ma sarà per tanto tempo. Che dici, vuoi che rimanga qui?» La piccola annuì energica.
«Bene… ci divertiremo un sacco noi due, qui!», disse solleticando la mano della bambina che rise deliziata.
«Però la collana ce la teniamo lo stesso anche se siamo vicine!»
«Ovviamente!»
«Non mi piace nonna Ilse: mi sgrida sempre quando parlo in italiano.», continuò la bambina.
«È perché lei non lo capisce, tesoro.», disse Lou difendendo la donna che trovava lei stessa odiosa. «Quando sei con lei parla solo in tedesco, va bene?»
«Okay. Ma non mi piace lo stesso.»
Lou sorrise sotto i baffi: la piccola era schietta e diretta quanto lo era stata Mara.
«Fra un po’ avrai una casa nuova e vedrai la nonna solo ogni tanto.»
«Menomale.», disse la bimba. «Luly, possiamo chiedere a zio Pepè e zio Simone di venire anche loro qui? E di portare Calzetta e Natale? Mi mancano tanto e anche io manco a loro!»
I due animali domestici erano stati affidati temporaneamente a Katia che aveva una casa con giardino dove poteva permettersi di ospitarli; inoltre erano familiari al felino e alla cagnetta, che stravedeva per la piccola Valentina.
«Vedremo, tesoro. So che ti mancano tanto. Ma non devi preoccuparti per loro: c’è Vale che fa loro tante coccole anche per te, lo sai?»
«Sì, lo so. Ma sono i miei amici e mi mancano. E anche Valentina mi manca.»
«Piccola mia…», Lou le strinse la mano. «Vedrai che torneremo a casa molto presto.»
La notte precedente aveva scritto una lunga mail a Simone e Beppe e anticipato che era possibile che rimanesse a Colonia più a lungo di quanto avesse programmato.
Attendeva a breve una risposta piccata e colorita da parte di Simone e un “lo immaginavo!” da Beppe.
Sentiva il bisogno di allontanarsi da tutto e ricominciare da capo, ma non sapeva ancora se quella era la strada giusta. Qualcuno avrebbe detto che stava di nuovo fuggendo e forse era così. È difficile trovare una nuova casa per la propria anima quando la si è persa già una volta.
«Sono stanca, Luly: ci sediamo?»
«Vuoi tornare a casa? Oppure troviamo una panchina comoda e stiamo ancora un po’: oggi è una bella giornata e c’è il sole.»
«No, voglio stare qui a guardare le barche.»
Poco più in là vide una panchina ancora libera e si affrettò prima che qualcuno la occupasse prima di loro.
Si sistemò la bambina sulle ginocchia e insieme guardarono verso il fiume di fronte a loro. Le piaceva quella città: in qualche modo le ricordava Helsinki, anche se erano completamente diverse.
Forse era per l’atmosfera o il clima: fatto stava che per la prima volta da anni si riempiva i polmoni di aria frizzante.
Il giorno precedente lei e Karl si erano messi in moto per vedere qualche appartamento: ne avevano trovato uno disponibile quasi in centro, molto vicino al posto di lavoro dell’uomo.
Lei stava aspettando Karl, guardando distrattamente le vetrine in compagnia della piccola Lily che non aveva voluto saperne di rimanere a casa con la nonna.
I negozi eleganti e costosi erano sulla via principale mentre lei preferiva di gran lunga le piccole botteghe artigiane o i minuscoli e polverosi negozi di dischi che vendevano ancora vinili.
Era proprio in uno di questi che aveva visto il poster del concerto degli HIM.
Il giorno successivo avrebbero suonato in quella città.
 
“Valo, mi perseguiti. È impossibile che tu lasci la mia mente, anche quando non ti penso, sei tu a cercarmi.” – pensò quasi divertita, con la stranissima sensazione di sentirne quasi la presenza lì vicino, con lei.
Sembrava che il destino si stesse divertendo parecchio in quel periodo.
“E chi sono io per deludere il destino?”, pensò.
Sorrise a Karl che stava arrivando con un sorriso raggiante sul viso, si avvicinava e con in braccio la bambina le cingeva le spalle, dandole un bacio sulla fronte.
Avrebbe fatto bene a farci l’abitudine, non sarebbe sicuramente stata l’ultima volta che si trovava di fronte ad una foto di Ville.
Col tempo anche quello non l’avrebbe più scalfita.
Col tempo avrebbe ripensato al periodo con lui come un qualcosa di bello e magico da raccontare un giorno alla piccola Evangeline.
 
