Crossover
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Autore: Odinforce    04/07/2015    4 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9
Poco dopo, erano tutti quanti in un salotto nell’ala est del castello, che a differenza di tutto il resto era stato ripulito da cima a fondo per renderlo accogliente. Sopra il caminetto acceso spiccava un grande quadro che ritraeva un anziano signore, il cui aspetto non richiamava tuttavia alcuna somiglianza con gli attuali abitanti di Burton Castle.
Erano divisi in due gruppi: da una parte vi erano Sora, Harry, Po, Lara, Luke, Hellboy e Jake, gli ospiti della casa; dall’altra vi erano Edward “mani di forbice”, Barnabas Collins, Sweeney Todd, Willy Wonka, il Cappellaio Matto e Victor Van Dort, i padroni di casa. Uomini la cui natura era ancora avvolta nel mistero: nessuno dei sette compagni riusciva a spiegarsi, infatti, perché erano identici nell’aspetto, persino nella voce, nonostante avessero affermato di non essere legati da alcuna parentela.
Ma questo mistero stava per essere svelato. Dopo un’iniziale diffidenza, infatti, i due gruppi avevano imparato a rispettarsi, grazie soprattutto all’intervento di Sora. Ora il gruppo di eroi era intento a raccontare agli abitanti di Burton Castle la situazione, insieme alle loro identità; nel frattempo sorseggiavano tè e mangiavano dolcetti serviti loro da Edward, che continuava a dimostrare un’innocente gentilezza da maggiordomo. Ognuno di loro si era sistemato come poteva, tra le poltrone e i divani intorno al camino; solo Jake e Po, a causa della loro stazza, furono costretti a sedersi a terra. Barnabas, che agiva come capo di quel gruppo, ascoltava in silenzio, seduto nella sua poltrona incrociando le lunghe dita.
Quando Jake Sully ebbe finito di raccontare, nessuno dei presenti era rimasto incredulo. Anzi, dalle loro espressioni sembravano perfettamente d’accordo con la versione dei fatti, come se ci fossero dentro fino al collo.
« Vi crediamo fino all’ultima parola, signor Sully » dichiarò Barnabas con serietà. « Si dà il caso, infatti, che le nostre teorie sulla natura di questo luogo arcano coincidano con le vostre. Già da tempo avevamo convenuto di essere finiti anche noi in un altro mondo... contro la nostra volontà. Sappiate, tuttavia, che il fenomeno non coinvolge solo le persone, ma anche i luoghi. Come questo castello, per esempio... anch’esso è stato strappato dal suo mondo d’origine, proprio come noi. »
« Immagino che questo, allora, sia il vostro castello, Barnabas » intervenne Lara.
« Nient’affatto » rispose il vampiro. « Non sono io il proprietario di questa magione, per quanto essa assomigli alla mia amata dimora, Collinwood. No, tecnicamente il padrone di casa è il nostro Edward. »
Tutti si voltarono a guardare Edward, giunto in salotto con un nuovo vassoio. Il giovane dalle mani di forbice rimase fermo a restituire lo sguardo, sorridendo debolmente. Per questo non riuscì a comprendere l’aria sorpresa che pervadeva gli ospiti.
« Appare difficile da credere, vero? » riprese Barnabas. « Lasciate che vi spieghi. Un tempo questo posto apparteneva a un solitario inventore, la cui effigie è tuttora immortalata in varie immagini che potete ammirare qui intorno » e indicò il grande ritratto appeso al muro. « Tale inventore, poiché solitario, era anche eccentrico quanto geniale. Aveva un talento nel realizzare automi che rendevano più comoda la sua vita, agendo come la servitù domestica di cui necessitava questo castello. Passeggiando in mezzo alle proprie macchine, un giorno ebbe l'intuizione di sfruttarne una per creare un essere umano vivo e vegeto. In poco tempo, quest'uomo riuscì nel proprio intento, trasformando un automa nel giovanotto ora intento a servirci il tè. »
Edward ricevette un altro giro di occhiate.
« Mentre lo costruiva, l'inventore gli trasmise nozioni di galateo, di buona educazione e di luoghi comuni. Ma poi accadde un’improvvisa tragedia: il vecchio morì di infarto prima di poter dare a Edward un paio di mani, al posto delle quali gli rimase questo... insensato miscuglio di lame e forbici. Da allora il ragazzo ha vissuto qui da solo, come un prodotto malriuscito. Sebbene abbia un notevole talento nel giardinaggio e in altri simili lavori, è purtroppo impossibilitato ad avere un normale contatto con le altre persone. Ciononostante è stato molto gentile ad accogliere me e gli altri ospiti, quando siamo giunti sulla soglia del castello. Ah, grazie, Edward. »
Il giovane dalle mani di forbice gli stava porgendo il vassoio, da cui prese un calice colmo di una sostanza rossa. Barnabas lo avvicinò alle labbra e sorseggiò con gusto.
