Anime & Manga > Pandora Hearts
Segui la storia  |       
Autore: Artemisia_Amore    07/07/2015    2 recensioni
Mentre camminava, lenta e decisa, pareva una sonnambula. La luce della luna accarezzava le sue guance e, dal modo in cui Sharon inclinava la testa, di tanto in tanto, sembrava quasi che le sussurrasse il da farsi. Ma in fondo, si disse, non aveva bisogno del consiglio della luna. Sapeva perfettamente quali passi compiere – li aveva recitati nella propria mente milioni e milioni di volte.
[Break, Reim e Sharon, 100 anni dopo] - [Spoilers Retrace 92 e seguenti]
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Reim Lunettes, Sharon Ransworth, Xerxes Break
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo II,

nel quale la Fortuna gioca una piccola parte



Ne sentiva tutto il dolore.

Mentre la fiamma della candela consumava silenziosamente lo stoppino, emanando una luce fioca che a stento riusciva a illuminare l’ampia scrivania, la mano si bloccò. La guardò, soffermandosi per qualche istante sulla punta delle tre dita che reggevano la penna. Stava succedendo di nuovo. Fece un respiro profondo, rassegnato e al tempo stesso frustrato, e si decise a sbattere le palpebre, allontanando dagli occhi quella patina tipica degli scrittori ispirati - la lente che permette agli artisti di sbirciare i segreti di mondi ignoti. Posò la penna sul foglio, congiunse le mani e si stiracchiò lentamente. Nonostante gli sforzi che da notti lo tenevano sveglio, incapace di ignorare l’arcana musica che risuonava e danzava incontrastata nella sua mente, non riusciva a imprimere sulla carta quella visione, quei colori, quegli odori così intensi. Perché?

Si lasciò ricadere contro lo schienale della sedia e si concesse qualche breve attimo di riposo. Allontanò gli occhiali dal viso e li posò sulla scrivania, fissandone distrattamente la montatura di tartaruga. Era scheggiata. Lo era sempre stata, da che aveva memoria: un piccolo graffio sul contorno della lente sinistra, proprio prima dell’attaccatura della stanghetta. Quella scheggiatura lo rassicurava. Quella scheggiatura faceva di lui un Archery. Lo spettro di un sorriso si dipinse sul suo volto pallido, su cui svettavano le labbra intensamente rosse: doveva essersi inavvertitamente morso in preda al processo creativo. Inclinò lievemente la testa, gli occhi pesanti di un sonno che per mesi non aveva contato più di quattro ore a notte, e tamburellò i polpastrelli della mano destra sugli occhiali. Lo stavano fissando, rotondi e russet, e gli parve quasi di intravedere gli occhi vivaci, verde scuro e sagaci di suo padre dietro le lenti. Quegli occhiali erano stati suoi. Li aveva avuti indosso, quando quella caduta dalla motocicletta si rivelò fatale, strappandolo alla vita dopo due giorni di intensa agonia. Ma fu solo dopo le seconde nozze di sua madre che Daniel, fino ad allora fin troppo preoccupato di mascherare la difficoltà con cui distingueva le parole stampate sui libri, cominciò a indossare gli occhiali per quella deliziosa attività che era leggere. E scrivere.

Oh, scrivere.

Spostò la mano sul foglio che la notte prima aveva riempito d’inchiostro. Lo rilesse avidamente, gli occhi socchiusi nello sforzo di mettere a fuoco le lettere, e quando raggiunse la metà della pagina, avvertì il cuore prendersi una pausa e, come lui, tirare un respiro di sollievo.

Ne sentiva tutto il dolore…

“Qual è il problema, stavolta?”

Sussultò, richiamato alla realtà dalla voce del suo compagno di stanza. Si voltò e rivolse a un Lloyd più spettinato del necessario un sorriso mortificato. Doveva averlo svegliato per l’ennesima volta. Ah, ma quei capelli fin troppo in disordine non lo ingannavano. Socchiuse gli occhi, e finse di non aver colto le avvisaglie di qualsiasi sciocca trovata gli stesse attraversando il cervello in quel momento. Dopo anni di convivenza, aveva imparato a leggere i segni della ribellione dell’amico nel linguaggio del suo corpo. E quelle ciocche corvino che gli oscuravano gli occhi erano una chiara dichiarazione d’intenti. 

“Niente di serio," rispose dopo qualche istante, voltandosi di nuovo verso la scrivania. Raggruppò i vari fogli sparsi, deciso a interrompere, per quella notte, il canto dell’oscura musica che gli riempiva costantemente le orecchie. Sentì le molle del materasso di Lloyd scricchiolare, e si affrettò a minimizzare la questione: non era dell’umore adatto per mostrare all’amico gli sfortunati tentativi delle ultime notti. “Solo un problema di rime…”, mormorò, riponendo i fogli nel secondo cassetto, sotto una pila di lettere ancora sigillate.

