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Autore: Piuma_di_cigno    01/07/2015    1 recensioni
Raf e Sulfus sono tornati per affrontare un secondo anno alla Golden School, ma il sentimento che li unisce è sempre più una sofferenza: ora le lezioni sono volte ad imparare l'arte del combattimento tra Angels e Devils. Difficile per Raf, che deve andare contro tutte le regole, contro la sua natura, per rimanere con Sulfus, e difficile per lui, costretto a trascorrere le giornate nel dubbio che lei non lo ami più.
Sarà proprio l'ormai dolce Say ad aiutare Raf a dimostrare che lo ama ancora, qualunque cosa succeda. Tra le lezioni e gli amici, comincia infatti a delinearsi una situazione terribile, pericolosa, ma che forse ha il potere di risolvere finalmente tutto.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Arkhan, Raf, Sai, Sulfus, Un po' di tutti | Coppie: Raf/Sulfus, Sai/Tyco
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 8 – Il miglior modo di tornare

Fermati! Non parlarmi, in questa amara dipartita, delle sicure consolazioni del tempo. Resti fresca la piaga, sempre rinnovato ne sia il bruciore, purché la tua immagine resista nel suo primo splendore.
(Matthew Arnold, Separation, 1853)

 

Il tempo prese a scorrere veloce. I miei abiti erano più pesanti, il lavoro più intenso e i dolci estivi lasciavano sempre più spazio a quelli autunnali, caldi e colorati. Nella pasticceria, aleggiava il profumo delle mele: le torte di mele venivano sfornate continuamente.

Oh, ma non c'erano solo quelle. Le gemelle amavano decorare le torte, e così ce n'erano molte alla panna, decorate con minuscole zucche di zucchero e altre erano marroni, e con lo zucchero a velo vi venivano disegnate le foglie dei castagni.

La sera faceva buio molto prima del solito, perciò io e Say ci ritrovammo sempre di più alla luce delle fiammelle: non aveva bisogno di luce, lei.

Le sue fiamme fluttuavano in giro per la casa e illuminavano qualsiasi cosa ci servisse. Ci risparmiavano l'acquisto delle lampade.

Il mio leggero cappottino color crema, fu sostituito da uno più pesante completamente bianco e, per me, adorabile. Say, invece, lo detestava.

Vestiva molto più sportiva di me, lei, e, soprattutto, con colori scuri. Ormai, avevo acquisito il ritmo del lavoro e mi alzavo senza bisogno che Say mi chiamasse.

Avevo imparato a fare molti dolci, anche se continuavo ad essere un disastro con la pasta frolla per le crostate, che nelle mie mani rischiava quasi di squagliarsi.

Una volta, avevo provato a ghiacciarla un po', per evitare che il burro si scaldasse troppo, ma non era stata una grande idea: le gemelle avevano voluto buttare via l'impasto, sostenendo che non era destino, e Say aveva dovuto chiudersi in bagno per evitare di scoppiare a ridere davanti a loro.

Eppure, nonostante i giorni passassero, il vuoto era sempre lì. Era come se avessero strappato una parte di me. Niente poteva riempire il vuoto, niente poteva placare la sofferenza che ne derivava. Niente. Artigli affondavano dentro di me, strappando ogni giorno qualcosa e io soffrivo sempre di più.

Gli incubi erano frequenti, tanto che con la mia prima paga avevo comprato un correttore per coprire le occhiaie. Ultimamente, mi truccavo. Aggiungevo un po' di colore, per evitare che qualcuno vedesse quanto erano pallide le mie guance, e comprai qualche vestito nuovo. Stavo dimagrendo a vista d'occhio e pregavo solo che nessuno lo notasse.

Anche se di solito le persone facevano il contrario, io non mangiavo. All'inizio, forse, ma poi avevo capito che nulla poteva riempire il vuoto. Nulla. E così, il cibo aveva cominciato a darmi la nausea, persino quando aveva il profumo dei dolci delle gemelle.

Era passato un mese.

Nessuno si era visto. Almeno su questo fronte, potevo rilassarmi. Ogni tanto, quando notavo una persona che somigliava a Sulfus, sussultavo e il battito del mio cuore accelerava, ma non era mai lui.