« Alquanto dolce, questa volta » commentò. « D’altronde è naturale che lo sia, poiché proviene dalle vostre vene, William » e guardò Wonka che ammiccò al suo sguardo. « Con tutti i dolci di cui vi nutrite, mi stupisce che i vostri denti mantengano uno splendido biancore. »
« Il mio segreto è non uscire mai di casa senza dentifricio » rispose Wonka, strizzando un occhio con fare amichevole.
« Occavolo » borbottò Po con aria orripilata. « Quello non sarà mica sangue? »
« L’unica sostanza in grado di dissetarmi, in questo periodo difficile » rispose Barnabas con amarezza. « Ma non temete, non l’ho preso con la forza dalla gola di nessuna sventurata vittima. I miei soci hanno acconsentito a donarmi a turno un po’ del loro sangue, per darmi il sostentamento necessario. Un paio di questi bicchieri bastano a saziarmi per una settimana. »
« Sempre meglio dell’alternativa » borbottò Sweeney Todd da una poltrona lontana, « cioè rischiare di farsi azzannare nel cuore della notte. »
I sette compagni lo guardarono, ancora increduli che un individuo del genere fosse incluso nel loro club.
« Il signor Todd » disse Barnabas « era un tempo conosciuto come Benjamin Barker, un uomo onesto che lavorava come barbiere nella sua città. Ma la sua vita fu rovinata da un disgraziato uomo di legge, un giudice che bramava la bella e virtuosa moglie di Barker; per questa sua infatuazione lo fece arrestare con delle false accuse, condannandolo e obbligandolo a una vita di duro lavoro in un luogo lontano. Ritornato dopo quindici anni, dopo essere fuggito, Barker adottò il nome di Sweeney Todd, pronto a compiere vendetta sull’uomo che gli aveva sottratto quanto aveva di più caro. Il losco giudice aveva infatti spinto al suicidio l’amata moglie, e rapito la figlia per diventarne il tutore. Todd riprese così la sua attività di barbiere, sfogando la sua rabbia sugli ignari clienti tagliando loro la gola. Quando uccideva non dimostrava alcuna pietà, senza nemmeno guardare in faccia le sue vittime. Ogni volta copriva i delitti trasformando i loro corpi in pasticci di carne, con l’aiuto di una complice. Alla fine, comunque, riuscì nel suo intento: tagliò la gola del giudice e consumò la sua vendetta... ma questo, come vedete, non lo ha liberato dalla sua natura omicida. »
« Non è un male da cui ci si può liberare » disse Hellboy. « La via dell’uccisione è una strada senza ritorno. Forse, qui dentro, sono quello che lo sa meglio di tutti. »
« Arguisco che un cacciatore di mostri come lei sia notevolmente esperto di nature maligne, signor Hellboy » ribatté Barnabas. « Tuttavia non credo che il male sia qualcosa che si possa classificare secondo parametri e misure umane. Immagini di essere stato al posto di Todd... non avrebbe agito in ugual modo? Non avrebbe desiderato la vendetta? »
Hellboy non rispose, ma dalla sua espressione appariva quasi d’accordo con lui.
« Sarà meglio cambiare argomento, comunque » riprese Barnabas, sorridendo. « Passiamo da un estremo all’altro... dalla morte all’amore. Credo che la storia di Victor soddisfi al meglio questo requisito fondamentale. »
I sette compagni spostarono automaticamente lo sguardo, abbandonando Todd e concentrandosi su Victor.
