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Autore: haev    30/06/2015    5 recensioni
«Sono uscita.» rispose accarezzandogli i capelli.
«Per fare cosa?» domandò e aprì finalmente gli occhi.
«Per salvarti.» sussurrò Rion, ma era certa che il fratello l’avesse sentita e come sempre non aveva detto niente, così gli lasciò un bacio sulla fronte e uscì dalla camera.
[...]
Il castano si sorprese ad ammirarla e sentir nascere dentro di sé un senso di calma che non aveva mai provato. Aspirò il fumo e scosse la testa: non doveva affezionarsi a lei. Il suo compito era quello di renderla più loquace, di scavare dentro di lei e capire il motivo per cui amasse così tanto la solitudine.
[...]
Greta non si definiva una ragazza depressa, semplicemente aveva smesso di vivere e non sapeva nemmeno se a vent’anni si potesse dire di aver iniziato a vivere per davvero, aveva ancora davanti una vita piena di cose da fare, scoprire e lei aveva già rinunciato a tutto.
Peccato che il suo tutto fosse su un letto con una bandana in testa per la chemioterapia.
Completa.
Genere: Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Storia su WattPad: Mission || l.t.
And then I found out how hard it is to really change.
Even hell can get comfy once you’ve settled in.

I just wanted the numb inside me to leave.
No matter how fucked you get, there’s always hell when you come back down.
The funny thing is all I ever wanted I already had.
There’s glimpses of heaven in everything.
In the friends that I have, the music I make, the love that I feel.

I just had to start again.
-Hospital For Souls; Bring Me The Horizon

V
 
«Perché papà è così arrabbiato?» la voce soffusa di Evelyn riempì la stanza.
Louis alzò un sopraciglio a sentire la domanda di sua sorella, era venuta in camera sua una mezzoretta prima con lo scopo di passare un po’ di tempo col fratello prima che questi sarebbe uscito da casa.
«Non lo so, Eve.» rispose cercando una maglietta a maniche lunghe nera.
«Come no? Scusa, è arrabbiato con te, Lou.»
Il ragazzo si morse il labbro. Faticava ancora ad ammettere che sua sorella stesse crescendo, alcune volte la vedeva ancora come quell’esserino all’interno dell’incubatrice in ospedale, ma erano già passati sei anni e Evelyn stava diventando grande senza che lui se ne rendesse conto, presto sarebbe diventata una ragazza e lui non sarebbe stato più il suo mondo, quello da cui prendere esempio e da imitare. Non che avesse qualche capacità per essere copiato dalla sorella, ma cercava di impegnarsi per insegnarle qualcosa di decente.
Fatto sta che alcune volte la trattava come una bambina di due anni, non accorgendosi che sua sorella era sveglia.
«Papà mi odia.» mormorò infilandosi la maglietta e facendo un sorriso sarcastico alla sorella.
Evelyn lo guardò stupita: «Ma Lou, perché se ti odia ti porta a scuola, di dà i soldi e ti vuole bene? Perché ti vuole bene, vero, Lou?»
Louis trattenne una risata, non sapeva chi di più, tra lui e suo padre, odiasse l’altro.
«Certo che mi vuole bene.»
«E allora perché dici che ti odia?»
«Eve, ascoltami: il concetto di odio è molto esteso. Secondo me, ma questa non è opinione di tutti, c’è modo e modo di odiare. Hai presente quando fai un esercizio di matematica e non ti viene, e in quel momento senti di odiare più di te stessa la matematica? – La sorella annuì vigorosa – Ecco, quello è un modo di odiare, non odi per tutta la vita la matematica, ma solo in quel momento. Poi, per esempio, c’è l’odio duraturo, quello che ti dura per sempre e non puoi fare niente per fermarlo.»
La sorella lo guardò comprensiva, ma anche con un po’ di scetticismo negli occhi, alla fine domandò: «Papà non ti odia da tutta la vita, vero?»
«No, tesoro, no. – Mormorò indossando un paio di vans nere – Se mai è il contrario.»
«Tu lo odi?» domandò stupefatta.
«Credimi, Eve, arriverai anche tu a un’età in cui l’odio farà parte della tua vita quotidiana. Tutto sommato, però, non odio papà. – La rassicurò, anche se la bambina non sembrò crederci più di tanto – Ora, sono le nove e mezza, vuoi che ti accompagno a letto così puoi leggere il tuo libro?»
Evelyn scese dal letto tutta contenta, la conversazione avuta con il fratello poco prima l’aveva già abbandonata e andò saltellante in camera.
Louis la raggiunse sorridente, prendendo prima la giacca e le sigarette, una volta giunto in camera dalla sorella, le chiuse le tende e le rimboccò le coperte.
«Lou, quando torni dormi con me?» le chiese stringendo il suo coniglietto-peluche.
Louis sorrise e le accese l’abat-jour, «Certo, tesoro. Buona lettura.» e le diede un bacio sulla fronte.
«Ciao, Lou. Ti voglio bene.» sussurrò quasi.
«Anche io.» ricambiò e uscì chiudendosi la porta alle spalle.
Scese la scale e passò in cucina a salutare la madre, era merito suo se usciva quella sera, «Eve è in camera.»
«Grazie, Lou.» mormorò la donna accarezzandogli la guancia.
«Ciao, ma’.» disse afferrando il mazzo di chiavi.
«Non fare tardi.»
Louis sorrise tranquillo e uscì di casa, dopo aver respirato l’aria della sera, si accese una sigaretta.
 