 
 
*****
 
 
 
«Forse dovresti uscire a prendere una boccata d’aria, piuttosto che stare qui a rompere le palle a tutti con il tuo muso e le tue rispostacce acide e cattive!»
La voce dura ed esasperata del suo migliore amico nonché bassista della sua band, gli sferzò lo stomaco come un pugno. Lui era la sua roccia sul palco e fuori da esso, quello che lo riprendeva sempre per la collottola quando ne combinava una delle sue e che bene o male sopportava le sue bizze, e ora gli stava dando una strigliata più che meritata.
Il tour era agli sgoccioli e le date in Germania sarebbero state le ultime: dopodiché sarebbero tornati tutti a casa per un lungo periodo di riposo.
Si rendeva conto di aver reso la vita della sua band e dello staff un vero inferno. Prima e dopo le date in Italia era stato quasi impossibile rivolgergli la parola senza che lui scattasse come una molla, nervoso.
Si passò una mano sul viso stanco e annuì all’indirizzo del suo amico. Aveva ragione: doveva uscire e darsi una calmata. L’idea di casa lo rincuorò: non vedeva l’ora di tornarvi e trovare un po’ di calma interiore. Inoltre le mancava la sua gatta: lasciarla nelle mani della sua famiglia era stata una buona idea.
Amy si era offerta di tenerla per lui dopo la delusione della notizia che non sarebbe andata con lui in tour.
«Non ho bisogno della badante e non voglio nessuno intorno quando scendo dal palco: l’unica cosa di cui ho bisogno è una birra e un letto. E tanto silenzio.» Le aveva detto rudemente.
Afferrò la giacca e occhiali da sole tanto grandi da coprigli mezza faccia e uscì.
Il loro hotel era vicino al teatro in cui avrebbero suonato.
La luce lo accecò per qualche istante quando mise fuori il naso per la prima volta da mesi: non ricordava l’ultima volta in cui aveva passeggiato al sole. Prese a camminare senza una meta, osservando la gente intorno a lui, affaccendata ognuna nella propria vita e quotidianità.
Sperava che nessuno lo riconoscesse e si calcò ulteriormente il cappello sul viso.
L’ultima cosa che voleva era sorridere ed essere gentile forzatamente e fare autografi ai fan esagitati. Non sopportava di vedere l’eccitazione ed emozione di trovarsi di fronte al loro idolo trasformarsi lentamente in delusione, come spesso accadeva quando si rendevano conto che era scostante e per niente affabile.
Si infilò in una strada parallela meno affollata dove non vi erano che poche persone a camminare lungo la strada, continuando il suo stanco vagabondare.
Si annoiava già e il sole picchiava duro nonostante l’aria fredda: forse era il caso di rientrare in hotel e mettersi a dormire, piuttosto che arrivare alla sera successiva con un mal di testa da insolazione.
Girò sui tacchi e si immobilizzò improvvisamente.
Qualcosa aveva attirato la sua attenzione ma non capiva esattamente cosa fosse.
Poi tornò a guardare la donna intenta ad guardare una vetrina al di là del marciapiede in cui era lui.
Aveva i capelli corti e scuri, tagliati appena sotto le orecchie, leggermente mossi.
Un cappotto bianco, jeans e stivali neri.
Non aveva niente di appariscente da motivare la sua attenzione.
Ma qualcosa nel modo in cui la donna si muoveva, la linea della schiena… le ricordava qualcuno, le era stranamente familiare.
Teneva per mano una bambina che parlava e scalpitava e saltellava continuamente sul posto, facendo voltare la testa della donna nella sua direzione di tanto in tanto.
Poi lei si scostò i capelli, infilandoli dietro l’orecchio.
Quel semplice gesto lo colpì in pieno petto.
«Lou…»
Lei lo faceva allo stesso modo, indugiando un po’ sui capelli rossi e lisciandoli.
La donna aveva i capelli corti e scuri: non poteva essere lei.
Si girò, mostrandogli il profilo e lui tornò a sussultare.
Avrebbe riconosciuto quel profilo ovunque.
La donna sorrise alla bambina e una fossetta fece capolino sulla sua guancia.
Si spostò in modo da poterla vedere meglio.
Il vento gli portò la voce acuta della bambina che chiedeva qualcosa in italiano alla donna.
Lei continuava a sorridere e annuire alla piccola.
Quante possibilità c’erano che fosse lei?
Non era possibile, era soltanto la sua stanchezza e la voglia di rivederla che gli facevano avere visioni.
Era già capitato in passato che una ragazza con una vaga somiglianza con Lou attirasse la sua attenzione, ma era svanita fulmineamente così come era arrivata.
Osservò la linea del viso, il collo, le piccole orecchie.
«Non può essere lei…», disse rivolto a se stesso.
Quante possibilità c’erano che lei fosse lì, in un posto sconosciuto e improbabile, a pochi metri da lui?
C’era qualche decina di metri tra loro, non di più.
Qualche metro e una strada poco affollata.
La donna rise e l’unica certezza ancora flebile che aveva, svanì.
Lou.
Era lei.
Non aveva dimenticato la sua voce dolce e sottile così come non aveva dimenticato la sua risata, quasi timida.
Mosse un passo e fece per scendere dal marciapiede.
Ogni briciolo di rancore per lei si era sciolto come neve al sole.
Voleva parlarle, vederla ancora una volta.
Mosse un altro passo.
La bambina si staccò da lei e corse incontro ad un uomo alto e biondo che andava verso di loro con un sorriso. Prese la bambina in braccio e avvicinandosi alla donna le passò un braccio intorno alle spalle sottili posandole un bacio sulla fronte.
Lei gli sorrise, e si strinse a lui abbracciandolo in vita.
Pochi istanti e si stavano allontanando. Un perfetto quadretto di famiglia felice.
La donna si voltò improvvisamente dalla sua parte e lui girò sui tacchi, dandole la schiena.
In quella frazione di secondo non ebbe più alcun dubbio.
Era Lou. Diversa, eppure la stessa.
Rimase fermo davanti alla vetrina, immobile per un tempo lunghissimo, finché il proprietario dall’interno, non si avvicinò alla porta per lanciargli uno sguardo di rimprovero.
I suoi piedi si mossero da soli.
Lentamente tornò indietro verso l’hotel.
Quante possibilità c’erano che lei fosse stata lì, a pochi passi da lui e allo stesso tempo più lontana che mai?
Si rese conto che per quattro anni aveva vissuto nella speranza che lei tornasse prima o poi, o che pensasse a lui di tanto in tanto. Aveva fatto di meglio: aveva una famiglia.
Al contrario di lui che viveva in una casa dove la sua presenza impregnava ogni cosa e il suo ritratto occupava un posto di primo piano. Era così stupido indugiare nei sogni e nei rimpianti.
Nel tragitto fino all’hotel, in quei pochi minuti, promise a se stesso che avrebbe voltato pagina.
Una volta a casa si sarebbe disfatto di quel quadro e di ogni ricordo o speranza nutrita finora.
Era giunto il momento che aprisse le porte al futuro, qualsiasi cosa gli volesse portare.
Meritava anche lui qualcosa che potesse lontanamente somigliare alla felicità serena che aveva visto sul viso di Lou.
 


