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Autore: syontai    16/07/2015    3 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 69
Il mondo di Carroll e Alice

“Guarda che ho trovato, non è buffissimo?”. Sul tavolo di mogano due manine candide depositarono un piccolo bruco che si dimenava convulsamente, probabilmente in preda allo spavento.
L’uomo scosse la testa divertito, allontanando la pila di fogli su cui stava scrivendo dall’animaletto. “E’ davvero affascinante, Alice. E gli hai già dato un nome?”.
La ragazzina scosse la testa, arricciandosi una ciocca bionda attorno al dito. “Vorrei che fosse un nome originale, ma non me ne viene in mente nessuno...che ne dici di...Brucaliffo?”.
“Mi sembra perfetto, davvero” sorrise l’uomo, tornando poi a osservare il foglio in cima, bianco: aveva promesso all’editore una storia affascinante, ma non riusciva proprio a tirare fuori nulla di buono. “Non dovresti tornare da tuo padre, adesso?”. Henry, il padre di Alice, era il nuovo rettore della Christ Church, e Charles poteva affermare senza ombra di dubbio di avere con lui un buonissimo rapporto.
Charles si appuntò distrattamente la parola ‘Brucaliffo’ su un angolo del foglio, facendoci poi il buffo scarabocchio di un bruco.
“Hai ragione, papà mi starà sicuramente aspettando. Ma noi ci vediamo domani, vero Charles?” domandò Alice speranzosa, dandosi delle manate sulla gonna per cancellare le tracce di quell’avventura selvaggia alla ricerca del bruco.
“Certo, come sempre”. Accompagnò la bambina all’uscita, e nel mentre Alice si era già lanciata in un racconto di tutto quello che aveva fatto. “E poi sono caduta nella tana di un coniglio! Mi sono quasi sbucciata, ma per fortuna non era nulla di grave”. Charles annuì durante tutto il tragitto, preso dai suoi racconti. Doveva trovare una storia affascinante, che potesse catturare l’attenzione di una casa editrice, ma la sua immaginazione era completamente spenta. Salutò Alice, che allegramente prese a correre verso casa, e si rinchiuse nuovamente nel suo studio. Aveva bisogno di un’idea...e se avesse creato un mondo in cui non vi era alcuna logica? Un mondo pieno di personaggi divertenti e buffi, fuori dal comune, che avrebbero messo in discussione tutto ciò che era ritenuto normale? Qualcosa come... “Il paese delle Meraviglie” sorrise tra sé e sé, appuntandosi quell’idea. Ecco, quello poteva essere un inizio.
 
“Altro tè, Ghiro?” domandò Alice al pupazzo di stoffa accomodato su una sediolina di legno. L’autunno era alle porte e il giardino era coperto da un tappeto di foglie che variavano dal giallo al rosso. Alice prese la teiera e fece finta di versare il tè nella tazzina del suo ospite inanimato. Non appena alzò la testa e vide in lontananza Charles, scattò in piedi con un sorriso smagliante. “Charles, sei in tempo per il tè!”. L’uomo, avvolto in un cappotto scuro e con un taccuino in mano, si avvicinò.
“Non fa un po’ freddo per stare all’aperto?” le domandò bonariamente.
“Cosa hai portato?” chiese Alice, notando i numerosi ritagli di giornale che teneva sotto braccio.
“Niente di interessante” rispose Charles evasivo. Di recente era venuto a conoscenza della pericolosità di alcune sostante usate per fabbricare cappelli e aveva raccolto altre informazioni, avendo avuto l’illuminazione per uno dei suoi primi personaggi: il Cappellaio Matto. Si portò una mano alla testa, colto da un improvviso attacco di emicrania.
“Tutto bene, Charles?” esclamò Alice, proeccupata, aggrappandosi al suo cappotto.
“Si, ho solo un po’ di mal di testa, tranquilla...” mormorò l’uomo. “Adesso vado a parlare con tuo padre...Lo sai a proposito che sto scrivendo una storia?”.
Gli occhi di Alice brillarono di una viva curiosità. Era proprio quella voglia insaziabile di conoscenza che affascinava tanto Charles. Il protagonista del suo racconto avrebbe dovuto essere esattamente come lei: coraggiosa, vivace, curiosa. “Davvero? Voglio leggerla subito!”.