« Victor Van Dort è il rampollo di una facoltosa famiglia dell’alta borghesia, bramosa di elevare la propria condizione sociale. Per questo i suoi genitori avevano combinato un matrimonio con la giovane erede di una nobile famiglia, ormai in decadenza. L'incontro tra le due famiglie permise ai due giovani promessi sposi di conoscersi e, contrariamente ad ogni aspettativa, si erano piaciuti al  punto da innamorarsi l'uno dell'altra. Ma mentre si esercitava ad apprendere il giuramento per le nozze, vagando da solo in una foresta, Victor infilò incautamente l’anello nuziale a quello che sembrava un ramo contorto, ma che in realtà si rivelò essere lo scheletro di una mano, appartenente al cadavere di una giovane donna vestita da sposa. Ella si rianimò sotto il suo sguardo atterrito, e lo ghermì per portarlo con sé nel mondo dei morti. Victor si ritrovò così improvvisamente sposato, con una donna morta da tempo, il cui sogno più grande era quello di avere un marito. Lei, tuttavia, capì in seguito che Victor amava un’altra donna, così lo lasciò andare affinché convolasse a nozze con la sua promessa. Lui, in cambio, la liberò dal tormento dopo aver scovato l’uomo che l’aveva assassinata, e a sua volta fu libero di tornare alla sua vita. »
Barnabas tacque, guardando Victor aspettandosi che dicesse qualcosa. Il ragazzo guardava a terra, l’aria malinconica.
« Lei ha fatto così tanto per me » mormorò con nostalgia. « Mi ha dato la forza di fare cose che non ero mai riuscito a compiere in vita mia... non la dimenticherò mai. »
Ci fu una breve pausa, in cui i presenti bevvero qualche sorso dai loro bicchieri. Nel frattempo il Cappellaio Matto canticchiava per conto suo, con aria assente.
« Era cerfuoso e i viviscidi tuoppi
ghiarivan foracchiando nel pedano:
stavano tutti mifri i vilosnuoppi,
mentre squoltian i momi radi invano... »
« Che cos’è? » chiese Sora curioso, seduto accanto a lui.
« Cos’è cosa? » ribatté il Cappellaio, come se non sapesse di che stava parlando.
« Ah, non importa. »
« Ecco, non distrarti. Devi ancora scoprire perché un corvo assomiglia a una scrivania. »
« Ehm... ci sto ancora pensando. Te lo farò sapere non appena lo avrò scoperto, promesso. »
Sora era l’unico tra i suoi compagni a dargli confidenza. Gli altri, invece, cercavano di ignorarlo, ma erano curiosi sulla sua identità allo stesso modo dei suoi soci. Tornarono quindi a guardare Barnabas, aspettandosi che rivelasse in quel momento la storia del Cappellaio Matto.
« Di lui non so praticamente nulla » dichiarò il vampiro, « poiché dalle sue labbra fuoriescono nient’altro che frasi sconnesse e insensate canzoncine. Credo tuttavia di aver capito che perse la zucca dopo che una bestia immonda distrusse il suo villaggio. »
« No, la zucca si era salvata, me lo ricordo benissimo » ribatté il Cappellaio con un ghigno soddisfatto. « È il cervello che ho perso... non lo nota nessuno, a causa del mio cappello. »
« Ah, ecco qual era il problema » commentò Willy Wonka sarcastico. « Continuavo a chiedermi dove stavo sbagliando. Be’, questo spiega tutto. »
« E lei, signor Wonka? » gli domandò Harry, cercando di sorvolare. « Da dove viene? »
« Il signor Wonka è il proprietario della più grande fabbrica di dolci esistente al mondo » rispose Barnabas. « Non esiste nazione o regno che non acquisti le sue rinomate tavolette di cioccolato, di cui devo ammettere io stesso la squisitezza. È indubbiamente un tipo eccentrico a vedersi, ma il suo genio va oltre ogni misura: so che produce i dolci con l’ausilio di un popolo di buffi nanetti canterini, amanti delle danze e dei chicchi di cacao. »
Po si voltò verso i suoi compagni, che gli restituirono un’occhiata incerta. Dai loro sguardi appariva chiaro che nessuno di loro conosceva Willy Wonka e la sua fabbrica. Ciò significava che non proveniva da nessuno dei loro mondi.
« Tuttavia, Wonka, dovresti pensare a chi tramandare le tue proprietà quando non ci sarai più » riprese Barnabas con serietà. « Non nego che tu sia ancora giovane, ma la mancanza di una famiglia è evidente. Dovresti trovare un erede. »
« Ci stavo lavorando, infatti » rispose Wonka. « Avevo deciso di bandire un concorso, convocando cinque bambini da tutto il mondo per far visitare loro la mia fabbrica. Il vincitore sarebbe divenuto il mio erede. Era tutto pronto... ma poi sono arrivato qui, chissà come. »
Barnabas sospirò. Notò che tutti ora guardavano lui, l’ultimo rimasto. L’unico ad avere ancora una storia da raccontare. Il vampiro intuì il loro silenzioso desiderio e riprese a parlare.
