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Autore: AlexEinfall    10/07/2015    2 recensioni
[Casey/Severide] Prima mia long-fic su questa coppia, che credo abbia un grosso potenziale.
Severide affronta Casey circa il suo comportamento sconsiderato, ma le cose non vanno mai come ci si aspetta. Questo è l'inizio di qualcosa oppure le resistenze e l'antico astio ostacoleranno la loro strada?
Un giorno qualunque alla Caserma 51 è destinato a cambiare ogni cosa.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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25
Un corpo perfetto, un'anima perfetta


  «Tyrone non sa dove siano i Messer. L'unico a saperlo era il suo uomo, Miguel.»
  Kelly voltò appena la testa per guardare Voight, che teneva gli occhi fissi sulla strada davanti a sé.
  «Gli credi?»
  «Non ha motivi per mentire, non con me.»
  Si sentiva stanco, come raramente in passato. Era un tipo di stanchezza che gli ricordava il giorno dopo il funerale di Andy. Intorpidito, confuso e nervoso. Soprattutto, drenato di ogni forza.
  «Cosa si fa ora?» mormorò.
  Tutta la rabbia stava scivolando via, lasciando solo un guscio apatico nella sua mente. Gli sembrava che nella sua testa ormai ci fosse posto solo per il terribile e lento martello dell'emicranea.
  Non aveva creduto di poter sostenere un'altra delusione, l'ennesima pista vuota. Non era felice di scoprire che aveva avuto ragione
  Voight non rispose.
  Guidò in silenzio, fino a fermare l'auto nel parcheggio. Il veicolo di Kelly era visibile nella luce al neon della tavola calda, ma lui non riusciva a scendere e raggiungerlo. Sentiva gli arti pesanti e una mano invisibile spingerlo sul sedile.
  «Vai a dormire, Severide. Questo...non fa per te.»
  Anche mentre guidava per tornare a casa, Kelly continuava a chiedersi cosa Voight avesse voluto dire.
   Il sospiro umido scivolò improvviso dalle sue labbra.
   Il pianto fu irruento, sorprendendolo. Cercò di trattenersi, di restare silenzioso, ma i singhiozzi divennero strozzati e dolorosi. Accostò, incapace di vedere la strada. Poggiò la fronte al volante, aspettando che il suo corpo smettesse di tremare.
  Dopo un lungo istante rimise in moto, asciugandosi furiosamente le guance.
  Strinse il volante, girando intorno al quartiere finché di lacrime non ne rimasero più.
   Matt.
   Voleva solo tornare da Matt, riuscire a guardarlo negli occhi, a baciarlo senza sentire le lacrime salate sulle labbra. Tutto sarebbe stato in ordine, se solo avesse potuto stringerlo.
   Immaginò la verità delle sue menzogne aleggiare tra i loro corpi uniti e avvertì una stretta al petto. Se avesse potuto produrre altre lacrime, lo avrebbe fatto. Sentiva solo la gola stringersi e bruciare.
   Sperò che Matt potesse perdonarlo.