“Appena sarà conclusa...che ne dici se chiamassi la protagonista proprio come te?”.
Alice spalancò la bocca per la sorpresa, quindi annuì più volte, felicissima. “Sarebbe meraviglioso! Non vedo l’ora di sapere cosa farà questa Alice!”.
“Vivrà tantissime avventure, proprio come te!” esclamò Charles, facendole l’occhiolino e accarezzandole il capo con dolcezza.
Alice nel Paese delle Meraviglie: si, il titolo sembrava perfetto.
 
I fulmini lacerarono l’aria preannunciando una tempesta. Era notte fonda e Charles si stupì alquanto quando sentì qualcuno bussare alla sua porta con veemenza. Quando l’aprì Henry, il padre di Alice, si fiondò dentro senza tanti complimenti, seguito da un agente della polizia. “Dimmi dov’è! Dimmi dov’è finita mia figlia!”
Charles lo guardò con estrema confusione, non riuscendo a capire a cosa si riferisse.
“Alice Liddell è scomparsa da stamattina. E’ uscita per andare a giocare in giardino e non è più tornata” spiegò l’agente con una calma glaciale.
“E’ stato lui senza dubbio! Ho sempre pensato che avesse un rapporto fin troppo complice con Alice! L’ha rinchiusa da qualche parte, deve essere un pazzo maniaco!” strillò Henry, rosso di rabbia. Henry era un uomo mingherlino dai tratti tipicamente inglesi, e proprio come tutti i tipici inglesi era sempre molto posato, ma quella notte era fuori di sé.
“Non ho idea di dove possa essere finita...” si difese Charles, gettando uno sguardo sul manoscritto appena finito: ‘Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll’. Ripensò alla promessa fatta: avrebbe dovuto far leggere la sua storia ad Alice, ma adesso lei era inspiegabilmente scomparsa.
“Dovete interrogarlo agente, dovete farlo parlare! La mia bambina deve essere qui da qualche parte!”
“Signore, mi deve seguire in centrale: è indagato per la scomparsa di Alice Liddell”.
 
“Ma Alice Liddell venne ritrovata il giorno dopo ai piedi di un salice. Raccontava di aver vissuto in un mondo fantastico, straordinario, un mondo che assomigliava terribilmente a quello descritto da Carroll” raccontò la donna incatenata con un sorriso amaro. “Tutto venne dimenticato, dicendo semplicemente che Charles le aveva riempito la testa di fantasie assurde. Poi i mal di testa di Charles divennero sempre più frequenti, e il mondo che lui stesso aveva creato prese il sopravvento sulla sua volontà. Così scrisse un altro libro e Alice sparì di nuovo”.
“Attraverso lo specchio” mormorò Violetta, ottenendo un cenno di assenso. “Alice ristabilì l’ordine nel caos della guerra, ma proprio quando fu pronta a tornare indietro scoprì che quel mondo altro non era che la creazione di un uomo. Quindi comparsero i due libri: erano due coppie esattamente identiche, che narravano la storia avvenuta fino a quel momento e persino ciò che sarebbe accaduto dopo. Le pagine bianche si riempivano mano a mano da sole e quando Carroll morì l’entità chiamata Autore prese il suo posto per impedire che questo mondo morisse con la parola ‘Fine’. Quella notte uno dei due libri venne rubato e Alice decise di distruggere l’altra copia, dopo aver strappato la prima pagina con il nome dell’autore”.
“Quindi l’Autore è indispensabile per la sopravvivenza di questo mondo?”.
Alice annuì. “Esiste un’arma, di cui allora Alice non era a conoscenza, che potrebbe permettere di deviare questo corso. L’arma si ottiene riunendo i quattro pezzi dell’armatura, ma solo qualcuno che non è di questo mondo può sfruttarne il suo potere appieno. Ecco perché sei qui”.
Violetta capiva a stento quel racconto assurdo: come aveva fatto un uomo a creare una realtà del genere? Che cosa lo rendeva speciale rispetto ai suoi simili? Le sembrava di vedere quella piccola e vivace ragazzina vagare sperduta per quei boschi intrisi di mistero e di creature pericolose. “Perché io? Perché non qualcun altro?”.