Maxie si sistemò il cappellino di lana posato sui capelli biondo scuro e affondò le mani nelle tasche, la musica nelle sue orecchie rimbombava dando una colonna sonora alla sua passeggiata.
Adorava camminare, soffrendo di claustrofobia non prendeva mai autobus o treni, alcune volte aveva perfino timore a salire in macchina, se quest’ultima non era abbastanza spaziosa.
Per questo, aveva passato gran parte della sua vita a camminare e camminare, non a correre, era dell’idea che la vita andava presa con calma, calcolando ogni singola cosa e decidere il risultato finale. Voleva fare una divisione riducendo il suo giro d’amici? Maxie la faceva, senza problemi. Voleva fare una moltiplicazione aumentando il numero di accordi in una canzone? Nemmeno su questo il ragazzo si faceva drammi.
La vita era come una colonna sonora di un film, una sequenza di canzoni che andavano divise, moltiplicate, addizionate, sottratte tra di loro.
Il marciapiede era deserto, mentre sulla strada qualche volta passava una macchina, Maxie camminava tranquillo godendosi il primo album dei Queen. Giocherellava con i soldi in tasca e non vedeva l’ora di iniziare la serata, mettendo in pausa la sua colonna sonora personale.
Arrivò a un bivio e come tutti i sabati svoltò a destra, come tutti i sabati percorse il campo arido e come sempre giunse davanti a un condominio abbandonato.
Era grigio, ma la luna già alta nel cielo lo faceva apparire bianco con ombre nere. C’erano tantissime finestre, alcune rotte, altre aperte e altre ancora chiuse. Era un ritrovo per i senzatetto e per i drogati, eroinomani, cocainomani e alcolizzati, c’era un bel giro. Forse il migliore di tutto il quartiere.
Alcune persone erano poste sul ciglio della strada, come scheletri.
Maxie era così abituato a quella visione che non vi prestò nemmeno più attenzione, ma la gente lo guardava e lo invidiava. Lui aveva ancora una vita, non come loro che vivevano per la droga, aspettando che arrivasse la dose finale.
Erano fantasmi con un cuore funzionante e le vene imbrattate di droga, non sapevano neanche loro perché vivessero ancora, ormai la loro vita era andata sprecata.
C’era di tutto: ragazzi maggiorenni, adulti, qualche vecchio, persino alcuni ragazzini che erano entrati nel giro e non riuscivano più a uscire.
Maxie abbassò il volume della musica e si diresse dalla sua spacciatrice, era entrata nel giro da poco tempo, ma era riuscita subito a guadagnarsi la fama, infatti possedeva la roba più buona e a un prezzo uguale agli altri.
La ragazza, come tutti i sabati sera, era lì, appoggiata alla parete con il suo zainetto nero sulle spalle. Il cappuccio tirato sulla testa, nascondendole il viso. Maxie una volta aveva intravisto il mento bianco e tondo, ma nulla di più, le gambe addirittura erano nascoste nell’ombra, non permettendone la vista.
L’unica cosa che la ragazza mostrava erano la mani, bianche e candide, mani di una bambina.
La ragazza rimase impassibile fino a che Maxie si posizionò davanti a lei e sempre con le mani in tasca chiedeva: «Hai mezzo grammo di marijuana e un altro mezzo grammo di fumo?»
La ragazza allungò la mano e attese.
Maxie sorridendo pensò ‘prima i soldi’, così mise la mani in tasca e li tirò fuori.
La giovane li prese e li tenne in mano, successivamente, fece scivolare lo zaino dalle spalle e ne tirò fuori la roba, la passò a Maxie in due bustine differenti, poi  contò i soldi.
Maxie rimase lì a guardarla, alcune volte moriva dalla voglia di sapere chi ci fosse dietro quel cappuccio, ma poi si rifiutava e si diceva che se voleva rimanere nascosta un motivo c’era.
Si vide ritornare indietro cinque dollari, ma non li accettò e mormorò: «Hai un pacchetto di sigarette?»
Sempre rimanendo in silenzio, la ragazza gli diede un pacchetto di Marlboro. Il ragazzo lo afferrò e alzandolo in segno di saluto, se ne andò.
Mentre lasciava il posto sentì dei passi dietro di sé e voltandosi vide un ragazzo, grazie al riflesso della luna notò le sue pupille dilatate al massimo, Maxie capì che era in crisi d’astinenza.
Rialzò il volume della musica e iniziò a fare quella cosa che non aveva mai avuto intenzione di fare.
Iniziò a correre.
 
