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Autore: Ghost Writer TNCS    08/07/2015    2 recensioni
Secondo racconto della saga La via degli assassini (sequel di VdA - 1 - La Contessa di Genseldur).
Hélene Castillon, forte dei suoi innumerevoli successi, ha sia il talento che la volontà per essere la migliore, ma per chi percorre la via degli assassini, vanità e senso della giustizia sono sentimenti pericolosi.
Un giorno si sveglia in una stanza sconosciuta, con un occhio bendato e il corpo indolenzito. I ricordi sembrano inaccessibili, invece le basta vedere la sua immagine riflessa per ricordare ogni cosa e scoppiare in un pianto irrefrenabile.
Cosa può aver spinto una sicaria nobile e infallibile come lei a versare tutte quelle lacrime?
Domande? Dai un'occhiata a http://tncs.altervista.org/faq/
Genere: Azione, Fantasy, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5. Incubo

Il sole brillava nel cielo del primo pomeriggio, illuminando le sfarzose vetrine dei negozi del centro di Genseldur. Morgaine e Laurine stavano camminando tranquillamente per una di quelle raffinate vie, eppure per una volta la loro attenzione non era rivolta agli eleganti vestiti esposti o ai prodotti di bellezza più gettonati. Era da un po’ che la loro amica Hélene sembrava strana, era stanca e assente, come se avesse mille pensieri in testa che le disturbassero il sonno, e la cosa cominciava un po’ a preoccuparle. Aveva rinunciato a tutti gli appuntamenti degli ultimi due giorni e quella mattina aveva perfino declinato il loro invito ad uscire insieme.

«E se non si sentisse bene?» ipotizzò Morgaine «Magari non voleva farci preoccupare e quindi non ci ha detto niente…»

«È probabile, lo sai quanto me che Hélene non ama mostrare le proprie debolezze. Poverina, potremmo andarla a trovare per farle coraggio.»

«Mi sembra un’ottima idea.»

In quel momento una voce maschile le chiamò, interrompendo la loro conversazione. Si voltarono e in un istante i loro occhi vennero conquistati dal viso attraente di un giovane uomo. Il suo corpo atletico era meraviglioso, messo in mostra da abiti sobri ma perfettamente abbinati, gli occhi erano scuri e intensi e i capelli corvini raccolti in un codino gli davano un raffinato tocco di classe.

«Perdonatemi, sono appena arrivato in città per incontrare una vecchia amica, purtroppo però temo di essermi perso. Non è che potreste darmi una mano?» La sua espressione si componeva di una nota di dolce imbarazzo, un sorriso spontaneo e un contagioso buonumore: era impossibile resistergli.

«Ma certo.» riuscì finalmente a rispondere Morgaine «Hai un indirizzo?»

«Ecco… Diciamo che ce l’avevo: purtroppo ho perso il biglietto. Però forse conoscete la mia amica, si chiama Hélene Castillon.»

«Oh, sì, certo che la conosciamo!» esclamò Laurine «Stavamo giusto andando da lei, se vuoi puoi venire con noi.» Non riusciva a credere di essere così fortunata: avrebbero potuto fare tutta la strada insieme a quel fusto incredibile! Ma perché Hélene non aveva mai detto a lei e Morgaine che conosceva un tipo così? Voleva forse tenerselo tutto per sé?

Un radioso sorriso illuminò il volto dell’uomo. «Sarebbe meraviglioso. Oh, che sbadato, non mi sono presentato! Sono Roman, lieto di conoscervi.»


***


Hélene era seduta sul suo letto, le tende mezze tirate e lo sguardo perso nel vuoto. Quello era il terzo giorno che passava chiusa in casa e non avrebbe potuto essere più abbattuta. Aveva combinato un vero casino e nemmeno la prospettiva della festa di compleanno di Morgaine riusciva più a tirarla su di morale.

Il suo golem-cameriere aprì la porta della stanza. «Signorina, ha degli ospiti: sono le sue amiche insieme ad un uomo. Li ho fatti accomodare nella sala degli ospiti.»