“Perché la storia potesse seguire una piccola deviazione era necessario che il nuovo personaggio fosse il più possibile simile ad Alice. Era necessario che la storia si ripetesse da capo: il Bianconiglio, l’inseguimento, la caduta. Ho forzato per quanto mi fosse possibile le linee della storia in modo da farti entrare”.
“Ma chi sei tu? Continui a parlare di Alice in terza persona, come se tu non fossi lei” si intromise Federico, trovando quel filo di coraggio necessario a farle la domanda.
“Alice ha lasciato questo mondo tanto tempo fa, ma la sua immagine è rimasta qui, per tutto questo tempo, assumendo il ruolo di Libri Index” rispose Camilla, al posto della donna. “Il Libri Index è l’indice del libro, conosce ogni singolo evento che è accaduto o che deve ancora accadere. Parte della sua conoscenza è trasferita in un personaggio secondario, detto Profeta”.
“E quelle catene?” domandò con timore Francesca.
“Le catene sono il simbolo del mio stretto legame con questo mondo. Un legame che non si può spezzare. Io sono solo il riflesso dell’Alice che fu” .
“Io non ho capito proprio niente” borbottò Luca, tesissimo, con lo sguardo rivolto verso l’arma a terra.
“Ecco perché Thomas non ricorda nulla! E’ stato solo manovrato per farmi entrare nella storia...e scommetto che la deviazione all’isola Riflesso è stata fatta per non farmi cadere nel tranello del Castello di Quadri...era tutto programmato per farmi arrivare qui!” esclamò Violetta, sgranando gli occhi. Era tutto chiaro finalmente: quel lungo viaggio, la ricerca, gli specchi...Alice l’aveva sempre messa alla prova, senza mai abbandonarla. L’aveva sostenuta al castello di Cuori, le aveva consigliato di non desistere con Leon.
“Non c’è molto tempo, Violetta, devi partire. La Profezia è destinata a compiersi, ma so che tu riuscirai a eludere questo destino. Forse l’Autore non avrà il finale che aveva programmato per te”.
La morte di Leon nel sogno per mano sua...era forse quello un tentativo dell’Autore di farle capire come le cose sarebbero andate? Alice le aveva dato tutte le rispose di cui aveva bisogno: non era speciale, la parola Prescelta non la rendeva diversa da qualunque altro essere umano. Era solo una ragazza come tante altre, eppure la libertà in quel mondo la rendeva un essere al di sopra di tutti gli altri. E a detta di Alice, solo lei poteva ristabilire un vero ordine, qualcosa che in passato Alice non aveva mai pienamente ottenuto. Credendo che l’ordine si riferisse alla pace, non aveva mai tentato di scavare più a fondo, ma quando aveva capito come stavano le cose era troppo tardi: i pezzi dell’armatura erano ormai gelosamente custoditi dai quattro passati sovrani. Così, sconfitta, era tornata nel mondo da cui proveniva, lasciando però un’impronta indelebile nella storia, un’impronta che aveva preso forma e tentava per quanto gli fosse possibile di rimediare a quell’antico errore. Era così difficile riordinare tutte quelle nuove informazioni, ma sapeva in ogni caso che il suo obiettivo era ben chiaro: raggiungere Nerdicorallo.
“Dobbiamo andare” disse Violetta, rivolta ai suoi compagni.
“Violetta” la chiamò ancora la figura eterea. “Gli specchi non erano solo una prova per aiutarti a uscire illesa dal castello di Quadri. Ciò che hai visto di Leon deve servirti a capire di fronte a chi l’Autore vuole farti trovare. Del Leon che conosci potrebbe essere rimasto ben poco. Non sottovalutare nessun nemico: Ludmilla, proprio come te, conosce tutto a proposito del Paese delle Meraviglie, è stato il suo antenato a rubare il secondo libro. E, come te, conosce il potere che ha l’antica armatura. La battaglia che sta per preannunciarsi sarà la più terribile mai esistita in questo mondo, ma devi promettermi che cercherai di riuscire dove Alice aveva fallito”.
