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Autore: Susy07    06/07/2015    6 recensioni
Sara vuole restare da sola. Sara non ha mai avuto e non vuole relazioni.
Tomas è dolce, quasi ingenuo, cerca il grande amore della sua vita.
Sara ha sempre dovuto combattere per ciò che voleva. Sara aveva tutti contro, ma ce l'ha fatta. Sara non vuole più casini.
Tomas ha dei genitori che lo amano, è bello ed intelligente. Tomas è perfetto.
Sara è complicata, ha le sue fissazioni, che non riesce ad abbandonare.
Tomas e Sara, diversi, ma legati da qualcosa che è più grande di loro.
Sara non desiderava relazioni, non aveva bisogno di nessuno.
Ma stare sempre da sola è veramente ciò che vuole? Scoprirà la verità quando forse sarà troppo tardi. Tra matrimoni falliti, bugie e incidenti,vivete insieme a loro il grande ed eterno amore che li unisce.
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Ciao ragazze! Questa storia è nata come una OS, ma essendo uscita troppo lunga ho dovuto tagliarla. Vi informo che è composta solamente da due capitoli. Spero che vi possa piacere e che recensirete.
Susy
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Note dell’autrice: 

Ciao ragazze! Allora, come state? E’ una vita che non ci sentivamo. Ebbene, oggi sono tornata. E’ da un po’ che volevo postare questa storia ed alla fine mi sono decisa. Questa è nata in realtà come una OS, ma essendo uscita davvero TROPPO lunga, ho deciso di tagliarla e di dividerla in due. Perciò questo è il primo capitolo, il secondo (che ho già scritto) arriverà in seguito, penso venerdì.

Per quanto riguarda le altre storie, sto prima cercando di finirle e poi posterò i restanti capitoli, in modo da non farvi aspettare troppo. Dunque, detto questo vi lascio alla storia, ricordatevi di dirmi cosa ne pensate che, come già sapete, mi fa sempre piacere leggere i vostri commenti e i vostri pensieri. 

Non so più cosa dire, perciò evito di dilungarmi, vi mando un grosso bacio, ci leggiamo più avanti! 

Susy

Il vento che ti porti dentro

 

L’incontro. Il bacio. La negazione. 

 

Dling. 

Il campanello mi avverte che un nuovo cliente è appena entrato nel negozio. E’ una donna sulla quarantina d’anni, molto alta e particolarmente bella per la sua età. E’ sola, e si stringe la borsetta al fianco destro come se in quel misero pezzo di stoffa fosse racchiusa tutta la sua vita. 

“Buongiorno” dico, con il mio miglior sorriso. “Vuole qualcosa?” le chiedo, stranita dal fatto che non mi abbia già dato l’ordine, per poi sparire dietro alla porta e divenire un’altra, banalissima cliente della quale, trascorsa una settimana, mi sarò scordata. 

“Oh, sì” esclama, come se tutto ad un tratto si fosse ricordata di essere in questo posto “Volevo ordinare una torta.” 

‘Ma no, non l’avrei mai detto!’ penso, chiedendomi mentalmente se la donna si sia resa conto di trovarsi in una pasticceria. 

Prendo il taccuino che custodisco nella tasca davanti del grembiule ed afferrata una penna dal bancone mi preparo a scrivere 

“Mi dica pure” la incito, già stanca della lentezza che sembra caratterizzarla. “Allora, vorrei una torta di compleanno, abbastanza grande. Solo che ancora non so come…” non le lascio terminare la frase. Le porgo un libro, che la donna inizia a sfogliare eccitata. 

Ogni tanto la vedo emozionarsi particolarmente per una delle immagini, ma continuare imperterrita alla ricerca della torta perfetta. La osservo attentamente, chiedendomi mentalmente per chi possa essere la sorpresa che la donna probabilmente sta cercando di organizzare.

Escludo l’idea di un bambino. Da quello che ho capito vuole una torta che sia almeno per una quindicina di persone. Che sia suo marito? Possibile. 

“Oh, questa è perfetta!” mi indica una torta, interamente fatta di panna e fragole. Devo ammettere che la donna ha buon gusto, dato che secondo il mio modesto parere quella che ha scelto è una delle migliori torte che prepariamo. 