Rylee entrò nel bar e si avvicinò al bancone, mentre ordinava un cocktail notò da parte a sé un ragazzo, si accorse che aveva tutta l’aria di aspettare qualcuno. Si ricordò che Eric le aveva parlato di un ragazzo nuovo, le pareva si chiamasse Louis e sarebbe uscito con loro quella sera.
«Sei Louis?» domandò sorridente.
Le spalle del ragazzo si irrigidirono, ma il viso tranquillo che mostrò non faceva trasparire nemmeno un briciolo di frustrazione.
«Sì.» rispose sorridendo.
«Oh, per fortuna! Pensavo d’aver fatto una figura di merda. Piacere, sono Rylee.»
Louis allungò la mano e la strinse, la ragazza notò che le sue mani erano tiepide e la sua stretta forte e sicura, sorrise senza rendersene conto.
«Louis, piacere.» si presentò.
«Sei in classe con Maxie?» domandò.
«Sì, è lui che mi ha invitato questa sera.» e fece per aggiungere dell’altro, ma chiuse la bocca come se la cosa che dovesse chiedere fosse un argomento inappropriato.
I pensieri di Rylee andarono diretti a sua sorella, sapeva che Rion era nella stessa classe di Maxie, ma conoscendo sua sorella, sapeva per certa che non aveva destato la minima attenzione del castano. Rion era famosa per la sua capacità di rendersi invisibile e questo Rylee lo sapeva.
«Forse ha avuto qualche contrattempo nel prendere la roba.» disse la ragazza.
Entrambe le sopraciglia di Louis rizzarono verso l’alto: «La roba?»
«Oh, non lo sapevi? Si fuma, Louis. – Rylee scoppiò a ridere – Tranquillo, sei libero di non farlo, io mi concedo un tiro ogni tanto, sai, no? Quando tutto va di merda e vuoi dimenticare per un’oretta.»
«Allora mi sa che incomincerò subito da ‘sta sera.»
Per la prima volta Rylee guardò nel ghiaccio degli occhi di Louis e vi trovò così tanta rabbia che ne ebbe quasi paura.
Louis aveva la stessa espressione di suo fratello quando era costretto a sottoporsi a cure che lui non voleva fare.
Quella rabbia nei confronti del mondo, in se stesso per essere la persona che era, mangiava completamente gli occhi di Rich e ora quelli di Louis. Sembrava che la sua rabbia avesse ghiacciato i suoi occhi, rendendoli azzurri.
Louis, però, non chiedeva aiuto, era come se accettasse quell’ira, come se facesse parte di lui e forse era davvero nel suo carattere. La cosa che però fece più spavento a Rylee fu l’atteggiamento del ragazzo: loquace, tranquillo, divertente persino.
Si chiese da quanto convivesse con quel tormento, ma non voleva entrare in argomento.
Molti ritenevano Rylee una persona superficiale, perché non chiedeva mai niente di profondo, erano sempre domande di poco conto le sue. Nessuno, o pochi, sapevano che Rylee vedeva, capiva, sapeva, semplicemente se ne stava zitta perché era a conoscenza di quanto fosse faticoso parlare dei propri sentimenti in un certo periodo della proprio vita. Rylee era vista come la ragazza superficiale, questo perché lei era la prima a mostrare la sua superficialità.
Nessuno sapeva del cancro di suo fratello, o di quanto stesse male nel vedere sua sorella in costante solitudine, per il cuore spezzato che aveva nei confronti di Kevin.
Alcune volte era così contagiata dalla sua superficialità che non sentiva niente e allora faceva un tiro dalla canna di Maxie, quella droga le dava il buon senso di ritornare a fingere.
Morale della favola che era un’ottima attrice nel fingere che la sua vita fosse come un film.
«Non serve a niente sfuggire dai problemi.» mormorò al ragazzo.
«Per capire che si commette un errore, bisogna prima sbagliare.»
Stava per rispondere a Louis quando Maxie entrò nel bar tutto sudato e con il fiatone.
 