« Quanto a me, sono l’unico figlio dei coniugi Collins, giunti negli Stati Uniti d’America per fare fortuna. Avevo una relazione con una mia domestica, che a mia insaputa era una strega. La lasciai poiché invero non l’amavo, ma questo segnò la mia rovina. Ella, infatti, mi causò una sequela di disgrazie: la morte dei miei genitori e il suicidio della mia fidanzata, colpita da un maleficio. Fui afflitto da un dolore tale da gettarmi da una rupe, pronto a togliermi la vita. Subito dopo scoprii con orrore che non potevo morire: la strega mi aveva punito con l'immortalità, trasformandomi in un vampiro. E dal momento che i vampiri sono dei mostri agli occhi del volgo ignorante, non passò molto tempo prima che i miei concittadini si levassero contro di me, per seppellirmi vivo in una bara. La mia prigionia durò circa duecento anni, finché non fui liberato accidentalmente da altri uomini. Di nuovo libero, ma prigioniero di questa orrenda maledizione. Tornai alla mia antica dimora, dove abitavano i discendenti del mio casato. Li aiutai a uscire dalle tenebre che offuscavano la loro vita. Durante questo periodo di restaurazione, accadde il misterioso fenomeno che mi portò qui. »
Calò il silenzio per un po’.
« È tutto qui, infine » riprese Barnabas poco dopo. « Ecco chi siamo, e che cosa siamo. Vittime e protagonisti di fiabe nere. Le nostre vite sono state segnate da cupi drammi e commedie tenebrose. Storie di amore e di morte, di giardini fioriti che crescono sotto nubi oscure; storie di mostri umani e di uomini mostruosi. È questo che ci accomuna, oltre ai nostri volti.
« Indubbiamente siamo come voi, miei cari ospiti. Le nostre storie confermano la teoria che state ponderando. Anche noi siamo stati strappati dai nostri mondi, dalle nostre dimore. Siamo giunti in un mondo dominato dal caos e dal disordine, colmo di avversità che non siamo in grado di affrontare. Siamo giunti qui uno dopo l’altro, rifugiati sotto questo tetto per sfuggire alle minacce che percorrono le strade all’esterno. »
« Che genere di minacce? » domandò Harry.
« Le stesse che hanno colpito voi. I Senzavolto. Spettri privi di identità... camminano su questo mondo in una pallida, grottesca imitazione della vita comune. E attaccano quelli come noi, ogni volta che ci riuniamo. È così che riescono a vederci... riescono a percepire due persone quando si incontrano. »
Sora e Harry capirono dunque perché i Senzavolto li avevano visti all’improvviso, quando si erano incontrati.
« E non è arrivato nessun altro a Burton Castle prima di noi? » chiese Jake.
« In realtà c’era un altro insieme a noi » rispose Victor. « Era un nostro simile... aveva anche lui i nostri lineamenti. »
« Ha lasciato il castello poco tempo fa » aggiunse Barnabas, con un tono del tutto privo di dispiacere. « Non nego tuttavia di essere lieto della sua partenza, poiché non era altro che uno sporco furfante. Un odioso, irritante pirata, arrogante e per giunta maleducato. »
« Un momento! » intervenne Sora, alzatosi di scatto dalla sua poltrona. « Per caso aveva lunghi capelli castani, una bandana rossa e si comportava in modo bizzarro? »
Aveva cercato di descriverlo anche con le mani, mettendosi in una posa piuttosto ridicola.
« Non avresti potuto descrivere meglio quel sudicio brigante, ragazzo. »
Sora trattenne il fiato per lo stupore, prima di riuscire ad esclamare il nome dell’uomo che aveva riconosciuto, incontrato non molto tempo prima in una delle sue avventure.
« Jack Sparrow! »
« Arguisco dunque che tu lo conosca » disse Barnabas. « Il suo aspetto lo rendeva inequivocabilmente uno di noi, ma il suo carattere era ben diverso dal nostro. Non amava restare chiuso in queste quattro mura, perciò decise un giorno di affrontare le ignote avversità che si nascondono là fuori... per mai più ritornare. »
« E lo avete lasciato andare? Non avete provato a trattenerlo? »
« Cosa potevamo fare? » fece Victor, visibilmente preoccupato. « Sparrow, tra noi, era l’unico ad avere doti da combattente. Era armato, ed era pronto a spararci o a infilzarci con la sua spada pur di lasciare il castello. Provammo a convincerlo a restare, ma fu inutile. »
« Dovevi dissanguarlo, Barnabas » gli rinfacciò Todd. « Almeno così sarebbe rimasto. »
Barnabas sospirò con amarezza.
