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Autore: AlexEinfall    29/06/2015    2 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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24

La notte ci divora


(Un mese prima)
 

   Tony scrollò le spalle, cercando di sopprimere l'istintivo senso di pericolo che lo aveva afferrato quando era entrato nel condominio. Le scale buie, la musica alta che trasudava dalla porta e i passi pesanti sopra la sua testa non aiutavano affatto.
   «Okay, ora o mai più» mormorò, prima di alzare un pugno per bussare.
   Al primo tocco, nessuno rispose. Tentò ancora, ma nulla. Decise quindi di premere il campanello. Aveva già alzato l'indice quando la musica scemò e i catenacci cominciarono a essere tirati. Sull'uscio apparve un ragazzino sudamericano avviluppato in una pesante felpa, gli occhi neri che lo indagavano con sospetto.
  «Cerco Tyrone» riuscì a dire Tony.
  Il ragazzo poggiò una mano sullo stipite, continuando a guardarlo con diffidenza.
  «Sono un amico di Lou» spiegò l'italiano, spostando il peso da un piede all'altro. «New York.»
  Al nome della città, una pesante mano tirò indietro il ragazzino, che si fece da parte per far spazio a un uomo sulla trentina, il volto affilato e lo sguardo penetrante. Tony non aveva la minima idea di che aspetto avesse Tyrone, ma a giudicare dalle catene d'oro massiccio e dalla postura aggressiva, immaginò che fosse l'uomo che ora lo troneggiava.
  «Ti manda Lou?» chiese con voce abrasiva.
  Tony annuì con decisione, chidendosi se mai avrebbe avuto il coraggio di non scappare in quell'esatto istante se la situazione non fosse stata così disperata.
  «Entra.»
  L'italiano seguì l'invito come un ordine, entrando nell'appartamento e guardandosi subito attorno, come se attendesse da un momento all'altro di ritrovarsi una pistola alla tempia. Seguì il ragazzino nel salotto, dove altri due uomini erano chini su un tavolino a trafficare con chissà quale droga. Tony non era un esperto di sostanze stupefacenti e non ci teneva troppo a diventarlo. Tyrone si abbandonò alla poltrona e fece un cenno del capo al ragazzino.
  «Felipe, cervezas
  Felipe scomparì in una piccola cucina, tornando con quattro birre dalla marca sconosciuta. Tony riuscì a berne solo un sorso, prima di sentire la bile risalirgli.
  «Allora, che vuoi?» sputò fuori Tyrone.
  Intuendo che la pazienza dell'uomo fosse davvero limitata, Tony rispose in fretta: «Mi serve aiuto. Lou mi ha detto che se venivo a Chicago e avevo problemi, potevo venire da te.»
  La cosa doveva essere di un umorismo che lui non capiva, perché Tyrone rise, trascinando con sé i due ragazzi seduti sul divano. Solo Felipe condivideva la sua confusione, ritto contro un muro. Forse, si disse Tony, quel ragazzino non capiva una parola di inglese.
  «Lou dice molte cose. E tu saresti?»
  «Tony, Messer.»
  «A che ti serve il mio aiuto? Donne? Droga? Uomini?»
  Ancora una volta, la stanza si riempì di risate grasse, mentre il nervosismo di Tony aumentava.
  «Io...» si schiarì la voce, arrischiandosi a fissare dritto Tyrone. «Ho fatto un casino e ora mi cercano. C'era questo vigile del fuoco e io avevo bisogno che chiudesse la bocca, per la mia famiglia, capisci? Quindi sono andato a casa sua e-»
  «Fermo» ringhiò Tyrone, chinandosi in avanti. «Non voglio sapere i fatti tuoi. Voglio solo sapere che vuoi da me.»
  «Devo sparire per un po', ma non posso lasciare Chicago. La polizia mi sta alle costole.»
  Tyrone reclinò la schiena contro i cuscini, grattandosi il mento come se riflettesse su questioni profonde.
  «Lou è un amico, lo sai? Te l'ha detto che gli devo un favore?»
  Tony annuì, incerto se ringraziare o maledire il suo amico di New Tork.