   I club non erano mai stati il suo forte, ancor meno il tipo di locali che solo un gay in cerca di una notte di sesso frequentava. Non era neanche mai stato tanto assorbito dalla scena LGBT di Chicago, avuto amici che ne facessero parte o mai pensato di entrarvi per alcun motivo. Matthew Casey, semplicemente, non amava l'artificioso e il mondano. I suoi gusti erano più vicini a una sincera birra, in un bar schietto e semplice, molto lontani da complicati drink dal retrogusto esotico e architetture tanto ricercate quanto grottesche. Pannelli in materiali ecosostenibili ma dall'estetica incomprensibile, drink biologici, zucchero di canna sul fondo del bicchiere e stecche di cetriolo come ornamento non erano esattamente particolari che lui riusciva a gradire.
  Reclinò la testa, ridendo al soffitto adornato di semplici travi d'acciaio, che si dipanavano a imitazione della tela di un ragno. Un ragno gigante, pensò. Un ragno che avrebbe potuto divorare Chicago con i suoi denti metallici.
  Abbassò la testa e guardò confuso Shay, avvinghiata al corpo snello di Sam.
  Le afferrò un braccio e lei registrò dopo troppo tempo il gesto. Con le labbra della compagna sul collo e lo sguardo lucido, lo guardò sorpresa.
  Matt dovette chinarsi fino a sfiorarle il lobo dell'orecchio, e anche in quella posizione fu costretto a urlare oltre la musica.
  «I ragni hanno i denti?»
  Shay lo fissò a lungo, prima di ridere di gusto e afferrargli il polso.
  Matt scrollò le spalle. Era un dubbio atroce, quello dei ragni, ma eventualmente si arrese a non scoprirlo mai. Cominciava già a dimenticare perché fosse importante.
  Fu quasi certo di avvertire qualcuno pressare il proprio corpo contro il suo, ma c'erano troppe frizioni di jeans e petti nudi perché lui potesse focalizzarsi su una persona in particolare.
  La musica cominciava a non importare. Era solo un suono assordante, ma lontano, incalzante come il battito di un enorme cuore in una gabbia d'acciaio. Lo sentiva nel petto, nelle mani formicolanti e nello stomaco. C'era un dolore pressante e familiare nel suo basso ventre, un bisogno liquido che cominciava a premere su ogni muscolo, gridando per chiedere la sua attenzione.
  Le luci si accendevano e spegnevano, cambiando colore e calore, come una costante metamorfosi. Non riusciva a cogliere il blu, che già era diventato verde, che si trasformava in un rosso acceso.
  Troppi volti danzavano attorno a lui, accesi dai colori, così che gli sembrava di avere attorno un numero indefinibile di alieni. Tutti pressati l'uno contro l'altro, muovendosi come un'unica entità con mille braccia e gambe indipendenti.
  Matt ancora era certo di non amare i nightclub -non aiutava l'urgenza di rompere il muso a chiunque fosse l'uomo che continuava a sfiorarlo. Malgrado ciò, cominciava a capirne il fascino. Musica, luci e alchool lo catapultavano in un mondo selvaggio, senza limiti, dove la protezione dell'anonimato era uno scudo perfetto per l'ego. I sentimenti non contavano, i pensieri erano labili.
  Attirò a sé Sam, danzando con lei nella pessima imitazione di un ballo sensuale. Strizzò l'occhio a Shay, che premeva una mano sulle labbra per sopprimere una risata sconnessa.
  Matt, onestamente, non ricordava l'ultima volta che si era sentito così libero. Un moto di tristezza lo colse quando pensò che se Kelly fosse stato lì con lui, il mondo sarebbe apparso realmente perfetto. Avrebbe condiviso con lui questo lato di sé che brontolava per uscire dalla sua pelle ed espandersi.
  Ghignò, infine, quando immaginò tutte le cose che avrebbe fatto con Kelly, e a Kelly, se lui fosse stato lì.
   Improvvisamente gli sembrò impossibile reggere anche solo un'altra canzone prima di poter tornare a casa.