« Indubbiamente ero in grado di trattenerlo con la forza. Tuttavia decisi di spingerlo a fare la sua scelta... andare o restare. È così che preferisco agire. Piuttosto che usare la forza bruta, preferisco porre gli altri di fronte a un bivio, affinché siano costretti a scegliere una via. Sparrow era uno di noi, ma ha scelto di andarsene. »
« Ha fatto ciò che riteneva più giusto per se stesso » ribatté Luke.
« È vero » aggiunse Sora. « Io l’ho conosciuto, e posso capire cosa gli è passato per la testa. Jack non voleva restarsene qui con le mani in mano. Magari sarà un furfante, un bugiardo... un pirata... ma è soprattutto un brav’uomo. Ha fatto quello che avremmo fatto noi al suo posto: affrontare il pericolo, anziché restare nascosti. »
Silenzio. I due gruppi si scrutarono con attenzione, in attesa di chissà cosa. Alla fine fu Barnabas a spezzarlo.
« Sì, comprendo » mormorò abbassando lo sguardo. « Forse avrei scelto anch’io la stessa cosa. Ma dopo tutto quel che ho passato nella mia vita, ho imparato che la famiglia viene prima di tutto. I miei soci » e li guardò per un attimo « hanno bisogno della mia guida, e non posso abbandonarli.
« Spero che questo possa fungere da risposta alla proposta che sono certo vogliate farci. Poiché, come voialtri, siamo estranei in questo mondo contorto, dovremmo formare un’alleanza e partire alla ricerca di un modo per tornare a casa. Idea allettante, ma impossibile da mettere in pratica, per noi. Purtroppo non siamo guerrieri come voi, né condividiamo la natura avventurosa che vi domina. Prendete Edward, o il Cappellaio, per esempio... non vedo come potrebbero riuscire in un’impresa così rischiosa. »
I sette compagni non si azzardarono a replicare. Barnabas era stato perfettamente chiaro. Tra loro, lui era forse l’unico in grado di affrontare le avversità del mondo esterno, ma preferiva restare con i suoi amici per proteggerli. Aveva ragione, non avrebbero avuto speranze contro i nemici che si sarebbero levati contro di loro.
« Rispetteremo la vostra decisione, allora » dichiarò Luke, alzandosi dalla poltrona. « Ma noi non rinunceremo alla nostra missione. Vorrà dire che dovremo riprendere il cammino senza di voi. »
« Troppo tardi » mormorò Edward. Il gruppo si voltò a guardarlo, ma la risposta apparve davanti ai loro occhi senza alcun giro di parole. Il giovane dalle mani di forbice guardava fuori dalla finestra, oltre la quale infuriava un brutto temporale. I sette compagni erano stati troppo impegnati a conversare con Barnabas e gli altri da non accorgersi che aveva iniziato a piovere.
« Non ci voleva » borbottò Harry, fissando il temporale con rabbia. « Questo è un grosso impiccio, ci farà perdere tempo prezioso. »
« In effetti non andrete lontano con questa pioggia » osservò Barnabas. « Vi suggerisco di fermarvi qui per riposare, finché il clima non sarà migliorato. Il castello è abbastanza grande da ospitarvi tutti. »
Jake scrutò attentamente i suoi compagni, cercando un eventuale parere contrario, poi fu libero di acconsentire all’idea a nome di tutti.
Poco più tardi lasciarono tutti quanti il salotto. Edward e Barnabas guidarono gli ospiti verso i piani superiori, mentre gli altri tornavano a dedicarsi ad altre attività. Ai sette compagni furono dunque mostrate una serie di camere libere dove passare la notte. Ognuno fu sistemato a coppie, dal momento che erano numerosi; Harry e Sora, Jake e Po, Luke insieme a Hellboy; Lara rimase da sola, ma non aveva nulla di cui lamentarsi.
« Allora vi auguro una buona notte, signori » annunciò Barnabas con garbo.
« B... buonanotte » sussurrò Edward, guardando Lara con evidente imbarazzo.   
« Buonanotte a voi » rispose la donna, « e grazie di tutto. »
 
Così l’intero gruppo si mise a dormire, cercando di ignorare la tempesta che infuriava fuori dalle finestre. In quel momento nessuno di loro poteva rendersi conto che là fuori c’era ben altro, oltre all’orda di non-morti ancora intenta a vagare per le strade del quartiere. Là fuori, su una rupe lontana da cui si poteva vedere il castello, c’era qualcuno intento ad osservare... qualcuno molto interessato agli ospiti di Burton Castle. Una donna alata vestita di bianco, seduta sulla rupe incurante della pioggia che si abbatteva su di lei.