La pasticceria andava a gonfie vele, io ed Ellie eravamo diventate amiche. Pranzavo con lei durante la settimana, e nel weekend pranzavo con Say, che nel frattempo aveva trovato lavoro anche nella biblioteca vicina.

I miei poteri si stavano gradualmente stabilizzando. Facevo molta fatica ad utilizzare l'aria, ma con l'acqua e il ghiaccio ero migliorata moltissimo.

Dopo tanti giorni di duro lavoro alla pasticceria, ricevetti la mia paga e Say, per festeggiare, mi portò a un mercatino dell'usato lì vicino. Non era un granché, ma con un po' di fortuna si trovavano cose che costavano meno del solito e per noi contava tanto.

Nessuna delle due poteva esattamente definirsi benestante, quindi anche fare la spesa era troppo dispendioso per noi.

“Ehi, Raf, guarda!” esclamò Say, indicandomi un lungo cappotto nero. Lo indossò, ma sapevamo entrambe che le sarebbe stato d'incanto.

“Perché non lo compri? Ti sta benissimo.” Fece spallucce.

“Mh, ne ho già uno … Faccio ancora un giretto, magari ci faccio un pensierino.”

Lanciai un'occhiata in giro, alla ricerca di qualcosa che potesse servirmi. Pensai a dei vestiti, visto che ultimamente ne servivano di più pesanti e di più stretti, ma ne avevo già abbastanza a casa, così mi limitai a seguire Say.

Ero molto annoiata e la mia testa era altrove. Mi veniva da piangere, anche se non ne avevo motivo.

“Raf, guarda!” mi voltai e mi ritrovai davanti dei pattini. Sorrisi a Say.

“E dove trovo il ghiaccio per pattinare?”

“Puoi ghiacciare tu l'acqua!” esclamò entusiasta. “Ti prego, Raf! La signora ha detto che se ne prendo due paia ci fa uno sconto e io so pattinare benissimo sul ghiaccio!”

I suoi occhi luccicavano.

Non erano niente di indispensabile, anche se …

“Quanto costano?” chiesi con un sospiro.

“Sììì!” esclamò Say con un saltello. “Grazie Raf!”

Dividemmo il conto a metà e ognuna pagò la sua parte. Say volle provarli appena arrivammo a casa.

Dato che nessuno veniva più sulla costa, non c'era pericolo che qualcuno mi vedesse congelare l'acqua, così cercammo una pozza d'acqua abbastanza grande per pattinare.

Era bassa marea, perciò fu molto facile, visto che il mare si era appena ritirato.

Appoggiai due dita sulla superficie dell'acqua, e lasciai che il ghiaccio fluisse dalla mia mente, e poi con una scossa elettrica al braccio e infine fuori da me.

Quando riaprii gli occhi, davanti a noi c'era una lastra di ghiaccio abbastanza solida per pattinare.

Say si infilò in fretta i pattini e mi aiutò a mettere i miei.

Sentii subito un certo affiatamento con quel nuovo sport e, anche se non avevo mai pattinato in vita mia, sapevo come muovermi.

Say mi afferrò entrambe le mani e mi fece girare in cerchio con lei. Era davvero brava. Applaudii quando fece l'angelo e saltò come una professionista.

Cercò di insegnarlo anche a me, ma non mi fidavo ad andare avanti su un piede solo e, il più delle volte, finivo per sbilanciarmi in avanti, cadendo sul ghiaccio.

Riuscii a divertirmi, con lei, nonostante il vuoto fosse ancora lì. Ogni tanto, temevo che avrei fatto di tutto pur di liberarmene. Volevo disperatamente rivedere Sulfus e c'erano sere in cui uscivo, dopo aver avuto gli incubi, e fantasticavo sulla spiaggia; immaginavo di trasformarmi di nuovo in Angel e volare da lui. Le sue braccia mi circondavano e io smettevo di sentire freddo e mi sentivo di nuovo intera, completa e il mio respiro tornava quello di un tempo.

Ma poi, come sempre, tornavo a dormire.

 

“Raf, sbrigati! A cosa pensi? Sembri su un altro pianeta!” Say mi riportò alla realtà, rifilandomi un vassoio in mano. Borbottai qualcosa di imprecisato, ma andai verso il tavolo a cui dovevo portare una fetta di torta e un caffè.