  «Miguel, occupatene tu» disse Tyrone, facendo scattare la testa di uno dei ragazzi.
  Miguel guardò Tony e ghignò, annuendo poi al capo.
  «Ho un posto dove puoi stare finché le acque non si calmano» disse Tyrone, puntandogli un dito contro. «Ma tu non mi conosci, intesi? Fai il mio nome e sei morto.»
  Tony deglutì a fatica: non c'era modo che quella frase di circostanza fosse davvero di circostanza.



(Presente)

   Quando Matt aveva invitato Shay in uno dei club gay preferiti dalla bionda, aveva realmente pensato fosse una buona idea, anche carina. Sentiva di dover tornare nel flusso della civiltà, e di dover in qualche modo portare un po' di gioia anche a lei. In fondo, aveva vissuto sulla pelle gli alti e bassi dell'ultimo mese e più, e certamente per lei non doveva essere stato semplice galleggiare nella marea che lui e Kelly avevano portato nell'appartamento.
   Più il tempo e i corpi intorno a lui scivolavano, più Matt cominciava a ricredersi.
   La musica ad alto volume pulsava come un orrendo cuore scalpitante in una gabbia d'acciaio. Matt alzò lo sguardo e storse le labbra alla vista delle lamine di ferro e rame sistemate tutt'intorno alle mura interne del locale. Quello che doveva essere un particolare all'avanguardia e innovativo, si mostrava una mostruosità sia per gli occhi che per le orecchie. Il suono proveniente dalle casse sembrava tagliare le lamine, che vibravano e sfregavano tra loro, aggiungendo altro rumore alla già palese cacofonia dell'ambiente. Matt, bicchiere alla mano e dita distrattamente a giocherellare con la cannuccia, non poteva fare a meno di notare tutti gli orrori di costruzione del Galapagos, chiedendosi come i proprietari avessero ottenuto la liceanza per aprire.
   Lo sguardo gli cadde sulle due ragazze all'altro capo del tavolino, rilassate contro i cuscini del divanetto. Inclinò di lato la testa, in un gesto instintivo, come a voler mettere a fuoco ciò che c'era oltre gli occhi di un osservatore. Shay scelse quel momento per distogliere lo sguardo dalla propria mano nascosta sotto il tavolino -sicuramente intenta a carezzare la gamba di Sam- e puntarlo su di lui.
  Si accigliò in una muta domanda, poi roteò gli occhi e fece un cenno a un cameriere di passaggio.
  «Hai decisamente bisogno di bere» disse come spiegazione.
   Sam rise, poggiandosi più pesantemente alla spalla della compagna, palesando nel gesto il grado di alchol nelle sue vene. Solo allora Matt abbassò lo sguardo sul proprio drink, trovandolo ormai agli sgoccioli. Restavano appena due piccole fragole sul fondo, annegate in due dita di ghiaccio sciolto. Non riusciva a capacitarsi come avesse fatto a finirlo, dato che quel tipo di drink fruttato era troppo dolciastro per i suoi gusti. Sicuramente doveva avere qualcosa a che fare con il lungo mese passato a bere solo qualche birra. Non lo avrebbe ammesso ad alta voce, ma l'alchol gli era mancato.
   Rise della propria distrazione e alzò le mani in resa, sentendosi leggermente più leggero e ubriaco quando si accorse che i corpi che affollavano la pista da ballo cominciavano a sembrargli confusi.
  Concentrandosi sulle vibrazioni propagate dalle casse della sala, e riverberate dalle orrende lamine alle mura, gli parve di avvertire qualcosa nella tasca. Estrasse il cellulare, scoprendosi deluso nel notare che non aveva ricevuto alcuna chiamata o messaggio.
  «Terra chiama il Tenente Casey!»
   Matt sobbalzò, rischiando di far scivolare a terra il cellulare. Lo infilò velocemente in tasca, rivolgendo uno sguardo di scusa a Shay. La bionda sorrise, gli occhi brillanti per l'euforia data dalla buona dose di alchol. Fece un gesto confuso della mano, indicando il drink che era stato posato davanti a lui.