Quella notizia riuscì a scuotere la giovane. Tutto sommato non le dispiaceva che Morgaine e Laurine fossero venute a trovarla, però chi poteva essere l’uomo?

«Ha detto di chiamarsi Roman e di essere un suo vecchio amico.»

Hélene, che nel frattempo si stava dando una sistemata, si bloccò di colpo. Non conosceva nessun Roman, quel nome però non le era nuovo. Ma dove l’aveva già sentito…? Il ricordo la colpì con la violenza di un pugno allo stomaco.

Senza nemmeno preoccuparsi di avere addosso solo la vestaglia si fiondò al piano inferiore, correndo scalza verso la sala degli ospiti. Irruppe nella stanza come un uragano, catturando immediatamente gli sguardi dei presenti. Tirò un primo sospiro di sollievo nel vedere che le sue amiche stavano bene, poi però si accorse delle espressioni di Morgaine e Laurine: la fissavano in modo strano, con sbigottimento, paura, orrore… Perché?

«Cosa sta succedendo qui?» ringhiò Hélene in direzione dell’uomo, Roman.

«Niente di speciale, stavo solo chiacchierando con le tue amiche. Sono davvero due persone meravigliose, tu però non sei stata molto sincera con loro, o sbaglio…?»

La giovane serrò i pugni. «Cosa staresti insinuando?»

«Hélene…» disse Laurine, quasi in un sussurro, «È vero che… che tu sei la Contessa di Genseldur…? Che… Che sei un’assassina…?»

La ragazza sbarrò gli occhi, incapace di articolare una parola. La sua lingua non voleva più rispondere ai suoi ordini.

«Hélene…» Questa volta era stata Morgaine a chiamarla, gli occhi velati di lacrime. «Come hai potuto…?»

Il suo corpo ormai si era ribellato totalmente e aveva cominciato a tremare. Era prigioniera di se stessa.

«Vi prego, ora dovete andare via.» affermò Roman nel tono mesto ma fermo di chi cerca di rassicurare gli altri dopo un brutto episodio, «Lasciate che ci pensi io.»

Le due ragazze non poterono che assecondare la sua richiesta e lasciarono che l’uomo le scortasse fuori dalla sala degli ospiti, verso l’ingresso. Passare di fianco ad Hélene non fu facile per loro, tennero lo sguardo basso e non dissero nulla: il dolore era troppo forte.

Dopo essersi assicurato di aver allontanato i testimoni, Roman tornò sui suoi passi. La Contessa era ancora lì, immobile sulla soglia della stanza, lo sguardo perso nel vuoto. Le sue migliori amiche l’avevano abbandonata… e la cosa peggiore era che non poteva nemmeno biasimarle…

Una delle cose che più temeva si era appena realizzata. Era come se la sua vita le si stesse sgretolando tra le mani, pezzo dopo pezzo.

Se quello era un incubo, sperava di svegliarsi il prima possibile. Ma in realtà sapeva bene che non era affatto incubo…

«Devo ammetterlo, hai davvero una magnifica biblioteca.» affermò Roman, intento ad ammirare gli scaffali pieni di volumi riposti ordinatamente per autore. «Hai letto tutti questi libri?»

Hélene non rispose, si limitò a fissarlo, gli occhi verdi colmi d’odio.

«Io ne ho letti molti.» proseguì allora l’assassino «Sai, anche a me piacciono molto le storie d’avventura.»

Roman continuava a parlare tranquillamente, quasi come se stesse realmente chiacchierando con una vecchia amica, la ragazza però sapeva di non poter abbassare la guardia. Senza farsi notare si avvicinò ad un mobiletto e aprì un cassetto. Aveva nascosto in tutta la casa numerosi coltelli proprio per fare fronte a situazioni come quella, quindi doveva restare calma: aveva ucciso Hanzo de Sauze, con quel tipo non sarebbe stato diverso.