Erano solo le quattro del pomeriggio, e nonostante ciò era già buio.

Mentre mi destreggiavo tra i tavolini, notai qualcosa che mi fece sussultare.

Sulfus.

Ero sicura che fosse lui.

Aveva un berretto calato in fronte, e i capelli neri gli coprivano il viso, ma sentivo che era lui quello che entrava nel locale … Le mie mani cedettero e la torta cadde addosso a qualcuno.

Sulfus alzò lo sguardo e si tolse il cappello.

Non era lui.

Mi bruciarono gli occhi per la delusione e il vuoto si ingrandì ancora un po' dentro di me, ma almeno tornai alla realtà.

Luke, uno dei clienti abituali, brontolava perché la torta alle mele che gli stavo portando gli aveva sporcato la maglietta. Mi affrettai a scusarsi e lui sorrise, assicurandomi che non era niente di importante.

Luke emanava una luce molto forte, per essere un umano. Quando c'era lui nei paraggi, mi sembrava quasi che potesse davvero andare tutto bene.

“Mi dispiace tantissimo!” mi scusai ancora. “Vieni con me, almeno ti aiuto a pulire la maglietta ...” dissi, mortificata. Lo portai con me verso il retro del locale.

Le gemelle erano in ufficio, a sbrigare chissà quale pratica, e Say era in magazzino a prendere un po' di farina.

Bagnai un asciugamano e strofinai la macchia sulla sua maglietta, continuando a brontolare scuse su scuse. Non sapevo neanche perché mi scusavo. Mi sentivo proprio un'idiota. Non avevo mai rovesciato nulla addosso a un cliente.

Dopo un po', Luke mi scostò delicatamente la mano.

“Raf, davvero, non preoccuparti. La macchia andrà via.” alzai lo sguardo e lui sorrise.

Con un sospiro appoggiai l'asciugamano accanto al lavandino.

“Stai bene? Mi sembri un po' abbattuta in questi giorni.”

Io scossi la testa.

“Non è niente, è solo un periodo più difficile del solito.” abbozzai un sorriso. Luke era una persona molto gentile e mi rivolgeva spesso la parola. Studiava alla scuola di musica lì vicino e aspirava a diventare insegnante. Suonava il pianoforte.

“Fammi indovinare.” sorrise. “Il tuo ragazzo ti ha lasciata.”

Veramente era il contrario, ma era già tanto che ci fosse arrivato così vicino, quindi era meglio che stessi al gioco.

Annuii.

“Proprio così.”

Luke sorrise.

“O l'hai lasciato tu?”

Strinsi le labbra. Ora stava esagerando. In silenzio, pregai perché lasciasse in fretta la cucina. Sentivo le mani che tremavano e gli occhi cominciarono a bruciare. Non volevo parlare di lui. Non potevo. Assolutamente non potevo.

Arretrai fino al lavandino.

“Mh … Veramente ...”

Abbassai lo sguardo.

Vai via, ti prego.

“Sì, è stato un po' colpa di entrambi ...”

Luke scosse la testa.

“Raf, tranquilla. Se non vuoi parlarne non importa.” sorrise di nuovo e ancora una volta notai quanto brillasse la sua luce. Aveva come … Un'aura attorno a sé.

“Grazie.” dissi, ricambiando il sorriso. “Non mi va molto di parlarne.”

Speravo di non sembrare scortese.

Alzai timidamente lo sguardo; non volevo che si arrabbiasse. Era così gentile!

Ma Luke non era arrabbiato.

Si sporse verso di me e mi abbracciò.

Quella luce che lo circondava parve coinvolgere per un attimo anche me e avvolgermi completamente. Con mia sorpresa, ricambiai l'abbraccio.

Ne avevo un bisogno talmente disperato … Sentii le lacrime scorrermi lungo le guance, lavando via le ultime tracce di correttore e di fard rimaste. Non volevo che vedesse le mie occhiaie.

“Mi sono persa qualcosa?” chiese Say confusa, rientrando dal magazzino. Mi staccai bruscamente da Luke, come se fossi stata sorpresa a fare qualcosa che non dovevo.