« Ah, sei arrivato, finalmente » mormorò Natla, voltandosi a guardare il nuovo arrivato. « Dunque hai accettato anche tu la proposta di Nul. »
« Non avevo altra scelta... proprio come voialtri. »
« Dunque anche tu rimpiangi la vita che ti fu tolta. E dimmi, chi è il maledetto che ti ha ucciso? »
« Nessuno di loro » rispose acido, fissando la sagoma del castello. « Non si è ancora unito a quel gruppo di eroi. E dal momento che mi sto annoiando parecchio, ho intenzione di svagarmi un po’ con quel branco di ignoranti. »
« Presto avrai il tuo svago, te lo garantisco » rispose Natla con un sorriso. « Ma dobbiamo pianificare bene la nostra incursione, dal momento che siamo solo in due. Dubito che riusciremo a ucciderli tutti, e sarà meglio non provarci. Inoltre voglio che tu non arrechi alcun danno alla ragazza. Lei è mia... siamo intesi? »
« Il capo sei tu... per il momento. »
 
Lara non riusciva a dormire, un po’ per i rumori del temporale, un po’ per l’assenza di stanchezza. In effetti ci voleva ben altro per stancare un’archeologa, dall’alto della sua esperienza. Si alzò dunque dal letto, con l’intenzione di fare una passeggiata per il castello. Cercò di muoversi con cautela per non svegliare nessuno. Iniziò dunque a camminare per i corridoi, osservando con noncuranza le varie decorazioni: statue mostruose e armature impolverate, quadri sporchi e soprammobili incrinati, per non parlare degli strani macchinari realizzati dall’Inventore. Alcuni di essi avevano le stesse mani di Edward, lunghe lame affilate destinate a chissà quale utilizzo. Lara cercò di non pensarci, ma quella domanda andò a ficcarsi inevitabilmente nella sua testa: come diavolo era venuto in mente a quel tipo di trasformare una macchina in un uomo?
Un rumore improvviso attirò la sua attenzione, alla sua destra. Sembrava fosse caduto qualcosa nelle vicinanze. Lara si trovò quindi davanti a una porta socchiusa e l’aprì: si ritrovò in quella che sembrava indubbiamente una biblioteca, piena di libri di ogni sorta. I suoi occhi trovarono subito la fonte del lieve rumore: Edward, in piedi davanti a uno scaffale, aveva fatto cadere un libro. Si era pure fatto un altro taglio sulla guancia, che sanguinava.
Il giovane volse lo sguardo su Lara, apparendo nuovamente imbarazzato.
« Oh » mormorò, « mi... mi dispiace. »
« E per cosa? » chiese Lara. « Non hai fatto nulla di male. »
Si chinò per raccogliere il libro, intuendo che Edward non avrebbe potuto recuperarlo tanto facilmente. Notò che alcune pagine erano tagliate a pezzi; probabilmente Edward aveva cercato di leggerlo, ma con quelle mani aveva finito per rovinarlo.
Lara estrasse dunque un piccolo kit di pronto soccorso dalla sua cintura, e in pochi minuti medicò il taglio sulla guancia di Edward. Il giovane rimase fermo per tutto il tempo, lasciando che la donna lo curasse. Ora che era così vicino, poteva vedere meglio l’incredibile quantità di cicatrici sul suo volto bianchissimo, e la sua totale noncuranza per questa realtà dei fatti.
« Non riesci a dormire nemmeno tu, eh? »
Edward scosse il capo.
« Penso che un buon libro sia l’ideale per conciliare il sonno. Magari potremmo leggerlo insieme, che ne dici? »
« Mi... mi piacerebbe molto. »
Lara sorrise, voltando il libro per capire di cosa si trattava. La copertina era molto consunta, ma era ancora visibile l’immagine: sembrava una collina in una notte di luna piena, la cui cima formava un curioso ricciolo. Il libro s’intitolava: Felici storie tristi. Lara lo fissò con aria dubbiosa, ma non voleva contrariare Edward consigliando un altro libro; quel ragazzo era già abbastanza ansioso a causa della sua presenza, quindi era meglio non metterlo troppo in crisi.
Lara aprì dunque il libro, scegliendo una pagina a caso. Trovò una specie di filastrocca intitolata Vincent, quindi si sedette accanto a Edward per leggerla ad alta voce:
 
Vincent Malloy è un bravo bambino,
ha sette anni ed è assai perbenino,
per la sua età ha virtù assai rare
ma a Vincent Price vuol somigliare.