“Te lo prometto”. Violetta si avvicinò pian piano tentando di sfiorare Alice, ma il contorno della spalla si dissolse. Era un riflesso: Alice era davvero presente, ma era solo un ricordo lasciato lì per rimettere a posto le cose.
“Non ce la faremo mai, dovremo attraversare il campo di battaglia ed è troppo pericoloso. Per aggirarlo ci vorranno settimane in più” disse Francesca, mordendosi il labbro e cercando un qualche modo per evitare quel problema.
“Sarò io a portarvi a Nerdicorallo...sono l’unica in grado di farvi arrivare lì in men che non si dica” si propose Camilla con il suo solito sorrisone.
“Devo parlare con Leon” disse Violetta, rivolgendosi poi allo Stregatto. “Puoi portarmi da lui?”.
“Vi porterò prima a Nerdicorallo, poi sarai libera di prendere la tua decisione...ma loro devono essere al sicuro”. In particolare indicò Francesca, che sbarrò gli occhi, sicura che anche lo Stregatto fosse a conoscenza del suo destino.
Violetta annuì, ritenendo giusto quel compromesso. Strinse la mano di Camilla, sentendo la stretta di Francesca sulla mano libera. Formarono una specie di catena umana, quindi ci fu uno schiocco improvviso. La caverna intorno si dissolse, così come anche la figura di Alice, che si era rivelata la vera artefice di quell’avventura.
 
Ludmilla richiuse il pesante libro, dopo averlo sfogliato più volte. La scritta dorata ‘Alice nel Paese delle Meraviglie’ riluceva appena con il fuoco delle torce. Era notte fonda all’accampamento, ma lei non riusciva a prendere sonno. Aveva letto e riletto ogni singola pagina, nella speranza di carpire qualche altro indizio a proposito. Si parlava della battaglia, da cui Picche sarebbe dovuta uscire vittoriosa. Si parlava dei pezzi dell’armatura rinchiusi nel palazzo di Nerdicorallo e della Prescelta che avrebbe dovuto uccidere Leon, ma da qualche tempo a questa parte il futuro si riscriveva continuamente, quindi non sapeva se era prudente fidarsi. Le parole si cancellavano e riscrivevano continuamente, e sapeva bene il perché: la prima volta era successo quando lei aveva iniziato a leggere quel libro, tramandato di generazione in generazione. Con la consapevolezza di ciò che l’Autore aveva scritto era stata in grado di evitare parecchi spiacevoli ostacoli. E non appena eludeva una trappola del destino, la storia si riscriveva, dovendosi attenere ai fatti accaduti.
“Non riuscite a dormire?”. Diego si affacciò all’interno della tenda reale con un’espressione preoccupata.
Ludmilla sorrise, quindi sospirò affranta. Aveva bisogno dei pezzi di quell’armatura per essere libera, per ergersi al di sopra dell’Autore, al di sopra di tutti. Il potere era sempre stato un richiamo troppo forte, fin da piccola, e servirsi di pedine come Jade Lafontaine per lei era stato facile. Cuori era in piedi solo grazie alla sua benevolenza, mentre Fiori era completamente alla sua mercè.  “Mi permettete di mostrarvi qualcosa, mia signora?” proseguì il consigliere tendendole la mano. Ludmilla accettò l’invito con un po’ di diffidenza, ma il ghigno vittorioso di Diego fu per lei più rassicurante di qualsiasi parola.
Non appena ebbero messo piede fuori dalla tenda, una guardia gli puntò contro la lancia, per poi abbassarla meccanicamente dopo averli riconosciuti. “Asso” salutò educatamente Diego, con un’espressione impassibile mentre nella tasca si rigirava continuamente qualcosa. Sebastian si irrigidì subito sentendosi chiamare, quindi si inchinò con lo sguardo basso. “Vieni con noi” gli ordinò Diego, facendogli cenno di alzarsi. Il combattente eseguì il comando e prese una torcia per fargli luce.
“Perché stiamo uscendo dall’accampamento?” domandò Ludmilla, storcendo il naso di fronte alle sterpaglie attraverso cui si stavano facendo strada. Alzò la gonna leggera per quanto potesse, ma il vestito sarebbe rimasto irrimediabilmente danneggiato da quella passeggiata notturna. “Spero che sia per un buon motivo. La mia sarta è rimasta al castello e non potrà farmi un abito nuovo” sbottò nervosa.