   Non si era accorto dell'avvicinarsi del cameriere. Questo pensiero lo assorbì per un minuto buono. La sua mente, per quanto cercava di distrarsi con tutto ciò che lo circondava, restava risucchiata in un unico buco nero di domande. Tutti i suoi pensieri, anche quelli che cercavano di rifuggire all'esterno, gravitavano intorno all'orbita di Kelly. Il comportamento del compagno, anche tornati a casa, era stato elusivo, e Matt non poteva fare a meno di rimanerne perplesso. Il sospetto era sempre dietro l'angolo, anche se lui cercava di fuggirne il più possibile.
  Ignorando la sensazione di umidità sui palmi delle mani data dal bicchiere ghiacciato, Matt poteva ancora sentire sotto le dita i fianchi tonici di Kelly. Amava carezzare la curva dell'osso del bacino, fino a trovare quel punto in cui i muscoli cominciavano a flettersi sull'addome, solleticati dal suo tocco. Prima di uscire, aveva posato le sue mani in quel punto sensibile e Kelly gli aveva sorriso, chinandosi per baciarlo. Un gesto semplice, quotidiano, ma che aveva qavuto una sfumatura strana, come se qualcosa non fosse al suo posto. Matt non se ne vantava, ma doveva ammettere di essere un bugiardo migliore del suo compagno, e questo, unito alla conoscenza di ogni sfumatura dell'espressione di Kelly, nel tempo aveva affinato la sua capacità di cogliere gli indizi di menzogna da parte sua. Un breve tremolio appena sotto l'occhio sinistro, indice che il sorriso richiedesse uno sforzo immenso per essere tenuto al suo posto, e l'assenza di quelle rughette intorno agli occhi erano per lui indizi lampanti.
   Arrotolava più e più volte nella mente l'ultima conversazione avuta, cercando in essa qualcosa che gli era sfuggito.

   «Coming out con il boss, Tenente. Devo ammetterlo, non me lo aspettavo.»
   Kelly gli posò un palmo sulla guancia, e Matt cercò di non badare a quanto la sua pelle fosse calda e sudata. Era una cosa che a Kelly succedeva spesso, quando era nervoso.
  Invece, si concentrò sui fianchi nudi del compagno, carezzandoli fino a fermare le dita sulle sporgenze del bacino. Diede una veloce stretta e lo guardò negli occhi. Lo sguardo stanco di Kelly era rivolto al suo collo.
  «Sei solo invidioso perché non sei stato tu a dirlo per prima» lo canzonò Kelly.
  Matt roteò gli occhi, sbuffando.
  «Certo, come no? Avevo preparato anche un bel discorso. Qualcosa tipo "senta, capo, io e Kelly scopiamo fino alla distruzione dopo ogni turno, e mentre siamo di turno non pensiamo ad altro che-"»
  La sua tirata rimase in sospeso, rotta da un gemito. Kelly stava giocando con il suo collo, solleticandolo con la lingua senza pietà.
  Matt spinse più a fondo le dita nella pelle sensibile dei fianchi del compagno, fino al limite con il dolore.
  Kelly grugnì sulla sua pelle, ma capì il segnale e alzò il mento. Invece che guardarlo negli occhi come Matt voleva, lo baciò.
  Il biondo si sottrasse al bacio, finalmente legando il suo sguardo a quello del moro.
  «Non mi nascondi nulla, vero?»
  E se prima aveva dubitato dei propri sospetti, ora non poteva che sentirli luccicare nella sua mente. Kelly non rispose, afferrandogli la nuca e baciandolo. Il suo sorriso non aveva nulla di naturale.

   «Kelly è un idiota» bornottò Shay.
   Matt sobbalzò, tornando alla realtà così di colpo da riuscire quasi a sentire un crack da qualche parte nella sua testa. Aveva ricordato tutti i minimi particolari così bene che si chiese se non si fosse addormentato.
   «Se fosse venuto con noi, ora sarebbe un'altra storia.»
   Sam alzò lo sguardo dal proprio drink e sollevò le sopracciglia in direzione della compagna.