   Arrendersi alla stanchezza era stata una lotta più ardua del previsto. Il suo corpo reclamava riposo, ogni muscolo dolente e irrigidito dallo sforzo della lunga giornata. Steso in un letto vuoto, la sua mente continuava a sprofondare nell'oblio, ogni volta tirata indietro dall'ansia. Era come se Kelly fosse sospeso su una lunga scala, con l'unica ancora di un piede poggiato sull'ultimo piolo. Poteva sbilanciarsi e sentire la libertà e il sollievo di cadere nel vuoto, ma all'ultimo momento il terrore di quel passo lo sbalzava indietro, costringendolo a reggersi alla realtà.
   Era sollevato che Matt e Shay non fossero già in casa quando era rientrato, perché non sarebbe riuscito proprio ora a reggere un confronto, qualunque esso fosse. Questo pensiero gli strinse lo stomaco con le dita fredde del senso di colpa, tirandolo ancora una volta fuori dal sonno. Aveva il sollievo a un passo da lui, bastava che allungasse la mano e poteva sfiorarlo con le dita.
  Grugnì in puro e profondo disappunto, girandosi tra le coperte ormai intrecciate alle gambe e incollate dal sudore. Il ricamo delle tende scure disegnava sulla sua spalla e sul braccio fiori e ghirigori di luce e ombre. Si voltò per fuggire da quella distrazione, ritrovandosi lo stesso fastidioso disegno sulla parete opposta.
  Chiuse gli occhi, cercando di liberare la mente da ogni pensiero.
  Rincorreva continuamente le stesse immagini, riavvolgendo il nastro delle parole udite quel giorno. A volte immaginava la voce di Voight, altre quella di Casey, di Tyrone. Vedeva gli occhi di Felipe, scuri e silenziosi, impossibili da leggere. Poi quelli di Voight, freddi, ma schietti.
  Inevitabilmente si ritrovò a manipolare gli scenari, a pensare a cosa avrebbe potuto dire e fare per cambiare il corso degli eventi. Se non fosse entrato in quel seminterrato, non avrebbe dovuto scontrarsi con quel drogato – Jim? Voight non avrebbe rintracciato Jeremy, quindi non avrebbe collegato i Messer a Tyrone. Né lui né Matt sarebbe stati sospesi, né Boden avrebbe saputo di loro. Kelly, se le cose fossero andate diversamente, ora sarebbe in un club con Matt. O forse no, perché magari Matt non avrebbe proposto l'uscita.
   Era certo che, per lo meno, avrebbe avuto Matt tra le braccia, con il naso premuto contro il suo collo e il respiro calmo e pesante del sonno. Adesso era tutto ciò che desiderava.
   Voci e rumori entrarono nel suo dormiveglia, attraversando la nebbia nella sua mente senza scalfire la sua coscienza. Le immagini mutarono, più scure, velate di una strana tinta vermiglia. Immaginò di aver trovato i Messer nell'appartamento di Tyrone, di aver picchiato il volto dell'uomo fino a renderne irriconoscibile il ghigno, rompendo dente dopo dente. E i Messer...oh, erano fin troppe le cose che avrebbe potuto far loro.
  Una presenza era su di lui.
  Annaspò, spalancando gli occhi senza realmente vedere nulla.
  Forse una porta era stata aperta, non solo nella sua mente, ma nella realtà della stanza attorno a lui. La luce del corridoio era entrata, fendendo l'ombra confortevole che lo nascondeva. Gli sembrò di sentire vestiti strusciare e ricadere a terra.
  Poi mani su di lui.
  Per un attimo il terrore gli strappò dai polmoni il respiro.
  Mise a fuoco davanti a sé, incapace di muoversi. Una mano spingeva la sua spalla contro il materasso, mentre l'altra gli teneva saldamente il bacino -con più forza del necessario.
  Kelly, stordito e incredulo, si ritrovò a guardare una testa bionda china sul suo addome, illuminata dalla tela di luce riflessa dalle tende.
  «Matt?»
  Lo sentì ridere sul suo stomaco e premere i polpastrelli più a fondo nel suo bacino. Dita fredde cominciarono a sfilargli i boxer.
  Kelly non seppe protestare, anzi dimenticò il motivo per cui avrebbe dovuto. Abbandonò la testa al cuscino e chiuse gli occhi, lasciando che Matt facesse di lui ciò che voleva.
  Quando le immagini crudeli irruppero dietro le palpebre, posò la mano su quella di Matt, ora sul suo petto, e la strinse più forte che poteva.
   Fu sorpreso dalla velocità e dalla forza con cui la situazione cambiò. D'un tratto le mani di Matt scivolarono sulle sue braccia, e la sua bocca non era più dove Kelly avrebbe voluto. Il pizzico di un morso all'interno della gamba lo sorprese. Matt gli afferrò i bicipiti, rovesciando le loro posizioni.  Con movimenti scoordinati ma in qualche modo decisi, si sistemò di schiena, portando Kelly su di sé.
   Il moro si chinò in un lungo bacio, ma poteva sentire l'impazienza tremare sotto la pelle del compagno.
  Si staccò per allungare un braccio e cercare il tubetto di lubrificante, ma Matt gli bloccò il polso, circondandolo con dita ferree e sudate.
  «Non posso aspettare» biascicò Matt, in un tono rude e profondo che Kelly non poteva ignorare.
  Matt sarebbe stato dolorante il giorno dopo, ma ora neanche questo sembrava realmente importante.
  Sorrise, dimentico di tutto il resto, desideroso solo di incontrare il loro bisogno. Le distanze potevano accorciarsi fino a non distinguere più i bordi che separavano la verità dalla menzogna.
  Non poteva negarlo: lo eccitava questo volto di Matt, riflesso negli occhi resi scuri dalle pupille dilatate all'eccesso.
  Sentendolo stringersi a lui come ne dipendesse la sua stessa vita, scoprì che c'era un modo diverso di scendere dalla scala. Non ebbe paura. Poteva sentire il brivido del salto, poco prima che la gravità vincesse il suo corpo.






