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Autore: Viviane Danglars    16/01/2009    4 recensioni
Ichigo è un investigatore, ha un cliente e un “caso” da risolvere.
Non è pulito, non è delicato e non finisce bene.
[ Respirò a fondo nell’aria ancora fresca della mattina, senza aprire gli occhi. Non ne aveva bisogno per visualizzare il luogo dove si trovava; sapeva com’era fatta la ringhiera di ferro che sentiva premergli, fredda, contro le reni. E sapeva che, sotto di lui, c’erano numerosi piani e poi soltanto l’asfalto, non liscio né propriamente grigio, ma sicuramente duro.
Numerosi piani di poveracci e disperati, prostitute e drogati, ubriaconi e malati e, sopra di loro, lui: Renji Abarai, con i suoi tatuaggi, le mani robuste infilate nelle tasche, la maglietta lisa che profumava della lavanderia di Momo e i capelli rossi raccolti in una coda spettinata.
]
~ [Liberamente ispirato al film Million Dollar Hotel.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Renji Abarai
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo ottavo.
Too lost in you




[ Baby, I'm too lost in you,
caught in you,
lost in everything about you -
So deep, I can't sleep
I can't think … ]




Brutta mattina, quella.
Ichigo lo aveva capito fin dall’istante in cui si era ritrovato Byakuya Kuchiki fuori dalla porta di casa. L’uomo teneva in mano le chiavi della macchina – la sua macchina, stavolta, non l’utilitaria di Ichigo – e aveva addosso un completo scuro.
Come sempre.
A dirla tutta così mascherato lo si poteva scambiare per uno della Yakuza e prendersi pure un bello spavento. Chissà se lo faceva apposta?
Comunque, mafioso o no, il datore di lavoro gli aveva indicato la macchina e Ichigo ci era salito. All’interno l’ambiente era perfettamente pulito, la temperatura era ideale e c’era odore di pelle; inoltre, Ichigo era certo di aver colto la soddisfazione dell’altro nell’essere di nuovo al posto del guidatore, anziché del passeggero.
Solo allora Byakuya lo aveva salutato. – Buongiorno. Come procede? -
Ichigo aveva piazzato la scarpa da ginnastica contro la portiera. – Cosa? -
- L’indagine. – Byakuya aveva mani curate e agili che ingranavano le marce con facilità. A vederlo guidare si sarebbe pure potuto dire che ci sapesse fare, ma come se la sarebbe cavata a fare a botte per la strada? L’investigatore privato era quasi certo che Byakuya Kuchiki non avesse mai fatto a pugni con nessuno, nemmeno da ragazzino.
- Be’, l’indagine procede. – Aveva risposto incrociando le dita dietro la nuca. – Ma suppongo che lei sia di quelli che preferiscono controllare da vicino, vero? – lo stuzzicò un po’.
L’altro non distolse mai lo sguardo dalla strada, per tutto il tragitto. – Non c’è nulla in quel posto che io desideri controllare da vicino. – Ad Ichigo, quel genere di tono e di frase non piaceva granché. – Ma non mi sembra che stiamo risolvendo molto. -
- La fretta non porta da nessuna parte. -
- Per questo stamattina ho deciso di venire con lei. -
Era stato lì, che aveva capito che ci sarebbe stato qualche guaio. Poteva solo sperare che non fosse un guaio troppo grosso. Ma andiamo, come faceva Kuchiki ad aspettarsi di poterlo seguire in un posto come il Million Dollar Hotel, bello fresco e inamidato, e magari fare pure qualche domanda in giro? Con quel vestito? Con quella macchina?
Ma non aveva del lavoro da fare, multinazionali da mandare avanti, quella mattina?
La sorellina doveva stargli a cuore. Pardon, cognata. In ogni caso Byakuya non aveva lavoro quella mattina.
Naturalmente Renji non l’aveva presa bene. Anche questo si era capito subito. Ichigo aveva già intuito che Renji trovasse antipatico Byakuya Kuchiki, ma, considerando le posizioni dei due, non si poteva biasimarlo. Non avrebbe creduto, però, che lo trovasse così tanto antipatico.
