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Autore: G K S    13/07/2015    1 recensioni
Agorafobia, demofobia, acluofobia, sociofobia, fobofobia, agyrofobia.
Queste sono tutte le facce di Kell, tutti i suoi demoni, tutte le sue fobie.
L’unica cosa che ha sempre potuto fare è resistere, contro ogni convinzione e anche contro il suo stesso volere, ha quasi diciassette anni e l’unica cosa che vorrebbe fare è vivere.
E dove finisce? Beh, il Quattrocentoventisette è un istituto correttivo per ragazzi affetti da fobie, proprio come lei. Troverà Cecely, Victor e anche Jeh, il fantasma del suo passato, il ragazzo sfigurato con l’occhio di vetro che non ha mai dimenticato e le cose per lei non sembrano andare troppo male...
Solo che le cose non sono esattamente come sembrano, anzi, le cose in realtà sono ancora più complicate di quelle che sono...
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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questo è un capitolo davvero importante, sebbene ovviamente ce ne siano stati altri in passato
dal punto di vista psicologico questo ne batte parecchi, fate attenzione
non mi piace lasciare le cose al caso, ci vogliono dettagli e qui ne abbiamo parecchi. Sono molto curiosa di sapere come pensate che finirà la storia, sia dal punto di vista del pericoloso piano di Kell che dal punto di vista tematico dei personaggi, con le loro fobie e drammi vari, in ogni caso grazie a tutti i lettori silenziosi che leggono questa folle storia..
Non  mancano molti capitoli alla fine della storia, un cerchio si sta forse chiuendo?
 











19. Promessa


Nikki sorrideva, guardava Emeric come si guarda un diamante grezzo appena estratto da una miniera, mentre lui fuggevolmente volgeva lo sguardo da un altra parte.
«Ogni volta che penso a quello che Rang ci ha fatto mi viene da vomitare.» Disse Nikki tranquillamente.
A Kell venne da ridere, quasi rise perché erano assurdamente credibili, se Kell fosse stata dall’altra parte avrebbe creduto alle loro parole.
Stare all’aria aperta, sul prato del brutti ricordi era però rinvigorente e i ragazzi ascoltavano parlare l’assassino e la sua complice interessanti.
Presto la Urlick avrebbe preso una decisione su come agire, presto si sarebbe saputa la vera verità, quella decisa.
Erano tutti lì, ad ascoltare quei due confessare, mentre Kell registrava con il cellulare ogni parola, pregando che nessuno si accorgesse che doveva sicuramente esserci qualcosa che non andava perché c’è sempre qualcosa che non va in racconti che non ammettono repliche o intoppi.
Cecely aveva l’aria a dir poco afflitta, sollevata ma afflitta, strappava fili d’erba congelati nervosamente con la mano destra, con la sinistra si torturava l’orlo della gonna di ciniglia che indossava quel giorno, guardava in basso, guardava Victor.
Victor invece aveva ascoltano l’intera storia con le sopracciglia aggrottate, ogni tanto si era passato le nocche della mano sulla bocca e non aveva praticamente proferito verbo, come Cecely d’altra parte.
Anluan aveva fatto parecchie domande, Itsuko inizialmente aveva tentato di fermarlo ma poi aveva seguito a fare lo stesso, si era arresa all’idea che avesse dei dubbi anche lei, ma si trattava di dubbi i quali Emeric e Nikki si erano esercitati a rispondere prontamente. Parlando e rispondendo non c’era stata alcuna esitazione da parte loro, tanto che Jeh appoggiato al tronco dell’albero a qualche centimetro da dov’era lei aveva sussurrato con entrambi gli occhi socchiusi: «Ti ricordi? Sul diario di Michael lui ha scritto che ha visto Emeric con le chiavi della Patricks, e lui non lo sa neanche… tutto torna e la cosa in realtà ci dovrebbe far insospettire.» 
Kell pensò bene a cosa rispondergli, aveva una tale confusione in testa da non riuscire più a distinguere Emeric assassino da Emeric accusatore, quale delle due era verità, quale finzione. «Concordo.» Kell sapeva che se fosse stata lei ad essere stata messa nel sacco avrebbe concordato con il ragazzo sfigurato: «Ma Emeric mi ha detto che ha voluto dirmelo subito, fin da quanto ha scoperto che cosa stavo cercando di fare, solo che voleva essere certo della mia sincerità, lo stai ascoltando, li senti, scommetto che cogli quello che cerco di dirti.»