Rion riprese a respirare solamente quando Maxie iniziò a correre. Benedì quel tossico che aveva cercato di rubargli la sua roba, provocando paura nel cervello di Maxie.
Quando Rion aveva accettato quella sottospecie di lavoro, non avrebbe mai sognato di incontrare uno dei suoi compagni di classe. Indubbiamente molti della sua scuola andavano al giro per procurarsi la roba, ma mai, mai avrebbe pensato di incontrare Maxie. Ogni volta che lo vedeva, gli arti di Rion si irrigidivano e il suo respiro rimaneva bloccato, interrotto solo da piccoli sbuffi, fino a che il ragazzo non lasciava il posto.
Aveva paura di essere scoperta, di sentirsi nuda sotto lo sguardo di Maxie, quel ragazzo così particolare, dedito alla matematica e amante della musica.
Non sapeva cosa avrebbe fatto se Maxie l'avesse scoperta. L'avrebbe detto a sua sorella? Come avrebbe reagito? Nel giro era la spacciatrice più piccola, tutti gli altri erano ragazzi sui venticinque anni.
Maxie era l'unico cliente che Rion voleva evitare di avere, i suoi sentimenti diventavano burrascosi quando lo vedeva giungere alla sua postazione. Paura e timore, insieme al sollievo, perché il ragazzo era uno dei pochi che le faceva guadagnare davvero molto, gran parte del suo reddito era grazie lui.
Quella sera, per esempio, aveva comprato più roba del solito e Rion immaginò che fossero in molti, tra cui sua sorella. 
La ragazza sapeva che Rylee non fumava, ma più di una volta aveva annusato la sua giacca alla ricerca di puzzo di marijuana, ma non aveva sentito niente, comunque sia, aveva paura che sua sorella potesse iniziare e l'idea che pure a lei succedesse qualcosa, la faceva morire di paura.
Era come mettere una fine prematura alla sua missione.
Questo perché nel profondo teneva a Rylee.
Sperò vivamente che Maxie fosse uscito indenne dalla corsa con il tossico, tifava per lui ed era convinta che se ne fosse andato incolume.
Nessun drogato usciva dal giro, si limitava a giungere al bivio, poi tornava indietro, felice o immune.
Succedeva spesso che un tossico rincorreva un ragazzo, sano e giovane, per rubare della roba; ovviamente non erano droghe forti, ma quando uno è in astinenza qualsiasi cosa va bene.
Rion aveva imparato che i drogati non se la prendevano con gli spacciatori, per il semplice fatto che avevano paura di loro.
Prima di tutto uno spacciatore è di gran lunga più forte di loro, e anche una ragazza mingherlina come Rion sarebbe riuscita ad allontanarlo.
Secondo: uno spacciatore poteva rinfacciare tutti i debiti al tossico e parlando di soldi, egli sarebbe andato maggiormente in paranoia, e senza soldi e trovandosi a rota, non riusciva a capire più niente.
Quella era una delle regole che Rion imparò non appena aveva messo piede nel giro.
Un'altra era il fatto di nascondere la roba in un posto sicuro nel caso la polizia avesse fatto irruzione, come successe quella sera.
Rion vide le luci dei lampeggianti sul selciato, che si illuminò di rosso e blu, con tutta calma, uscì dal suo posto e si allontanò dal retro del condominio.
Sentì le portiere sbattere e lo scricchiolio dei sassi sul terreno, arrivò a un palo della luce e allungando la mano a un cespuglio lì vicino, prese il resto della roba, la mise nello zaino e riprese a camminare velocemente.
Il cespuglio in cui nascondeva la roba era un posto suggeritole da Bon, era strategico: fuori dal giro, ma molto vicino a esso. Molti spacciatori avevano un luogo sicuro, ma nessuno andava a prendere la roba degli altri, per il semplice fatto che si sarebbe creato il putiferio.
Nel giro di cinque minuti Rion si trovò su un marciapiede, totalmente lontana dal giro.
Vide l'insegna del bar aperto e sorridendo impercettibilmente, raggiunse il retro, bussò un paio di volte e subito sentì dei passi provenire dall'interno.