   «Okay» esalò Shay, alzando le mani e quasi urlando sopra la musica. «Non guardarmi così. Non sto mica dicendo che non mi sto divertendo.» Indicò Matt con un altro gesto impreciso della mano. «Ma lasciare lui così?» Come rendendosi conto di aver detto qualcosa che potesse sembrare offensivo, lentamente si voltò e incrociò lo sguardo di Matt. «Voglio dire...non è che...»
   Matt rise, sorprendendo entrambe le ragazze.
   Kelly era strano la metà del tempo, perché lui avrebbe dovuto preoccuparsi così tanto? Non era forse l'eccessivo peso che dava alle cose ad avergli dato tanti guai? Non era forse la sua cautela, il fermarsi e pensare, il cercare sempre di capire per poter reagire a tempo, ad aver dato a lui e al compagno tante attese e rimpianti?
   Sapeva che se avesse continuato a pensarci tutta la sera, sarebbe tornato a casa di cattivo umore, per trovare il compagno di un umore non migliore. Da lì a un litigio il passo sarebbe stato breve.
   Per una volta, Matt decise che fosse giusto lasciar andare la presa sui suoi pensieri. Doveva semplicemente fidarsi della consapevolezza che Kelly gli avrebbe parlato di cosa lo preoccupava. Prima o poi.
   Sapeva che l'alchol era in grossa parte responsabile della propria improvvisa leggerenza, ma non gli importava. Cedere il controllo, a volte, era davvero tutto ciò che il suo corpo e la sua mente chiedevano.
   Bevve in pochi sorsi il resto del suo drink e si alzò.
   I suoi pensieri cominciava a diventare fugaci, difficili da focalizzare. Ne fu soddisfatto.
   Tese la mano a Sam, alzando poi l'altra per Shay.
   «Al diavolo Kelly» disse, con un grosso ghigno. «Mi concedete un ballo?»
   Sam scoppiò a ridere, accettando la mano tesa e afferrando con l'altra quella di Shay.
   «Questo si che è parlare, Tenente» urlò Shay, incespicando nei propri piedi.




  Il viaggio nell'auto di Voight fu silenzioso. Kelly guardava oltre il parabrezza un punto fisso nel cielo, stringendo le mascelle e le dita sulle proprie gambe. Non si curava del silenzio, perché non gli importava che ci fosse. Quell'invisibile presenza sembrava essere comoda ad entrambi.
  Solo quando il veicolo rallentò e si immise in un vicolo, Voight sembrò ricordarsi di avere compagnia. Spense il motore e sospirò.
  «Okay, ora ti spiego cosa succederà» disse.
  Attese un cenno di comprensione dall'altro, prima di continuare.
  «Quello lì è il covo di Tyrone.»
  Indicò con un pollice alle loro spalle, ma Kelly non si curò di voltarsi e seguire il gesto. I suoi occhi rimasero fissi in quelli del detective.
  «Entriamo, io faccio qualche domanda e usciamo. Niente cazzate, intesi? Se riscaldi la situazione, ti porto via a calci.»
  Kelly sbottò in una risata isterica. Solo ora si rendeva conto del proprio nervosismo. Le dita della mano destra stringeva il tessuto dei jeans così forte che sentiva la carne al di sotto bruciare.
  Scese dall'auto prima che Voight potesse aggiungere altro. Nel freddo che appena riusciva a scalfire la sua coscienza, la realtà della situazione lo colpì, affondando in lui. Fu un attimo di esitazione, prima che il suono dello sportello che veniva chiuso lo riscosse.
  «Sei pronto?»
  Annuì e seguì Voight, attraversando la strada in automatico. Era pericoloso, quello che stava facendo, e non era così stupido da non figurarsi tutto quello che sarebbe potuto andare storto. Certamente non gli sfuggiva che si trattava di Voight, e che questa volta Antonio non era presente. Il detective Dowson, all'inizio delle indagini, aveva sempre dato a Kelly la sensazione che le cose fossero sotto controllo. In qualche modo, rappresentava per lui l'altro lato della medaglia che Voight incarnava nel suo ghigno freddo. Antonio era la giustizia, Voight era invece qualcosa che Kelly non voleva accettare. Qualcosa con cui lui sapeva fosse meglio non mischiarsi.