“Rime? Alquanto prevedibile, Archery. Che cosa diavolo fa rima con ‘Xerxes’?”, replicò Lloyd da sopra la sua spalla. Si era evidentemente alzato, e, a un passo da lui, lo fissava, divertito. Poi cambiò posizione, e appoggiò i fianchi alla scrivania, le caviglie e le braccia incrociate mentre la vestaglia da camera malamente annodata in vita poco si curava di coprirgli il petto. “Come accidenti ti è venuto in mente un nome così improbabile?”, domandò, sollevando entrambe le sopracciglia, un istante prima di ridurre gli occhi a due fessure e far schioccare la lingua, trionfante: “Che sia qualcuno che conosci? Poesie per un amico? Ti piacciono i maschi, Danny?”

“Non più di quanto mi piaccia tu, Lloyd,” rispose l’altro con scarso interesse. Recuperò gli occhiali e li ripose nel primo cassetto, dopodiché si diede una lieve spinta per dondolare sulle gambe della sedia. Rivolse all’amico uno sguardo più attento, e ripagò la vista del suo disinvolto petto nudo alla quale lo obbligava con un’osservazione tanto argentina quanto indelicata: “Dovresti farti una doccia, lo sai?”

“E tu dovresti farti una dormita. Sembri più malaticcio del solito. Andiamo nel dormitorio delle femmine?”

“Sei scemo, Fowles?”

Lloyd socchiuse gli occhi e sollevò l’indice della mano destra in aria, come per imporre il silenzio all’amico. Assunse l’aria di chi la sa lunga, e, mentre un sopracciglio si arcuava con sarcasmo, proferì: “Ah, avrei dovuto immaginarlo. Hai paura di incontrare Amelia, vero?". Ghignò, e il suo sorriso riuscì a evocare uno sguardo perplesso sul volto di Daniel.

“Chi?"

“Oh, avanti. Quella del gruppo di lavoro di Garland…”

“Non ho idea di cos—"

“L’ha assegnata a te per la presentazione di due mesi fa. Capelli castani, lunghi, lisci, carnagione calda, occhi neri, leggermente strabici. E’ Teridueña? Ha riso quando le hai detto qualcosa, e mezzora dopo avete…”

Daniel guardò Lloyd con fare divertito. Eccolo che ricominciava. Si chiese come accidenti facesse a notare tutti quei dettagli nelle persone, considerando la soglia di attenzione decisamente esigua dell’amico che lo rendeva, in genere, il principale elemento di disturbo delle lezioni.

“Ripeto, non ricordo nessuna—," replicò Daniel con scarso successo, visto che Lloyd non lo stava ascoltando.

“…in parole povere, quella a cui non mi hai presentato."

Ah, svelato l’arcano. Daniel sorrise e scosse la testa. Come aveva potuto credere che Lloyd fosse in grado di notare qualcosa - o qualcuno - senza covare per esso un secondo fine in quel labirinto di celie e joie de vivre che era la sua mente? Lo guardò scarabocchiare distrattamente la propria accigliata caricatura, completa di due gigantesche lenti rotonde, sul frontespizio del manuale di Letteratura, prima di passare la matita alla mano sinistra e aggiungere la didascalia: “Raro esemplare di Daniel Archery, supposta eccellenza dell’Atleas College, nel suo habitat naturale”.

“Mi stai dando del topo di biblioteca? Davvero originale…”

“No, Danny," Lloyd ghignò, rendendo all’amico la matita prima di allontanarsi dalla scrivania e raggiungere la porta della loro camera, “Ti sto dando dello sfigato."

Daniel scosse di nuovo la testa, poi si voltò lentamente, curioso, per studiare la posa improbabile del compagno di stanza, il cui orecchio era posato sulla porta e il cui sguardo pareva assorto.

“Che cosa ti ronza in testa, Fowles? Rendimi partecipe dei tuoi oscuri pensieri."

“Sto progettando un furto," rispose quegli, premendosi sempre di più contro la porta per accertarsi del silenzio che sperava regnasse nel corridoio. Speranza che, con sua immensa soddisfazione, non fu disattesa. 

“Un furto? Ai danni di…?”

“Mrs. Kittleson. Croissant al miele appena sfornati. Albeggerà a minuti, la prima infornata dovrebbe essere pronta…”

Daniel sorrise e si alzò dalla sedia, avvicinandola subito dopo alla scrivania per lasciare, come sempre, tutto in ordine. Indossò a sua volta la veste da camera, puro cashmere e seta color bronzo dagli intricati arabeschi borgogna, e raggiunse l’amico, un sorriso compiaciuto sulle labbra.

“Come non mi stancherò mai di ripetere, Fowles, hai l’impagabile dono di una mente brillante…”

Osservò l’amico abbassare la maniglia della porta, uscire nel corridoio e guardarsi intorno. Fece per seguirlo, ma si arrestò quando la veste da camera di Lloyd volò davanti ai suoi occhi, tornando dentro la stanza, un attimo prima che il ragazzo iniziasse a passeggiare, disinvolto e divertito, lungo il corridoio, vestito solo della biancheria. Daniel sospirò.