Mezzora dopo i due confessori erano andati via insieme; perché? Avevano visto Sibille in evidente stato confusionale vagare per il cortile senza meta, le occorreva il loro aiuto. 
A Kell veniva da ridere.
«Sapete cos’altro mi stupisce?» Domandò Anluan.
Jeh lanciò uno sguardo a Sibille e poi scosse la testa con gli altri.
«Il comportamento di Emeric, va bene raccontarci i fatti con Nikki, lei era presente, è necessario, ma ora sembra tutto tornato alla normalità.»
Cecely si stese sull’erba sconsolata, non riusciva proprio a comprendere: «Lei lo ha completamente soggiogato, si sono ritrovati uniti da quest’orrenda vicenda e lui la odia, ma perché la odia?»
«Non lo so…» Victor si stese al suo fianco, le sorrise appena: «Forse non riesce a staccarsi da lei perché sa che l’unica cosa che lo mantiene attaccato a Catherine, lei l’ha soggiogato non può tornare a volerle bene.»
Kell annuì, avevano avuto bisogno di mettersi d’accordo, dovevano per forza riavvicinarsi oppure non si sarebbero mai fidati l’uno dell’altro per mantenere quell’orrendo segreto insieme ma Emeric la odiava lo stesso.
«Parlerò a Emeric.» Disse Kell: «Non ha senso da parte sua costringersi a tenere d’occhio lei nonostante tutte le sue ottime ragioni possiamo occuparcene noi.»
«Ottima idea.»
Quanto avrebbe voluto sentire qualche parola dalla Urlik… l’ultima volta che l’aveva sentita, quel pomeriggio dopo terapia le aveva detto che doveva contattare i suoi superiori seduta stante, non poteva scappare dell’evidenza del fatto che le parole di Kell sulla morte di Catherine fossero di sicuro più che credibili.


Ritrovarsi finalmente da sola con loro due la face sospirare di sollievo, da un certo punto di vista le era costato forse troppo separarsi da Jeh e dagli altri con una scusa campata in aria ma doveva, doveva ricordarsi la verità.
«Sai Kellan.» Cominciò Nikki: «Non ti avrei mai confessato la colpevolezza di Emeric se non l’avesse fatto lui.» 
Lei annuì sorridendole: «Ci tieni a lui, lo so.»
Emeric alzò gli occhi al cielo, era la sua prima volta in camera di Nikki, era un’ambiente austero, freddo, ordinato, la metteva a disagio.
«Non credere che non ti consideri colpevole quanto lui.» La avvertì Kell subito: «Sei tu che l’hai spinto a uccidere Catherine, ne sono perfettamente cosciente.» Ora era arrabbiata, si sentiva decisamente arrabbiata ma parlarle con tanta franchezza mettendo in chiaro le cose era quello che sentiva di voler fare.
«E quindi?» La rimbeccò Nikki riducendo gli occhi a due fessure castano verdastre; incrociò le gambe e a guardò come per dire che aspettava una risposta. 
Emeric intanto guardava d’ovunque nella stanza tranne che in direzione della ragazza, quando erano stati tutti insieme si era trattenuto, odiava ogni momento passato in sua compagnia, Nikki lo urtava fisicamente.
«E quindi, tieni a mente il fatto che se lui cade…» Dicendo questo Kell indicò Emeric con gli occhi cercando di creare un minimo di drammaticità: «Trascinerà sul fondo anche te.»
Emeric si lasciò scappare una risatina nervosa nient’affatto da lui, la ragazza con i capelli rossi sorrise accavallando le gambe sul divano: «Sta tranquilla Kellan, davvero, tu sei l’unica che potrebbe parlare, l’unica che potrebbe guadagnarci qualcosa e se non parli tu riusciremo a mettere Rang dietro le sbarre.» Si avvicinò, Kell poté vedere alla perfezione il suo viso squadrato e la ruga d’espressione in mezzo alla fronte contrarsi: «Riesci a comprendere? Se riesci a tenere la bocca chiusa ne ricaverai qualcosa, altrimenti…» Nikki alzò le spalle sfoggiando la sua miglior espressione finto addolorata: «Tu e i tuoi amici rimarrete rinchiusi in quest’orrenda discarica.»
Kell scosse la testa, il suo atteggiamento era sospetto, sarebbe stato sospetto probabilmente anche se non avesse parlato a affatto, allungò la mano e la strinse alla ragazza che aveva soggiogato Emeric, alla persona che aveva dato il via a tutto; se non fosse stato per lei molto di quello che era accaduto fino a quel momento avrebbe avuto difficoltà a verificarsi allo stesso modo. «Non succederà.» La rassicurò Kell: «Non lo permetteremo, giusto?»