Più guardava quei due parlare, e più era certo che il rosso avrebbe volentieri preso a cazzotti l’altro, se solo avesse potuto. Byakuya continuava a rispondere frase su frase, gelido, col suo bel vocabolario e le mani intrecciate sul ginocchio, e intanto Ichigo pensava tra sé, ecco qua, sta’ a vedere che stamani rimediamo alle lacune adolescenziali di questo tizio.
Probabilmente Renji si era trattenuto perché sapeva che, anche con tutta la simpatia del mondo, Ichigo sarebbe stato costretto a correre in soccorso di Kuchiki.
- Le sto dicendo che nessuno qui la conosce, non sappiamo dove sia, non sappiamo chi sia e non ci interessa – disse, i denti stretti, la voce un po’ più alta della volta precedente.
- Non è quello che ci hanno detto – ripeté a sua volta Byakuya, chiudendo per un attimo gli occhi. Era un segno di esasperazione, come di fronte ad un bambino assillante. Renji ne fu così colpito che ristette, zitto, per un istante, e poi si voltò verso Ichigo sbottando: - Ehi, me lo dici che cazzo vuole questo? Mi avete preso per un imbecille? -
Byakuya riaprì gli occhi. Ichigo sospirò, sconsolato, sulla sua scomoda poltrona nella hall del Million Dollar Hotel. – Signor Kuchiki… -
- Kurosaki. – Byakuya non disse altro ma lo guardò. Anche Renji lo guardava. Ichigo sapeva cosa significavano quei due sguardi, specie in contemporanea.
- Be’, l’indagine sta proseguendo. Renji ci sta aiutando – tentò. Che si aspettava, Kuchiki, il Mar Rosso che si apriva per lui?
- Io penso che è impossibile che nessuno sappia… -
- Eppure, be’, è così – lo interruppe Renji, e si alzò in piedi. – Stiamo già facendo il possibile… -
- Le ho accennato alla possibilità dei soldi, signor Abarai? -
Ichigo e Renji rimasero immobili. Il secondo si voltò verso il primo, poi verso Kuchiki, e mormorò: - Come? -
Ichigo pensò che, se non ci pensava Renji, avrebbe sempre potuto essere lui, la nave-scuola di Byakuya Kuchiki del magico mondo del pestaggio nei vicoli.
Si alzò, come Renji. Alzò anche le mani. – Semplice routine… -
- Dove cazzo l’avete trovato il mio nome? – sbraitò Renji. Ora fissava Ichigo, stupefatto. Forse persino deluso. Non avrebbe dovuto dimenticarsi che, polizia o meno, quello era comunque una razza di sbirro.
- Qualche ricerca… solo per routine – ripeté Ichigo, - è consuetudine, in un caso. -
- E quindi sono stronzate quelle che mi hai fatto raccontare, per esempio su Shinji e Hiyori, che non ti interessa, che… -
- Nessuno è stato informato. – Ichigo parlava con voce calma. Byakuya li osservava entrambi. Renji indicò quest’ultimo: - Ah, no? E il bell’imbusto, qui, come ha fatto a saperlo? -
- E’ il mio cliente. Ma qualsiasi altra informazione non è rilevante, - spiegò Ichigo.
- Tutto quello che ci interessa è Rukia – intervenne Byakuya, forse sperando di calmare le acque. Sicuramente non si aspettava la reazione di Renji e in effetti, stavolta, non se l’aspettava neppure Ichigo.
Eppure, senza che fosse chiaro il motivo, udendo quelle parole Renji si voltò e lasciò stare il detective per concentrarsi sull’altro uomo, gli si avvicinò tanto da avere il viso vicinissimo al suo e sibilò di rimando: - Ah, sì? Ti interessa Rukia? E allora perché non è a casa con te, se ti interessa? Com’è che la state cercando? Com’è che è scappata? -
Byakuya non parlava. Per la verità sembrava turbato, anche se continuava a sostenere lo sguardo di Renji.
- Perché, - insisteva lui, - eh? Me lo sai dire? Invece di andare in giro a destra e a manca a sbandierare la tua macchina e le tue belle scarpe e il tuo Armani, e a offrire soldi come se ti piovessero dal cielo, perché non hai fatto il bravo cognato e non l’hai tenuta a casa, la tua ragazzina? -
Ichigo aveva avuto la distinta visione di qualcosa – non avrebbe assolutamente saputo dire cosa – che si incrinava nel viso di Byakuya e aveva deciso che era il caso di intervenire.