   Matt aprì gli occhi nella luce accecante del mattino più luminoso che lui ricordasse. Da quando Chicago era così soleggiata in inverno?
  Grugnì rumorosamente, voltando le spalle alla finestra. Nel farlo, una serie di muscoli si contrasse in una catena di dolore e pesantezza. Affondò la testa nel cuscino, cercando rifugio alla sensazione di bruciore in fondo agli occhi. Mentre emergeva dal letargo, la sua mente corse alla sera precedente.
  Ricordava vagamente il ritorno a casa. Un attimo prima era in pista a ballare con Shay e Sam, quello dopo era nudo nel letto, avvinghiato a Severide. Sorrise della propria capacità di focalizzarsi su quel particolare momento della notte. Cercò di guardare alle sue spalle, riuscendo ad allungare solo di poco il collo indolenzito. La testa pesava troppo, quindi, appuratosi che Kelly non fosse a letto, la abbandonò al cuscino. Sentiva un formicolio intenso alla base della nuca e seppe che alzarsi avrebbe capovolto il mondo. Sospirò e spinse le gambe oltre il bordo del letto, sollevandosi a sedere con cautela. Portò una mano alla fronte, aspettando che il mondo smettesse di girare.
  Tuttavia, il mal di testa che cominciava a pulsare tra le tempie era meno intenso di quanto si fosse aspettato.
  Dopo una veloce sosta in bagno, nella quale prese nota del pungente dolore al fianco destro, dove sarebbe spuntato un livido, scese le scale in cerca di Kelly.
  La cucina era vuota. Il silenzio aleggiava tra le pareti e, per una volta, Matt odiò le mura ottimamente insonorizzate del condominio.
  Sul bancone della cucina trovò il contenitore di caffé pieno e un piatto di omlette. Pizzicò la pellicola che avvolgeva la pietanza, sollevandola appena. L'aroma delle banane gli portò un senso di nausea. Spinse da parte il piatto, decidendo di non voler rischiare di mangiarlo. Nel farlo, notò un triangolo di carta spuntare da sotto la porcellana. Incuriosito, lo estrasse e spiegò.

Riprendi le energie.
Torno presto.
K.
 
   Involontariamente, sorrise.
   Oltre i vetri della finestra il cielo era chiaro e, da quell'angolazione, sembrava non avere alcun confine. Niente grattacieli, casolari, edifici simili a mostri di ferro e cemento. Sospirò e capovolse la tazza, versando una generosa dose di caffé.
  Storse le labbra: era freddo, così come sembrava esserlo il piatto di omlette -se l'assenza di condensa poteva essere un indizio. Guardò l'orologio: dieci e trenta.
  Si chiese da quanto tempo Kelly fosse uscito. Con quella domanda, tornarono mille altre, emergendo crudeli. Sembravano volersi vendicare delle ore che lui aveva speso bevendo e divertendosi senza un pensiero al mondo.
  Si pizzicò la base del naso, sperando di non inciampare in un'emicrania lancinante.