Arrossii e cercai di borbottare qualcosa, ma Say si voltò subito.

“Come non detto! Io ho davvero una marea di cose da fare di là … Devo raccogliere tante cosce di pollo, sapete, sono cadute ...”

E tornò in magazzino. Normalmente avrei riso, ma ero talmente imbarazzata, che non sorrisi nemmeno.

Luke, invece, ridacchiò.

“Raf, sembra che tu abbia fatto qualcosa di male!”

Alzai lo sguardo e incontrai i suoi occhi. Non potei fare a meno di sorridergli in risposta, grata per quello che aveva fatto.

“Se vorrai dirmi che ti è successo, io passo quasi ogni giorno da qui, perciò ...” il resto era chiaro.

Annuii e Luke mi sfiorò la mano, uscendo.

“Ah, a proposito,” disse, voltandosi, “hai un'aura davvero luminosa per essere umana.”

Uscì, lasciandomi lì impalata, tutta rossa e completamente sconvolta. Per dirmi una frase del genere … Doveva saperlo. Sapeva che ero un'Angel. O non lo sapeva? Forse avevo capito male.

 

Quella sera, Say mi tenne a casa sua fino alle undici e dovette preparare almeno tre camomille per trattenermi così tanto da lei.

Parlava del più e del meno, ma sapevo che aspettava il mio resoconto su Luke.

Alla fine, si decise a tirare fuori l'argomento.

“E … Uhm … Ho visto che Luke ti ha presa … ah … In simpatia.”

Dovetti sforzarmi di non ridere. Quando si trattava di queste cose, Say era davvero buffa.

“Sì, penso che io e lui diventeremo buoni amici.” Sottolineai la parola amici, per farle capire che non c'era niente fra me e lui.

Ridacchiò.

“Vuoi dire che … O mamma … Il vostro abbraccio … Buoni amici, certo!” non riuscì più a trattenersi e scoppiò a ridere. Alzai gli occhi al cielo.

“Oh, scusa Raf,” rise, “ma è davvero ridicolo! Lui ti abbraccia ed è sempre gentile con me e siete in cucina da soli e pretendi che ti creda?” rideva a crepapelle. “Dove hai messo l'anello di fidanzamento?”

Probabilmente avrei dovuto trovarlo irritante, ma era solo divertente. Say era fatta così.

“Non c'è niente fra me e lui … Sai che io amo Sulfus.” la rimproverai. Provai un brivido; era tanto che non pronunciavo il suo nome.

Sorrise.

“Ma Raf, non ci sarebbe niente di male!” esclamò. “Ascolta, non tradiresti nessuno. Tra te e lui … Non può esserci nulla.”

Anche se faceva male, non protestai. Era vero.

Say sospirò di fronte al mio silenzio, ma non aggiunse altro, nemmeno quando mi diede la buonanotte. A casa mi distesi sul letto e mi misi sotto le coperte, mentre fuori cominciava a piovere, ma non riuscii a dormire più di tanto.

Mi svegliai poco dopo le tre, soffocando un grido e tremando. Le parole di Sulfus mi rimbombarono nella mente.

Tu mi hai tradito. Parole fredde, dette con odio. I suoi occhi erano duri, il viso una maschera di rabbia e sofferenza. All'improvviso, la mia casa parve troppo grande e silenziosa, e la solitudine mi colpì come un pugno allo stomaco. Mi alzai di scatto e uscii, dopo essermi infilata il cappotto.

Fuori aveva smesso di piovere, ma faceva molto freddo.

Mi diressi verso la scogliera e mi sedetti in cima, con i piedi che penzolavano sul mare.

Mi raggomitolai su me stessa e scoppiai a piangere, sperando solo che il dolore passasse.

Chiusi gli occhi.

 

Quanto era freddo! Tutto era freddo. Pattinavo sul ghiaccio con Sulfus, ma la lastra si era rotta e io ero caduta in acqua.

Il gelo mi penetrava fino alle ossa.

Era tutto freddo.

Le mie labbra erano violacee, il mio viso bianco, i capelli sparsi intorno e lui chiamava il mio nome.

Ma non poteva raggiungermi.

Non voleva.