«Giusto.» Rispose Nikki e questa volta sorrise.
Emeric la guardava, la giudicava forse: «Da dove la prendi tutta questa determinazione, non lo capisco, potevi accusare me, mi avrebbero incastrato, avrei confessato, invece vuoi rompere tutti gli schemi, volevi non permettere a Rang di comprare un assassino e ce l’hai davanti a te, l’hai trovato, certo, questo posto deve chiudere ma quello in cui ti stai cacciando coprendoci… potrebbe rovinare tutto quello che hai costruito fino ad adesso.» Disse Emeric scuro in volto, si torturava le mani con le unghia e alzò lo sguardo solo per un secondo.
Con la coda nell’occhio vide lo sguardo di Nikki ancora perso in direzione di Emeric.
«Quello che è successo è successo Em. Ma sei pentito.» Gli disse: «E non è stata colpa tua, qualcuno ha fatto il peggio non tu, non mi sembra giusto buttare al vento la tua vita, non è giusto che la giustizia si prenda te e permetta a Rang di continuare a farci questo Em. Lui fa credere a degli adolescenti di essere sbagliati, di essere malati, plagia le persone e continuerà a farlo se non lo fermiamo, tu non farai mai più del male a nessuno, o sbaglio?»
«No.» Rispose Emeric alzando il capo: «Non sbagli.»
Un ora dopo aveva cominciato a squillare il cellulare: una voce  maschile di un uomo adulto che Kell non ricordava di aver mai sentito prima le comunicò con voce ferma: «Grazie per le informazioni che ci avete fornito. La Urlik ora sta parlando con i nostri superiori. Domani in modo totalmente inatteso per i diretti interessati ci saranno gli interrogatori che aspettavate.»
Tre frasi, frasi secche, quasi scontate, Kell chiuse gli occhi aspettò ansiosamente il mattino dopo.


Nikki le sorrise mentre la porta si chiudeva alle sue spalle, dieci minuti prima silenziosamente Emeric aveva fatto lo stesso anche se decisamente con maggiore nervosismo. Era passata circa un’ora da quando la polizia aveva separato i due ragazzi per l’interrogatorio, ora Kell avrebbe pagato oro per vedere la faccia di Rang quando più tardi gli avrebbero detto che doveva seguirli alla centrale di polizia, si sarebbe ritrovato senza i suoi mille avvocati riccamente pagati senza sapere cosa fare, chiedendosi chi fosse la mente perversa che doveva averlo incastrato. Avrebbe incolpato Nikki e Emeric, non poteva sapere chi c’era dietro davvero.
Era un peccato, davvero un peccato perdersi tutto questo, ma una bella fetta dell’istituto si sarebbe ritrovato tra appena cinque minuti a fare terapia specifica, lei ad esempio sarebbe stata chiusa insieme a Jeh nella stanza nera. La Strins quel giorno era libera, non poteva proprio scegliere un giorno meno adatto per tornare all’attacco. Non sarebbero rimasti insieme agli altri ad aspettare notizie in trepidante attesa, avrebbero sofferto in silenzio da un’altra parte.
Quel giorno la Strins era di ottimo umore se n’erano già accorti durante terapia non specifica quel pomeriggio, ma ora era praticamente raggiante, chiaramente doveva aver ricevuto una buona notizia, non poteva immaginare che qualcosa stava per sconvolgere il suo equilibrio. Si aggiustò la bombetta sulla testa contornata da una striscia di organza e li fece sedere davanti alla sua scrivania. Per qualche minuto Kell si girò i pollici con lo sguardo basso, sfidandosi a non guardare Jeh, ascoltò la professoressa parlare dei loro colossali miglioramenti, degli spostamenti che facevano all’interno della stanza nera senza sapere dove andare, cercandosi a vicenda. Kell era stufa di sentirla parlare, per la prima volta voleva davvero chiudersi nella stanza nera, per la prima volta il fatto che fosse così profondamente spaventosa e scura non sembrava avere importanza.
Ora sentiva il pavimento freddo sotto la guancia sinistra, era stesa da qualche minuto, era stufa di stare ferma. Kell si sentì muovere quasi fuori dal suo corpo, si trascinò pigramente verso l’angolo di Jeh, incerta e tremante ma pur sempre in grado di muoversi da sola, non riusciva proprio a trovarlo, si sentiva confusa, afferrò con la mano il suo porta pillole, lo strinse tra le dita.