  Due ore dopo essersi svegliato in un letto vuoto, Matt non aveva ancora ricevuto alcun segnale da Kelly. Sospirò, abbandonando la testa ai cuscini del divano. Studiava lo stesso pezzo di soffitto da almeno dieci minuti, da quando il programma di cucina era finito ed era cominciato qualcosa che aveva a che fare con le costruzioni. Normalmente l'avrebbe guardando con calmo interesse, ma al momento non aveva forza di concentrarsi su nulla, se non quel pezzo di intonaco sulla sua testa.
  Il suono del campanello lo destò, facendolo sobbalzare. Si alzò piano, rispondendo a tono al borbottio del suo stomaco. Spense la tv nel tragitto per la porta.
  Aprendola, fu colto da un lieve disappunto, rendendosi conto di essersi aspettato di trovare il compagno.
  «Michael.»
  Il ragazzo sorrise e sventolò un sacco di take away cinese.
  «Ho pensato di passare prima di pranzo, se non è un problema.»
  «Scherzi?» rispose Matt, facendosi da parte per farlo entrare. «Non avevo nulla da fare.»
  «Ottimo.»
  Michael poggiò la busta sul tavolino, svestendosi poi della giacca.
  «Non pensavo che il tuo appartamento fosse così-»
  «Bello?»
  «Stavo per dire raffinato.»
  «Infatti non è mio» rispose Matt, ricadendo sul divano.
  Michael sogghignò e si accomodò sulla poltrona.Guardò Matt e rise.
  «Cosa?»
  «Questo...» disse indicando lo spazio tra loro. «Questo si che fa tanto psicanalisi. Tu sul divano e io sulla poltrona.»
  Matt rise e fece per stendersi.
  «Oh, no, dovresti girarti nell'altro verso» disse Michael con finto cipiglio. «Non dovresti potermi guardare in volto mentre mi parli.»
  Michael attese che la risata dell'amico scemasse, prima di afferrare il suo contenitore e porgere l'altro a Matt.
  «Il tuo compagno?»
  Matt infilzò un gamberetto con la punta della bacchetta, cercando di non lasciarsi trascinare dal nervosismo. L'ultima cosa che voleva era palesare a Michael la propria frustrazione, ed essere costretto a parlare di Kelly. Non voleva insinuare niente, né ascoltare ipotesi. Cercava in tutti i modi di concentrarsi per tenere a bada la paranoia. Era un lavoro accurato che richiedeva concentrazione, sebbene il prezzo da pagare fosse un crescere costante delle pulsazioni nella sua testa.
  «Uscito.»
  «Mmm...lavoro?»
  Matt alzò lo sguardo e sorrise. La sua uscita di emergenza! «Siamo stati sospesi, in realtà.»
  «Wow. E io che credevo stessi migliorando.»
  «Hey, guarda che questa volta non è colpa mia. O almeno...non in quel senso.»
  «Cosa avete fatto? Rubato un gatto da un albero? Lasciato una vecchietta ad attraversare da sola la strada?»
   Matt finse una risata e accartocciò un tovagliolo, lanciandolo contro l'amico.
   «In realtà, gli ho salvato il culo in una situazione ostaggi, nel mezzo di un incendio. Al Capo non è andata a genio.»
   Michael emise un sonoro fischio, scuotendo la testa mentre rovistava nel riso per cercare un cetriolo.
  «Le persone fanno cose assurde quando credono di perdere chi amano, eh?»
  Matt distolse lo sguardo. Pensò a Johnny Messere e a suo figlio, rivide i loro occhi e le loro labbra muoversi in parole che, in fondo, potevano essere d'amore reciproco. Forse era un gioco della sua mente, o il bisogno di dare un senso alle loro azioni per difendere la bontà umana, ma gli parve di rivedere nel loro sguardo qualcosa di profondo, un dolore che solo l'amore può portare.
  «Non sai quanto hai ragione, Doc.»
  Poggiò le bacchette nel contenitore. Guardò a lungo il fondo di riso e gamberi, prima di alzare lo sguardo e dire: «Non voglio trovarmi un'altra casa. Voglio vivere con Kelly.»
  «Wow...credevo non ritenessi fosse una mossa furba.»
  Matt ricordava esattamente cosa aveva detto la volta precedente a Michael, e allora ne era stato così convinto da parlarne anche con Kelly. Ora gli sembrava che quella paura di rovinare tutto fosse solo un nascondiglio, uno scudo contro una catastrofe che esisteva solo nelle possibilità ventilate dalla sua mente. Perché avrebbe dovuto sottrarsi a questa vita? Svegliarsi in un letto vuoto gli aveva fatto capire quanto non fosse ciò che voleva. Lui voleva aprire gli occhi e incontrare quelli socchiusi e arrossati di Kelly. Voleva intrecciare le dita ancora addormentate tra i capelli scompigliati del compagno, ed era disposto a soffrire il caldo del suo corpo d'estate e il freddo della punta del suo naso d'inverno. Lui voleva tutto questo e al solo pensiero di non averlo sentiva già la nostalgia.
  «Correrò il rischio.»
 







Note: Hi! Questo capitolo è un po' più breve, ma mi sembra giusto tagliarlo qui, perché prevedo che il prossimo sarà più lungo e intenso. Non temete, ogni nodo verrà al pettine.
Grazie a chi mi segue e commenta, per me è molto importante. Ho avuto un periodo davvero intenso e colmo di impegni importanti, ma ora ho un periodo di "ferie" finno a fine mese, quindi tornerò ad essere più assidua nel postare. Yeah!
See you soon,
Ax.



















  
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