“Okay, mi dica un indirizzo, o se preferisce venire lei…” scuote il capo “No, no, dovete consegnarmela voi. Venga giovedì, prima delle sei” mi porge un biglietto da visita. Lo guardo attentamente

“Chi compie gli anni?” forse sono stata troppo sfacciata, ma lei non sembra darci troppo peso “Mio figlio, Tomas. Compie 27 anni giovedì e dopo un anno finalmente torna a casa a trovare la sua famiglia. Sa, lui è un atleta. Gioca in un’importantissima squadra a livello internazionale. Non mi chieda che genere di ruolo abbia perché non ne ho la minima idea. So solo che il suo lavoro deve essere davvero molto importante per lui perché lo tiene impegnato 365 giorni l’anno. Ormai non ha neanche più tempo per tornare a casa. ” la sua voce è macchiata di malinconia ed i suoi occhi trasmettono tutta la tristezza che il resto del corpo cerca di nascondere. 

Si vede che vuole bene a suo figlio, che non riesce a capirlo, ma che nonostante ciò lo ami più della sua stessa vita. “Mi piacerebbe fargli una sorpresa, per fargli capire che ci manca e che ci piacerebbe averlo fra noi un po’ più spesso. Capisco che il suo lavoro sia importante, ma la famiglia non lo è forse di più?” mi domanda. 

“Già” rispondo solamente. La mia mente torna alla mia famiglia, al giorno in cui decisi di abbandonarla per inseguire il mio sogno di diventare una pasticciera professionista. 

Ci sentiamo spesso, al telefono, ma sono circa tre anni che non li vedo di persona. Questo perché loro sono troppo occupati per venire da me, ed io non ho ancora abbastanza soldi per poter tornare da loro definitivamente. Ho troppa paura di andare là in vacanza, perché è stata già dura una volta andarsene, probabilmente la seconda non la reggerei.  

A volte mi chiedo se loro sentano la mia mancanza e devo ammettere che spesso ho pensato che in realtà di me non gliene importi poi molto. E’ brutto, lo so, ma se davvero mi volessero bene adesso probabilmente sarebbero qui, no? Anzi, forse non mi avrebbero nemmeno lasciato partire. Tutto per colpa di uno sbaglio…

“Comunque so che ci vuole bene. Anche se è sempre via e non ce lo dimostra, tutti noi sappiamo che ci ama e che sarebbe perfino disposto a rinunciare alla sua squadra per renderci felici” mi dice, stavolta con un pizzico di orgoglio negli occhi. 

“Deve essere davvero una brava persona” le rispondo, non sapendo più come mettere fine a questa conversazione “Lo è, si fidi. Lo è” 

 

“Quindi, 30 cupcakes e 15 muffin. Perfetto, l’aspettiamo” riattacco al telefono, controllando con una fugace occhiata l’orologio, che segna le diciassette. 

Fra un’ ora dovrò consegnare la torta a casa Evans. 

Il telefono suona nuovamente e quando rispondo riconosco la voce della donna con la quale ho parlato una settimana fa. 

“Oh, va bene” dico, quando lei mi comunica che c’è stato un cambio di programma e che, di conseguenza, sarà il figlio a venire a ritirare la torta. 

Inizialmente trovo la cosa molto strana, dato che la festa a sorpresa in teoria è proprio per… Com’è che l’aveva chiamato? Toby? No, forse Tomas. Mi dico che in fondo non mi importa molto di quello che la donna sta progettando di fare, avendo già qualche problema mio da risolvere. 

Sono sola in negozio, con ben quattro torte da preparare entro la fine della giornata. Mi maledico per avere così tanto successo, ma poi mi pento anche solo di averci pensato, ricordandomi che moltissima gente spera di poter realizzare il proprio sogno e che di conseguenza non dovrei lamentarmi del fatto di esserci riuscita. 

Ripenso a tutto quello che ho passato per poter aprire questo piccolo negozio, che a poco a poco ha cominciato a crescere e a divenire conosciuto. Ora siamo i più famosi di New York, per quanto riguarda torte e dolciumi vari. 

Ho fatto tutto da sola. Avevo il mondo contro, ma ho stretto i denti e sono andata avanti, nonostante nessuno credesse in me. Adesso, guardandomi indietro, posso dire con orgoglio che io, Sara Martina Capitini ce l’ho fatta. Avevo un sogno, e l’ho realizzato, lavorando duramente e costruendo, giorno per giorno, quella che adesso è la mia vita. La mia bellissima e soddisfacente vita. 

Sono presa dai miei pensieri, quando qualcuno apre la porta d’ingresso, accompagnato dal solito “dling”. Alzo lo sguardo e il sorriso che nasce sulle mie labbra è totalmente naturale. 

“Tesoro, che ci fai qui?” le chiedo, sorpresa di vederla “E me lo chiedi pure? Sono venuta ad aiutarti. Mi spieghi cosa ti è saltato in mente? Perché hai mandato tutti a casa?” mi domanda, non capendo il mio bizzarro gesto. 