“Varrà ogni sacrificio” sussurrò Diego, ammiccando. “Ho decifrato le pergamene, so come usare l’Arma. E ve ne darò una dimostrazione”. Ludmilla aprì la bocca estasiata, quindi allungò il passo per rimanere tra i due uomini.
“E li hai visti? Sono comparsi?” domandò in preda all’eccitazione. Non riusciva a credere che Diego fosse riuscito anche in quell’impresa. Era sempre pieno di sorprese il suo consigliere. Acuto, brillante, ed estremamente capace, Diego era l’unica persona in grado di non deluderla mai.
“Non l’ho ancora mai usato...volevo che foste la prima ad assistere”. Dalla tasca estrasse una siringa, un antico strumento musicale composto da canne di lunghezza decrescente da destra verso sinistra. A differenza delle siringhe comuni però questo strumento era completamente fatto di cristallo. “Pronta mia signora?”.
Ludmilla annuì, fremente e non si lasciò distrarre neppure per un secondo mentre Diego si portava alla bocca la siringa, pronto a suonarla. La fiamma della torcia che reggeva Sebastian tremò appena, per poi tornare ad ardere vivida. Ben presto la valle desolata si riempì di un lamento ancestrale, di note che si rincorrevano l’un l’altra in una continua lotta per prevalere. Diego soffiava all’interno delle canne con estrema maestria, senza neppure fare una pausa.
Lunghe ombre si proiettarono sul terreno, per poi ergersi da esso e mettersi in piedi. Avevano sembianze simili a quelle di uomini, però fatti completamente di tenebre. I contorni tremolavano appena, fondendosi nella notte e si riuscivano a distinguere solo grazie alla luce proiettata dalla torcia. Erano a centinaia, riuniti intorno a loro, attratti da quel canto.
“L’immortale Popolo Ombra” bisbigliò la regina di Quadri, con gli occhi che brillavano avidi. Tante leggende erano state narrate sul Popolo Ombra, ritenuto addirittura una fantasia dei loro antenati. Le Ombre avevano abitato il Paese delle Meraviglie non appena venne creato, fino a quando non dovettero fronteggiare gli invasori. Erano creature diaboliche, della stessa sostanza degli incubi, senza volto, in grado di far fuori un esercito senza alcuno sforzo. Secoli fa le Ninfe però erano riuscite a intrappolare quelle creature in un’altra dimensione, dentro la siringa d’argento.
“Sai cosa significa questo, Diego?” esclamò la regina in preda all’eccitazione.
“Posso controllarli” rispose furbamente Diego, indicando con lo sguardo lo strumento musicale. Soffiò due note appena, seguite da un motivetto veloce. Non appena le prime note uscirono dalle canne, le ombre cominciarono a vorticare, unendosi tra loro fino a creare un turbine oscuro. 
“La vittoria è nostra, Diego, adesso nulla potrà più fermarci” ribattè Ludmilla, battendo le mani di fronte alla loro nuova arma. Grazie alle Ombre avrebbero potuto finalmente dare una svolta a quella guerra che sembrava non finire più a causa della tenacia di Picche.
“Non credi che anche Pablo potrebbe avere un asso nella manica?”.
“Lo sfido! Galindo, è il momento di giocare...cosa hai intenzione di fare contro di loro?” rise Ludmilla, in preda ad una gioia folle, accentuata dal desiderio sempre più impellente di mettere le mani sull’antica armatura.
 
“Andres, muoviti! Sono passati dieci minuti da quando ci hanno avvisato del loro arrivo!”. Libi correva da una parte all’altra della stanza, febbriccitante, mentre Andres era rimasto prone sul materasso del letto, sbuffando. Si passo una mano sui capelli scompigliati, accompagnando quel gesto svogliato con un sonoro sbadiglio.