*****
 
 
«Le tende mi piacciono bianche, così quel poco di sole che ci sarà sembrerà più forte.»
«A me piacciono quelle gialle con Peppa Pig!»
«Scegliere tra quelle bianche e quelle col maiale, sarà dura…»
Karl scoppiò a ridere trascinandosi dietro anche la bambina.
Lou sospirò scuotendo la testa. Arredare il nuovo appartamento si stava dimostrando un compito più arduo del previsto: la piccola Lilly aveva una personalità forte e imperiosa.
Si era imposta su quasi tutto quello che sarebbe andato nell’arredo della sua stanzetta temporanea e ora pretendeva di decidere anche sul resto della casa. Era spaventosamente somigliante a Simone e la cosa li terrorizzava. Come se non ne bastasse uno!
Simone non aveva degnato di una risposta la sua mail.
Si era aspettata una lunga sequela di insulti e recriminazioni, ma lui semplicemente aveva deciso di non rispondere.
Al posto suo l’aveva fatto Beppe, invece.
E non si aspettava di certo la sua improvvisa aggressività: l’aveva chiamata a telefono ed era andato subito al dunque senza tergiversare o prendere le cose alla lontana, com’era suo solito.
«Sei impazzita? E lasceresti la tua vita qui, di nuovo?», le aveva chiesto rude.
«E quale sarebbe la mia vita lì, scusa?»
«Stai scherzando, vero? Hai un lavoro, una casa tua e se tutto va bene un futuro. E tu prendi e vai via solo perché la piccola non si è ambientata, in quanto… neanche un mese? Santo cielo! Datele tempo, è solo una bambina e si sa che sono molto più resistenti di quanto noi immaginiamo! Tu e Karl a volte siete esagerati!»
Lei era rimasta in silenzio, lasciando sbollire la stizza del ragazzo.
«Lou, stammi a sentire: devi lasciarli andare. Da soli. E tu iniziare una vita nuova. Non è tua figlia, Lou. Lui non è tuo marito. So che hai già avuto una discussione molto simile con Simone e all’epoca non ero d’accordo con lui. La bambina era così piccola e Karl fragile… e anche tu stavi meglio quando ti occupavi di loro. Ma ora le cose devono cambiare. Per il bene di tutti. Ti rendi conto di essere sempre punto e accapo e che non vai avanti in alcun modo? Devi pensare a te stessa!»
«Non capisco cosa cambia se io lavoro da qui a tutte le cose che potrei fare anche lì.», aveva ribattuto lei ostinata.
«Perché devono imparare a cavarsela da soli, anche senza di te. È troppo facile per Karl chiamare te quando le cose non vanno bene! E non è giusto! Per te, per la piccola Evangeline! È ora che se la cavi da solo con sua figlia!»
«Lo fa.»
«Oh, andiamo! La bimba ha il broncio e lui ti chiama: ha la febbre, chiama te e ti precipiti immediatamente. Potevo passarci sopra quando erano qui, a poche ore da noi. Ma volare in Germania solo perché lui si sente solo è da egoisti! Tranquilla: dirò le stesse cose anche a lui. È ora che qualcuno gli dica di cavarsela anche quando pensa di non farcela.»
«E da parte nostra non è egoistico lasciarli da soli?», aveva chiesto Lou, freddamente.
«Quando mai li abbiamo lasciati soli? Dimmi solo un’occasione in cui non siamo stati con loro! Ma è ingiusto chiederti di mollare tutto “perché tanto Lou lo farà per Lilly”.»
Beppe aveva ragione e lo sapeva.
Ammettere a se stessa che anche se era una cosa che desiderava non era la cosa giusta da fare, per tante ragioni. In due settimane si era resa conto che per quanto amasse la piccola Lilly e fosse a suo agio con Karl, dal di fuori tutti li vedevano come una famiglia. Cosa che non erano.
E lei sentiva un senso di colpa nei confronti di Mara.
Aveva promesso alla sua amica di esserci sempre per sua figlia, ma non prendendone di nuovo il posto com’era già successo.
«Non posso lasciarli su due piedi…»
«Non li stai lasciando, per la miseria! Se la caveranno da soli!»
«Ci penserò…»
«Lou. Stavolta non ci passerò sopra, ti voglio bene e non mi va di impormi, ma tengo a te. Teniamo a te.», aveva precisato più duramente. «E forse non sempre lo dimostriamo nel modo giusto. Vogliamo soltanto che tu ti senta libera dalle catene che ti sei costruita da sola. Lo capisci, vero?»
«Sì, so che cosa intendi.»
«E allora dacci un taglio, o vengo a prenderti io stavolta.»
Lou aveva sorriso debolmente: era riuscita a far inalberare perfino il pacifico Beppe.
«Non ti alterare: ne avevo già parlato con lui ieri. E anche con Lilly. Con lei è stato più dura, ma dopo un po’ di capricci ha capito.»
Beppe tirò un sospiro.
«E mi hai fatto parlare e sbraitare per mezz’ora ugualmente? Sei proprio stronza a volte!», aveva sbottato lui, ridacchiando.
«Era divertente sentire la tua voce alzarsi man mano di tono e diventare ad ultrasuoni.»
«Bastarda. Quando torni?», aveva chiesto sempre ridendo.
«Appena posso. Almeno questo concedimelo. Mi serviva una vacanza…»
«Okay, ma non ti mollo. È bene che tu lo sappia.»
«Santo cielo: non ne bastava uno di cane da guardia?»
«Poche chiacchiere, bella. Riporta qui il tuo culo il più in fretta possibile, chiaro?»
«Va bene… Stai iniziando a somigliare alla tua metà. E non è un complimento.»
Beppe era tornato a ridere di gusto chiudendo la conversazione, visibilmente soddisfatto di se stesso.
Tornò a prestare attenzione alle tende allineate davanti a lei.
«Che ne dite di queste verdi con le righe bianche?», chiese ai due che guardarono le tende, scettici.
«Oh, fate un po’ come vi pare!»,  rise lei.
Qualche minuto dopo uscirono dal negozio con due paia di tende: uno bianco, l’altro tempestato di maiali rosa.
 