La porta si aprì e il volto radioso di Bon fece irruzione sotto la luce al neon.
Bon aveva una trentina d’anni, il viso asciutto con gli zigomi pronunciati, coperti da una barba che Rion non aveva idea da quanto non si rasasse. Le spalle erano larghe e le braccia muscolose per tutte le casse di bottiglie che era costretto a trasportare per via del bar. Il bacino, a dispetto delle braccia, era stretto e le gambe, fasciate da un paio di jeans blu scuro, erano magre.
«Guarda chi si rivede.» esclamò Bon appoggiandosi allo stipite, fissando la ragazza con un paio di occhi neri come la pece, tanto che, la pupilla era praticamente invisibile.
Rion facendo scomparire il sorriso dal volto si tolse lo zaino e ne estrasse il resto della roba, successivamente la passò al ragazzo.
«E’ successo qualcosa?»
«Polizia.» mormorò tranquilla e si accese una sigaretta.
Bon uscì dal bar e chiudendosi la porta alle spalle, ne scroccò una a Rion, fumava solo in compagnia.
«Mi chiedo sempre come riesci a scappare.» ironizzò, era stato proprio lui a insegnarle la scorciatoia dietro al condominio, la maggior parte delle cose che Rion sapeva riguardo il giro le aveva imparate grazie a Bon.
«Hai venduto poco quindi?»
Rion scosse la testa e disse: «Sono arrivata a centocinquanta.»
Bon emise un fischio, Rion doveva essere andata al ritrovo per le otto e mezza di sera ed erano solo venti alle undici, in circa due ore era riuscita a guadagnarsi un bel gruzzoletto.
Bon si occupava della finanza e la maggior parte delle volte lasciava sempre di più a Rion, ritenendo che la sua era una giusta causa. Inoltre, aveva altri spacciatori nella zona e perfino in altri quartieri di New York, ma Rion era la più brava. Nonostante fossero solo tre mesi che era nel giro, in quell’arco di tempo la ragazza aveva aumentato di gran lunga il suo stipendio in nero.
Molte volte si diceva che lei era nata per fare quel lavoro sporco, nella sua invisibilità suscitava interesse e quindi la gente andava da lei a provare la roba, costatandola buona.
«Tieniti cento.» mormorò spegnendo la sigaretta sul selciato.
Rion passò i soldi a Bon, il quale contò la sua parte e poi consegnò il resto alla ragazza.
«Senti Rion, pensi di continuare anche quando tutto sarà finito?»
Rion si innervosì, il problema era che non sapeva quando e come tutto sarebbe finito. Non voleva pensarci, erano pensieri che la portavano a una porta nera e dietro di essa c’era il nulla più totale. Suo fratello, vivo o morto? Lei, cosa avrebbe fatto della sua vita senza Rich? Si era accorta che negli ultimi tempi rifiutava le cure, alcune volte non prendeva nemmeno le pastiglie giornaliere, ma Rion aveva trovato in rete una cura che faceva proprio al caso di suo fratello e voleva che lui la provasse.
Molte volte si chiedeva se il suo era un ragionamento egoista, si chiedeva se quello che stesse facendo fosse giusto nei confronti di Rich. D’altronde suo fratello si era già arreso, ma lei lottava per entrambi, come poteva lottare quando uno dei guerrieri aveva gettato la spugna? Era come avere la vittoria in mano. Il punto era che la vittoria non consisteva in una medaglia, bensì in una vita umana.
«Non lo so, non ci penso mai.»
«E se morisse?»
«Bon, smettila, dio.» sussurrò scontrosa.
«Scusami, ma è un dato di fatto. – Mormorò – Tuo fratello non vuole ricevere cure e tu stai guadagnando soldi per niente.»
«Questi non sono cazzi tuoi, va bene? Tu mi dai la roba, io la vendo. Tu ti tieni un po’ dei soldi e il resto lo dai a me. Di quello che faccio dei soldi che mi dai non sono affari tuoi.»
«Stavo cercando di farti riflettere.»
«Lo so, ma il mio scopo è cercare una cura a mio fratello, anche se lui non la accetta.»
«Perché, Rion? Perché lottare quando si è già arrivati alla fine?»
«Perché sono disperata.» sussurrò, e senza salutare si allontanò dal bar.
 