 
Ha un gatto, un cane ed una sorella
ma vuole soltanto una vita più bella.
In orridi antri, per meglio sognare,
con rettili e topi vorrebbe abitare.
 
Con loro vivrebbe incredibili orrori
sentendosi preda di ghiacci sudori,
vagare vorrebbe, in tenebra oscura
sfidando pericoli senza paura...
 
Lara proseguì fino alla fine, lasciandosi un po’ trasportare dal contenuto del racconto. Era piuttosto inquietante, doveva ammetterlo, a tal punto da chiedersi cosa passasse per la testa al tizio che l’aveva scritto. Guardò Edward e vide che sorrideva; evidentemente il racconto gli era piaciuto molto, nonostante il suo contenuto fosse tutt’altro che allegro. Poi ricordò il tipo di persone che abitavano il castello, accomunate tutte da un notevole senso di macabro. A quel punto sentì il sonno arrivare.
« Credo che ora riuscirò a dormire » dichiarò Lara, alzandosi dalla poltrona.
« Va bene » rispose Edward. « Allora buonanotte... e grazie. »
Lara sorrise, e uscì dalla biblioteca.
Fece la strada a ritroso per un po’, finché non fu davanti alla soglia della sua camera. Intorno a lei regnava il silenzio assoluto, eccezion fatta per i tuoni del temporale soffocati dalle mura. Evidentemente i suoi compagni dormivano ormai della grossa, insieme a tutti gli altri. Cercò quindi di non fare rumore mentre apriva la porta, pronta per infilarsi nel letto.
Thump.
Lara si voltò di scatto, estraendo una pistola dalla fondina. Vide un grosso vaso polveroso traballare accanto al muro, come se qualcuno lo avesse urtato. E quel qualcuno appariva davanti al suo campo visivo subito dopo... era Edward, il volto nuovamente colmo di paura.
« Edward » disse Lara, abbassando la pistola. « Mi hai spaventata... ma che ci fai qui? »
Edward non rispose, limitandosi a fissare la donna.
« Va tutto bene? »
« Sì... certo. »
Bang!
Edward crollò a terra, spinto all’indietro dal proiettile fuoriuscito dalla pistola di Lara. Ora la donna lo guardava con serietà, puntando decisa l’arma su di lui. Tuttavia non poté impedire allo stupore di tornare ad assalirla, quando udì Edward parlare.
« Oh, mi hai beccato » disse con voce falsamente preoccupata. Si alzò dunque da terra, come se non fosse accaduto nulla. Eppure Lara lo aveva colpito in pieno petto... come faceva ad essere ancora vivo?
« Come hai fatto a scoprirmi? »
« Poco fa avevo medicato Edward sul volto » rispose Lara, mantenendo la presa sulla pistola. « Quando me ne sono andata, aveva ancora il cerotto sulla guancia. Tu non ce l’hai, e nemmeno il taglio fresco che si era fatto. »
Il giovane si passò una lama sulla guancia, senza staccare gli occhi da Lara. Più che sorpreso, sembrava ammirato.
« Notevole » commentò divertito, « hai un ottimo spirito d’osservazione. »
« Allora, vuoi dirmi chi sei? » taglio corto Lara, tirando indietro il cane della pistola. « O preferisci un altro buco su quel tuo corpo da impostore? »
L’impostore allargò le braccia, scoppiando a ridere. Lara notò che nel punto dove gli aveva sparato non c’era più alcun buco, come se lo avesse mancato.
« Prego, fai pure. Ma come puoi ben vedere, la tua arma non mi fa alcun effetto. Non puoi ferirmi... mentre io posso ferire te! »
Scattò in avanti all’improvviso. Le forbici fendettero l’aria, raggiungendo il punto in cui un attimo prima c’era il petto di Lara. La donna era riuscita a scansarsi all’ultimo momento, facendo un balzo all’indietro. Strinse la presa sulla pistola e sparò altri colpi. Tre pallottole trapassarono il corpo dell’impostore, ma questa volta non cadde; rimase fermo sul posto, mostrando a Lara cos’era capace di fare: i buchi si chiudevano istantaneamente davanti ai suoi occhi, brillando di luce rossa per alcuni istanti.
« Ma cosa diavolo sei? » esclamò Lara, improvvisamente disgustata.