 
*****
 
 
«Luly, questa dove lo metto?»
La piccola la stava aiutando a fare la valigia, tutta contenta di poter essere d’aiuto.
Si era aspettata pianti e lacrime ma inaspettatamente stava reagendo bene alla sua partenza.
Stava crescendo e anche se la cosa la faceva sentire triste, in un certo senso la liberava dai sensi di colpa nel lasciarla.
«Dove vuoi, tesoro. C’è tanto spazio, mettila dove ti piace!»
«Okay!»
Sarebbe tornata a Roma prima che Beppe andasse di persona a prenderla come aveva minacciato più volte.
Ormai era passato un mese dal suo arrivo e la bambina si era ambientata più che bene, lei poteva tornare in Italia senza sentirsi in colpa. Mancavano solo due settimane al Natale: Karl ed Evangeline avrebbero passato le vacanze con loro, come ogni anno.
Controllò nuovamente la prenotazione del volo per l’indomani mattina: non si sentiva rilassata fino a che non si sedeva sulla poltroncina. Era sempre così: temeva che qualcosa all’ultimo minuto andasse storto.
Una volta assicurata che era tutto sistemato, scorse velocemente le altre mail.
Cestinò gli spam e pubblicità e notò una mail che le era sfuggita datata quasi due settimane prima.
Con sorpresa vide che era una mail di Matleena.
«Oh!»
«Che c’è?», chiese Karl entrando in camera proprio un quel momento.
«Una mail dal mio ex capo, quand’ero a Helsinki…»
«E cosa vuole?»
«Non ne ho idea: la sto aprendo ora e vedo cosa…», si bloccò, senza fiato.
«Lou… che succede? Tutto okay?», chiese l’uomo vedendola sbiancare, con gli occhi lucidi.
Si avvicinò apprensivo e lei gli mostrò il contenuto della mail.
Lui lesse attentamente e alla fine le posò le mani sulle spalle, stringendogliele forte.
«Questa volta non puoi ignorare: devi andare. Lo sai anche tu.»
«Non… posso…»
«Devi. Devi tornare a Helsinki, Lou.»
 