“La prescelta è qui e tutto quello che sai fare è sbadigliare? Per di più è quasi ora di cena, non fare il dormiglione!” lo rimproverò bonariamente la ragazza, mettendosi in spalla l’arco che Andres le aveva regalato. Non riusciva a fare a meno di portarlo ovunque andasse, intriso com’era di ricordi che eppure ancora le sembravano frammenti dei suoi sogni. E invece era successo davvero, Andres le aveva dichiarato ciò che sentiva per lei, sebbene avesse quasi perso le speranze. Poiché dal letto non giunse alcun segno di vita, afferrò un cuscino panciuto dalla poltroncina di velluto blu e glielo lanciò con forza, colpendono in testa.
“Ahia!” si lamentò Andres, drizzandosi subito e guardandosi attorno. “Ti prego, dimmi che non sarai così tutte le mattine a venire”.
“Solo se non me ne darai motivo”. Andres si voltò in tempo verso di lei per vedersi ricevere la linguaccia, e in tutta risposta scoppiò a ridere. Era tanto, troppo tempo che non si sentiva così bene. Si era tolto un enorme peso dal cuore e sembrava che il vecchio Andres, quello sempre allegro e ottimista, persino di fronte ai pericoli più mortali, avesse finalmente ripreso il suo posto e il merito era tutto di Libi, che gli aveva finalmente ricordato chi era: un ragazzo che si portava dietro tanti dolori e tante morti ma che non per questo aveva rinunciato a vivere. Lei l’aveva salvato quando era convinto ormai di aver perso ogni cosa, prima semplicemente standogli vicino, poi dandogli quell’amore di cui aveva sempre avuto bisogno. Sapeva di essere stato uno sciocco e, ripensando a tutto quello che aveva fatto, Libi non aveva avuto tutti i torti ad avercela con lui.
Si infilò rapidamente la prima casacca trovata, e si lanciò davanti alla porta bloccando Libi. “Prima di andare, volevo ringraziarti di nuovo”. Di fronte all’occhiata confusa della mora, non potè fare a meno di sciogliersi in un sorriso intenerito. “Più andavo avanti in questa missione più dimenticavo chi fossi. Grazie per avermi ricordato chi è Andres”.
Libi gli accarezzò una guancia, trattenendo a stento lacrime di commozione. “Ogni volta che avrai bisogno ti ricorderò del ragazzo di cui mi sono innamorata”.
Uscirono dalla stanza mano nella mano. Con l’arrivo di Violetta le cose sarebbero cambiate radicalmente; Pablo infatti puntava tutto su quella ragazza, la Prescelta, e avrebbe approfittato della sua presenza per tentare un attacco decisivo. Senza esitare neppure un attimo raggiunsero la piccola stanza dove erano stati accolti appena arrivati; le guardie, spalancarono le porte permettendo loro di entrare. Seduta su una poltrona c’era Violetta con una tazza fumante tra le mani e lo sguardo terrorizzato, ma allo stesso tempo vispo e attento. Lena era corsa dalle cucine e le era affianco tenendole la mano, con Thomas dietro di lei, che si era finalmente del tutto ripreso dal periodo di prigionia al Castello di Cuori. Poi c’era Dj che aveva un’espressione stanca insieme ad un paio di occhiaie scurissime. Quanto era diverso dal giovane mago che avevano incontrato, il quale usava il suo dono solo per truffare il prossimo! Anche ora che il Pactio era sciolto aveva deciso di rimanere per combattere, con l’intento di vendicare la memoria di chi aveva perso la vita a causa della guerra, prima tra tutti Emma. Durante il loro soggiorno Dj si vedeva solo nelle ore dei pasti, poi tornava a chiudersi nella biblioteca, che seppure non fosse fornita come il Tridente, aveva comunque parecchi testi interessanti a suo parere. Maxi invece era in disparte rispetto al gruppo, amareggiato: sicuro non aveva ancora superato l’amore non corrisposto nei confronti di Violetta. In più erano presenti i coniugi reali: Pablo era elettrizzato e guardava con impazienza i pezzi dell’armatura disposti in fila di fronte alla Prescelta; Ange invece sembrava solo estremamente curiosa nei confronti di quella ragazza che non aveva mai visto.
“E Federico? Francesca?” chiese Andres, preoccupato dal non vederli nella stanza.
