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Autore: Gru    01/07/2015    2 recensioni
"Ma noi non siamo pericolosi! E se... e se lo spiegassimo? Potremmo dire loro che siamo bravi, eh papà? Veniamo fuori sotto una grande coperta e... e poi diciamo che... no, anzi, scriviamo un bigliettino! Scriviamo un biglietto e lo spingiamo verso il primo umano che passa, così lui capirà e lo dirà agli altri umani, e potremmo uscire! Eh papà?"
Raccolta di drabbles su quanto la vita sia ingiusta con le persone sbagliate.
(La cronologia disordinata dei capitoli è ispirata ad una fanfiction in lingua inglese che ho letto tempo fa. Spero di non venire arrestata per questo.)
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Donatello Hamato, Leonardo Hamato, Michelangelo Hamato, Raphael Hamato/ Raffaello, Splinter
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mini-note pre... cosa: Lo so, lo so, c'è ancora scritto "in corso". Niente paura, ho solo diviso a metà la shot per evitare che vi addormentiate comodità. 
Questa one-shot non tiene conto degli eventi della terza stagione, o almeno di alcuni di essi, dato che anche la sua autrice li ignora. Eh.





Età: 20 anni



Il sole non era ancora riuscito a superare le schiere dei grattacieli più alti, ma era sicuramente sorto. Si nascondeva dietro uno di quei giganti grigi e squadrati, tingendo i suoi bordi di una luce che non gli apparteneva, così in contrasto con la sua fredda e artificiale austerità. 
L’aria fredda della notte ci avrebbe messo qualche ora a raggiungere una temperatura sopportabile per i flussi sempre più densi di newyorkesi che si riversavano nelle strade, brulicanti correnti multicolore che affollavano marciapiedi e metropolitane dei suoni e delle parole che avevano risparmiato durante la notte alla Città che non dormiva mai, ma che si trasformava in continuazione, cambiando faccia da un’ora all’altra della giornata, da un quartiere altolocato ad uno infestato di randagi e delinquenti.
Anche se, in realtà, di quell’ultima specie ve ne erano un po’ ovunque: tatuati o lastricati d’oro, non c’era mai stata alcuna differenza. Forse, ecco, quella dei ricconi che organizzavano dietro le quinte i più spregevoli atti di criminalità era la tipologia peggiore. Creature disgustose che sfoggiavano ogni tipo di raffinatezza ottenuta mediante crudeltà inconcepibili senza provare la minima vergogna, che osavano mostrarsi alla luce del sole dopo essere diventati autori delle azioni più disumane.
Disumane…
“Amico, è ora di andare.”

Raffaello non distolse lo sguardo dall’alba che non vedeva. Accanto a lui sentì Casey alzarsi dal cornicione del tetto e iniziare a dissimulare le tracce del loro passaggio. 
Alzò finalmente gli occhi sull‘amico, il volto attraversato da un sorrisetto sarcastico “Da quando hai iniziato a fare la mammina?”
Il ragazzo gli rivolse un’occhiataccia, abbandonando stancamente lungo i fianchi le braccia che conservavano ormai poco dell’immatura esilità di un tempo. 
“Ehi, senti, non è colpa mia. Oggi nessuno decide niente” protestò chinandosi per raccogliere la vecchia mazza da hockey, unico cimelio a cui non aveva rinunciato neanche dopo anni di addestramento professionale con i ragazzi: a detta sua, dava ancora delle magistrali randellate sui denti. “Il capo ci vuole  subito a portata di mano” aggiunse borbottando, con un cipiglio contrariato.
Alla vista dell’espressione sottomessa del compagno di ronda, Raph sghignazzò spudoratamente, ignorando l’irritato pugno sul braccio che ne seguì.
“Sì, certo, ridi pure, non sarai tu a venire spedito in giro per la città dalla Rossa per le scorte dell’ultimo minuto.”
“Meglio tu che io.”
“Stronzo.”
Raffaello sorrise voltandosi nuovamente verso la strada sottostante. Era il secondo giovedì di novembre.

“Intendi proprio qui… al rifugio?” 
April si era sistemata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, evitando per un momento i quattro sguardi interrogativi puntati su di lei. 
“Beh… sì, se per voi va bene” aveva ripreso con un sorriso incerto, spostando nervosamente gli occhi su ognuno di loro, come se stesse cercando di valutare le reazioni. 
Non avendo ottenuto risposta, si era affrettata a spiegare: “Naturalmente non siete obbligati, voglio dire, so che il Giorno del Ringraziamento non rientra nelle vostre tradizioni, ma forse quest’anno potrei riuscire a convincere mia zia a non far partecipare me e mio padre ad ogni pranzo che organizza per la minima occasione speciale… Sapete, da quando…” si era mossa sul posto, strofinandosi un braccio “…da quando papà è tornato definitivamente a casa chiama quasi cinque volte a settimana. Credo che lui accetterà comunque il suo invito, non vuole farla preoccupare, ma mi ha assicurato che sosterrà la mia causa” aveva concluso con un altro piccolo sorriso. “Sempre che vi faccia piacere” aveva aggiunto  premurosamente. 
“E perché mai non dovrebbe?” aveva trillato immediatamente Mikey, stritolandola in un abbraccio entusiasta. “Possiamo, non è vero, Leo?” si era informato voltandosi verso il fratello e trascinando la ragazza che teneva ancora stretta con sé.
“Sono certo che il maestro Splinter ne sarà felice” aveva sorriso in risposta l’interpellato, con una scintilla di curiosità nello sguardo, mentre l’amica aspettava di essere liberata dalla piovra verde.
“Come mai quest’idea?” le aveva chiesto Donatello, mentre Michelangelo si avviava trotterellando in cucina iniziando già ad elencare idee per il grande pranzo. “Le fogne non sono esattamente la location più ambita.”
“E’ stato un anno sereno. Non ho mai ringraziato abbastanza per questo” aveva risposto April enigmatica.