“Sono le cinque del pomeriggio, alle sei chiudiamo e non avevamo ordini. Pensavo che ormai nessuno si sarebbe più fatto vivo, invece…” sussurro, ammettendo il mio errore e chiedendole aiuto con lo sguardo.

“Invece?” mi sprona a continuare. Io alzo il taccuino e mostro i quattro ordini che nell’ultima mezz’ora sono stati fatti. “Accidenti, sei sicura che riusciremo a finire tutto?” mi domanda. 

“Sì, questi due…” glieli indico sul foglio “ Sono per domani mattina, perciò se non dovessimo riuscire a finire tutto, rimango io in negozio fino a stasera e completo ogni cosa.” la rassicuro.

Lei annuisce e dopo essersi legata i folti capelli rossi mi incita ad iniziare a metterci all’opera.

Martha, la migliore amica che io potessi mai sperare di avere. E’ l’unica che mi è sempre stata vicina, da quando vivo a New York. Lei ha trasformato parte del mio negozio e della mia vita, aggiungendo quel pizzico di follia e magia che cercavo. 

Alcune delle torte che più vendiamo sono opera sua, frutti delle idee improvvise di quella pazza streghetta che la notte, anziché dormire, era al lavoro in cucina, alla ricerca del dolce perfetto. 

La vedo stringere, con tutta la forza che possiede, le corde del grembiule attorno al suo esile corpo e non posso fare a meno di invidiarla un poco per l’enorme bellezza che la caratterizza. 

Occhi blu profondi, capelli ondulati e rossi, che vanno da tutte le parti, incontenibili, come in fondo anche lei stessa è. Martha è una forza della natura, un insieme di contraddizioni stranamente perfette che si incastrano per creare qualcosa di meraviglioso quale è il suo carattere. Forte, ma docile allo stesso tempo. Con il sorriso sempre sulle labbra, e quella voglia di fare che la caratterizza da sempre. 

E’ conosciuta per la fila di uomini che ogni giorno provano ad attirare le sue attenzioni con fiori, cioccolatini e chi più ne ha più ne metta. Ma lei non vuole nessuno, tranne lui. Jack. 

E’ perdutamente, follemente innamorata di lui. 

Quel genere di amore che ti spinge a fare qualsiasi cosa, pur di rendere felice l’altro. Quel genere di amore che ti fa mettere da parte te stessa, per donarti all’altro. Ed il fatto più incredibile è che lui non la degna di uno sguardo. 

Martha potrebbe decidere di avere al suo fianco chiunque, eppure vuole l’unico che non sembra degnarla di particolari attenzioni. Chissà, forse è proprio questo suo non desiderarla, che la attrae in questo modo. L’unica cosa certa è che lei sta facendo di tutto per dimenticarselo, perché è stufa di soffrire e di stare male. 

 

Dopo un’ora in cui abbiamo fatto di tutto per finire in tempo le torte che avevamo in programma, posso dire di essere finalmente soddisfatta. 

Sono seduta al bancone, che mi riposo. Martha è già andata a casa, anche perché in teoria questo doveva essere il suo giorno libero e mi pento di essere stata così imprudente da mandare a casa Rose e Nick questo pomeriggio e di averle, di conseguenza, rovinato la mini vacanza che si era guadagnata. Mi riprometto di darle altre ferie più avanti, per farmi perdonare, quando un’illuminazione mi fa ricordare della torta dei signori Evans. 

Osservo l’orologio. Sono già le sei, fra pochi minuti sarò costretta a chiudere il locale ed il figlio non è ancora stato qui per ritirare la gigantesca torta, per la quale ho sudato sangue e sudore. Se il ragazzo non verrà a ritirarla, tutto il mio lavoro, il tempo che avrò impiegato nel fare quella meraviglia sarà stato sprecato e la cosa mi fa più che imbestialire. 

Decido di aspettare altri venti minuti, prima di chiudere il negozio. Ma quando cominciano ad avvicinarsi le diciotto e trenta, penso di mandare tutto a fare in culo e di tornarmene finalmente a casa. 

Spengo tutte le luci, dò un’ultima controllata in giro e finalmente mi infilo il cappotto, giro il cartello su “chiuso” ed esco. 

Comincio a cercare le chiavi della porta nella più totale confusione quale è la mia borsa, quando qualcuno mi ferma 

“No, aspetta. Ti prego, so che sono in tremendo ritardo, ma ti prego, dammi la torta” le parole arrivano al mio cervello in maniera confusa e forse anche leggermente distorta. 

Insomma, non ho capito un accidenti di quello che abbia detto. Alzo il viso e lo guardo, alto ed imponente, con il terrore negli occhi, di un azzurro molto simile al colore del cielo. 