“Stanno riposando nelle loro stanze, insieme all’erede al trono di Fiori, Luca Florente” rispose solennemente il re di Picche, sperando che il tempo per le chiacchiere fosse già finito. 
“Stai bene? Hai visto Leon? Come sei arrivata?”. Lena la tempestava di domande a raffica, e, considerando tutto il tempo in cui era stata in apprensione per l’amica, si stava anche trattenendo.
“Forse dovremmo lasciarla riposare un po’” si azzardò a dire Thomas, prendendo per le spalle la biondina e trascinandola indietro di qualche passo.
“Veramente...devo ripartire. Ho bisogno di vedere una persona” rispose evasivamente Violetta, alzandosi in piedi e abbassando lo sguardo sperando di essere congedata.
“Ma veramente...”.
“Penso che non sia il caso di fare pressioni alla Prescelta. Rispettiamo la tua volontà” si intromise Angie, mettendo a tacere il marito che era sbiancato sentendo le parole della ragazza per poi rivolgersi dolcemente alla diretta interessata.
“Io...bene. Tornerò in un lampo”. Mentre continuava a rassicurare gli altri, Violetta cercava di farsi coraggio. Alice le aveva detto che avrebbe trovato un Leon molto diverso da quello che aveva lasciato. Ma nessuno avrebbe potuto cambiare la persona che amava, ne era sicura. Una parte del suo Leon doveva esserci ancora e aveva bisogno di fare un tentativo per riportarla fuori. Non appena uscita, si trovò faccia a faccia con lo Stregatto che per la prima volta da quando l’aveva conosciuto, sembrava seriamente preoccupato. Camilla infatti la guardò dritto negli occhi: “Sei sicura?”.
Violetta annuì: nessuno avrebbe potuto più decidere per lei in quel mondo. Ora che era finalmente tutto chiaro, sentiva finalmente di poter prendere in mano il proprio destino. Strinse con disperazione la zampa di Camilla: “Portami da lui”.
 
“Non capisco il perché di questa visita”. Leon sollevò appena lo sguardo, intento com’era a impartire ordini allo scudiero per farsi allacciare le cinghie dell’armatura. “Questo posto non è adatto a voi, madre”.
Jade sventolò altezzosa un ventaglio di stoffa decorato con cuori rossi e neri, quindi passò rapidamente in rassegna la tenda del figlio, priva di tutte le comodità senza le quali lei non sarebbe riuscita a sopravvivere neppure un giorno. “Su questo hai assolutamente ragione, figliolo” sbottò Jade, perdendosi per un secondo nell’enorme disgusto che aveva provato non appena messo piede nell’accampamento. “Ma avevo bisogno di vederti...mi hanno riferito di alcuni tuoi comportamenti strani, e siccome tengo alla tua salute, dovevo assolutamente verificare”.
“Non ho nulla di strano” rispose Leon, rimanendo comunque evasivo. Come poteva spiegare che cosa provava quando la donna di fronte a lei non era stata capace nemmeno di amare il suo unico figlio?  
“E’ ancora per quella ragazza?”.
Il principe scrollò le spalle, indifferente, quindi scosse la testa. Jade però non si lasciò affatto fermare da quel silenzio caparbio, anzi si sentì ancora più obbligata a intervenire con le parole, anche a costo di rigirare il coltello nella ferita provocata al cuore di Leon.
“Sono sicura che a quest’ora lei starà ridendo di te, vantandosi di come è riuscita a raggirarti. E’ questo che vuoi essere, uno zimbello?”.
Vargas contrasse la mascella contrariato. Una furia cieca si impadronì di lui e ci volle tutta la sua forza di volontà per trattenerla. Era stato ingannato dall’unica persona di cui si fosse mai fidato in vita sua, e non c’era nulla che avrebbe potuto permettergli di dimenticare. Combattere gli permetteva di sprofondare per qualche istante nell’oblio, i lamenti dei feriti e il sangue che lento scivolava sulla lama della sua spada gli occupavano la mente, ma poi non appena si ritirava nella tenda sprofondava di nuovo nell’inferno. Poteva provare così tanto odio e amore allo stesso tempo per un singolo individuo? Non riusciva a cancellare quei magici momenti vissuti insieme a Violetta, ma il suo cuore gridava vendetta, assordandolo e impedendogli di trovare pace.