- Sicuro di stare bene? -
- Sì. -
Erano di nuovo nella grossa macchina stile mafia giapponese, Byakuya con le mani appoggiate al volante e Ichigo semisdraiato dall’altra parte. Quasi gli era passata la rabbia verso Kuchiki, vedendo il viso cereo che aveva messo su.
Quasi.
- Non aveva tutti i torti, comunque. -
Byakuya si voltò per guardarlo. – Non la pago per dare giudizi, signor Kurosaki. -
- Be’, glieli do gratis. E se vuole saperlo, lei non mi ha dato molte informazioni. Privacy o no, se lei non mi dà la possibilità di conoscere tutti i dettagli necessari sul passato di sua cognata, sta ostacolando le mie indagini. -
Ci fu un’altra occhiata tesa di entrambi e poi Ichigo sbuffò, irritato. – Intendo dire… perché sua cognata se ne è andata? Lei mi ha detto che da ragazza aveva vissuto nella povertà, che era desiderio di sua moglie ritrovarla, ed altre cose, ma mai esattamente per quale motivo pensa che sia fuggita di casa. -
Byakuya riportò lo sguardo sulle proprie nocche sopra al volante e non parlò.
- A rigor di logica, - continuò Ichigo – non è così che dovrebbe andare. Insomma, certo, cambiare ambiente può essere traumatico, ma in genere chi ha la fortuna di essere raccolto da una strada e trovarsi tutte le porte aperte davanti, all’improvviso, non ci sputa sopra. Non senza un buon motivo. -
Altro silenzio. - Lei è sicuro che la ragazza non abbia rubato niente? O che sua moglie non le abbia lasciato… -
- No. – La risposta di Byakuya suonò categorica. – No, niente. Rukia se ne è andata senza portare con sé nulla di ciò che aveva a che fare con me. – Allo sguardo perplesso dell’altro, chiarì: - Hisana non possedeva nulla di suo, eccetto ciò che le avevo regalato; per Rukia era lo stesso. Aveva solo alcuni abiti e oggetti che le appartenevano prima di trasferirsi da noi. Tutto il resto era stato comprato con i soldi della nostra famiglia. Non ha preso con sé nulla di quello. -
Stavolta, il ragazzo dai capelli arancioni annuì. – Capisco. – Capiva davvero, in qualche modo: Rukia Kuchiki, chiunque fosse, per qualunque motivo fosse fuggita, aveva voluto rinnegare in ogni possibile modo la famiglia adottiva. Così tanto che non era neppure rimasta accanto alla sorella moribonda.
- Erano legate, le due sorelle? – domandò. E a quel punto, quasi senza rendersene conto, Byakuya Kuchiki divenne il nuovo soggetto dell’indagine.
- Non molto – ammise l’uomo, scuotendo la testa. I ricordi cambiavano impercettibilmente il suo viso, rendendolo più morbido, più sfocato in qualche modo. – Hisana mi raccontò che avevano vissuto assieme in un orfanotrofio povero, di periferia. -
Queste cose, Ichigo le sapeva. Quell’orfanotrofio e l’elenco dei suoi ospiti negli anni in cui vi aveva abitato Rukia Kuchiki, così come dettagli sulla famiglia adottiva dell’infanzia, ormai dispersa, erano state le prime cose che aveva controllato, scavando da cima a fondo grazie all’aiutino da parte di un certo poliziotto leccapiedi. Ma, come sempre, preferì tacere e lasciare che l’altro parlasse.
- A causa della differenza d’età tra di loro, avevano presto preso strade diverse: gli affidamenti le avevano divise. Hisana divenne presto maggiorenne, e andò a vivere da sola, cavandosela alla meno peggio, fino a quando non ci incontrammo. -
Ichigo avrebbe quasi voluto chiedere come avevano fatto ad incontrarsi, due persone così diverse, ma quella curiosità non avrebbe avuto alcuna giustificazione professionale, e lui non era lì per giudicare nessuno.