   Salendo le buie scale del condominio, con la luce dei fari stradali che si insinuava dalle finestrelle, Kelly capì che ormai era troppo tardi per i ripensamenti.
  Quando si ritrovò davanti alla porta di Tyrone, non certo di come ci fosse arrivato, scoprì che il battito del proprio cuore sovrastava ogni altro rumore. Fu come in uno stato ipnotico che vide il detecive alzare un pugno e bussare alla porta.
  Ogni dubbio si dissipò e nella sua mente si imposero gli occhi crudeli di Anthony Messer, così come lui li aveva visti nel suo sogno. Le immagini dell'ultimo mese, delle agonie e dei tormenti di Matt, presero il posto di tutto ciò che di positivo era accaduto. In quel momento nel suo cuore c'era solo rabbia.
  Kelly scrollò di dosso l'immagine dello sguardo ferito di Matt. Lui stava facendo lo cosa giusta, no? E poi da quanto a Kelly Severide servivano giustificazioni? Non è che stesse commettendo alcun crimine -o almeno sperava. Stava solo aiutando Voight nelle indagini.
  La priorità era cercare i responsabili, gli uomini che avevano quasi ucciso la persona che amava.
  Come poteva un fine così nobile essere una cosa negativa?
  Si riscosse al suono di catenacci che venivano tirati.
  La porta si aprì di uno spiraglio, poi completamente. Kelly trattenne il respiro, ma ciò che si trovò davanti fu del tutto imprevisto.
  Gli venne quasi da ridere.
  «Cerco Tyrone» disse Voight.
  Il ragazzino sull'uscio li fissò uno ad uno con i suoi grandi occhi neri, così profondi che era difficile distinguerne le pupille.
  Voight sollevò le sopracciglia in attesa.
  Il ragazzino lo guardò come se nessuno avesse parlato.
  Il detective ripetette irritato, a voce più alta: «Busco Tyrone. È qui, no? Digli che Voight lo cerca.»
  A quelle parole, si udì una voce provenire dall'interno dell'appartamento.
  «Oi, Felipe! Es un amigo, puede entrar
  Il ragazzino si fece da parte senza patter ciglio, lasciandoli entrare e richiudendo la porta alle loro spalle.
  «Ah, Voight! Non mi aspettavo di vederti così-»
  La voce si bloccò quando Voight entrò nel piccolo salotto. Seduto su una poltrona, un uomo dai lineamenti appuntiti e la pelle olivastra alzò lo sguardo dalla sua rivista. Il suo sguardo si fissò su Kelly, tornando subito a Voight con un cipiglio.
  «Chi diavolo è lui?»
  «Un vigile del fuoco» disse Voight con semplicità.
  Allo sguardo sospettoso dell'uomo, si rivolse a Kelly: «Mostraglielo, Severide.»
  Nulla di questa situazione gli piaceva, ma infilò comunque la mano nella tasca della giacca e ne estrasse il distintivo che Voight gli aveva fatto portare. Lo mostrò a quello che presupponeva essere Tyrone.
  L'uomo lo scrutò, quindi guardò uno dei ragazzi seduti sul divano.
  «Hey, Nando. Controlla: Caserma 51. Kelly Severide.»
  Il ragazzo annuì e aprì il pc. Kelly seguì il tutto in silenzio, sentendosi esposto e irritato. Alle spalle di Tyrone, il ragazzino, Felipe, osservava con cura lo schermo del pc.
  «Positivo, capo» disse Nando, voltando il dispositivo perché Tyrone potesse controllare.
  Kelly inclinò la testa, scrutando Felipe. Forse la sua mente gli stava davvero giocando brutti scherzi, perché per un attimo, appena il ragazzino alzò gli occhi dallo schermo per guardare lui, gli parve di vedere l'ombra dell'empatia in essi.
  Tornò alla realtà quando Tyrone parlò con voce più calma e tranquilla.
  «Tu e il tuo amico potete sedervi» disse con un ghigno.
  Kelly non credeva di riuscire a tenere il sedere fermo su una stupida sedia, ma sotto sprono di Voight ubbidì.
  «Allora, in cosa posso aiutarti, Voight?»
  Il detective estrasse dalla tasca due foto e le porse a Tyrone.