Poi sentì chiaramente una mano su un braccio, Jeh era proprio davanti a lei, sentiva il suo respiro sul viso: «Riesco a muovermi.» Gli disse Kell sorridendo al buio.
In qualche modo che Kell non si spiegava seppe che anche Jeh sorrise al buio di rimando: «Non ho preso la pasticca Kell.»
«Cosa?» Prima di poter esprimere la propria gioia o costernazione si rese conto che l’aveva abbracciata, ricambiò stringendogli con forza le spalle: «Sapevamo che sarebbe successo, no?» Cercava di sembrare rassicurante e forse questa volta lo era davvero.
C’era una stranissima atmosfera quel giorno, si sentivano entrambi spaesati; qualcosa oltre che il loro piano per incastrare l’assassino si era ripiegato su se stesso, quel qualcosa era l’idea che dal buio non ci si potesse difendere.
Kell si spiegava razionalmente i fatti, era stato graduale, lo sentiva sotto la pelle ma al tempo stesso solo in quel momento aveva avuto il coraggio di rendersene conto davvero.
Si sentiva stupida, ma anche felice, avevano fregato la Strins ma al tempo stesso erano riusciti a sbloccarsi a vicenda, la stavano superando insieme.
Così, quando la Strins comunicò loro direttamente da dietro la porta che doveva scendere sotto per delle questioni scolastiche oltre a gioire si erano anche resi conto che rimanere nella stanza nera senza supervisione era tutt’altro che spaventoso.
Sentì la porta sbattere, avvertì palpabilmente lo stato d’ansia con cui la Strins doveva averla chiusa. 
Chiuse gli occhi e sorrise: «Jeh, è cominciata, sta scendendo per Rang, è chiaro.» «Lo so.» Rispose Jeh, era attaccato con la schiena alla parete e la manteneva vicina tenendola agganciata con un braccio.
«Dimenticherà di averci chiusi qui dentro.» 
Kell rise sentendogli dire quelle parole: «Qualcosa mi dice che  eventualmente non ne moriremo.» Jeh annuì: «Hai ragione, sta succedendo davvero eh?»
«Cosa? Rang che viene arrestato o noi due che diventiamo persone normali?» 
Jeh rise sentendo quelle parole, poggiò la testa sulla sua spalla continuando a ridere: «Io non sarò mai una persona normale.»
«Non fisicamente ma…» «Niente ma, non sarò mai normale finché io non mi sentirò normale e so per certo che questo non accadrà mai.»
Un buon modo per far arrabbiare Jeh, contestare la sua verità.
Staccò la testa dalla sua spalla, a Kell vennero i brividi, inghiottì la saliva, infilò le unghia tra l’incavato di due mattonelle, freddo tra le dita, forse aveva voglia di farlo arrabbiare tutto sommato: «Vedere te stesso così non ti impedirà di essere normale, ti impedirà solo di accettarlo.»
Jeh si lasciò sfuggire una specie di suono strozzato, come una risata soffocata, tutt’attorno silenzio e buio: «E’ per questo che le persone mi guardano Kell, è l’unico motivo e non riuscirò mai a mentirmi illudendomi di credere il contrario.»
Avrebbe dovuto sentirsi spaventata all’idea che lui si stesse arrabbiando ma non ci riusciva in alcun modo era un discorso che voleva affrontare, sentiva che avrebbero dovuto parlarne da settimane, probabilmente era la prima cosa che gli avrebbe detto sentendolo ripetere quella cantilena se fosse stata un’altra persona.
«Credi davvero che sia per questo che Alice non riesce a dimenticarti, per questo che ti ha importunato e dopo mesi e mesi ti importuna ancora? Perché hai una cicatrice?»
«Sì, le persone hanno il gusto del macabro.»
Fù Kell a ridere in quel momento, appoggiandosi a lui senza venire respinta. 
«Ti sbagli Jeh, è molto più semplice.»
«E allora spiegami, sembra proprio che tu abbia tutte le risposte.»