“Scusi?” chiedo “La torta” dice solamente, stavolta un po’ più calmo ed in modo che io possa capire. 

“Il negozio è chiuso. Ma a quale torta si riferisce?” gli domanda. 

“Mia madre è stata qui qualche giorno fa per ordinare una torta… Che io abbia sbagliato negozio?” le sue guance cominciano ad imporporarsi leggermente, rendendolo buffo e … Carino(?).

All’improvviso mi ricordo tutto “La signora Evans, intende?” 

“Sì, proprio lei” mi risponde e riconosco la stessa emozione della madre nel figlio. “Ha idea di che ore siano? L’ho aspettata mezz’ora, signor Evans!” lo rimprovero. 

“Mi scusi, ma ho avuto un problema con l’aereo e… Non ho giustificazione, ha ragione, ma sono disposto a pagarla il doppio, la prego.” assottiglio lo sguardo e saranno stati i suoi bellissimi occhi, la sua altura imponente, oppure quel dolce e buffo broncio che mette in scena, ma decido di aprire la porta e farlo entrare. 

“Grazie mille, non ha idea di che favore mi stia facendo!” 

“La smetta di ringraziarmi, lo faccio solo perché non mi va di sprecare quella fantastica torta” dico forse un po’ troppo stronza nei suoi riguardanti. Infondo non mi ha fatto niente questo poveretto! 

Lo faccio accomodare ad un dei tavolini, nel frattempo accendo nuovamente tutte le luci del negozio e, dopo essermi velocemente spogliata del cappotto, mi dirigo verso il frigorifero, dal quale estraggo, con molta fatica la torta. La appoggio sul tavolo e, dopo aver preso tutto l’occorrente, inizio ad incartarla. 

Sento dei passi avvicinarsi, e quando alzo lo sguardo Tomas è lì che mi fissa, appoggiato allo stipite della porta, fiero nella sua potente ma elegante altura. I capelli castani, non troppo lunghi, ma abbastanza da decidere da soli dove andare, leggermente più corti ai lati. Gli occhi azzurrissimi, talmente limpidi che mi ci potrei perdere. 

Il mio sguardo scorre su tutto il suo corpo e mi ritrovo a chiedermi cosa possa nascondersi sotto quel maglione di lana e quei jeans troppo costosi per essere anche solo lontanamente guardati. Deve guadagnare molto per poterseli permettere. 

“Wow, è quella la torta?” mi domanda. Annuisco solamente, rendendomi conto di essere stata abbastanza maleducata nei suoi confronti. Lui mi si avvicina “Ti serve una mano?” mi chiede, indicando il fiocco che è ormai una buona decina di minuti che tento di realizzare. Mi mordicchio il labbro “Sai, di solito è la mia collega che si occupa di…” tento di dire. Lui mi rivolge un ampio sorriso ed io arrossisco leggermente sotto la potenza del suo sguardo. 

Mi si avvicina ed io mi sposto per lasciargli tutto lo spazio di cui necessita per poter finire di confezionare la torta. L’ atmosfera tra di noi sta lentamente cambiando ed io posso percepire l’attrazione che aleggia nell’aria. 

“Fatto!” esclama, come se avesse appena concluso di costruire la Torre Eiffel. Il lato destro delle mia labbra si incurva leggermente e quando Tomas si volta posso sentire il suo sguardo posarsi sulla mia guancia “Hai le fossette…” sussurra, come se fosse un segreto. 

Rimaniamo per qualche secondo a fissarci, in silenzio. Sono io a spezzare il ghiaccio e di conseguenza il momento di leggera intimità che si stava venendo a creare “Ora è meglio che tu vada, è tardi e sinceramente voglio tornare a casa” dico, mentre la mia testa non fa altro che urlarmi il contrario. 

Sembra dispiaciuto, o forse deluso “Certo” sussurra appena, ma proprio come ho fatto con la madre, posso vedere un velo di leggera tristezza nei suoi occhi, un po’ più spenti rispetto a quelli che fino a poco fa brillavano di luce propria. 

Torniamo nella sala d’ingresso ed io mi dirigo al bancone, per segnare sulla cassa il costo della torta “Quanto è?” mi domanda “$20”.

Me ne porge 40 “Ma…” non mi lascia terminare “Ti avevo promesso che ti avrei pagato il doppio, se mi avessi lasciato entrare” mi ricorda. Scuotendo il capo prendo i soldi, faccio lo scontrino e gli torno il resto “Stai solo sprecando soldi” gli dico, rifiutandomi categoricamente di prenderli. Sembra che stia per ribattere, ma lo precedo “Non serve, davvero.” la rassicuro, col tono più dolce che riesca a fare. Tomas si lascia convincere, prende la torta e se ne va, salutandomi con un “Arrivederci” appena sussurrato, ma che percepisco chiaramente. 