  «Mi servono questi due. Dimmi dove trovarli.»
  Le dita di Tyrone si serrarono intorno alle due foto, che gettò poi sul tavolino.
  «E non dirmi che non li hai mai visti» ammonì Voight. «Abbiamo preso un tuo uomo e sappiamo che tu hai dato una mano a quei due.»
  Sul divano i due ragazzi si scambiarono uno sguardo, ma non dissero nulla. Alle spalle di Tyrone, Felipe era ritto in piedi, le mani strette dietro la schiena e i capelli corvini che si confondevano con il cielo scuro oltre le finestre. Tutti erano immobili e Kelly sentì di star per esplodere. I lineamenti dei mobili sembravano sfumare, mentre all'angolo del suo ristretto campo visivo il divano con i due ragazzi sembrava svanire in un alone scuro. Poteva sentire distintamente in gola le pulsazioni aumentare ad un ritmo allarmante. L'adrenalina gli tendeva i muscoli. Cercò di respirare a fondo attraverso le narici, ma tutto quello che ne ricavò fu una pungente sensazione di bruciore alla base del naso.
   Non gli interessava che tipo di rapporto ci fosse tra Voight e Tyrone, o cosa significasse la silente comunicazione di sguardi. Voleva solo risposte.
  Voight avvertì il suo nervosismo, il picchiettare a terra del piede e la tensione nei muscoli delle braccia.
   Prima di potergli lasciare il tempo di parlare, disse: «Avanti, Tyrone, sai che verrò a saperlo comunque. Dammi qualcosa e vedrò di ricompensarti.»
  Kelly era al limite.
  Ricompensarlo? Uno scambio?
  Non poteva credere che la vita di Matt, in quella giungla urbana, valesse così poco. Uno scambio di favori per ottenere la verità. Come le persone potessero dare un prezzo materiale a quel concetto gli era sempre sembrato un dilemma atroce.
  Tyrone sorrise e accese una sigaretta.
  «Vorrei aiutarti, amigo, ma non posso» disse, esalando nell'aria il fumo acre. Strinse la stecca tra le dita e scosse la testa.
  Con un gesto vago della mano, indicò le foto sul tavolino.
  «Quello viene da me e mi dice che ha bisogno di un posto dove stare, senza essere trovato. Ma non ho idea dove sia. Dovresti chiederlo a Miguel, ma il bastardo si è fatto ammazzare. Povero diavolo.»
  I due ragazzi chinarono il capo e chiusero gli occhi insieme a Tyrone. Solo Felipe rimase impassibile.
  «Chi altro sa dove sono?» pressò Voight.
  «Nessuno. Fosse per me avrei piantato una pallottola nella testa del ragazzo, quell'italiano. Mai piaciuti. Ma che vuoi farci, un favore è un favore, no?»
  Kelly non aveva idea di cosa stesse parlando, ma non gli importava. Tyrone sorrideva, ghignava, rideva, e tutto quello che lui riusciva a pensare era la voglia di spaccargli i denti.
  Per la seconda volta, gli occhi castani di Tyrone si fermarono sui suoi. In essi c'era una linea di derisione che gli diede ai nervi.
  «Cosa, è per un tuo amico? Parlava di un vigile del fuoco. Caliente
  Nella sua voce c'era la beffa e lo scherno. Quando esalò il fumo sul suo volto, Kelly perse ogni razionalità, quasi quella nebbia si fosse insinuata nella sua mente, sciogliendo ogni freno.
  Scattò in piedi e gli puntò un dito contro.
  «Dimmi dove diavolo sono! Giuro che ti ammazzo se non parli!»
  Voight gli afferrò la manica della giacca, tirandolo via. Prima che Kelly potesse fare altro, si ritrovò sul pianerottolo. Voight lo guardò dall'uscio, prima di sbattere la porta e lasciarlo fuori.
  Kelly fu tentato di prendere a pugni qualcosa, qualunque cosa. Misurò lo spazio davanti alla porta, avanti e indietro, respirando pesantemente. Passò le mani tra i capelli, sul volto, sulle braccia, finché sentì di cominciare a calmarsi.
  Poggiò la schiena al muro opposto alla porta, sapendo che non poteva far altro che aspettare.