Kell sospirò, gli passò una mano dietro il collo, sulla pelle, controllando che il segno della catenina fosse ormai sparito al tatto, sì, era sparito, e così si decise a parlare: «Le persone non ti fissano perché hai una cicatrice sulla faccia Jeh, se fosse così non avrebbero neanche il coraggio di guardarti. Le persone ti fissano perché sei stato sfigurato eppure sei bellissimo lo stesso, non lo dico in senso interiore no, sto dicendo esteriormente, fisicamente, tu sei bellissimo, ammetterlo significa essere oggettivi, è destabilizzante e questo urta le persone in senso positivo, le scuote. Con uno sguardo riesci a deviarle, le sconvolgi perché non riescono a vedere il male anche se ce l’hai sulla faccia, tu non riesci a essere brutto, non lo sei, non lo sarai mai, è questa la verità ed è per questo che le persone ti guardano.»
Sentì Jeh trattenere il fiato. 
Poi lo sentì riprendere a respirare. 
Non poteva essere d’accordo, in alcun modo, ma lo scopo di Kell non era in alcun modo farsi dare ragione.
Lo sentì appoggiarsi tacitamente di nuovo alla sua spalla, questa volta rimase a lungo così, chissà che stava pensando, quali domande si stava ponendo o quali risposte si stesse dando, Kell si sentiva fortunata, forse per la prima volta dopo averlo visto dopo dieci anni nella stanza affianco.
«Nessuno mi aveva mai detto una cosa del genere e non credo che nessun altro si azzarderà mai a provarci.»
«Sì, è probabile.»
Jeh ridacchiò, era strano, non si aspettava una reazione così contenuta, credeva che si sarebbe arrabbiato a causa dell’assurdità delle sue parole, invece apparentemente no.
«Non l’ho mai detto a nessuno…» Cominciò Jeh schiarendosi la voce: «Ma c’è un motivo se odio tanto Alice.»
«Perché ti piaceva?» 
A quel punto Jeh strusciò la faccia sulla sua spalla mentre Kell esausta di stare in tensione a quel contatto si abbandonò mollemente contro il muro e contro Jeh.
«Era l’unica persona che aveva il coraggio di venirmi a parlare, l’unica persona che potesse suscitare in me interesse, la Strins pretendeva che io le dessi corda, mentre Alice mi tirava verso di lei scostando chiunque provasse anche solo a parlarmi, la odiavo, mi disgustava perché sapevo che era solo perché… lo sai perché, e al tempo stesso mi odiavo perché stupidamente ero caduto nella sua rete, odiavo lei e odiavo me.»
«Che strano modo di amare che hai Jesse Larey.» 
Rise, e sul quel pavimento freddo ci fu un attimo di calore corporeo, qualche minuto, fino a quando Kell non parlò di nuovo: «Posso farti una domanda Jeh?»
«Sì che puoi.» 
Della Strins ancora nessun segno di vita, con quello con cui stava combattendo sotto e quello che stava necessariamente apprendendo la cosa non stupì nessuno dei due.
Si sentiva tranquilla, il muro su cui era appoggiata ora era tiepido come Jeh, gli aveva detto la sua verità, lui non l’aveva contestata, aveva ammesso qualcosa, si erano ascoltati a vicenda, era necessario continuare.
«Tuo padre ha ucciso tua madre, ma…» «Perché questo?»
Questo Kell capì immediatamente del fatto che si stesse riferendo alla cicatrice, al fatto che l’avesse sfigurato. 
Jeh emise un suono a metà tra una risata e un sospiro: «Lui la picchiava, questo lo sai, ma non sai che mia madre lo tradiva. Me l’ha detto mia nonna un paio d’anni fa, l’ha uccisa per questo, lei minacciava di andarsene e ovviamente di portarmi via con lei. Quello che mi hanno detto gli psicologi e quello che io stesso ho capito è che in realtà non avesse mai pensato di uccidermi. 
Ma non ero necessario, ero come mia madre, ero un traditore, ero un suo prolungamento e anche se non meritavo la morte, avevo… avevo esattamente i suoi occhi e meritavo di spezzarmi in due, meritavo di essere irreparabile. Lei aveva gli occhi grigi, esattamente come ce li avevo io.»
«Ne hai ancora uno e un giorno avrai anche l’altro proprio come hai sempre voluto.»
Jeh la abbracciò strettamente, lasciandosi sfuggire un altro suono strozzato dalla bocca, tremore, un singhiozzo soffocato, un sorriso sul bordo del cotone della sua maglia. 
«Non devi più torturarti Jeh, promettimi che smetterai di farlo, non intendo accettarlo ancora, ci sono io adesso, e io ti ho visto ricordi? Ti vedrò sempre, me lo prometti?»
Jeh smise di tremare dell’istante in cui sentì le sue parole.
«Sì, te lo prometto.»