 

2 mesi dopo…

 

Guardo soddisfatta il negozio, che da oggi in poi sarà anche bar e gelateria ed un pizzico di orgoglio mi fa brillare gli occhi. Finalmente ho ciò che volevo, ciò per cui ho lottato con tutte le mie forze. Il mio negozio è fantastico, è tutto ciò che desideravo… Mi viene quasi da piangere se penso che finalmente ho realizzato il mio sogno. 

Dling. 

Il primo cliente della giornata. E’ una donna che avrà più o meno 24 anni, che stringe la mano di un bambino. Si accomoda al prima tavolino che vede e fa sedere accanto a sé quello che presumo essere suo figlio, raccomandandogli di stare calmo e tranquillo. 

Chiamo Rose, la quale, armatasi di taccuino e penna si dirige verso di loro e prende le ordinazioni. Osservo attentamente il bambino, dai biondissimi capelli ricci, che si diverte a giocare con la cerniera della borsa della mamma e mi fa moltissima tenerezza. Rose torna da me e si mette immediatamente all’opera. Prepara un cappuccino, poi prende due brioche alla crema e torna dall’allegra famigliola. 

Appena la donna dà un morso alla sua brioche, un altro cliente entra nel negozio, che poco a poco va sempre più riempiendosi. 

Sono le dieci quando decido di dare a Rose una pausa. Lei esce dalla porta sul retro, per andare a fumare una sigaretta ed io rimango solo con Nick. 

Nick è simpatico, bassino, magro e con i capelli neri cortissimi. E’ dolce, ha un bel viso e penso che qualsiasi donna lo verrebbe al suo fianco, se non fosse per il fatto che è gay. Anzi, super gay. E non si fa problemi nel nasconderlo. Questa è una delle tante cose che mi piacciono di lui. Non gliene importa niente di quello che pensano gli altri, l’unica cosa che lo preoccupa è piacere a sé stesso. E sì, direi che si piace abbastanza, considerando come ogni giorno si specchi e si dia un bacio da solo. 

“Ehi, bellissima” mi viene a chiamare, mentre io sono intenta a ricoprire una torta margherita con la pasta di zucchero “Non posso Nick, non adesso” dico. 

“Non potresti neanche se ti dicessi che è appena entrato un bel pezzo di manzo?”  domanda “No, neanche in quel caso” 

“Nemmeno se quest’ultimo chiedesse di te?” sbuffo, ben sapendo che solo nei miei sogni un bel ragazzo viene a chiedere di me “No” dico, secca. 

“Oh, beh, allora gli dico che non puoi, ma poi non venire a lamentarti da me se perdi l’occasione” alzo immediatamente lo sguardo “Nick!” lo chiamo e lui si volta con un sorriso che di casto non ha proprio nulla. 

“Sì, tesoro?” 

“Davvero qualcuno sta chiedendo di me, o mi stavi prendendo per il culo?” lui mi fa segno di dargli la pasta di zucchero che tengo tra le mani ed io, dopo essermi pulita le mani nel grembiule mi accingo ad uscire dalla cucina, per andare a vedere chi sia questo presunto figo che quest’oggi sta chiedendo di me. 

La mia mante vola a quella fredda sera di due mesi fa, nella quale ho incontrato Tomas. Che sia lui? Ammetto che una parte di me spera, anzi prega che sia Tomas il ragazzo che è entrato e che ha chiesto di me. Aspettativa che mi lascia alquanto con l’amaro in bocca, quando, varcata la soglia, mi rendo conto che in realtà colui che mi sta cercando è Chris. 

“Ciao Chris, che c’è?” gli dico, abbastanza isterica. 

“Ti volevo solo ricordare che stasera c’è la riunione dei condomini. Te lo scordi tutte le volte, così ho preferito venire di persona per assicurarmi del fatto che tu ci sia.” annuisco. Lui fa per andarsene, ma alla fine si volta, mi guarda e dice tutto d’un fiato “Ti va di uscire con me, domani?” rimango un attimo a fissarlo. 

Non è una sorpresa questo suo invito, dato che è da almeno sei mesi che Chris mi giro intorno, ma sinceramente non ho mai neanche provato ad immaginare cosa avrei potuto rispondergli se mai davvero si fosse deciso ad invitarmi. Sì, è un bel ragazzo, ma… Non lo so, non ha quel qualcosa che di solito mi spinge a voler conoscere maggiormente una persona. 