 
*****
 
 
Le luci dell’aeroporto di Vantaa si avvicinavano sempre di più e lei sentiva il cuore rullare come stava facendo il motore del velivolo. Per quasi quattro ore era rimasta immobile sul sedile, stordita a chiedersi continuamente che cosa stava facendo.
Karl l’aveva messa sul primo volo per Helsinki senza tante chiacchiere e lei si era lasciata guidare.
L’aereo si fermò e i passeggeri si apprestarono a prepararsi a scendere.
Lei li seguì intontita. Le faceva uno strano effetto essere lì. 
Scese l’ultimo gradino della scala passeggeri e respirò a fondo.
“Ecco, sono di nuovo sul suolo finlandese.”
Nonostante tutto, sotto una montagna di dubbi e paure era felice di essere tornata, emozionata e sulla soglia delle lacrime.
“Stupida donna emotiva!”
Alzò gli occhi al cielo carico di neve e sorrise.
Era buio pesto ed erano solo le tre del pomeriggio. E lei si sentiva a casa come non mai.
Ad ogni passo che faceva verso l’uscita si sentiva meglio.
Dopo pochi minuti che era sulla navetta che portava a Helsinki aveva già la smaniosa voglia di trovarsi in città, rivedere i posti che amava, respirare di nuovo l’aria di quel posto che amava tanto.
L’ora passò lentamente per lei: si sentiva stupida ma osservava le strade, le insegne, i quartieri che erano quasi tutti gli stessi. C’erano pochi cambiamenti e lei li notò tutti.
Non riuscì a rilassarsi, continuando a girarsi a destra e manca come una bambina nel paese delle meraviglie. I passeggeri dovevano pensare che era fuori di testa, sicuramente.
Aveva tempo per andare a fare una doccia nell’albergo prenotato in centro, posare il bagaglio a mano e correre da Matleena.
Ricordò all’improvviso il motivo per cui era di nuovo lì e le venne da piangere.
Ingoiò il groppo che le si stava formando in gola e cercò di pensare ad altro, inutilmente.
Scese dalla navetta e si incamminò automaticamente verso l’hotel.
Aveva dimenticato quanto fosse facile e tutto facilmente raggiungibile a piedi in quella città.
L’hotel era quasi attaccato alla stazione e a 500 metri c’era il Kiasma.
Amava ogni singola pietra di Helsinki.
Il freddo le arrivò in faccia all’improvviso schiaffeggiandola e sorrise come un’ebete, nonostante il vento le facesse lacrimare gli occhi.
Questa volta non si sarebbe preoccupata che natura avessero le sue lacrime.
Ogni sentimento che provava, nostalgia, ritrovarsi, perdita, amore… erano tutte concentrate in quelle lacrime che non si preoccupava di nascondere o asciugare.
 
 
*****
 
 
La struttura del Kiasma in vetro e acciaio la sovrastava, così imponente e allo stesso modo fluida e morbida con le sue pareti curvate.  Aveva passato in quel posto tantissimo tempo e ora ne ritrovava gli odori, la familiarità.
Le pareti bianche e irregolari, le scalinate che si intersecavano tra loro.
Passeggiò con calma tra le mura, ritrovando nella sua memoria i ricordi e il tempo in cui era felice e soddisfatta della sua vita. Una hostess bionda e dalle gambe chilometriche le infilò tra le mani una brochure degli espositori in mostra, parlandole in finlandese. Lou le sorrise e la gratificò con una simulazione di sorriso mormorando un “Kiitos” a bassa voce.
Sfogliò il volantino con interesse.
“Viaggio tra sogno e realtà: ‘Una finestra aperta sul cuore’ – Retrospettiva di Aappo Korhonen”
Davanti alla sala che ospitava le opere del Sig. Korhonen si fermò a prendere respiro.
Poi entrò.
C’erano tantissimi quadri, ovunque guardasse intorno a lei c’era un’esplosione di colori.
Su tutti predominava il blu, declamato in ogni sua sfumatura: dalla più tenue e chiara al blu più cupo.
Lou camminava fra la gente, tantissima, stringendo nervosamente la brochure fra le mani.
Non aveva mai visto i quadri del suo vicino di casa prima di allora.
Ammirò le figure umane fluttuanti, spigolose e allungate che erano in quasi tutti i dipinti. In un primo momento poteva sembrare che l’artista si fosse ispirato al suo vecchio amico Chagall. Invece le figure del Sig. Korhonen erano molto meno romantiche e morbide rispetto a quelle del più famoso artista.
C’era un che di gotico e dark nelle opere del suo vecchio amico e vicino di casa, un lato che non si sarebbe mai aspettata. Il tenero Sig. Korhonen, l’uomo col sorriso contagioso e gli occhi ridenti celava in sé un’anima tormentata e oscura.
E nonostante tutto, quei quadri trasudavano amore, erotismo, magia.
Passeggiava lentamente, in silenzio, godendosi ogni pennellata.
Col cuore in tumulto ricordò l’ultima volta che aveva visto il suo vicino, il giorno prima che lei andasse via da Helsinki.
 