Era vero. Non avevano mai acquisito quella particolare tradizione americana, e non l’avevano mai sentita propria neanche dopo averla scoperta. 
Naturalmente Mikey era elettrizzato per il nuovo evento, che avrebbe riunito tutta la famiglia e che gli aveva dato l’occasione di liberare il suo genio culinario, che, a quanto pareva, era continuamente ostacolato dai “palati ignoranti” dei suoi fratelli. Non parlava d’altro da quando Splinter aveva acconsentito all’iniziativa di April, ringraziandola per aver voluto coinvolgerli in quella usanza, rinunciando a passare la giornata con la sua famiglia. Ricordò che la ragazza aveva scosso la testa, sorridendo tra sé e sé.
“Non ho rinunciato a niente, Sensei.”

Per quanto gli riguardava, quella era una giornata come tante altre. Aveva stuzzicato Donatello per essersi offerto come addetto al trasporto delle famose “scorte” per il pranzo - se si fosse sposato qualcuno, quel giorno, ci sarebbe stata meno agitazione -, alzando gli occhi al cielo ogni volta che Michelangelo, a qualunque ora del giorno, chiamava April per farle approvare ogni sua nuova idea per quella salsa e quell’altra insalata: quella era stata la sua partecipazione. 

Osservava i giganteschi tacchini lucidi di grasso al centro di tavolate infinite, in case dai pavimenti splendenti e i sorrisi ampi, e neanche una volta aveva considerato tutto questo come qualcosa di familiare, qualcosa che gli appartenesse. Non era una questione di sfarzo, o abbondanza, non gli interessava nulla di tutto ciò: semplicemente, per cosa avrebbe dovuto ringraziare?
Il mondo era sempre pieno di persone che pugnalavano alle spalle gli amici e che portavano loro via ciò a cui tenevano di più.  Innocenti continuavano a venire aggrediti, i risparmi di una vita portati via.
Vivevano sotto i piedi delle persone. La moglie del loro Sensei era stata uccisa e sua figlia lo credeva ancora il suo assassino. Per le persone che aiutavano tutte le notti, per i loro concittadini, non avevano un nome né un volto. 
E a chi avrebbe dovuto essere grato, in ogni caso? A Dio? 
Raffaello sbuffò una risata carica di rancore. Certo. Quegli dèi talmente misericordiosi da lasciare che le loro creature venissero considerate contro natura e isolate dagli altri suoi figli.
Che discorsi.
“Che hai da ridere?”
Raph si alzò di scatto, recuperando i Sai. “Se potessi vederti sempre in faccia, rideresti anche tu.”
“Uh, devo aver interrotto un gran pensiero profondo…”
“Andiamo, testa di guscio.”
Resistette al primo raggio del sole che aveva raggiunto i suoi occhi, le pupille sovrastate delle iridi verdi temporaneamente rischiarate dalla foschia dei pensieri, poi  distolse lo sguardo e corse con Casey verso casa.


“E adesso cosa dovrebbe significare ‘quanto basta’?”
Il tono spazientito del fratello fece ridacchiare silenziosamente Michelangelo. Distolse l’attenzione dal magnifico purè di patate dolci a cui stava dando vita e si voltò verso la figura di Leonardo, china sul foglio in cui April aveva loro elencato tutti i procedimenti per fare il ripieno del dolce che lei e Mikey avevano scelto. 
A Michelangelo ricordò un  pinguino nel Sahara. Aveva educatamente mascherato il sottile scetticismo dietro un sorriso grato quando, quella mattina, aveva trovato il fratello sulla porta della cucina che lo guardava affaccendarsi intorno ai fornelli, per poi chiedergli timidamente se avrebbe avuto bisogno di una mano per il pranzo.
Al che Mikey si era dovuto mordere l’interno delle guance a sangue perché la sua espressione non offendesse l’audace offerta del leader. Aveva comunque accettato volentieri, affidandogli le mansioni più semplici e macchinose, un po’ per pietà, un po’ per tenere lontani eventuali incidenti domestici.
Non che dubitasse dell’impegno di Leonardo: come immaginava, i compiti che necessitavano di precisione e metodo erano quelli in cui riusciva meglio - mai vista una zucca pulita meglio, davvero, anche se forse non era necessario soppesare il carico di un cucchiaio di farina per dieci minuti. Quello che mancava a Leo, era il senso della praticità.
“Qual è il problema?”
“Il sale. Quanto basta per chi?

