Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Grimmjowswife    14/07/2015    6 recensioni
Jean Kirschtein è sempre stato impulsivo, ed un giorno questa impulsività lo porta a commettere uno sbaglio che lo porterà in tribunale. Nonostante il suo aspetto non è mai stato davvero un criminale o un trasgressore delle regole, ma questo non gli impedisce di essere condannato a tre mesi di lavori socialmente utili in un ospedale. Ed è proprio qui che incontra Marco Bodt, malato di cancro, e da qui tutto sembra perdere senso, mentre memorie - o forse solo allucinazioni? - vanno a mischiarsi alla realtà.
Reincarnation!AU [JeanMarco] [Ereri] Jean&Eren!Punk; Marco!Cancer; Levi!Cop.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein, Marco Bodt, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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«L’imputato e l’accusa si alzino in piedi»
Nell’aula di tribunale riecheggiò il rumore di sedie scostate che soffocò il brusio degli spettatori seduti dietro.
«L’imputato, Jean Kirschtein, per aver imbrattato i muri dell’ospedale Santo Cuore dovrà scontare tre mesi prestando servizio all’interno di esso, assistendo un paziente assegnatoli dall’ospedale stesso. Questo è tutto, dichiaro sciolta l’assemblea»
Il suono del martello che batte contro l’appoggio di legno segnò la fine del processo.


Richiusi la porta di casa con un calcio gettando lo zaino quasi del tutto rovinato a terra, per poi passarmi una mano tra i capelli sospirando. Era stata una giornata di merda, il processo era durato più del previsto e tutto quello a cui riuscivo a pensare da quando era finito era di distendermi sul letto. Ma naturalmente neanche questo fu possibile, poiché appena mossi un passo il cellullare iniziò a vibrare illuminando la schermata dove appariva il nome “Stronzo”. Gemetti di frustrazione e feci scorrere il dito sullo schermo, portando successivamente l'apparecchio all'orecchio.
Ci fu una breve discussione tra noi due, in cui praticamente non fece altro che parlare lui, poi riattaccò senza dire nulla. Spensi il cellulare mettendolo in ricarica, spogliandomi mentre mi dirigevo verso il bagno, per poi entrare nella doccia aprendo direttamente il getto d'acqua, imprecando per quanto fosse fredda. Non appena l'acqua raggiunse una temperatura sopportabile iniziai a lavarmi facendo attenzione a toccare più delicatamente possibile il tatuaggio che mi ero fatto il giorno prima sulla spalla destra. Non sapevo dargli un significato specifico, due giorni fa mi era venuto in mente senza un apparente motivo, così avevo provato a disegnarne lo schizzo e quando Eren l'aveva visto aveva tirato fuori il suo blocco da disegno mostrandogli lo stesso identico simbolo anche se, dovevo ammetterlo, disegnato molto meglio. Così avevamo deciso di andarci a tatuare il giorno dopo quello stemma con due ali, una chiara e una scura sovrapposte, in fondo Reiner era nostro amico e sapevamo non avrebbe fatto bene.
Sfiorai quel disegno con le dita, non capivo il perché ma sentivo strane sensazioni quando lo guardavo, talmente legate tra di loro che era difficile identificarle, a parte una, la più vivida, era come se quel simbolo portasse dentro di sé la perdita di qualcuno.
Dolore.
Chiusi il getto d'acqua e aprii la porta scorrevole della doccia, avvolgendomi un asciugamano in vita e usandone un altro per asciugarmi meglio possibile i capelli, per poi buttarli a terra dopo aver preso un paio di boxer puliti. Mi buttai sul letto infilandosi sotto le coperte e chiusi gli occhi, addormentandosi poco dopo.
La mattina seguente mi svegliai stranamente in orario, alzandomi dal letto a malavoglia, dirigendomi ancora mezzo assonnato in cucina per cercare qualcosa di commestibile con cui fare colazione. Aprii il frigorifero chinandomi per controllare se c'era qualcosa e lo richiusi immediatamente dopo ringhiando. Cercai anche negli altri sportelli ma trovai soltanto un barattolo di burro d'arachidi quasi finito e un pacchetto di patatine. Uscii dalla cucina sbattendo la porta e mi diressi in bagno pensando che ora avrei dovuto fare la spesa, e per farla avrei dovuto chiedere soldi allo stronzo. La prima cosa che feci appena entrai in bagno fu aprire il rubinetto e bagnarmi il viso con l'acqua ghiacciata per cercare di raffreddarmi un po' e recuperare la calma, quando ci riuscii chiusi il rubinetto e mi preparai per andare a scuola. Odiavo il fatto che nella mia scuola fosse obbligatoria l'uniforme, non sopportavo di essere obbligato a vestirsi come volevano gli altri, ma il patto fatto con lo stronzo comprendeva che quest'ultimo scegliesse in che scuola mandarmi, quindi non mi ero potuto opporre. Prima di infilarmi la camicia diedi uno sguardo allo specchio, osservando ancora il nuovo tatuaggio, sentendo tornare la sensazione della sera prima.
Lo sfiorai distrattamente prima di infilarmi la camicia annodando poi la cravatta. Presi le ultime cose e uscii di casa attivando l'allarme e accendendo il cellulare nel frattempo.
 