Io l'avevo tradito.

Piangevo in quella gelida prigione, mentre sprofondavo ancora, ancora e ancora. Fino a non respirare più. Fino a quando capii che non era un incubo. Era reale.

 

“Raf! Raf!” qualcuno mi sorreggeva la testa tra le braccia e cercava di riportarmi alla realtà. “Raf, per favore!”

Aprii piano gli occhi. Mi bruciava la gola.

“Co-cos'è successo?”

Ero sulla spiaggia e il viso di Luke era sopra il mio.

“Sei caduta in acqua, stavi annegando.” spiegò, chiaramente sollevato di vedermi riprendere conoscenza.

Cercai di mettermi a sedere e vidi il mare spumeggiare davanti a me.

Notai che Luke era bagnato fradicio.

“Ti … Ti sei tuffato per salvarmi?” balbettai. Lui annuì.

“Stai bene?” gli chiesi e lui annuì di nuovo. Notai che non aveva gli occhi rossi, nonostante avesse nuotato in mare.

“Dove abiti? Ti porto a casa.”

“Poco distante da qui.” risposi in un sussurro.

Luke mi prese in braccio e si incamminò verso casa mia e di Say. Mi fidavo di lui e non mi infastidì doverlo guidare attraverso la vegetazione verso casa mia.

Dentro faceva caldo, le fiammelle di Say svolgevano un'ottima funzione in questo, oltre che nella luce.

Luke parve non notarle e mi aiutò a sedermi sul divano.

“Dovresti toglierti i vestiti bagnati.” disse.

“Anche tu dovresti fare lo stesso.” replicai io. Il bruciore alla gola era già scomparso. Come Angel potevo guarire molto più in fretta degli umani.

Scosse la testa.

“Per me non c'è pericolo.”

Non gliene chiesi il motivo, ma il mio sesto senso diceva che lui sapeva. Non solo sapeva, ma era.

Ci scambiammo un sorriso complice.

Feci volare l'acqua fuori dal vaso sul tavolino e la diressi verso di lui. Un guizzo attraversò gli occhi di Luke, quando la trasformò in un uccellino di ghiaccio che prese al volo tra le sue mani.

Lo portai da me utilizzando l'aria.

“Allora ...”, dissi rompendo il silenzio, “sei un Angel.”

Luke rise.

“Anche tu Raf.” sospirò. “E pensare che ti credevo un'umana bisognosa di aiuto, quando ti ho vista in pasticceria.” mi lanciò un'occhiata. “Anche se, in realtà, persino come Angel mi pare che tu abbia proprio bisogno di una mano.”
Alzai le spalle.

“Non è un bel periodo.”

Luke si riprese l'uccellino.

“Sai usare l'acqua e l'aria separatamente.” constatò.

“Anche tu.” replicai io. “Anche se in realtà,” aggiunsi subito dopo, “io ho ancora molto da imparare. Sono piuttosto inesperta e con l'aria sono un disastro.”

“Non mi pare.” obiettò Luke, facendo volare da me l'uccellino di ghiaccio.

Sorrisi.

“Tu invece sembri molto esperto.”

“Studio già da qualche anno. Sono un Guardian Angel.”

Sentendo quel nome, ebbi un po' di nostalgia della scuola. Avrei avuto anch'io quella qualifica, se fossi rimasta alla Golden School.

“Io … Ho lasciato la scuola da un po'.” confessai abbassando lo sguardo.

Luke mi lanciò un'occhiata.

“Allora dove hai imparato a separare l'acqua e l'aria?”

“Da sola.” ammisi, come fosse una colpa, ma lui sorrise, in modo del tutto disarmante e mi fece immediatamente sentire a mio agio.

“E' impressionante, ma vedo che trovi ancora qualche difficoltà. Che ne diresti se ti insegnassi qualcosa?”

Non mi piaceva granché la prospettiva di qualcuno che non fosse Sulfus nella mia vita, anche per un motivo tanto innocente, ma annuii, perché sapevo di non avere altra scelta.

Luke si riprese l'uccellino di ghiaccio facendolo volare da lui, e in quel modo diede vita alle sue ali, che si mossero come se fosse vivo.