- Di Rukia non seppe più molto. – Ora Byakuya poggiava sul volante il palmo della mano bene aperta. – Cercò ancora di ricontattarla, ma non aveva molti mezzi. Seppe solo che era stata data in affidamento, ma che era fuggita. Contando il periodo di lontananza e la differenza di età, le due non ebbero mai molto modo di legare. Ma Hisana sperava che questo sarebbe cambiato quando lei fosse venuta a vivere con noi. -
- E non ha avuto ragione? -
- No. Rukia era schiva, silenziosa. Non sembrava desiderosa di ambientarsi. Era come se cercasse di rendersi il più piccola possibile. Non si affezionò a nessuno, né in casa, né fuori. – Byakuya sospirò. – Speravamo che fosse questione di tempo… -
Ichigo ascoltava e rifletteva. Sperare che fosse questione di tempo, evidentemente, non era stato abbastanza.


- Byakuya-sama… -
Le mani di Hisana provocavano un fruscio leggero sul copriletto mentre la donna ne lisciava le grinze impercettibili. Byakuya, in piedi davanti allo specchio, lanciò un’occhiata alla moglie dietro di lui.
- Sicura di non voler venire? – le chiese ancora.
Lei scosse gentilmente la testa. Aveva un po’ più di colorito sulle guance, notò Byakuya. Eppure non riusciva a sembrare meno malata, perché aveva addosso la vestaglia, ed era seduta sul letto, e non faceva nulla per reagire.
Scacciò il pensiero molesto.
- Mi dispiace, Byakuya-sama… non sono presentabile questa sera. Ti farei arrivare in ritardo alla cena. – Hisana voltò lo sguardo. Byakuya distolse il proprio e lo riportò sul nodo della cravatta.
- Byakuya-sama, io… stavo pensando a Rukia. -
- Ci sono dei problemi? -
- No… - Hisana si affrettò a negare. – Ma… mia sorella porta il cognome della famiglia che l’aveva adottata, e… il nostro stesso cognome, quello di nostro padre… - la donna aveva chinato lo sguardo sulle mani sottili, dalle unghie lucide, che ticchettavano nervosamente sulla pelle – non è un cognome di cui essere orgogliose. Io mi chiedevo… -
Byakuya aspettava la richiesta, osservando la moglie nello specchio, ascoltando quasi distrattamente le sue parole perché preferiva studiare i suoi capelli, le spalle, le labbra semiaperte. Non voleva andare a quella cena. Voleva distendere Hisana sul letto e darle piacere, riempirle gli occhi, colorarle le guance, toglierle l’ovatta nella quale stava avvolta e sentirla alzare la voce, sentirla gridare, abbandonare quei suoi sussurri da ombra spaventata, sentirla conficcare le unghie nelle sue spalle fino a fargli male.
Chiuse gli occhi.
- … il tuo cognome, Byakuya-sama. Il cognome Kuchiki. – Hisana prese un ampio respiro. – Ora anche io sono una Kuchiki, come te. Rukia è mia sorella, fa parte della nostra famiglia ora. Sarebbe un tale dono se… sarebbe senz’altro più semplice, per lei, se potesse… -
Byakuya riaprì gli occhi. Hisana era un’immagine distorta nello specchio, come un riflesso controluce sull’acqua. La lampada sul comodino le colorava le spalle.
Dubitava persino di poter riuscire a toccarla, in quel momento. Forse era viva soltanto nello specchio.
Mani lente e caute si muovevano sulla stoffa della vestaglia e della coperta, e Hisana gli offriva uno scorcio del viso di tre quarti, gli occhi socchiusi, in attesa di una sua risposta.


- Signor Kuchiki? -
Byakuya riaprì gli occhi. Ichigo era sceso dalla macchina e si sporgeva verso di lui, la mano appoggiata sulla portiera aperta.
- E’ sicuro di riuscire a guidare? -
- Sì. – Subito dopo aver risposto, fu infastidito dal fatto di esserci cascato, perché era evidente che la domanda di Kurosaki era stata ironica. L’investigatore gli rivolse un piccolo ghigno.
- Be’, io torno da solo, grazie per il passaggio. -
Byakuya non rispose e aspettò che l’altro richiudesse la portiera per ripartire.