L’intruso intanto continuava il suo monologo sui libri e di tanto in tanto prendeva qualche volume che non conosceva per sfogliare delicatamente le prime pagine. Se non fosse che era un uomo dei Tadarés e che aveva appena rivelato alle sue migliori amiche la sua doppia vita, sarebbe stata quasi tentata di intrattenersi con lui.

Senza fare il minimo rumore cominciò a muoversi verso di lui, un passo dopo l’altro. Roman non sembrava essersi accorto di nulla, ma di sicuro stava solo fingendo: era impossibile che un assassino del suo livello avesse abbassato la guardia in quel modo.

Hélene non si fermò. Gli anni passati ad addestrarsi avevano reso il suo passo leggero e felpato, i suoi movimenti fluidi e precisi, difficili da captare anche per gente attenta e preparata. Anche il suo cuore era calmo, così come il respiro leggero.

“Uccidere il bersaglio senza che nemmeno se ne accorga, ecco cosa vuol dire essere un grande assassino.”

Era ad un passo da lui. Roman parlava, incurante della sua presenza. Non doveva esitare! La lama scattò, diretta al fianco. La vittima non poteva reagire, era troppo tardi. E invece la bloccò. Roman le aveva afferrato il polso, fermando il coltello un attimo prima che raggiungesse la carne. Il tutto senza far cadere il libro che aveva in mano e continuando ad elogiare quello che, a suo dire, era uno dei migliori scrittori al mondo.

Hélene digrignò i denti, furiosa. Provò a fare forza, a spingere con tutto il suo peso, ma non servì a nulla. Quanto cavolo era forte quel tipo?! D’accordo che lei era una ragazza dal fisico snello, ma essere surclassata in quel modo era materialmente impossibile. O forse no?

Senza la minima fretta, Roman ripose il libro e si voltò verso di lei allontanando la lama dal corpo. «Mi spiace, non puoi vincere contro di me. In realtà non avresti avuto speranze neanche contro Hanzo se l’avessi sfidato in maniera onorevole.»

«Cosa ne sai tu dell’onore?!»

«Da come hai ucciso Hanzo, direi molto più di te.»

Hélene gli tirò un pugno in faccia. Lui ancora non si mosse, anzi fu la sua mano a gemere di dolore, strappandole un’imprecazione.

L’uomo la spinse indietro, facendola cadere su una delle poltrone. «Mi perdonerai se approfitto della situazione per testare il TitanShape, vero?»

La ragazza lo trafisse con uno sguardo. Non aveva idea di cosa stesse dicendo, ma una cosa era certa: doveva pensare a qualcosa, o sarebbe stata spacciata.

«Beh, chi tace acconsente.» Serrò i pugni, come per caricarsi mentalmente, ma ben presto Hélene capì che non si trattava di energia psicologica: il suo corpo cominciò a fumare, forse si trattava di vapore, quindi la pelle si accese di una luce calda e aranciata, come se stesse diventando incandescente. La ragazza, incredula, non poté che restare a guardare paralizzata, venendo investita da un improvviso getto di vapore rovente. Avvertì qualcosa che si muoveva davanti a sé, ma non riusciva vedere nulla. Udì un tonfo, poi degli scricchiolii e infine un fragore di macerie, come se qualcosa avesse sfondato il soffitto.

Finalmente il vapore bollente si diradò e riuscì a riaprire gli occhi, ma ciò che vide le fece rimpiangere la sua decisione: cos’era quella specie di gigante che svettava di fronte a lei?! Aveva sfondato il soffitto con la testa dalle linee aguzze e le spalle imponenti, spostando i mobili del piano di sopra come delle fastidiose cianfrusaglie grazie ai muscoli tesi delle braccia. Tutto sommato la sua corporatura era proporzionata, solo i tratti avevano un’aria vagamente selvaggia, animalesca. Indossava addirittura dei vestiti, gli stessi… gli stessi di Roman! Quel coso era Roman?! No, era impossibile. Per lo meno i vestiti si sarebbero dovuti rompere!