Un isolato più in là, nel retro di un bar, sotto un palo che emanava una luce gialla e fioca, Maxie stava rollando una canna, era l’ultima.
Non gli piaceva il fumo, l’hashish gli faceva salire la depressione, invece la marijuana lo faceva andare letteralmente in estasi, si sentiva tre metri sopra al cielo.
Non avendo mai provato un acido non sapeva cosa significasse andare in trip, ma con la marijuana la sua felicità non era paragonabile a nulla.
«Hai gli occhi che sono rossissimi.» esclamò una voce sopra di sé.
Maxie ridacchiò tra sé e sé, ogni qualsiasi tipo di superlativo o comparativo gli veniva detto in quel momento, l’avrebbe fatto ridere.
«Dirò a mia madre che abbiamo fatto il bagno nel lago. – Guardò Louis – E c’era il cloro.» poi scoppiò a ridere.
Louis sorridendo, si accomodò vicino all’amico, non aveva ancora fumato e per ora non intendeva farlo, aveva provato a fare un tiro da una canna anni prima e non aveva sentito proprio niente, eccetto una sete seguita da una fame assurda.
«Louis, come fa il cloro a essere nel lago? Cioè, è impossibile.»
Il ragazzo guardò Maxie che ridacchiava, «Non lo so, Maxie. Magari lo mettono per tenere l’acqua pulita.» azzardò.
Maxie scoppiò a ridere e gli diede una leggera gomitata: «Ma che cristo vai dicendo? – Scoppiò a ridere – Tutti i pesci morirebbero. – Guardò in cielo – Oh, poveri pesciolini.» poi, quando finì di rollare la canna, si gettò a terra e guardò il cielo.
«Vorrei sempre essere in questo stato, sai?»
«Come, Maxie?»
«Invulnerabile per la troppa felicità. Perché mi sento davvero felice, se vedessi passare un treno e mi tirerebbe sotto, sono convinto che mi farebbe ridere.»
Louis lo guardò con una sorta di pena e si chiese se anche lui sarebbe arrivato al punto di fumare per provare un minimo di felicità.
«Però, sono sempre tendente a quella sorta di depressione che provi quando l’effetto è finito.»
«Nel senso che ne vorresti ancora?»
Maxie annuì e disse: «Ma so che è sbagliato, non riuscirei a fare quello che mi piace fare.»
«Sarebbe?» chiese Louis giocherellando con la canna e convincendosi sempre di più.
«Tante cose, prima di tutto suonare la chitarra. Sai che mi si intorpidiscono le mani e non riesco a fare gli accordi più semplici? Oppure fare un esercizio di matematica, i numeri vanno insieme tra di loro e io mi metto a ridere come un coglione. – Louis lo guardava sbalordito – Oppure ammirare una ragazza senza che pensi subito a scoparla, sai la canna mi dà istinti sessuali, cristo. – Ridacchiò –  Poi, che cazzo c’è? Non potrei camminare decentemente, o mangiare, o rimanere attento, o dormire. – Continuò con un elenco strano – Louis, non potrei pensare. – Concluse – La droga fa schifo, ti toglie il pensiero.»
«E perché continui a fumare allora?»
Maxie si tirò su e appoggiò i gomiti alle ginocchia, prima di rispondere allungò una mano e prese la canna dalla mano di Louis, l’accese e ne aspirò un po’.
Louis arricciò il naso a sentire quell’odore perforante.
«Perché alcune volte la mia testa urla. – Dichiarò – I demoni prendono il sopravvento e al contempo ci sono gli angeli che rompono pure loro il cazzo. E io, inizialmente provo ad ascoltarti, a dare un ordine, ma poi iniziano a parlare tutti insieme, voci cavernose che si mescolano a voci stridule. Arriva il momento in cui mi sento un pazzo e l’unica cosa che posso fare è cercare di pensare, ma non riesco. Ho il casino nella mia testa, Louis. Sono il casino. Non auguro a nessuno di essere me.»
«Non sei arrabbiato perché non riesci a fermare queste voci?» chiese Louis circospetto, si era reso conto che alcune volte gli succedeva pure a lui quel fatto di essere assalito dalle voci nella sua testa e lui si incazzava da matti con se stesso, per non riuscire a fermarle.
«Arrabbiato? Perché mai dovrei essere incazzato con una cosa che fa parte di me?» domandò Maxie aspirando la canna, stranamente non aveva ancora iniziato a ridere.
Molto probabilmente la cannabis aveva un solo aspetto positivo: non ti faceva necessariamente ridere. Maxie ne era la prova: nonostante fosse fatto, riusciva a tenere un discorso serio con Louis.
«Perché vorresti che non facessero parte di te, ecco perché.»
«Io non ho mai detto che non li voglio nella mia testa, Louis. Anzi, penso che non riuscirei a vivere senza i miei pensieri, mi accertano che sono un essere umano e posso provare dei sentimenti. Solo che alcune volte sono davvero dei rompicoglioni. – E ridacchiò – Perché, tu non li vorresti?»
«Li abolirei se potessi.» mormorò guardando per terra e vergognandosi un po’ di se stesso. Voleva davvero essere una persona senza sentimenti e senza pensieri?
«Allora saresti come una roccia nell’acqua di un fiume. Fredda, senz’aria, a mollo, in apnea, chiuso in una bolla. E nemmeno il cloro ti potrebbe uccidere, perché saresti un essere inanimato.» e con la sorpresa di Louis, scoppiò a ridere.
Il castano si chiese come sarebbe stata la sua vita non provando completamente nulla. Inizialmente si disse che sarebbe stata perfetta, ma solamente perché pensò ai sentimenti negativi. Poi considerò gli spruzzi di felicità che aveva provato nei suoi diciannove anni, rifletté alla tranquillità di quando suonava il piano, alla gioia di un nuovo spartito, al calore che provava quando si sentiva capito da sua madre.
Non avrebbe provato niente di quello.
Forse Maxie aveva ragione, forse era meglio abbandonare per un paio d’ore quei tumulti, per ricordarsi cos’era la felicità, ma non desiderare che poteva essere una sottospecie di roccia.
Si sporse in là e mormorò: «Mi fai fare un tiro?»
Maxie scosse la testa e scoppiando a ridere passò la canna a Louis.
 