“D'accordo.” si alzò e io feci lo stesso. “Prima lezione: qualsiasi cosa tu crei può essere viva, non dimenticarlo. E puoi creare tutto ciò che desideri. Ghiaccio, acqua, aria … Tutto quello che vuoi con questi tre elementi o combinandoli tra loro.”

Annuii.

Aprì la mano e ne uscì un cervo, ghiacciato, che si mise a saltellare in giro per la stanza. Lo portai da me utilizzando l'aria, ma nelle mie mani divenne una semplice statuina immobile. Non muoveva più le zampe.

Luke mi fece un cenno.

“Immagina come si muove. Desidera di farle fare quello che immagini.” fissai la statuina, immaginando con grande chiarezza di vederla piegare le zampe e saltare nella stanza. Con mia sorpresa, ci riuscii subito.

Era così facile. Non credevo che ci sarei riuscita al primo colpo. Il cervo saltò agilmente sull'armadio e poi volò di nuovo sulla mano di Luke. Sorrise.

“Complimenti Raf.” il cervo sfumò fino a diventare aria. “Lezione numero due: puoi creare quello che non esiste. Anche se l'acqua non c'è, è parte di te, come l'aria e puoi farle comparire quando desideri.”

Schiuse del mani e dal nulla spuntò un lupo, che alzò il muso come se ululasse e si mise a correre verso di me, saltando sulla mia spalla e atterrando su un mobile.

Luke fece ingrandire il lupo, fino a quando fu di dimensioni naturali. Il lupo avanzò elegantemente verso di me e il muso freddo mi sfiorò le mani.

Gli accarezzai le orecchie e lui si piegò docilmente sotto il mio tocco, come volevo io. Il lupo sparì sottoforma di neve, al comando di Luke.

“Tocca a te.”

Avevo in mente uno scoiattolo, ma ne uscì un buffo gatto con la coda a spazzola.

Io e Luke ridemmo quando l'animaletto saltellò in giro per la stanza al mio comando e si appollaiò sulla sua testa, con l'intenzione di dormire.

Lui lo trasformò in un barbagianni, che si accomodò sulla mia spalla, e io lo feci diventare un'enorme aquila di ghiaccio, trasformandola in neve poco prima che andasse addosso a Luke.

Erano quasi le tre del mattino, notai, e il giorno dopo dovevo lavorare.

Con un sospiro, mi sedetti per porre fine al gioco. Si sedette sulla poltrona lì vicino.

“Come mai ho dovuto salvarti, stasera, Raf?” chiese Luke. Mi strinsi le ginocchia al petto. Sapevo cosa pensava e avevo quasi paura che avesse ragione. Io non lo volevo, ma forse …

“Volevi ucciderti?” chiese infine. Scossi la testa, per non allarmarlo, e perché se avessi detto di sì avrei mentito a una parte di me stessa, in fondo.

“Ne sono sollevato.” rispose Luke con un sorriso timido. Si alzò e lanciò un'occhiata all'orologio. “Sarà meglio che vada, Raf.” mi sfiorò la mano. “Buonanotte.”

Afferrai una coperta e mi distesi sul divano appena uscì. Non avevo proprio le forze per trascinarmi a letto.

 

Il giorno successivo non trovai Luke in pasticceria e nemmeno il giorno seguente. Mi convinsi che nulla fosse cambiato, ma la realtà era che guardavo insistentemente la porta e perlustravo i tavoli, alla sua ricerca e nel timore di ritrovarci Sulfus.

Non capivo perché fossi tanto spaventata all'idea che lui mi trovasse. In ogni caso, anche se fosse successo, non mi avrebbe riconosciuta: ero umana, avevo le lentiggini, ero dimagrita e portavo sempre i capelli raccolti, cosa che non avevo mai fatto.

Ero diventata paranoica.

Persino le gemelle se ne accorsero.

“Che fai, Raf, aspetti il mostro delle nevi? Sembra che tu abbia gli spilli sulla sedia, non riesci mai a stare ferma!” esclamava di tanto in tanto la signora 1.

“E' vero, cara.” concordava allora la signora 2, ma io non badavo a nessuna delle due e la mia ossessione per la porta continuava.