Ichigo gli lanciò solo un’occhiata, e poi si voltò verso la ragazza che stava accanto a lui.
- Ti riaccompagno. Così facciamo anche una passeggiata, che ne dici? -
Il suo tono era perfettamente gentile, ma non ebbe alcun effetto nel ridurre il nervosismo di lei. Orihime annuì, e gli si affiancò.
Camminarono un po’ in silenzio, Ichigo con le mani in tasca, Orihime con lo sguardo chino. Dopo un tempo imprecisato, si ritrovarono sul marciapiede di una grande strada piena di negozi, e Orihime riconobbe il posto: erano ormai vicini a casa sua, fuori dalla brutta zona nella quale si trovava l’Hotel.
Fu allora che, aspettando il cambio del semaforo per attraversare, Ichigo le chiese, casualmente: - Che ci facevi lì? -
La ragazza si era preparata una risposta e gliela servì senza esitare, giusto con quel briciolo di imbarazzo tipico suo. – Ero andata a trovare una mia amica, Kurosaki… -
Ichigo la osservò stupito, ma il semaforo scattò e loro si zittirono per unirsi alla folla che attraversava la strada.
Per Orihime, Ichigo era sempre stato un amico di Uryuu, e per Ichigo, lei era sempre stata la ragazzina di Uryuu. Poiché, tra l’altro, Ishida e Kurosaki erano uno strano genere di amici, non capitava spesso che si uscisse assieme. E così Orihime non conosceva molto bene Ichigo e Chad, di sicuro non abbastanza da sentirsi totalmente a suo agio con loro.
- Conosci qualcuno che abita da quelle parti? -
- S-sì, all’Hotel… io… - Orihime chinò la testa. Non doveva tradirsi. E in fondo era una menzogna solo per metà. – Ho scoperto che una mia vecchia amica del liceo, ora, vive là… -
- Mi dispiace. – Ichigo non perse tempo in osservazioni melense e Orihime gliene fu grata. Si fece coraggio e aggiunse: - Sì… anche a me. Si chiama Tatsuki. Eravamo molto amiche, una volta… - corrugò un poco la fronte, - Kurosaki, potresti non dirlo ad Uryuu? Io penso che si preoccuperebbe per me. Probabilmente non gli piace che vada in quel quartiere… -
- Non ha tutti i torti… - annuì Ichigo. Se si fosse trovato a parlarne con Uryuu gli avrebbe dato del bigotto retrogrado, ovviamente, ma ora come ora non poteva biasimarlo se preferiva tenere lontana la sua ragazza da quella zona.
- Lo so. – Anche Orihime sembrava comprenderlo ed annuì, con sincerità. – Volevo solo provare a parlarle, tutto qui. -
- Va bene. – Ichigo si strinse nelle spalle. – Non lo dirò ad Uryuu. Tu comunque sai badare a te stessa, lo so. Solo… be’, fai attenzione. -
- Certo, - esclamò Orihime sollevata, e gli rivolse un gran sorriso. Un sorriso luminoso, tipico suo, e piuttosto raro da trovare su qualcun altro. – Grazie! -
Ichigo stava ancora ripensando a quel sorriso, la sera, nel suo piccolo appartamento.
Era ormai buio, ma lui non aveva sonno: secondo un piccolo rituale ormai acquisito da molto tempo, la sera sedeva al tavolo della cucina, disponendo attorno a sé foto, documenti, appunti, registrazioni, e tirando le somme.
Non somme definitive. Non gli piaceva lavorare con fretta.
Lui tirava le somme come se intrecciasse fili su un telaio, con molta calma, riflettendo per bene, poco alla volta. Era quello il modo di non farsi ingannare dalla trama. Per questo non metteva fretta agli eventi e alle persone.
Niente fretta è il metodo vincente.
Teneva attorno a sé anche un posacenere e le sigarette, e lasciava che il fumo riempisse le tre stanze della sua casetta blu e gialla. La casa era blu perché era sempre buia – persiane abbassate di giorno, quando lui era fuori, e alzate di notte sul cielo vellutato – e gialla perché era rischiarata solo da vecchie lampade antiquate, dalla luce intensa e pastosa. E dalle braci del mozzicone.