“E’ la stravaganza il tuo solo problema."

***

Non esisteva veramente nulla al mondo in grado di ritemprare il suo spirito e rilassarlo quanto l’allenamento di canottaggio del Venerdì. L’aria pungente del primo mattino che gli scompigliava i capelli, gli schizzi d’acqua gelida che gli sferzavano le guance, la sensazione pura e semplice di ogni muscolo del proprio corpo che si contraeva e rilassava, dapprima vivace ed entusiasta e poi via via sempre più stanco, fino a diventare stravolto e dolorante, lo facevano sentire vivo. Vivo, parte e particella di un mondo nel quale non svolgeva il semplice ruolo di pedina nelle mani del fato, ma del quale succhiava e beveva l’essenza a gran sorsi: dal vento che profumava di luoghi che non aveva mai visto; dal sole che splendeva senza sosta, identico, invariabile, giusto, sul viso di tutti, dal più povero al più ricco; dall’erba che verdeggiava, ebbra del suo colore di libertà; dai sorrisi dei suoi amici e compagni, che con lui si impegnavano duramente, e remavano fino a sentir male alle mani, alla schiena, alle ossa. Sorrise, Lloyd, e annusò l’aria di primavera. Era un bel momento, pensò, per essere vivo.

Scese dalla barca, che oscillò dolcemente dietro di lui, e si posò le mani sui fianchi, guardando il fiume alle proprie spalle, gli occhi azzurri resi ancor più brillanti dalla luce dell’orgoglio. Daniel e il suo gruppo erano ancora lontani. La barca capitanata da Maurice li precedeva di poco. Delle altre due ciurme ancora nessun segnale. Si allontanò due ciocche corvino dagli occhi, ragionando. Aveva tempo per un veloce spuntino. Pane e formaggio, magari? Oh, sì. Sarebbe stato perfetto. Il pane non avrebbe dato troppi problemi, non era mai sorvegliato, ma per il formaggio… Beh, per quello avrebbe escogitato qualcosa.

Approfittando della distrazione dei suoi compagni di voga intenti a scambiarsi figurine e fotografie non esattamente ammesse dal regolamento del college, risalì velocemente la prima collina, fino a raggiungere il sentiero sterrato che conduceva all’imponente edificio. Pensò distrattamente ai secoli di storia che dovevano aver percorso quello stesso sentiero, lasciando come lui orme leggere sulla terra color oro vecchio. Si domandò quali sogni avessero, quelle ombre del passato, e se si fossero mai sentite così vive, così disperatamente giovani e felici, così follemente certe di avere in pugno le redini del mondo intero. 

Si scostò leggermente la maglietta fradicia di sudore dal petto. Cominciava a sentire freddo. Aveva poco tempo, si disse, per divorare lo spuntino e correre alle docce prima dell’arrivo degli altri. Avrebbe dovuto fingere di non essersi mai mosso di lì. Svoltò a sinistra e fiancheggiò il perimetro del college per vari metri. Ah, Danny non gli avrebbe creduto, ne era certo. Forse avrebbe dovuto rubare del formaggio anche per lui? Sollevò lo sguardo da terra per posarlo lontano, verso il boschetto che nascondeva l’acqua allegra e scintillante del fiume. Poi, d’un tratto, si bloccò.

Una musica.

Una musica come due dita sensuali che afferrano e fanno vibrare le corde del cuore. Si portò una mano sul petto, spalancò gli occhi. E quella musica gli risuonò dentro, utilizzando la sua cassa toracica per propagarsi, ancora e ancora, insinuandosi sempre più a fondo nella sua mente, avvolgendogli l’anima.

Che cos’era?

Sollevò il mento, fiutando l’aria come se potesse intercettare la scia di quel suono così seducente e così crudele, che lo invitava a sé e tuttavia si faceva beffe di lui. Chiuse gli occhi, e sbatté contro un muro. La seconda volta fu più cauto, e si premurò di allungare un braccio di fronte a sé per evitare gli ostacoli che non poteva vedere. Finché la musica non si fece più intensa, più penetrante, più esigente.

Aprì gli occhi, sollevò le braccia per aggrapparsi al davanzale della finestra sopra la sua testa e fece leva sul piede sinistro, che premette contro il muro. Si tirò su senza troppa fatica e, finalmente, fu libero di sbirciare dentro la stanza dalla quale proveniva quel suono ammaliante.

E ciò che vide lo lasciò senza fiato.

 

 

Nota dell'Autore.
Se il mondo de
Il Lento Danzare delle Stelle Infinite vi incuriosisce, venite a trovarci nel blog ufficiale della storia (his-soul-has-returned.tumblr.com), dove abbiamo ricreato l'ambientazione dell'Atleas College!
Indossate la divisa e diventate studenti della prestigiosa scuola, o fate domanda per essere scelti come chef o professori! Cerchiamo volontari  e illustratori che vogliano aiutarci a dipingere questo mondo di fantasia!

 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pandora Hearts / Vai alla pagina dell'autore: Artemisia_Amore