Kevin fumava selvaggiamente l’ennesima sigaretta della serata, guardando i ragazzi fuori dal bar. Il suo sguardo però era rivolto solo a una persona in particolare: Rylee.
La sua ex ragazza parlava tranquillamente con un’altra persona, Kevin si ricordava di lei, la nominava spesso nelle loro uscite, era la sua migliore amica.
Kevin amava ancora Rylee e il fatto di averla vista solamente un paio di giorni prima al consiglio di istituto lo faceva innervosire, lui non doveva più amarla, lui l’aveva lasciata per divertirsi.
Solo dopo si rese conto che il divertimento puro l’aveva avuto con lei e si stava pentendo amaramente di quello che aveva fatto, non avrebbe mai dovuto lasciarla.
Era stato un coglione, ma il suo orgoglio lo bloccava nel chiederle scusa.
Si era ripromesso, ogni settimana, che avrebbe tentato di riconquistarla, ma le settimane passavano e la promessa era solo soffiata al vento.
La vita procedeva e Kevin si stava arrendendo, stancando. Non aveva più voglia di fare niente.
 
Rion arrivò a casa tranquillamente, era quasi mezzanotte.
Entrò in casa e si trovò suo padre in soggiorno, tutto d’un tratto i cento dollari che aveva in tasca le pesarono come mattoni.
Suo padre era una di quelle persone che riusciva a leggerle nella testa, dopo suo fratello. Sapeva quando mentiva e Rion, in quel periodo della sua vita, aveva una paura terribile di lui.
Che potesse scoprire qualcosa.
«Rion, vieni qui.»
«Posso andare in bagno, prima?» chiese la ragazza tranquilla.
«Certo, prendo una birra.»
I pensieri di Rion si incupirono maggiormente, il fatto di prendere una birra per suo padre significava che fino a che non l’avesse finita, avrebbe parlato con la figlia.
Rion sapeva quanto suo padre potesse essere lento a berne una.
Salì velocemente in camera e lasciò i soldi sotto il letto, facendo il minimo rumore, poi si mise anche in pigiama.
«Vorrei tanto sapere dove vai ogni sabato sera, Rion.» esordì.
«In un bar, mettono buona musica.» rispose, in parte era vero. Quando non discuteva con Bon riguardo le condizioni di suo fratello, entrava nel bar e stava lì un po’ a parlare con il ragazzo. Era un bar in cui andavano soprattutto quindicenni e sedicenni, ma che verso le undici iniziava a svuotarsi e quindi mettevano brani vecchi. Rion si sentiva a casa e le piaceva quel posto.
«E cosa fai tutta sera in un bar?» continuò suo padre.
Rion iniziò ad agitarsi, ma si impose di rimanere tranquilla, «Bevo una o due birre, parlo con un mio amico.»
Suo padre la perforò con gli occhi e Rion si sentì completamente spoglia di tutto.
Avrebbe tanto voluto confessare a suo padre quello che andava facendo, perché tutto d’un tratto aveva iniziato a uscire la sera, perché tornava così tardi, perché aveva sempre un zaino con sé.
Avrebbe veramente voluto dirlo, e Rion sapeva che si sarebbe tolta un peso.
La sua poca capacità di parlare, però e il fatto di sentirsi inutile, la bloccavano.
Sarebbe stata solamente una delusione e forse lo era già, anzi sicuramente lo era. Cosa poteva dare una figlia come lei?
«Rion, ti ricordo che io non sono tua madre, quindi, evita proprio di prendermi per il culo.»
La ragazza si sentì colta in flagrante, ma lanciando un’occhiata alla bottiglia e costatando che era già vuota per metà, si ricompose e disse: «In verità, c’è un ragazzo.»
«E’ il tuo fidanzato?» domandò suo padre sorpreso.
«No, no, siamo solo amici.»
Suo padre sorrise, Rion si rilassò.
«Come si chiama?»
Quella domanda la spiazzò, non poteva fare il nome di Bon. Era una specie di legge: mai dire chi ti forniva la roba e benché suo padre non fosse un cliente, la regola valeva per tutti.
Non seppe perché le venne in mente quel ragazzo, ma si convinse che suo padre non poteva conoscerlo e men che meno poteva immaginarsi chi fosse.
«Louis, papà.»
«E come vi siete conosciuti?» domandò.
«A scuola.» rispose Rion.
«Potresti invitarlo un giorno, tua madre ne sarebbe felicissima.»
Rion sorrise e si morse un labbro, poi mormorò: «E’ un tipo un po’ strano, non so se…»
«Perché, che tipo è?» chiese l’uomo circospetto.
«E’ simpatico, divertente perfino. Adora la musica, ma è incazzato perso del mondo o di se stesso.»
«Perché?»
Rion alzò le spalle, aveva visto Louis solo due volte e aveva interpretato solo la sua rabbia, «Non lo so, magari non si sente a suo agio da nessuna parte.» fece un’ipotesi.
«Un po’ come te, tesoro.» e posò la bottiglia per terra.
Rion si sorprese di quella considerazione, in effetti, suo padre non aveva tutti i torti. Anche lei non si sentiva a suo agio in quel piccolo quartiere di New York, ma non era incazzata con nessuno, semplicemente aspettava.
Louis, invece, era incazzato perché non si sentiva se stesso in ogni singola parte del mondo.
 