Una volta sorpassati i tornelli, Casey si lasciò cadere di peso sul divano logoro, ignorando i cuscini che crollarono a terra all’impatto. 
“Se la Rossa arriva nei prossimi venti minuti, Raph, tu non mi hai visto.”
“Stai invecchiando, amico.” mormorò l’interpellato avviandosi in cucina in cerca di qualcosa su cui mettere le mani senza ricevere le mestolate stizzite di Michelangelo (“Cercate di sopravvivere con gli avanzi della cena per i prossimi due giorni, tutta quella roba mi serve”).
“Ti ho sentito.”

Dalla cucina, però, giungevano ben due voci che discutevano.
“Devi assaggiare l’impasto, Leo. E comunque di solito si intende qualche pizzico.”
“April avrebbe potuto essere più precisa.”
“Infila quel dito nella ciotola e basta.”
“Siete adorabili” commentò Raffaello dopo essersi concesso qualche istante della scena che gli si era parata davanti. “Mikey, non avevi proprio un grembiule anche per Fearless?”
Quest’ultimo gli lanciò un’occhiata fulminante, mentre l’altro alzava gli occhi al cielo, sistemandosi inconsciamente il tessuto sul piastrone.
“È utile, Raph.”
“Sembri un idiota, Mikey.”
“Immagino che abbiate fatto di nuovo l’alba” li interruppe Leonardo, smettendo di litigare con la pasta arancione sul tavolo e inchiodandolo con lo sguardo. Ora Raffaello non potè non immaginarselo con un grembiulino rosa e le mani sui fianchi.
“Già” rispose senza degnarlo di uno sguardo, mentre attraversava la stanza e spalancava il frigo ficcandoci la testa dentro. Sentì il profondo sbuffo spazientito del leader, e cercò di prepararsi psicologicamente per una ramanzina alle sette del mattino, cosa non facile, considerando che non aveva ancora trovato nulla di violabile da mettere sotto i denti. Ma se quel pomposo di suo fratello si fosse di nuovo messo in mezzo, reclamando la sua autorità più del lecito, non avrebbe potuto lasciar correre. Non era più un ragazzino, non aveva alcun diritto di-
“Bene.”
E Michelangelo, per la seconda volta, trascurò il suo purè per assistere agli sviluppi della conversazione da cui aveva preferito tirarsi fuori. Una mano smise bruscamente di rovistare nel frigo, e la testa di Raffaello fece capolino da sopra l’anta.
“E questo cosa vorrebbe dire?”
“Esattamente quello che ho detto” replicò Leonardo, ricominciando a mescolare la zucca con appena un po’ di forza in più rispetto a prima. “Non ti ripeterò che è pericoloso rientrare con troppa luce, e che dovresti avvisare quando hai intenzione di fare tardi.”
Raffaello alzò un sopracciglio. “Lo hai appena fatto.”
“No, ti sbagli” ribatté tranquillo il mutante in blu. 
Gli altri due fratelli si scambiarono un’occhiata sospettosa, e nessuno fiatò più per qualche istante.
“D’accordo.” Raffaello uscì dalla cucina con un trancio di pizza fredda. 
Era già un passo in avanti.

Non aveva fatto in tempo a mettere il naso fuori dalla stanza, che udì il rumore sferragliante dello Shell Raiser farsi più vicino. Con tutta l’intenzione di defilarsi nella sua stanza, lanciò un’occhiata veloce al divano. “Fare il morto non ti salverà”  fece in direzione di Casey, che si stava appiattendo contro l’imbottitura senza osare respirare. 
“Sta’ zitto.”  Alla voce ovattata dell’amico seguì il fracasso dei freni del vagone della metro. 
“Siamo arrivati!” salutò allegramente April, scendendo con cautela dal mezzo di trasporto, la testa nascosta dietro a quello che sembrava un vassoio carico di qualcosa di pesante e commestibile, dato l’odore, imballato con cura nella stagnola.
Dalle porte scorrevoli comparve anche Donatello, portando fuori due buste rigonfie di bibite e tenendo contemporaneamente d’occhio il carico sotto cui barcollava la ragazza.
Gli acuti eccitati di Michelangelo, che si era precipitato fuori dal suo regno, invasero il rifugio. “Quello è…?”
“Esatto!” sorrise compiaciuta April, facendo spuntare il viso da un lato del pacchetto. “Casey, alzati da lì e aiutami a portare questo in cucina.”
Il mutante in rosso decise che era il momento di scomparire prima di essere ‘catturato’ anche lui dalle direttive del generale O’Neil.
“Raffaello.”
Quest’ultimo sospirò, fermandosi nuovamente. Si voltò di malavoglia. “’Giorno, Sensei.”
   
 
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