Di solito, dopo aver riflettuto un po’, Ichigo si alzava ed andava ad aprire la finestra, per far uscire il fumo. Guardava fuori, lasciava che l’aria fresca lo aiutasse a riordinare i pensieri. Solo allora, quando gli pareva che tutto fosse a posto, andava a dormire, con la mente già proiettata all’indomani.
Ma quella sera ripensava al sorriso di Orihime. Sapeva che quella ragazza era importante per il suo amico; ogni volta che la vedeva, non stentava a capire in che modo lei gli avesse illuminato la vita. Uryuu era intelligente, determinato; si meritava il successo. Si meritava di realizzare le sue ambizioni. Ma era anche un solitario. Orihime era una cosa buona per lui.
A volte Ichigo lo invidiava un po’, persino; lui, al contrario, era un single impenitente.
Non gli riusciva di tenersi strette le cose.
E poi, per un motivo assurdo, gli veniva in mente Rukia Kuchiki.
Aveva visto delle foto di quella ragazza. Era tutto il contrario di Orihime: piccola, fragile, pallida, con occhi e capelli scuri. E non sorrideva mai.
Il mestiere di Ichigo era trovarla. E prima ancora di trovarla, cercarla: tra le cifre, i nomi, le date, nei visi delle persone, nelle loro parole. Gli capitava spesso di essere ingaggiato per trovare una persona scomparsa – solitamente, qualcuno che aveva voluto sparire – e ormai sapeva come procedere: con calma, tastando il terreno attorno.
Ma Rukia Kuchiki era un po’ diversa. Perché sembrava non aver lasciato nulla dietro di sé, nulla attorno a sé. Non c’erano tracce, non c’erano indizi. Aveva vissuto per cinque anni con la sorella e il cognato senza lasciare un segno, nulla di proprio, come se non fosse nemmeno lei la persona che condivideva la vita quotidiana con loro. Tanto che, ora, Byakuya Kuchiki non sapeva come aiutarlo, né cosa dirgli.
Ma poi Ichigo sapeva, perché li aveva visti, che c’erano altri fantasmi negli occhi di Byakuya Kuchiki. Più importanti e più ingombranti della preoccupazione per la cognata.
Ma chi ci pensava, allora, alla piccola Rukia? Dove era finita?
A volte Ichigo si era chiesto, da quando era iniziata quella indagine, se Rukia non fosse diventata un suo fantasma. Aveva l’impressione che si fosse annidata in un angolo dei suoi occhi, che da un momento all’altro l’avrebbe vista sbucare fuori da dietro un angolo, tranquilla, il viso chino e distante com’era nelle foto.
Era come se lei ci fosse, in qualche modo.
- Cazzo. – Ichigo imprecò e posò con una certa forza la mano sul davanzale della finestra. – E’ successo. -
Ti avvertono, per questo genere di cose. Te lo dicono in anticipo, che tanto è inevitabile, che succederà. Che è meglio essere preparati.
Si era fatto coinvolgere troppo da un’indagine. E non da qualche provocante indagata o da una moglie infedele o stronzate simili, ma da una piccola scomparsa che non aveva mai incontrato una volta in vita sua.
- Merda. -



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Noticina: Hisana chiama Byakuya “sama”… mentre non ho usato nessun altro termine come san, kun o simili, nella fan fiction. Il motivo è semplicemente che, pur provandoci, la cosa non mi sembrava scorrevole, e in fondo il discorso suona anche così. Questa Tokyo che in teoria dovrei descrivere in realtà è inventata, lo sapete benissimo e sono certa che nessuno di voi si aspetta troppo! XD Hisana usa il “sama” semplicemente perché sarebbe impossibile rendere in italiano le sfumature che comporta.
E così eccomi di ritorno con l'aggiornamento!
Scusate il ritardo, ma in teoria dovrei pure preparare un esame in questo momento. XD

Grazie come sempre per le recensioni! *_* Contenta che il trio vi sia piaciuto (piace anche a me, anche se non capisco da dove mi sia uscito XD). Quindi grazie ad Ino, AllegraRagazzaMorta e belialcross *_*'' Spero che questo capitolo vi piaccia altrettanto xD
   
 
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