Quando glielo dissero Kell neanche riuscì a crederci, lei e Jeh entrarono nella stanza e tutte le bocche presenti sorrisero dalla contentezza, i loro occhi parlavano, Rang era stato arrestato.
Era quasi assurdo ritrovarsi davvero a parlarne, a raccontarsi a vicenda dettagli sfuggiti all’altro sul momento in cui avevano visto Rang essere portato via.
I suoi occhi, il modo in cui teneva la testa china, proprio come uno di loro… proprio come fanno i colpevoli, avevano detto. 
Era stato assolutamente impagabile e sebbene Kell non avesse vissuto quella scena in prima persona le era impossibile evitare di visualizzare con gli occhi i colori di quella scena.
Cecely l’aveva guardata in modo strano dopo un paio di minuti aver dato la notizia, l’aveva presa in disparte mentre la confusione imperversava nella stanza e gli altri si scambiavano pareri e racconti sull’accaduto.
«Stai bene Kell? E’ tutto a posto?» Kell la scrutò interrogativa, vide Jeh di sottecchi scoccarle un’occhiata indagatrice, Cecely aveva parlato più con l’aria di chi ti stai chiedendo se stai nascondendo qualcosa.
«Sì, certo Cely, non sei felice?» Guardò Emeric in mezzo al gruppo, raggiante nella sua comune felpa azzurra, Kell non aveva alcun dubbio su cosa dirle.
«Certo, è ovvio che sono felice, se non fosse che ho sentito Emeric bisbigliare all’orecchio di Nikki: “hai visto? Tutto secondo i nostri piani.”»
A Kell mancò il pavimento da sotto i piedi, prepotentemente, tanto che fu’ costretta a tastare il letto con le mani per rendersi conto di avercelo davvero vicino, si sedette cercando di trovare una soluzione nel suo cervello: «Avrai capito male, Cecely sicuramente…» «No, tutt’altro, ho capito perfettamente, tu mi nascondi qualcosa è vero?»
«No, no che non è vero, che stai dicendo Cecely, non ti nascondo proprio niente, avrai semplicemente capito male.»
«Ti sei agitata, ho detto questa cosa e stavi quasi per svenire…» Le bisbigliò Cecely all’orecchio: «Credi che io sia stupida? Lo so che non permetteresti che…» «Hey Cely, che sta succedendo?» Era Jeh, con un cipiglio preoccupato sulle sopracciglia nere.
«Kell è distrutta da terapia credimi, qualunque cosa ti frulli per la testa farai meglio a calmarti, le cose cominciano ad andare bene finalmente, controllati Cecely.» Sentendosi bacchettare in quel modo dall’amico Cecely si calmò, lo guardò con tanto d’occhi, lanciò uno sguardo a Victor e agli altri ancora intenti a discutere animatamente degli sviluppi (tutt’atro che inaspettati) della vicenda.
Per un attimo Kell credette che Cecely avrebbe cominciato a urlare, ma non lo fece, abbassò lo sguardo sul copriletto e sussurrò un: “okay” stentato.
Merito di Jeh, certe volte Kell aveva avuto l’impressione che la sua piccola amica non pensasse che Jeh fosse in grado di mentire.
Lui la aiutò ad alzarsi, lasciando Cecely ai suoi dubbi, ora stesa sul letto.
«Ma che aveva Cecely?»
«Ansia credo.»
«Già, deve darsi una bella calmata.» Jeh lasciò la presa dal suo braccio, lei sorrise, stranamente sentì una sensazione pacifica, pace con se stessa e con il prossimo.
Era in mezzo agli altri, gli altri gridavano, gioivano, ridevano, avevano ottenuto un grande risultato, che non avrebbero mai immaginato di poter ottenere realmente. Avevano incastrato Rang, l’avevano visto cadere per la prima volta, l’avrebbero fatto cadere ancora con un po’ di fortuna.
I sospetti di Cecely sarebbero stati sedati, sentiva profondamente di poter controllare la situazione.
Jeh era la suo fianco, ogni tanto le sorrideva con gli occhi o con la bocca, non si sentiva in colpa.
Stava mentendo a quasi tutti i presenti, stava mentendo persino a Jeh, l’unica persona a cui non stava mentendo in quella stanza era Emeric, e Emeric era la persona di cui si fidava di meno dopo Nikki. 
Sospirò, represse un colpo di tosse, sorrise.
No, non si sentiva in colpa.
Minimanete.
E questo la spaventava.
  
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