« Non è importante quello che sono » sussurrò l’impostore, « ma quello che vorrei essere... un uomo. O, perché no? Una donna! »
Il corpo dell’impostore fu avvolto da quella strana luce rossa, e pochi attimi dopo aveva assunto un aspetto completamente diverso. Era quasi identico a Lara, tranne che per alcuni dettagli; aveva i capelli rossi e gli occhi gialli, inquietanti come quelli di un lupo nella notte.
Lara trasalì per lo stupore. Si dava il caso che conoscesse bene quella forma, non tanto per la sua somiglianza, ma per ciò che rappresentava. In passato si era ritrovata ad affrontare una creatura del tutto simile a lei, creata dai suoi nemici per ostacolarla.
« Sei un mutaforma, dunque » disse Lara, cercando di mantenere la calma. « Puoi assumere le sembianze di qualsiasi persona tu incontri. »
« Bingo » rispose il nemico con un orrido sorriso. « La tua perspicacia mi sorprende sempre di più, sai? Se lo avessi saputo prima, avrei scelto un travestimento migliore di quello di Edward. »
« Maledetto... che cosa gli hai fatto? »
« Oh, non pensare a lui... pensa a te stessa, dato che sei in evidente pericolo di vita! »
L’impostore attaccò ancora, scagliandosi su Lara con una forza incredibile. Rotolarono entrambi a terra, facendo diversi metri lungo il corridoio. Lara riuscì a staccarselo di dosso con un calcio, rimettendosi in piedi subito dopo. La donna capì dunque di essere in guai grossi: si trovava improvvisamente ad affrontare un nemico sconosciuto, per di più da sola. Ma dove erano finiti tutti quanti? Perché non erano ancora intervenuti? Eppure gli spari di prima avevano fatto parecchio rumore, era impossibile che non li avessero sentiti.
A meno che quella strana creatura non l’avesse preceduta più di quanto pensasse. E se si fosse già occupata degli altri compagni? Doveva averli aggrediti... forse uccisi.
Il mutaforma fece un cenno a Lara, come per invitarla ad attaccarlo ancora. Il suo atteggiamento era irritante, quasi canzonatorio... si prendeva chiaramente gioco di lei. Se agiva così, significava che aveva la situazione in pugno. Lara non poteva dunque fare il suo gioco... non lo avrebbe attaccato di nuovo, sapendo che sarebbe stato inutile.
Doveva riflettere, scoprire il punto debole di quella creature. Le sue pistole non gli arrecavano alcun danno. Forse il potere di Excalibur era in grado di fargli male... ma la spada si trovava in quel momento nella sua camera, irraggiungibile come se fosse dall’altro capo del mondo. Cosa poteva fare?
Lara voltò infine le spalle alla creatura, cogliendola di sorpresa. La donna prese a correre nella direzione opposta, lasciando il corridoio per raggiungere il largo pianerottolo. Dietro di sé sentiva i passi del suo aggressore, intento ad inseguirla. Raggiunse le scale e si aggrappò al corrimano, spiccando un balzo per poi atterrare al piano inferiore. A quel punto cercò il luogo più buio in cui nascondersi.
Per un lungo minuto non si udì più nulla. Lara restò in attesa, trattenendo il fiato per fare il meno rumore possibile. Doveva prendere tempo per riflettere, escogitare un piano... come poteva sconfiggerlo? Ma non aveva abbastanza informazioni per pianificare...
In giro non si vedeva nessuno. Barnabas, Todd, Edward... erano spariti tutti. Possibile che fossero stati eliminati da quella misteriosa creatura? Era accaduto troppo in fretta per poter essere vero. Non poteva essere rimasta solo lei, doveva trovarli. Le occorreva aiuto per affrontare un nemico del genere. Armandosi di coraggio, uscì con cautela dal nascondiglio; superò una statua particolarmente orrenda e si guardò intorno. Da che parte andare? Quel castello era un vero labirinto.
Qualcosa le toccò improvvisamente una spalla. Lara si voltò di scatto, ma dietro di lei non c’era nessuno. Vide solo la statua, ma un istante dopo scoprì la verità: la statua si muoveva, sfoggiando un sorriso orribilmente identico a quello del mutaforma.
Allora non assumeva solo sembianze umane! Perché non ci aveva pensato prima?
« Notte notte! »
In un attimo, il mutaforma estrasse una sorta di bomboletta spray, spruzzandola in faccia a Lara senza darle il tempo di reagire. La ragazza fu assalita da un fulmineo colpo di sonno, e tutto sprofondò nel buio totale.
   
 
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