Quando entrò Ellie, ero così tesa che andai a nascondermi dietro Ruby, alla cassa. Ruby, confusa, andò a servire a un tavolo e io mi tolsi il grembiule con un sospiro, preparandomi per la mia ora di pausa a pranzo.

“Ciao Raf.” mi salutò Ellie, scostandosi un po' la sciarpa dal viso. “Andiamo a pranzo?”

“Certo.” risposi, prendendo il cappotto e indossando anch'io una sciarpa. Negli ultimi giorni il freddo era aumentato e ormai era sempre più difficile capire, durante gli esercizi, quale fosse il mio ghiaccio, e quale quello naturale. Mi concentravo sul aria e acqua.

Non avevo un totale autocontrollo dei miei poteri, perciò cercavo di evitare di servire i bicchieri d'acqua, perché appena li sfioravo vi compariva generalmente un'immagine di quello che pensavo. O schizzava il cliente. O si trasformava in vapore. O ghiacciava.

D'accordo, evitavo rubinetti e bicchieri con acqua come se potessero trasmettermi la peste.

“Come va?” chiese Ellie, mentre uscivamo. Quel giorno c'era il sole, ma faceva ugualmente freddissimo.

“Bene, grazie.” risposi. “E tu? Come sta Johnny?”

Sorrise.

“Mmh … In realtà … Ecco, penso che abbia in mente qualcosa.”

“Cioè?”
“Mah … Il nostro anniversario si avvicina e penso che lui voglia fare qualcosa di speciale.”

Abbozzai un sorriso.

“Puoi esserne davvero contenta.” non riuscii a non sospirare. Se io e Sulfus avessimo mai potuto stare davvero insieme, avrebbe fatto anche lui qualcosa di speciale per me al nostro anniversario.

“E … Con lui?” chiese cautamente Ellie. “Si è fatto vivo?”

Ellie si era accorta del mio comportamento quando nominava Johnny e alla fine avevo dovuto cedere e rispondere alle sue domande. Non le avevo detto la verità, ovviamente.

Avevo detto che il mio ragazzo mi aveva lasciata senza un motivo, né una spiegazione, che semplicemente un giorno non si era più fatto sentire ed era sparito nel nulla.

Così, speravo tanto di vederlo tornare, un giorno o l'altro.

Ellie era stata molto comprensiva e, per fortuna, vedendo che l'argomento per me era davvero molto delicato non aveva mai insistito con le domande.

“No.” mormorai. “Prima … Quando sei entrata … Non so, è come se avessi paura di rivederlo.”

Sentivo le lacrime bruciarmi.

Ellie annuì comprensiva.
“Hai paura che possa ferirti di nuovo, è normale.”

Le sorrisi, perché effettivamente aveva ragione: avevo paura che Sulfus fosse arrabbiato o, peggio, che non lo fosse. Che fosse dolce e comprensivo, che capisse e che mi dicesse che mi amava.

Sarei tornata con lui, non avrei potuto farne a meno, ma sapevo che era sbagliato.

Non volevo essere di nuovo costretta a combattere contro di lui, a guardarlo dall'altra parte di quella linea invisibile che separava Angels e Devils. Ellie aveva ragione, avevo paura di soffrire.

Arrivammo al solito locale in cui mangiavamo, poco distante e abbastanza economico da potermelo permettere. Non ero mai stata a fare la spesa e non avevo mai capito com'erano fatti i supermercati umani, e confondevo sempre i soldi. Ero letteralmente un disastro, perciò il più delle volte era Say a fare la spesa.

“Piuttosto,” dissi, cambiando discorso, “cosa dicevi sul vostro anniversario?”

“Non lo so ...” rispose Ellie arrossendo. “Sembra terribilmente nervoso, come se stesse per ...” sgranò gli occhi e mi fissò. “Oddio.”
“Cosa?” chiesi allarmata, guardandomi in giro. Non conosceva l'aspetto di Sulfus, ma scioccamente per un attimo avevo pensato che fosse entrato.

Ma Ellie non mi ascoltava.

Prese a torcersi le mani, sostituite un momento dopo dal menù.

“In fondo, non ci sarebbe niente di male ...”

La fissavo, sempre più ansiosa, mentre un'idea cominciava a farsi strada nella mia mente.