  Chiuse gli occhi, pizzicando la base del naso. Un terribile mal di testa cominciava a tamburellare in fondo al cranio, insinuandosi come zampe di ragno su tutta la parte destra della testa. Non aveva creduto di star trattenendo così tanto la rabbia. Solo quando era scattato aveva capito di star mantenendo il controllo per non esplodere.
  Non gli sembrava reale, nulla di tutto questo. Né Tyrone, né Felipe e né tantomento la conversazione che era avvenuta in quel salotto. Era come vedere un film e non poter far nulla per cambiare il destino die suoi personaggi. E ora era stato chiuso fuori dal teatro, dietro le quinte, ad immaginare senza poter vedere.
   Sentiva gli occhi pizzicare e sapeva non era solo il mal di testa. Li serrò ancora, cercando di reprimere le lacrime. Non poteva piangere, non ora. Anche se si diceva che era il nervosismo e la testa pesante, sapeva di non potersi permettere quella debolezza.
   Forse aveva rovinato tutto, senza alcun motivo. E non solo l'opportunità di trovare i Messer. Quello che lo preoccupava era Matt.
  Aprì gli occhi, grugnendo in disappunto.
  Cosa diavolo sto facendo?
  Matt stava cercando di lasciarsi tutto alle spalle, di ricominciare, di trovare una chiusura. Kelly voleva lo stesso, ma ora capiva che aveva mal interpretato il punto finale. Per lui era la giustizia -no, la vendetta. Per Matt era la normalità.
  Aveva riaperto una ferità, gettato sale in essa, e ora era troppo tardi per riparare il danno. Ora Kelly sapeva che era sbagliato quello che stava facendo, ma la sua mente non riusciva ad andare avanti.   
   Fine nobile? Chi prendo in giro?
  In quel salotto sporco e opprimente, Kelly aveva sentito l'eccitazione della vendetta. Se avesse avuto di fronte uno dei Messer, ne era certo, lo avrebbe ucciso a mani nude.
  Un tuffo al cuore rischiò di farlo crollare sulle sue stesse gambe.
  Era terrorizzato da se stesso. Guardò le proprie mani tremanti, sentendole distanti dal proprio corpo.
  Confuso e disorientato, scese di fretta le scale e corse oltre la strada, incurante del clacson rabbioso di un'auto che lo sfiorò, mancandolo di pochi centimetri. Si poggiò pesantemente al cofano dell'auto di Voight, cercando di riprendere il respiro.
  Per un breve attimo, si chiese se anche Matt avesse provato lo stesso terrore e disgusto di sé, quando era stavo a un soffio dall'uccidere Voight.
  Estrasse dalla tasca il cellulare e compose di fretta il numero di Matt.
  Non sapeva cosa dire, voleva solo sentire la sua voce, ricordarsi cosa di buono ci fosse nel mondo. Gli sembrava che, insieme al fumo e all'aria stantia, sulla pelle si fosse attaccata anche tutta l'immondizia della civiltà.
  Portò il dispositivo all'orecchio, respirando pesantemente mentre la linea suonava a vuoto.
  «Che diavolo ti è preso?»
  Si voltò e guardò Voight, stringendo il cellulare più forte. Matt non rispose.
  «Tu!» sibilò Kelly, riponendo il cellulare nella giacca. Si avvicinò all'uomo per fronteggiarlo. «Ti pagano, eh? Per aiutarli a fare ad altri quello che hanno fatto a Matt!»
  «Non sai di cosa parli» lo liquidò Voight, cercando di oltrepassarlo.
  Kelly gli afferrò la manica della giacca e lo spintonò.
  «Okay» ringhiò Voight a denti stretti, risistemando la giacca. «Ora è meglio che ti calmi, o non risponderò delle mie azioni.» Alzò le mani per sottolineare il suo punto. «Ti dimentichi che non sono loro i responsabili, e che questa è la mia indagine.»
  «Perché diavolo mi hai portato, allora?»
  «Tu me lo hai chiesto!» urlò Voight. «Tu mi hai chiamato, tu lo hai voluto. Ma questo è l'ultimo favore che ti faccio, Severide. Ora sali in macchina e stai zitto.»
