Capitolo
4
La
pantera le si
avvicinò con un balzo felino, afferrandole l’orlo
della veste con
un’inaspettata gentilezza e tirandola a sé come se
volesse spingerla a
seguirla, come se volesse mostrarle qualcosa. Annuì,
allungando la mano verso
il manto scuro, scoprendo che le sue dita affondavano in una densa
coltre
d’oscurità invece che in una morbida pelliccia.
L’animale la trascinò fino alle
lizze dove un drago nero, più piccolo rispetto a quanto le
era sempre stato
raccontato, veniva ferito da una miriade di lunghe spine affilate come
rasoi.
Il sangue fuoriusciva da quelle ferite copioso, riversandosi al suolo
in stille
rubino. E il drago si accasciava a terra, gli occhi brillanti come
zaffiri
celati dalle palpebre pesanti, e giaceva immobile come privo di vita.
Si
svegliò di soprassalto,
sedendosi sul bordo del letto con il respiro corto. Le onde scure erano
appiccicate alla fronte da gocce di sudore freddo e il cuore le batteva
tanto
forte che per un attimo temette seriamente che fosse sul punto di
uscirle dal
petto. Quel sogno … no, quell’incubo, assomigliava
tremendamente a quelli di
cui spesso raccontava suo cugino Daeron. Non aveva mai preso sul serio
il
disagio che creavano nel ragazzo, reputando che non fosse altro che una
comoda
giustificazione per il suo esagerare nel bere, ma la sensazione di
spiacevole
ansia che le aveva lasciato addosso la portò a ricredersi
all’istante.
I
Targaryen fanno
sogni come questi da secoli, ma io lo sono solo in parte, che valore
profetico
può mai avere?
C’era
solo una persona in grado
di dirle se quello che aveva fatto fosse davvero un sogno premonitore o
se si
trattasse di uno stupido incubo che la sua mente turbata da Bloodraven
aveva
prodotto.
Una
sola persona e
il mio istinto, che mi grida a chiare lettere ciò che sono
troppo testarda per
accettare: succederà qualcosa di tremendo durante la lizza
di oggi, posso far
finta di nulla e correre il rischio che accada l’irreparabile
oppure espormi
anche a costo di passare per una pazza visionaria.
Il
piccolo drago nero dagli
occhi di zaffiro poteva corrispondere a un solo membro della famiglia
reale:
Valarr. E lei non poteva correre il rischio che gli accadesse qualcosa.
Doveva
vederlo, parlargli,
convincerlo a ritirarsi dalla competizione se necessario.
Lo
squillo della fanfara nella
piazza sottostante le annunciò che aveva dormito
più di quanto avrebbe dovuto e
che i primi cavalieri della giornata di giostra stavano già
cominciando ad
accorrere in vista della ripresa della competizione.
Calciò
via le lenzuola e,
stringendosi uno scialle sulla veste da camera, uscì dalle
sue stanze senza
pensarci oltre. Percorse a passo svelto il lungo corridoio, arrivando a
fare i
gradini che la separavano dalla piazzola antistante di corsa.
Doveva
arrivare al padiglione
prima che la giostra avesse inizio, null’altro aveva
importanza.
Registrò
con inaspettata
noncuranza gli sguardi allarmati di Ser Lennox e Ser Rodrick, fide
ombre di
Aerion, nel vederla in déshabillé e avrebbe
continuato per la sua strada se
davanti a lei non si fosse frapposta un’armatura
perfettamente lucidata sul
petto della quale sventolava maestosa l’insegna del drago
rosso a tre teste.
Aerion
l’afferrò per i polsi,
gli occhi viola che sembravano impegnati a cercare una spiegazione a
quell’apparente momentanea follia.
Se
non fossi
preoccupata oltre ogni dire troverei ridicolo che proprio lui, tra
tutti, si
prenda il lusso di giudicare qualcuno folle.
Provò
a districarsi dalla sua
presa, ma con scarsi risultati. Sebbene non particolarmente imponente
dal punto
di vista fisico, il principe era comunque un giovane cavaliere nel
pieno del
vigore.
-
Toglimi le mani di dosso –
sibilò, divincolandosi con maggior impeto. Forse, se fosse
riuscita a coglierlo
di sorpresa, avrebbe abbassato la guardia quanto bastava per
permetterle di
riprendere la sua corsa.
La
presa sui suoi polsi
sembrava puro acciaio di Valyria. – Aerion, ti ho detto di
lasciarmi andare! –
Battè i piccoli pugni contro la placca frontale. Un gesto
inutile, stizzoso. –
Devo raggiungere il padiglione di Valarr, é importante.