“O mamma, Ellie!” esclamai, “Sono così felice per te!”

Ma mi tappai la bocca subito dopo. Accidenti al mio sesto senso!

Mi fissò, perplessa.

“Ehm … Io … Forse ho capito male ...” borbottai, ma lei non diede segno di esserne infastidita.

“No, hai capito bene. Secondo me Johnny vuole … Oddio … Vuole chiedermi di sposarlo!”

Sorrisi della sua felicità, anche se per un attimo la osservai cercando di capire quanti anni avesse. Era molto giovane, in fondo.

“Non ci sarebbe nulla di male, vero? Io ho ventidue anni, lui venticinque, non è troppo tardi e io lo amo, lui ama me e ci conosciamo da tre anni ormai ...”

Ellie si perse in pensieri di questo genere ad alta voce, mentre io, quasi involontariamente, mi ritrovavo ad immaginare un futuro umano tra me e Sulfus, io con uno splendido abito da sposa, lui in giacca e cravatta, ad aspettarmi all'altare …

“Volete ordinare, signorine?”

Il cameriere ci fissava, un po' seccato. Come dargli torto? Ellie parlava da sola e io fissavo il soffitto fantasticando su cose impossibili.

“Io prendo un hamburger con patatine.” risposi. Ellie doveva aver già ordinato, probabilmente non l'avevo sentita.

Quando i nostri piatti arrivarono, la nostra conversazione, per fortuna, andò a toccare argomenti che mi procuravano meno fitte allo stomaco e il pranzo trascorse in modo abbastanza piacevole.

Era un po' strano per me stare con Ellie, perché con lei potevo condividere a malapena un terzo della mia vita e dei miei pensieri … Con i due terzi restanti rischiavo di sconvolgerla.

Ci salutammo davanti alla pasticceria e, quando entrai, sentii il mio cuore accelerare.

Luke era lì, seduto al tavolino vicino all'ufficio.

Avanzai verso di lui, improvvisamente malferma sulle mie gambe, poi all'ultimo deviai verso la cucina, togliendomi lì la sciarpa e il cappotto.

“Ciao Raf!”

“Bentornata cara!” mi salutarono le gemelle. Le salutai distrattamente e mi misi ai fornelli.

Da come se ne stavano zitte, doveva essere successo qualcosa. Non dissero nulla per la successiva mezz'ora, anche se di tanto in tanto le vidi sbirciare fuori e sussurrare qualche parola tra loro.

Non ci badai: Luke era lì. Un Angel. Un Angel che sapeva tutto di me, che sapeva dei miei poteri, che sapeva come gestirli e che forse sapeva, leggeva su di me che qualcosa non andava.

“Ehi.” il saluto ruppe il silenzio della cucina, facendomi sobbalzare. Mi voltai e mi ritrovai faccia a faccia con Luke. Le gemelle erano sparite.

“Ehi. Come … Come sei entrato qui?”
Sorrise.
“Le gemelle mi hanno lasciato entrare.” mi sentii arrossire. Quelle due avevano travisato tutto. Sicuramente credevano che fossi innamorata di Luke e chissà cos'altro.

“Volevo chiederti … Sai, per le lezioni … Facciamo stasera, all'orario di chiusura? Posso passare a prenderti.”

Annuii.

“Per me va bene.”

Ci sorridemmo a vicenda e Luke mi prese una mano e vi fece spuntare un piccolo uccellino di ghiaccio, che mosse la testa e mi guardò, sbattendo le ali.

“A dopo, allora.”

Se ne andò, lasciando quella piccola creaturina nelle mie mani. La trasformai in aria un attimo prima che le gemelle entrassero di corsa e riprendessero le loro postazioni.

“Sempre gentile Lory, vero cara?” fece la signora 2, ma sentivo che tratteneva le risate.

“Oh, certo certo.”

Facevano del loro meglio, ma con scarso risultato. Uscii dalla cucina con due fette di torta in mano, più velocemente di quanto desiderassi.

Ci mancava solo questa! Ora quelle due …

Ma non finii di formulare il pensiero.

Lì, a meno di due metri di distanza da me, in forma umana, c'era Sulfus, con gli occhi puntati nei miei.

   
 
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