 
*****
 
 
«Di cosa hai paura?», le aveva chiesto il suo amico andando dritto al punto.
Erano seduti nel salotto di casa Korhonen, intenti a sorseggiare un tè aromatico. Lei aveva abbassato gli occhi sulla sua tazza e non aveva risposto.
«Hai paura di lui? Che ti possa deludere? Che possa tradirti?»
La voce dolce del suo amico la incalzava.
«Un po’ di tutto questo.»  Aveva risposto a mezza voce, alzando le spalle.
«Non hai mai pensato che potresti anche essere tu a tradirlo per prima? Scappando via, non affrontandolo, è come se lo tradissi. E lo stai deludendo.»
Lei aveva alzato gli occhi e guardato l’uomo che le stava di fronte.
«Lo so. Ma non riesco ad impedirmelo. Non sto andando via per sempre… solo che… Ho bisogno di pensare, di tempo. Non voglio lasciarlo. Non posso e non voglio deluderlo.», aveva spiegato lei.
«Allora aspetta che lui torni, parlatene insieme. Non sempre le cose sono come appaiono, mia cara. Lui non è un uomo come tanti: essere famosi, in certo senso rende molto più vulnerabili di quanto uno ci si aspetti.
Io vedo nei tuoi occhi che lo ami. E anche lui, anche se non ho mai avuto modo di parlarci, sono certo che ti ami. L’amore è la cosa più importante. Più importante della paura, del dubbio, dei sentimenti contrastanti, degli intoppi quotidiani, delle intromissioni.», le aveva detto infervorato.
«Non sto scappando…», aveva mormorato nuovamente lei.
«Bene. Se così fosse, deluderesti anche me.», aveva aggiunto lui in tono severo.
Lei aveva tenuto gli occhi bassi, sentendosi in colpa.
«Abbi il coraggio di vivere la tua realtà, mia cara bambina. A volte, è molto meglio della favola che abbiamo sempre sognato.»
 
 
*****
 
 
Si rese conto di aver quasi distrutto la brochure a furia di stritolarla tra le mani sudaticce.
Aveva deluso tante persone in quei quasi 5 anni, ma il suo vecchio amico  e vicino di casa, il suo tenero Sig. Korhonen era quello che le pesava di più sulla coscienza.
Che la faceva vergognare per la sua codardia, il suo poco coraggio, la sua eterna paura di non essere quello che tutti si aspettano da lei. Lo aveva salutato credendo che si sarebbero rivisti a breve, che Ville in qualche modo potesse fare il miracolo di infonderle la sicurezza e trasmetterle l’amore di cui lei aveva bisogno.
E invece non si erano rivisti e ora lui non c’era più.
C’erano solo i suoi quadri a raccontare la vita di un uomo, dell’artista e dell’amore per la sua Maili.
Si trovò davanti al ritratto del donna che lui aveva amato.
“Keeper of my soul”: Custode della mia anima.
Era così che l’aveva chiamata una volta, parlandone con lei. Ed era il titolo del quadro che raffigurava Maili.
La figura sottile dalla pelle viola su uno sfondo blu: toni cupi che invece contrastavano con l’espressione dolcissima della donna, le mani strette al petto a stringere un cuore umano, di un rosso vivo e vibrante.
Il cuore del Sig. Korhonen.
 
“Perché batte il cuore?”
 