“Io…” sto per rispondergli, quando il solito, classico “dling” mi fa alzare lo sguardo e la visione che mi compare davanti mi fa pensare che infondo ne è valsa la pena, di aspettare 2 mesi per rivederlo “Scusa, ma non posso” lo liquido in fretta. 

Lui, deluso, si volta e se ne va. Tomas si fa avanti “Ehi, sei tu” dice. Gli sorrido emozionata, ma cercando di non far trasparire tutta la felicità che provo nel rivederlo qui “Allora, vorrei una brioche alla crema e un caffè. Mi siedo lì, va bene?” mi domanda, indicandomi un tavolino poco lontano dal bancone “Certo, arrivo subito”. 

E’ ancora più bello di quello che mi ricordavo, con le gambe fasciate dai pantaloni neri e la camicia bianca, lasciata leggermente aperta sul davanti. Da lì posso intravedere un accenno di pettorali, ed in questo momento sarei disposta a tutto pur di vederlo senza quel tessuto. Magari soli, magari nella mia camera da letto. 

Okay, basta Sara. Stai esagerando. 

Preparo il caffè, prendo la brioche e mi avvicino al suo tavolo, dove lui mi aspetta sornione. Gli porgo la colazione, ma quando provo ad allontanarmi lui prende il mio polso e mi chiede “Tu non fai mai una pausa?” l’osservo, quasi incantata, poi d’un tratto mi sveglio e mi ricordo che mi ha fatto una domanda. Mi volto per guardare l’orologio, controlla la clientela e mi dico che sì, una pausetta me la merito. 

“Hai ragione. E’ da un po’ che lavoro, posso anche riposarmi per dieci minuti” mi volto, a malincuore, e mi dirigo verso la cucina, dove dico a Nick ed al resto dello staff che mi prendo un po’ di tempo. 

A quel punto mi sorge un dubbio, vado da lui? Oppure esco dal retro e sto lì un po’. Non so più cosa fare, sono in completa confusione. Poi mi ricordo che sono una donna, che ho 26 anni e non 13 e che di conseguenza non dovrei farmi prendere così tanto! 

Torno in sala e mi dirigo verso Tomas, con passo svelto e deciso. Lui mi rivolge uno dei sorrisi più belli che abbia mai visto e mi fa segno di sedermi. 

“Allora, com’è possibile che in due mesi tu abbia trasformato una pasticceria in un bar?” mi domanda. Io mi sbrigo a correggerlo “Ti sbagli, il mio non è solo un bar, è anche una gelateria ed una pasticceria. Perciò se mai avessi voglia di torta, sai a chi rivolgerti” scoppia a ridere, e quasi senza volerlo mi ritrovo a pensare di non aver mai visto una cosa più bella. “Hai ragione, scusa” dice, alzando le mani in segno di pace. 

“Con tutto quello che hai da fare qui…” continua “Il tuo ragazzo sarà super geloso” glielo dico subito che sono single? 

“Perché dovrebbe?” decido di vedere come risponde, per poi dirgli che effettivamente un fidanzato ancora non ce l’ho “Beh, sai… Sei una bella ragazza, hai successo, sei…” si ferma e sembra quasi che stia trattenendo il respiro. Alla fine butta fuori tutto “Sei molto bella” sussurra. 

“Grazie” rispondo solamente e di nuovo cala quel silenzio in cui non facciamo altro che guardarci. Questa volta, al contrario della prima, è lui a spezzare il ghiaccio “La tua famiglia sarà molto orgogliosa di te” constata. 

Un sorriso malinconico prende forma sul mio viso “Hai detto due cose nell’arco di due minuti, ed entrambe sbagliate. Non devi essere un grande indovino” si poggia teatralmente una mano sul cuore “Mi sento offeso” dice, facendomi ridere. 

“Allora, illuminami. Perché la tua famiglia non dovrebbe essere orgogliosa ed il tuo ragazzo geloso?” sospiro leggermente e abbasso lo sguardo, per evitare di incontrare il suo “Sul ragazzo hai sbagliato proprio tutto” inarca un sopracciglio, curioso. 

“Come fa una persona ad essere gelosa se non esiste?” gli domando. Sembra sorpreso da questa mia spiegazione, ma allo stesso tempo quasi… Felice, oserei dire. “Per quanto riguarda la famiglia, è una storia lunga.” gli dico solamente. 

“Del genere, sono orgogliosi ma ti rimproverano di non tornare mai a casa? Ne so qualcosa di situazione difficili in casa, fidati.” 