   Kelly non ebbe tempo di replicare. Il detective entrò nell'auto e mise in moto.
   Lanciò un ultimo sguardo al condimionio dall'altra parte della strada, chiedendosi quanti fossero i chilometri che avrebbe dovuto percorrere prima di lasciarsi tutto quello alle spalle.





   «Jeremy» disse Tyrone, palesando tutto il proprio disgusto.
  Nando sbuffò una risata di scherno, poggiando la schiena ai cuscini del divano, le braccia sulle spalliere e le gambe stese sul tavolino. Le foto dei Messer si stropicciarono sotto le sue scarpe.
  Lo sguardo di Tyrone lo rabbrividì, cancellandogli dal volto il sorriso.
  «Lo voglio morto, ora» grugnì il capo.
  «Lo hanno preso oggi, dobbiamo aspettare che lo trasferiscono al gabbio» commentò Leo, grattandosi il volto pallido con il palmo sudato della mano.
   Nando gli assestò una gomitata nelle costole, che lo riportò brevemente alla realtà. Guardò Tyrone, guindi abbassò lo sguardo, sentendosi agitato.
  «Certo, questo lo sai. Scusa, capo.»
  «Americanos» mormorò Tyrone, guardando Leo con disprezzo.
  Scosse la testa e strinse i pugni.
  «Non posso mettermi Voight contro. Jeremy deve chiudere la bocca una volta per tutte.»
  I due ragazzi annuirono di riflesso. Leo aprì una scatola di latta e tornò a fare l'unica cosa che sapeva fare decentemente: contare le buste di erba.
  Nando sospirò, grattandosi la nuca. Guardò Felipe, poggiato al muro alle spalle di Tyrone. Quel ragazzino non gli era mai piaciuto. Era troppo piccolo e magro per la sua età, quindi escluso che sapesse battersi come un uomo. Non lo aveva mai visto maneggiare armi, quindi probabilmente con una pistola in mano non avrebbe saputo che farci. Non sembrava neanche intelligente, perché sicuro non parlava mai.
  Forse era per questo che Tyrone se lo portava sempre dietro. Il silenzio era la fedeltà più grande.
  «Chi chiamo per il lavoro?» chiese alla fine, guardando Tyrone.
  «Armando. Ha già l'ergastolo sul collo, si sporcherà le mani per un po' di roba.»
  Nando annuì, reciprocando il ghigno di Tyrone.
  «Senti, capo, ma davvero non sai dove sono i Messer?»
  Tyrone scrollò le spalle e si alzò, infilando in tasca le sigarette e le chiavi dell'auto.
  Indicò con un pollice Felipe e sorrise.
  «Felipe è andato con Miguel per portarli via. Lo sa solo lui.»
  Nando guardò Felipe, che rimase impassibile, e rise di gusto.
  Non osava immaginare quanti segreti quel ragazzino si sarebbe portato nella tomba.






Note: Hi!
  Tengo a precisare che il mio spagnolo è un po' arruginito, e che per un paio di cose sono dovuta ricorrere a google, quindi per ogni errore (ora e in seguito) mi scuso. Se doveste notare qualche errore, come sempre ditemelo e provvederò a correggere. Altra piccola nota: per qualche ragione a me del tutto oscura, il mio computer ha deciso di cominciare a correggere l'italiano "dei" con il tedesco "die"; mi sembra di aver corretto ognuna di queste fastidiose correzioni (scusate il gioco di parole), ma se ne trovate altre scusatemi.
   Yep, capitolo un po' angst e un po' lunghetto, ma anche un necessario (un bel po', attualmente) alla storia. Verranno tempi migliori? Vengono sempre, prima o poi.
   Dovrei farlo? Non so, ma lo faccio lo stesso: ormai siamo ben oltre la metà della storia, quindi la fine si avvicina. Non sono ancora sicura di poter quantificare quanto resta da scrivere (tre, quattro, cinque capitoli?), ma la discesa è in corso.
   Grazie a chi mi segue e mi sprona e regala un po' del suo tempo a questa storia.
   A presto,
   Ax.
   

  
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