«Ti piace il mio nuovo aspetto?» La voce di quel gigante era un po’ gutturale, ciononostante ricordava quella dell’assassino dei Tadarés. «È il modello Funditor, il più versatile. Posso ingrandirmi fino a tredici metri, però in quel caso mi vedrebbero tutti e rovinerei la sorpresa. E sarebbe un vero peccato, no?»

Hélene era paralizzata. Non riusciva a muoversi, ma nemmeno a parlare, o anche solo a distogliere lo sguardo da quegli occhi ferini. Nonostante tutto, avevano la stessa intensità di quelli di Roman.

«Signorina, va tutto bene?!» esclamò il golem-cameriere entrando nella stanza.

Si arrestò appena vide il gigante. I suoi elaboratori logici non erano preparati ad affrontare una simile situazione, così per Roman fu facile afferrarlo e schiacciarlo tra le sue enormi mani come una vecchia lattina.

La scena fece montare la rabbia nella mente di Hélene. Come osava comportarsi così con il suo fedele servitore?!

Dominata dall’ira, fece saltare il coltello per prenderlo dalla lama e poi lo scagliò con forza. L’arma centrò in pieno l’occhio del nemico e rimbalzò via, del tutto inefficace.

Hélene, spiazzata, perse per un attimo la concentrazione, così che Roman riuscì ad afferrarla, sollevandola come una bambola di pezza. Con un calcio spazzò via i mobili, sollevò ancora un po’ la ragazza e la scaraventò a terra. La giovane urlò di dolore, un grido atroce che coprì il rumore delle ossa che si rompevano.

Soddisfatto del risultato, Roman chiuse gli occhi e il suo imponente corpo venne nuovamente avvolto da una nuvola di vapore, celando la trasformazione che lo stava riportando alla normalità.

Emerse dalla cappa chiara e densa come uno spettro, osservando inespressivo il corpo tremante della sua vittima. Si accovacciò al suo fianco. «Credimi, farti questo non mi arreca nessun piacere.»

Hélene, supina, riuscì a malapena a ruotare gli occhi verso di lui. Non voleva ucciderlo, voleva torturarlo fino a sentirlo invocare la morte, e a quel punto torturarlo ancora.

L’assassino si infilò una mano in tasca e gettò a terra una piccola sfera di metallo, quindi si avviò verso la porta della stanza. Lanciò un ultimo sguardo alla ragazza. «Addio. Mi sarebbe piaciuto conoscerti in circostanze diverse.»

Se ne andò e dopo pochi secondi la palla ebbe uno scatto, gettando all’esterno degli spruzzi di uno strano liquido. In un istante la sostanza prese fuoco e le fiamme attecchirono con una velocità spaventosa, protraendosi in ogni direzione con una voracità del tutto innaturale. Nel giro di un minuto, l’intera stanza aveva preso fuoco.

Hélene sapeva di non poter fare niente, solo piangere e commiserarsi. Non riusciva nemmeno a maledire Roman come avrebbe voluto a causa di quelle ultime parole. Perché in fondo lo sapeva che era solo colpa sua. Era stata lei, con le sue decisioni sciocche e avventate, a condannarsi da sola.

Cominciò a tossire a causa del fumo. Le fiamme stavano per lambirla, ma non aveva la forza per ribellarsi o chiamare aiuto. Tanto a cosa sarebbe servito?

E intanto il fuoco si avvicinava sempre di più, famelico, divorando tutto ciò che gli capitava a tiro. Il terrore la assalì quando le prime fiamme attecchirono sui capelli, risalendoli con una rapidità terrificante. Ben presto raggiunsero la pelle, bruciandola senza pietà e facendola esplodere di dolore. Nonostante i polmoni pieni di fumo, riuscì a lanciare un ultimo grido disperato, talmente forte che le parve di sputare fuori anche l’anima.

   
 
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