“Oh, lo so. Tua madre me ne ha parlato” lui sbuffa, quasi innervosito 

“Sì, non fa altro che raccontare in giro questa storia” mi dispiace del fatto che si stia arrabbiando con la madre, anche perché lei infondo non ha fatto nulla di sbagliato.

“Perché la prendi in modo così negativo?” 

“Mi dà un po’ fastidio il fatto di non essere libero di fare ciò che voglio.” spiega, non aggiungendo altro. 

“Per questo te ne sei andato?” gli domando, forse un po’ troppo impertinente. 

“No. Me ne sono andato perché amavo ciò che facevo, me ne sono andato per un sogno e ora che l’ho realizzato vorrei solo che loro fossero un po’ più orgogliosi” l’ho toccato, lo sento. E’ come se avessi smosso un qualcosa dentro di lui. Probabilmente ho rispolverato un vecchio libro che se ne stava a riposo da troppo tempo. 

“Sai, tua madre mi piace” dico così, all’improvviso. Lui inarca un sopracciglio, cosa che, ho notato, fa spesso. 

“Si vede che ti vuole bene, anche se tu non lo capisci” i suoi occhi si fissano nei miei, come se potessero leggere nella mia anima. Mi guarda e basta e mai, nella mia vita, mi sono sentita così nuda e alla mercé di qualcuno. E’ meraviglioso e terribile allo stesso tempo. 

“Tu non mi hai detto nulla di te, però…” dice, ad un tratto. “Non c’è molto da dire” spiego immediatamente “Qualcosa invece mi urla che tu avresti molte cose da dire, ma che preferisci tacere”. Mi mordo l’interno della guancia “Devo riprendere a lavorare” e mi alzo, senza aspettare una sua risposta. Mi alzo, con la consapevolezza che Tomas, se volesse, potrebbe farmi sua, in tutti i sensi. 

Mi fa paura, perché non mi è mai capitato di non avere il controllo della situazione. Mi spaventa, perché una relazione adesso è l’ultima cosa che mi serve. 

 

“Vai pure Nick. Fra poco chiudo e me ne torno a casa” gli dico con un sorriso “Sicura? Se vuoi finisco io di pulire” prova a convincermi, ma io non demordo “Ho detto che puoi andare, non c’è bisogno che ti rovini la serata solo per farmi un favore. Tanto io non ho niente da fare” dico, con un po’ di tristezza nella voce. E’ brutto stare sempre da soli, non avere mai qualcuno che guarda un film con te la sera, quando sei troppo stanca per uscire, o che ti fa le coccole quando sei malata. 

“Okay, allora ciao. Ci vediamo domani” e mi fa l’occhiolino, prima di scomparire dietro la porta. 

Finisco di pulire il piano di lavoro e poi mi siedo vicino al bancone, ad osservare il mio negozio. Questo è il posto che preferisco in assoluto, questa è veramente casa mia, il luogo dove posso essere me stessa senza paura di essere giudicata. L’ unica cosa che mi rende triste è il fatto che per realizzarlo ho dovuto pagare un prezzo forse troppo alto. Ho perso tutto ciò che avevo, per buttarmi come una pazza in un mare forse troppo immenso e che probabilmente mi avrebbe ingoiato. E invece ce l’ho fatta, a stare a galla e non c’è cosa che mi renda più orgogliosa. 

“Permesso” appena sento la sua voce alzo lo sguardo, quasi spaventata. Il cuore comincia a battere fortissimo e sono sicura di essere diventata rossa come un pomodoro “E tu che ci fai qui?” gli domando, con un tono quasi accusatorio. 

“Nulla, volevo chiederti se ti andava di bere qualcosa con me” scuoto il capo “Sono troppo stanca, Tomas.” sussurro “Allora rimaniamo qui” dice, fissandomi speranzoso. Mi guarda con quegli occhi così azzurri e non posso fare altro che sciogliermi e dimenticare tutto ciò che mi ero prefissata “Va bene” dico, facendogli segno di avvicinarsi.

“Comunque a me sembra ingiusto” esclama all’improvviso. “Cosa?” 

“Il fatto che tu sappia il mio nome, mentre io ancora non conosco il tuo” 

“Sara” dico, allungando la mia mano per stringere la sua. Quando la mia pelle tocca la sua, una scarica di brividi si propaga per tutto il mio corpo. 

“Bel nome” sussurra “Italiano?” io annuisco “Sì. Mia madre è originaria dell’Italia, loro vivono là” 

“E perché sei venuta qui, tu?” 

“In Italia probabilmente non avrei mai avuto lo stesso successo che ho qua. E poi non mi avrebbero aiutata comunque, perciò…” 

“Perché dici questo?” mi chiede. 