Maxie e Louis erano stravolti dalla droga, la marijuana aveva avuto effetto su tutte e due, specialmente sul secondo, che dopo aver fatto cinque tiri aveva iniziato a delirare.
Rylee li guardava sorridendo e stupendosi, Louis aveva detto più di una volta che odiava il mondo, il classico a quell’età.
Anche lei delirava, anche lei sparava cazzate, una volta aveva perfino detto qualcosa a proposito di suo fratello, ma fortunatamente nessuno aveva fatto domande.
Rylee si avvicinò a Louis e gli cinse la vita con un braccio, e disse: «Ti riporto a casa, Lou. – Propose – Dove abiti?»
Il ragazzo le rispose con lucidità, poi reggendosi a lei, iniziarono a camminare.
Il primo tratto fu in totale silenzio, i loro respiri si mescolavano tranquillamente.
«Non permettermi mai più di fumare, dio.» esclamò dopo un po’.
Rylee lo assicurò che gli avrebbe tolto la canna di bocca se avesse tentato a rifarlo.
Louis scoppiò a ridere.
«Mi piacerebbe tanto conoscere tua sorella.»
Rylee rimase di pietra.
Quella era una delle cazzate che Louis non avrebbe mai voluto dire.

Spazio autrice

Buongiorno, buon pomeriggio o buonasera!

HO MESSO LA STORIA ANCHE SU WATTPAD: Mission || l.t E METTETE TAAAANTE STELLINE, ANCHE SE E' SOLO IL PRIMO CAPITOLO E VOI L'AVETE GIA' LETTO, MI SONO RIPROMESSA DI PUBBLICARE LA STORIA UNA VOLTA OGNI DUE GIORNI (A ORARI IMPROPONIBILI) COSI' DA METTERMI AL PASSO E PUBBLICARE IN CONTEMPORANEA (ANCHE SE HO UNA MEZZA IDEA DI LASCIARE UN GIORNO DI STACCO TRA EFP E WATTPAD, VBB) SUI DUE SITI.
BENE! SEGUITEMI ANCHE LI' CHE RICAMBIO E RICORDATE: TAAAAAAAANTE BEEEEELLE STELLINE.


Ho passato la maggior parte di questo giorno a crogiolarmi sul letto con il mio pupazzo ripensando a un anno fa, al concerto dei ragazzi e mi deprimo di più perché sono cambiate tante cose e ... okay, basta.

Quindi, ero in lutto, ma ora, sempre ad un orario improponibile (1.18) eccomi qui!

Andiamo con ordine perché se no sclero.

1. Scena romantica tra Louis ed Evelyn, aaw, okay basta.
2. Maxie che va a prendere la roba ---> come vi sembra la descrizione del giro? E MAXIE CHE CORRE. RIPETO: MAXIE CHE CORRE. IMMAGINATEVELO CON I CAPELLI AL VENTO OH MY GOSH.
3. Louis incontra per la prima volta Rylee, a chi di voi è partito il fangirl? 
4. SAPPIAMO CHI E' RIOOOOOOOOOOOOOOOOOOON. VI RICORDATE IL PRIMO CAPITOLO? LOUIS INCONTRA UNA RAGAZZA CON UNO ZAINETTO NERO E UN CAPPUCCIO. CHI E'? I know you know the answer.
Nelle scorse recensioni (dio grazie mille, piano piano, aumentate sempre di più e io vi amo) mi sono divertita tantissimo a leggere le vostre ipotesi. Eh, riferita a una ragazza: non è un sicario, ahaha. 
Mi spiace se molti di voi pensano che sia un cliché, ma davvero, non ho trovato nessun altro lavoro sporco che possa far guadagnare così tanto. Rion vuole rimanere anonoma e guadagnare, e spacciare è il miglior modo.
Cosa ne pensate?

5. MOMENTO ROMANTICO (okay, no) TRA LOUIS E MAXIE. DEHEH. Per entrambi i casi: sono miei pensieri. Ho i demoni che mi uccidono. 
WHEN YOU FEEL MY HEAT, LOOK INTO MY EYES, IT'S WHERE MY DEMONS HIDE, IT'S WHERE MY DEMONS HIDE. Thank you soo much, Imagine Dragons.

6. ABBIAMO UN NUOVO PERSONAGGIO.
KEVIN.
Okay, in realtà l'avevo già citato un paio di capitoli fa quando c'era la riunione del comitato studentesco dove hanno deciso di pitturare la scuola (A PROPOSITO: HO GIA' SCRITTO QUEL CAPITOLO EH OMG, SCLERAVO ----> fangirl mode on)

7. L'incontro con il padre. RION CHE NOMINA LOUIS. RION NOMINA LOUIS. SEGNATEVELO. 
PERCHE' DICE PROPRIO LUI? DEEHEHEEHHEE.

8. Louis spara la cazzata del secolo ----> COSA ACCADRA'? 

Vi lascio il delirio a voi, carissimi. 

A presto,
Giada.

PS. REMEMBER WATTPAD

 
  
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