–
Lo
sguardo del principe si
indurì mentre anche il più piccolo barlume di
comprensione svaniva dai suoi
occhi.
-
Augurare buona fortuna a mio
cugino é tanto importante da spingerti a uscire dalle tue
stanze in … -,
gesticolò in direzione della sottile veste bianca che le
aderiva come una
seconda pelle come se non riuscisse a trovare la parola giusta, -
Così? –
-
Tu non capisci … –
-
Non credo ci sia molto da
capire. –
-
Ho fatto un sogno! –
Le
labbra sottili di Aerion si
piegarono nell’accenno di un piccolo sorriso di scherno.
– Hai fatto un sogno?
Sei molto dolce, Flamaerys, ma non credo che un sogno romantico
abbia la
priorità su una giostra. –
-
Non era uno di quei sogni da
stupide ragazzine, razza d’idiota –
sbottò. Non badò neppure alla scintilla di
furia che era lampeggiata negli occhi di Aerion all’udire le
ultime parole. –
Quello che intendevo é che ho fatto uno dei sogni che fa
Daeron. Non era come
tutti gli altri, era una visione. –
Il
principe si accigliò, in un
misto di sorpresa e incredulità. – I Targaryen
fanno sogni di frequente … cosa
hai visto? –
-
Un giovane drago nero
morente. –
Non
andò oltre con i dettagli,
per qualche strano motivo non voleva che Aerion fosse a conoscenza di
ciò che
passava nella sua testa.
-
Sei sicura che fosse nero? –
chiese, improvvisamente sollevato.
Annuì.
– Perché altrimenti
dovrei trovare Valarr? –
-
Già, immagino che sia l’unico
drago in grado di morire durante una stupida giostra –
considerò sorridendo.
-
Non é divertente, Aerion, e
adesso togliti dai piedi! –
Lo
spinse all’indietro con
tutta la sua forza, cogliendolo di sorpresa e riuscendo a sbilanciarlo.
Riprese
la sua corsa verso il padiglione, raggiungendolo proprio mentre Valarr
era sul
punto di calarsi sul volto l’elmo splendente.
Il
Giovane Principe rimase
interdetto, il gesto compiuto solo per metà, prima di
aprirsi in un bel
sorriso. Poi notò gli occhi arrossati e
l’espressione sconvolta della ragazza.
-
Ti é successo qualcosa?
Aerion ti ha dato di nuovo problemi? –
Scosse
risolutamente il capo.
-
Non devi prendere parte alla
giostra. Valarr, ti prego, dammi retta. –
Valarr
aggrottò le
sopracciglia, dubbioso, per poi stringerla a sé. –
Calmati, Flame, stai
tremando. Perché ritieni che non debba partecipare?
–
L’immagine
del suo sogno si
materializzò di nuovo davanti ai suoi occhi. Trattenne a
fatica un singhiozzo
sommesso.
-
Se gareggerai morirai. L’ho
visto in sogno … non era proprio un sogno, direi piuttosto
una premonizione,
come quelle che hanno tuo cugino e sua maestà. –
Sentì
la presa di Valarr
stringersi maggiormente su di lei mentre le accarezzava la schiena con
lenti
movimenti rassicuranti. – Non posso ritirarmi dalla giostra,
farei la figura
del codardo. –
Flamaerys
aprì la bocca per
ribattere, ma lui la precedette. – Credo al tuo sogno, ma un
giorno diventerò
re e non posso permettere che la paura mi impedisca di dimostrare il
mio
valore. Ti prometto che starò attento, ma non
rinuncerò a giostrare, non darò
un altro motivo ad Aerion per reputarsi migliore di me. –
Posò
il volto sulla placca
frontale, cingendogli il busto con le braccia. – Stai attento
a Leo Lungaspina
– mormorò.
-
Lo farò. – Afferrò la cappa
dalla sedia più vicina, depositandogliela sulle spalle. Era
sufficientemente
larga e lunga perché la coprisse interamente.
– Non che non apprezzi la vista, ma sei un
po’ troppo … ehm, leggera. –
Poi
allungò una mano a
catturare una lacrima solitaria che le correva lungo la guancia
alabastrina, le
prese il volto tra le mani e la baciò con dolcezza.
-
Vincerò questo torneo e sarai
la mia regina d’amore e di bellezza. –
Spazio
autrice:
Perdonate
la lunga assenza e il capitolo scandalosamente corto, ma son stata
impegnatissima con l’università e la maledetta
sessione estiva >.< perciò
sono riuscita solo ora ad aggiornare. Spero che il capitolo vi sia
piaciuto.
Alla prossima.
Baci
baci,
Fiamma
Erin Gaunt