“Perché ti importa?” abbassa lo sguardo, quasi dispiaciuto. Forse sono stata troppo cattiva. “Scusa” dice solo, per poi riprendere la conversazione come se niente fosse “Non hai qualcosa da mangiare? Sto morendo di fame” 

“Non lo so, forse mi è avanzata un po’ di torta” mi alzo, dirigendomi al frigorifero nell’altra sala. Quando mi volto, dispiaciuta del fatto che non ci sia niente, me lo ritrovo appiccicato. 

Mi ha praticamente rinchiusa tra lui ed il frigorifero. Le sue braccia sono poggiate ai lati della mia testa ed il suo viso è incredibilmente vicino al mio. Troppo vicino. 

“Che fai?” sussurro. Tomas poggia un dito sulle mie labbra, seguendo il contorno di quest’ultime. 

“Che mi hai fatto?” non capisco se la sua domanda sia rivolta a me, oppure a chissà chi. “Non ho fatto nulla” rispondo, come un stupida, non sapendo più cosa fare. 

“Non è vero. Mi hai incantato Sara, mi hai soggiogato. Non riesco più a smettere di pensarti.” ed in un attimo le sue labbra sono sulle mie. 

Sono delicate, per nulla violente. Sembra che stia aspettando che io mi sposti e gli dia uno schiaffo, ma in realtà la ninfomane che c’è in me ha aspettato questo momento dal primo istante in cui l’ha visto. Le mie mani volano ai suoi capelli e lo spingono maggiormente contro di me. Sono io ad approfondire il bacio, sono io a volere di più. E lui mi dà tutto se stesso in questo bacio, lo so, lo sento. Sento le nostre anime incontrarsi, accarezzarsi, amarsi. Non mi è mai capitato con nessuno e la cosa mi spaventa molto. 

Sono io a staccarmi “Fermo Tomas” quasi lo imploro “Non possiamo” 

“Cosa? Perché?” domanda, devastato. Io abbasso il capo, senza avere il coraggio di guardarlo negli occhi e dirgli la verità “Vai via, Tomas” sono una codarda, lo so, ma non posso fare altrimenti. Ho paura, non ho voglia di soffrire. 

“No, Sara. Voglio capire che cos’è successo” dice, quasi autoritario “Dimmi la verità, adesso!” il tono della sua voce è freddo, spietato. Vuole sapere cosa mi passa per la testa, ma io sono davvero pronto ad aprirmi? 

“E’ semplice, non ti voglio” dico, cattiva. Ed è un’enorme bugia, di cui probabilmente mi pentirò per tutta la vita. 

“Menti” lo capisce ovviamente, e mi dò della stupida anche solo per aver provato a mentirgli così spudoratamente. Lui mi afferra il mento e lo alza. Costringe il mio sguardo ad immergersi nel suo “Voglio la verità, adesso…” sussurra, più dolce, più delicato. 

“La verità è che non sono la ragazza giusta per te” dico e stavolta lo penso davvero. 

“Perché?” non capisce, ma come potrebbe? Nemmeno mia madre è mai riuscita a capirmi, come può farlo lui? 

“Perché è così. Io sono fatta per stare da sola, Tomas. E tu sei tanto dolce, quanto romantico. Siamo due caratteri troppo diversi, siamo incompatibili. Io non la voglio una relazione, Tomas.” 

“Neanche io!” si affretta a dire, ma non ci crede nemmeno lui probabilmente. Scuoto il capo “Andiamo, sai pure tu che non è vero” lui mi lascia. 

“Beh, sì. Io voglio una relazione, ma se non è quello che desideri in questo momento, sono disposto ad aspettarti” 

“E’ questo il problema. Non la voglio adesso, come non la vorrò mai. C’è un motivo se me ne sono andata, c’è un motivo se vivo sola. Io sto bene così e sì, c’è una parte di me che desidera avere una vita normale, con un marito perfetto e dei figli che giocano per casa. Ma la verità è che quella vita non fa per me. Tu non fai per me. E non voglio illuderti, dirti che oltre al sesso posso darti di più, perché non è così. Io sono fatta così e, fidati, ho desiderato spesso di essere diversa, ma purtroppo…” una lacrima solca il mio viso.

“A me piace come sei fatta” dice “E a me piace come sei fatto tu, ma dobbiamo essere realisti e capire che non siamo fatti l’uno per l’altra. Soffriremmo solamente.” 

“Ma io sto male senza di te” 

“Troverai qualcuno che trasformerà quel dolore in gioia e quel giorno, fidati, mi ringrazierai” 

“Va bene, però ti prego, restiamo almeno amici.” 

  
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