Rimase per un tempo indefinito davanti al tributo di un amore che aveva superato il tempo e lo spazio.
“Mi dispiace… mi dispiace non essere stata la persona che pensava, Sig. Korhonen… Mi dispiace…”, si ripeteva mentalmente, ingoiando il nodo in gola che non voleva saperne di scendere e smettere di soffocarla.
Si mosse a fatica, tornando a guardare le opere che cambiavano forme e colori diventando sempre meno spigolose e cupi.
Arrivò davanti a quello che le tolse il respiro.
“Ikkunaprinsessa”. La Principessa alla Finestra.
C’era lei, Lou, in quel ritratto. C’era lei in ogni suo respiro, in ogni cellula o pensiero.
La sua anima, il suo cuore, le sue speranze mai esposte, il suo amore e la sua fiducia in esso in ogni piccola e accurata pennellata di colore vivido.
C’era lei come il suo caro Sig. Korhonen la vedeva.
Al di là della maschera inutile che si era costruita negli anni.
I capelli rossi e lunghi che diventavano un tutt’uno con il cielo stellato.
L’espressione del suo viso, mentre guardava la neve cadere attraverso la finestra, sognante, sorridente.
Lei fiduciosa e serena. Col vestito blu di Nur e la collana con il ciondolo che un tempo era stata di Maili.
Lui aveva mantenuto la sua promessa: le aveva fatto un ritratto, attingendo a ricordi lontani.
L’aveva ritratta anche senza di lei presente in carne e ossa. Meglio di quanto potesse immaginare. Cogliendo la sua vera essenza.
Sentì il viso infiammarsi. Avrebbe voluto contenersi ed essere controllata come le riusciva così bene in quegli ultimi anni. Invece le lacrime tracimarono e incurante di chi, guardandola imbarazzato, si allontanava impercettibilmente da lei in una strana sorta di rispetto, tirava su col naso guardando se stessa come avrebbe dovuto essere.
Con quel quadro il Sig. Korhonen era come se le stesse di nuovo sorridendo, rimproverandola di pensare troppo, di smetterla di parlare e lasciarsi andare ai propri sogni che, come aveva detto, a volte potevano rivelarsi migliori di ogni favola mai immaginata.
Su una targhetta posta in basso c’era scritto “Private Collection”.
«Sapevo che ti avrei trovata qui davanti, prima o poi.»
Sobbalzò al suono della voce vicinissima al suo orecchio.
Si girò lentamente.
«Ciao Matleena…»
«Ehi, che hai combinato ai capelli?»
La sua ex direttrice la guardava sorridendo.
«Ci ho dato un taglio.», rispose lei asciugandosi gli occhi.
«Allora: che ne pensi?», chiese facendo un gesto ad abbracciare la stanza.
Matleena non fece nulla per stringerla in un abbraccio o sperticarsi in inutili convenevoli, parlandole come se si fossero viste soltanto il giorno precedente e non fossero passati più di quattro anni.
«È bellissima… Non immaginavo… Non so che dire.»
«È il suo ultimo lavoro, sai?», disse ancora indicando il quadro davanti a loro.
Lou annuì, tornando a deglutire.
«Mi spiace non aver letto la mail prima…», mormorò debolmente.
«Non avrebbe fatto molta differenza: non era cosciente da mesi ormai.»
«Sono terribilmente desolata…»
Matleena in uno slancio affettuoso le batté la mano su una spalla.
«Lo so.»
La prese sottobraccio guidandola per il resto della mostra, senza dire una parola.
Stranamente le dava conforto passeggiare appoggiata a qualcuno che sembrava capirla senza bisogno di molte spiegazioni, come se le leggesse dentro le emozioni che si affollavano l’uno sull’altra, confusionarie e travolgenti, dandole il tempo di abituarsi.
«Quanto resti?», le chiese diretta come sempre, dopo un bel po’.
«Pochi giorni. Ho un aereo giovedì.»
«Capisco. Tre giorni per rivedere i vecchi amici, visitare di nuovo la città mi sembrano pochi.»
«Non contavo di rimanere più di tanto…», disse Lou a disagio.
Matleena si girò a guardarla in tralice.
«Lo sospettavo. Beh, nel caso tu cambiassi idea per qualsiasi motivo e decidessi di tornare fra noi e rimanere, qui hai sempre un posto che ti aspetta.», disse la donna.
Era più di quanto ci si potesse aspettare da lei: il massimo della dimostrazione di affetto.
«Lo so, Matleena. Grazie.»
La sua voce dovette risultare più fredda di quanto volesse perché la donna non nascose un pizzico di delusione.
Di nuovo. Sembrava non facesse altro che deludere le persone a lei care, ultimamente.
Si fermarono davanti a una foto in bianco e nero.
C’era il suo caro Sig. Korhonen intento a dipingere il suo ritratto ancora abbozzato.
Chi lo aveva fotografato lo aveva colto quasi di sorpresa o tale era l’intento. Come qualcuno che in silenzio osservava l’artista al lavoro e avesse voluto coglierne un istante.
Lou guardò le mani nodose dell’anziano che stringevano caparbie il pennello e l’espressione del viso concentrata. Chiunque avesse scattato quell’istantanea aveva la sua invidia: lei avrebbe tanto voluto essere al suo posto.
“Photo by V.V.”
Solo due lettere. Le sue iniziali.
Inspirò a fondo.
«Sì, è stato lui a scattare la foto. Era spesso con Aappo negli ultimi tempi. Passavano molto tempo insieme.», disse Matleena tornando a leggerle nella mente.
«Sono contenta che alla fine si siano conosciuti.», disse con voce strozzata.
«Erano molto più simili di quanto loro stessi non credessero.», disse Matleena guardando intensamente la foto.
«L’ho sempre pensato anche io: era per quello che mi trovavo a mio agio con entrambi.»
Matleena le strinse nuovamente il braccio a mo’ di conforto.
«Finisci di guardare la mostra. Fai con calma, prenditi tutto il tempo che vuoi. Ma prima di andare via passa nel mio ufficio. Non osare sparire senza prima salutarmi.», aggiunse seccamente.
«Te lo prometto.»
La guardò sollevando un sopracciglio.
«Le mie promesse fanno acqua da tutte le parti, lo so bene: ma tu mi metti una paura fottuta e non voglio farti mica incazzare!», disse lei ironica.
La donna rise brevemente.
«Sarà meglio per te, ragazzina.», disse girando sui tacchi tornando al suo lavoro.
Lou sorrise a sua volta. Tutto cambia e nulla cambia.
Guardò la foto.
Lentamente fece amicizia col pensiero di Ville e il suo tenero Sig. Korhonen insieme.
Li immaginava senza sforzo a parlare di arte e musica, a bere tranquillamente il tè nei pomeriggi bui nel salottino elegante, tra quadri e foto e ricordi.
Si chiese come Ville avesse visto e vissuto tutta la faccenda del quadro.
Se il suo amico artista l’aveva dipinta, allora in qualche modo Ville si ricordava ancora di lei.
Non l’aveva dimenticata subito come Amy le aveva detto al telefono.
Trovò un posto libero su uno dei tanti posti a sedere, rettangoli bianchi di plastica e acciaio che fungevano da sedie.
Spianò la brochure rovinata, lisciandone gli angoli e iniziò a leggere la biografia dedicata al suo amico, alzando di tanto in tanto gli occhi sull’opera citata, per poi tornare sempre alla foto in bianco e nero.
Era confortante sapere che quei due uomini che avevano significato così tanto per lei, erano stati vicini.
Sapere che Ville era stato accanto al Sig. Korhonen fino alla fine le riempiva il cuore.
Era una cosa bella. Non era da solo.
Per qualche istante dimenticò anche i suoi sensi di colpa verso entrambi.
Ora che l’emozione di essere lì ed essere parte integrante dell’opera ultima del suo amico stava diventandole familiare, si prese il tempo di godere della mostra con la sua parte professionale.
Le ore passarono in fretta mentre lei studiava i quadri.
Si rese conto che era ora di chiudere quando una delle hostess le passò accanto, schiarendosi la voce, guardandola in attesa che lei si levasse di torno.
Si alzò in fretta, notando anche di essere l’unica visitatrice rimasta, e avviandosi all’ufficio di Matleena diede un ultimo sguardo alla foto.
Bussò con discrezione alla porta e la voce della donna la invitò ad entrare.
La trovò a piedi nudi, con le lunghe gambe magre appoggiate sulla scrivania.
«Anni e anni di tacchi alti e io non mi abituo ancora alla loro scomodità.», le disse.
«Mai fatto amicizia con loro.», rispose lei, sedendosi di fronte alla donna.
Matleena la studiò brevemente, passando in rassegna ogni dettaglio del viso di Lou.
«Allora. Che cosa combini in Italia? L’ultima tua mail risale a più di un anno fa.», la rimproverò gelida.
«Niente di esaltante.», rispose Lou. Non era in vena di conversazioni sulla propria vita.
La donna annuì, rassegnata: sapeva che non era il caso di insistere con Lou.
«Ho una cosa per te.», disse alzandosi all’improvviso e si diresse verso il quadro che nascondeva la cassetta di sicurezza dove conservava i documenti più importanti.
«È per questo che ho preteso che tu fossi qui: ho promesso ad Aappo che ti avrei consegnato questa cosa soltanto di persona.»
Tornò alla scrivania e le porse un pacco piatto, incartato con carta vellutata rosso scuro.
Lou lo prese, perplessa. Era piuttosto pesante.
«È per me? Sai cosa c’è dentro?», chiese a Matleena.
«Ovviamente no. Non ho chiesto. Ho soltanto promesso che te lo avrei dato personalmente.»
«Allora grazie…», disse Lou non sapendo cos’altro aggiungere.
«Non lo apri?»
«Vorrei farlo quando sono da sola, spero non ti spiaccia.»
Matleena alzò le sopracciglia ben curate.
«È una tua scelta, anche se sono molto curiosa.», ammise ridacchiando.
Lou rispose al sorriso ma con la mente già altrove: non vedeva l’ora di essere sola nella sua stanza d’albergo per poter aprire il pacco.
Lo infilò nella sua borsa nera: era una fortuna che amasse le borse enormi e capienti.
«È una retrospettiva bellissima, Matleena.», disse per spezzare il silenzio.
«Sì, abbiamo fatto un bel lavoro di squadra. Tu avresti fatto di meglio, ma non posso lamentarmi.»
«Sei esagerata, non hai bisogno di me per tutto questo!», fece un gesto ampio.
«Uhm. Sono abitudinaria e non mi piacciono i cambiamenti, lo sai.», le sorrise.
«Mi piacerebbe prendere un caffè con te domani, o quando sarai libera. Mi racconterai le novità e i tuoi progetti che oggi non hai voluto condividere con me.», aggiunse severa.
«Ma certo.», ridacchiò Lou sotto i baffi. Matleena la stava gentilmente congedando, così si alzò di nuovo.
«Allora a domani. E di nuovo complimenti per tutto… posso tornare di nuovo a vederla, prima di ripartire, vero?»
«Ma che domande: ovvio che sì!», sbottò la donna, alzandosi a sua volta, avvicinandosi a lei.
Lou la strinse in un abbraccio: Matleena rimase rigida per un secondo, poi ricambiò la stretta.
«Mi era mancato il tipico calore italiano!», ridacchiò.
«E a me il freddo distacco finlandese!», ribatté Lou, ridendo.