Camminavo a testa bassa con la musica a tutto volume nelle orecchie lungo la strada per andare a scuola quando qualcuno mi si buttò addosso facendomi quasi cadere a terra.
«Porca- Eren, brutta testa di cazzo che non sei altro! Volevi uccidermi?!» urlai appena dopo aver recuperato l'equilibrio ed essermi girato.
«Dai Jean, volevo solo salutarti, e poi sei ancora vivo o sbaglio?»
Eren mi stava sorridendo senza rispondere ai miei insulti, questo era davvero strano.
Ti prego dimmi che non sta per chiedermi ciò che penso stia per chiedermi.
Non fece neanche in tempo a finire di formulare quel pensiero che Eren chiese con un'espressione da ragazzina alla sua prima cotta:
«Lo hai visto ieri? Al processo intendo. Gli hai fatto una foto? Com'era vestito?»
Mi girai ignorando le sue domande e tornando a camminare.
Stronzo, non mi ha neanche chiesto com’è andato il processo.
Come se mi avesse letto nel pensiero si mise a camminare affiancandomi.
«Hai ragione scusa, avrei dovuto chiederti com'era andato il processo prima di tutto. Allora, che è successo? I soldi del papino sono riusciti a salvarti il culo?»
Non c'era cattiveria nella sua voce, voleva davvero sapere cos’era successo al processo.
«Lo stronzo se n'è lavato le mani come al solito, non mi ha neanche pagato un avvocato. Credo che non potremo uscire per un bel po'»
Il sorriso lasciò il volto di Eren appena ebbi finito di pronunciare quella frase e lo sentii digrignare i denti e stringere i pugni sussurrando un "pezzo di merda".
Mikasa arrivò in quel momento dicendoci che dovevamo sbrigarci perché dovevamo incontrare gli altri fuori dal cancello. In realtà parlò solo con Eren, ma era così da quando avevo provato a dichiararmi a lei l'anno scorso, venendo bellamente scaricato. Forse lo faceva per farmi dimenticare di lei o non so, sta di fatto che avevamo sempre parlato poco, ma adesso non ci salutavamo più nemmeno. Faceva male, davvero molto male.
Arrivammo davanti scuola trovando ad aspettarci il nostro gruppo di amici, Connie e Sasha mi si gettarono addosso tempestandomi di domande sul processo, Ymir mi guardò con un ghigno, che ormai avevo imparato a riconoscere come saluto, mentre teneva stretta in vita Historia che mi rivolse un timido sorriso.
«Ah, ma alla fine lo avete fatto il tatuaggio?» chiese Connie facendomi riportare l'attenzione su di lui.
Eren gli rivolse un sorriso vittorioso e si indicò col pollice la schiena, leggermente più in basso dell'attaccatura del collo e io indicai la spalla.
La campanella che segnava l'inizio apertura della scuola suonò e entrammo, interrompendo un altro dei racconti dei pomeriggi stupidi di Connie e Sasha.
Le lezioni passarono abbastanza in fretta tutto sommato e, prima che me ne accorgessi, la campanella di fine lezioni risuonò per tutta la scuola.
Salutai i miei amici e incominciai a camminare verso la fermata del bus che avrei dovuto prendere da lì ai successivi tre mesi, quando sentii la voce di Eren in lontananza. Mi voltai vedendolo venirmi incontro correndo, e quando mi raggiunse si piegò sulle ginocchia cercando di recuperare fiato. Lo guardai con un sopracciglio alzato fin quando non recuperò fiato.
«Ti accompagno» disse semplicemente.
«Fa come ti pare» risposi io ricominciando a camminare.
Passammo alcuni minuti camminando in silenzio quando Eren decise di parlare.
Mi chiese il perché di quel murales che mi era costato il tribunale e io gli chiesi del perché avesse disegnato quello stemma che ora era impresso sulla nostra pelle.
«Sei stato un coglione, Jean, potevi anche evitare di farlo proprio su un edificio pubblico»
Feci spallucce.
Arrivammo alla fermata poco dopo e, appena spostai lo sguardo da Eren, notai una figura familiare appoggiata al cartello. Sgranai gli occhi e Eren trattenere il respiro, davanti a me c'era Levi Ackerman, il poliziotto che mi aveva arrestato poco tempo fa.
«Oh? Allora hai davvero intenzione di fare il bravo e scontare la pena del giudice. Pensavo che alla fine avrei dovuto cercarti in lungo e in largo per costringerti ad andare all'ospedale»
L'uomo mi guardò con sufficienza, le braccia incrociate al petto e le caviglie intrecciate. Strinsi la mano a pugno e cercai di respirare lentamente, avevo già avuto una condanna, non me ne serviva un'altra per aggressione a pubblico ufficiale. L'autobus si fermò vicino al cartello di fermata in quel momento, facendo stridere le giunture delle porte mentre queste si aprivano.
Schioccai la lingua contro il palato e mi voltai senza dire nulla, salendo sul veicolo che richiuse le porte subito dopo.
 