 


******





"Angolo dell'autrice:
Ciao a tutti! Il tempo passa e infine siamo giunti quasi alla fine. Non mi sembra vero: ho iniziato questa storia per gioco, non ci credevo neanche io e soprattutto non credevo che sarebbe mai potuta interessare a qualcuno.
Nel frattempo sono successe innumerevoli cose e tutte grazie agli HIM.
So che molte pensavano che Lou sarebbe andata al concerto... ma che autrice sadica sarei se avessi fatto ciò che tutte si aspettavano? :D
Devo mantenere alta la nomea di bastarda sadica!
Spero che in ogni caso il finale, (che è nel prossimo capitolo eh!), non deluda nessuno!
Nel caso vi lascio il mio indirizzo di casa: potete venire a picchiarmi! :D

Voglio ringraziare le gentili donzelle che come sempre hanno recensito l'ultimo capitolo:
Dadda_HIM, Lady Angel 2002, cla_mika, katvil, DarkViolet92, apinacuriosaEchelon, LilyValo, saraligorio1993, Izmargad, renyoldcrazy.


*Per il titolo al capitolo mi sono ispirata  a Stratovarius - Winter Skies

E niente...ci si rivedere perl'ultimo! Abbraccio forte a tutte!

Vi aspetto nel Gruppo Facebook dedicato alle discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e Ville!

Siete le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,

*H_T*




testo.
   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > HIM / Vai alla pagina dell'autore: Heaven_Tonight