 
Quando scesi dall’autobus ed ebbi svoltato a destra mi trovai davanti ai cancelli aperti e ricoperti d’edera dell’ospedale. Proseguii dritto seguendo il sentiero fatto di ghiaia passando affianco ad alcuni anziani che mi squadrarono facendo smorfie quando attraversavo la loro visuale, alcuni di loro avevano garze a fasciarli polsi o gomiti, dove probabilmente si trovavano gli aghi delle flebo, mentre altri, senza, erano probabilmente lì per salutare i propri amici o familiari. In fondo alla stradina si ergeva imponente l’ospedale, la sua area asettica che stonava con l’ambiente circostante. La struttura era stata costruita tre anni prima, abbattendo la vecchia villa pericolante e abbandonata in cui Eren si era addentrato una volta riuscendone con un braccio e una gamba, entrambe sinistre, rotte, solo per provare a tutti che era molto più coraggioso di me. Che coglione.
Ormai mi trovavo a pochi passi dalla rampa d’ingresso, le porte in vetro si sarebbero aperte appena il sensore mi avesse notato, ancora pochi passi e sarei entrato e avrei sentito nell’aria l’odore di disinfettante. Cambiai direzione senza quasi rendermene conto e accelerai il passo.
«Ho sentito che tra poco arriveranno gli operai a cancellare quel murales, sai? Entro domani dovrebbero aver finito…»
Arrivai all’angolo dell’edificio appoggiandomi al muro per calmarmi. Non era solo la notizia che il mio dipinto sarebbe stato cancellato di lì a poche ore, era qualcos’altro, sentivo dovevo andare lì. Avevo ignorato la sensazione da quando ero sceso dal quel mezzo pubblico.
Svoltai l’angolo bloccandomi subito dopo. Di fronte al murales, a un metro di distanza, un ragazzo osservava le tinte asciutte come ipnotizzato. Feci per indietreggiare ma appena poggiai un piedi più indietro un rumore di qualcosa di secco che si rompeva, probabilmente un ramoscello secco, svegliò il ragazzo dal suo stato di trance. Velocemente mi nascosi tra i cespugli usati come recinto del perimetro, prima che lui potesse girarsi per vedere chi era stato, sentendolo dire qualcosa tra sé per poi correre via scomparendo oltre l’angolo dell’edificio.
Sospirai e gettai un’occhiata veloce al muro prima di decidermi a uscire da quel nascondiglio e ad andare verso l’ospedale entrando.
 
C’erano voluti alcuni minuti per firmare i documenti, non mi interessava cosa fossero, prima avrei finito e prima sarei potuto andarmene via da quel posto. L’infermiera di turno alla reception mi diede poche semplici istruzioni e mi disse che mi sarei dovuto occupare del paziente nella 231. Presi l’ascensore salendo al secondo piano, camminando seguendo le istruzioni che la donna mi aveva dato poco prima, arrivando davanti alla porta con il numero 231 intagliatoci sopra. Inspirai e bussai leggermente, per poi portare la mano alla maniglia fredda ed abbassarla, mormorando un “permesso” che si interruppe morendomi in gola quando vidi il paziente.
Davanti al letto un ragazzo dal fisico atletico e asciutto, ricoperto da lentiggini su tutto il corpo e dai capelli corvini si stava sfilando i pantaloni, con questi calati fino al ginocchio, con nient’altro che i propri boxer a coprirlo, sul viso l’espressione di qualcuno che aveva appena visto un fantasma.
Boccheggiò un paio di volte, e, quando stava per dire qualcosa, lo interruppi dicendo di fare con calma prima di uscire sbattendomi la porta dietro per poi appoggiarmi ad essa mettendomi le mani nei capelli.
Cosa cazzo è appena successo?







 



Angolo deliri (oggi brevi perché mia madre mi sta minacciando con un coltello da cucina di sbrigarmi)

Ok, *si fa scudo col cuscino*
Potrei, e dico potrei, (l'ho fatto sicuramente) sparato un mucchio di cazzate, ma ehi, prometto che questa roba migliorerà. Lo spero. Vivamente.
Voglio dedicare questo capitolo a Jen perché se non ci fosse lei a minacciarmi di morte non scriverei nulla. Mai.
Eeee, nulla. Di solito sproloquio con Haise e Grimmjow ma il primo l'ho spedito a calci in culo - sono una ragazza molto fine sì - a fare scorte di libri sperando che trovi Hide e facciano cose vietate ai minori, mentre l'altro, in teoria mio marito, sta dormendo.
Occupando tre quarti del letto.
Russando.
...
*gli getta un cuscino addosso*
Ok allora, il prossimo capitolo credo sarà Ereri... non ne sono molto sicura in realtà, poi vedrò.
Ora credo ch-
Levi: *entra sbattendo la porta*
Ohi, cos'è questo porcile?
I: Oh no.
Grimmjow: *si sveglia*
Cazzo è sto nano?
I: Oh no.
L: Ah?
I: Bene, devo andare, se non li fermo questi distruggeranno tutto.
*vede Grimmjow impugnare Pantera*
Merda!
  
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