“Non ho alcuna intenzione di farla passare liscia a quei ladri, sia chiaro, ma adesso ho una guerra da combattere” rispose secco Leon, rinfoderando la spada dopo averla pulita con un panno bianco.
“Non ho intenzione di distrarti dal tuo obiettivo e lo sai bene. Dico solo che dovresti smettere di pensare a quell’insulsa ragazzina, non merita la tua sofferenza”.
“Vi consiglio di riposare, madre. Avete fatto un lungo viaggio per arrivare fin qui e vi renderete conto molto presto che i ritmi di un esercito sono pesanti anche per chi non deve combattere” si congedò Leon, sorridendo forzatamente. Era stanco di sentirsi dire che Violetta l’aveva solo usato. Aveva accettato quella dura realtà, ma non riusciva ancora a farci i conti. Chinò il capo in segno di rispetto e Jade non poté far altro che farsi scortare fuori dalla tenda fino alla sua abitazione.
Ma Leon non aveva alcuna intenzione di riposare e non appena si fu assicurato che la madre si fosse ritirata cominciò a girare senza meta per le stradine dell’accampamento. Vide la regina di Quadri allontanarsi furtivamente in compagnia di Diego e del suo servitore, che tutti chiamavano Asso, ma decise di non seguirli. Non capiva cosa potesse aver spinto Jade fuori dalla sicurezza del suo castello, a meno che non fosse convinta che di lì a poco la guerra sarebbe finita. Mai come in quel momento sentiva il bisogno dei saggi consigli di Humpty Dumpty; pensare che non avrebbe mai più potuto sentire la sua voce pacata aggiungeva un peso alla sua coscienza già sporca. Era stato lui a far entrare Violetta al castello, e quindi indirettamente era il responsabile di tutto ciò che ne era scaturito. Nessuno gliene faceva una colpa, tranne Jade, che continuava ad accusarlo velatamente di essere stato uno sciocco ingenuo che si era lasciato incantare da un bel viso. Eppure la prima volta che l’aveva vista, quando i loro occhi si erano incrociati, gli era sembrato di avere di fronte una creatura innocente e indifesa. In lui era salito l’impulso di intimarla a fuggire da lui, però allo stesso tempo non riusciva a lasciarla andare.
Senza nemmeno rendersene conto raggiunse la palizzata che circondava l’intera area. La guardò quasi con sconforto, come se si sentisse prigioniero là dentro, quindi sospirò e tornò indietro. Neppure quella passeggiata serale era servita ad alleggerirlo un po’, anzi aveva risvegliato altri ricordi di cui avrebbe voluto fare a meno. Di fronte all’ingresso della sua abitazione le sentinelle sembravano parecchio turbate e parlottavano tra loro, scuotendo il capo. Non appena lo videro, una di essere si fece avanti, facendo un profondo inchino. “Mio signore, noi...ha insistito tanto, non sapevamo che fare. Lo Stregatto era lì e ci ha detto di farli entrare, poi è scomparso”.
“Non sto capendo nulla, spiegatevi meglio” sbottò Vargas, rabbrividendo nel sentire il nome dello Stregatto. Il loro unico incontro non era stato affatto amichevole, anzi si poteva dire che avesse quasi provato ad uccidere una delle figure più eminenti del Paese delle Meraviglie.
“Ha chiesto un incontro con voi. Noi abbiamo detto che non era assolutamente possibile, ma è stato tutto inutile”.
“Ma hai appena detto che lo Stregatto è andato via. Chi c’è dentro?” chiese Leon, corrugando la fronte.
“La sta aspettando. Ha chiesto di conferire con voi...”.
Varhas perse la pazienza e scostò la sentinella con una spallata, sollevando poi l’apertura della tenda. In lontananza sentì l’uomo che finalmente si decise a fare un nome. “Violetta Castillo, mio signore”.
Rimase paralizzato sulla soglia, seguendo con lo sguardo la ragazza che era seduta sul letto e che era scattata in piedi non appena lo ebbe visto.
“Leon...”. Quella voce lo chiamava piena di speranza e di promesse. Una voce maledetta che più di una volta lo aveva irretito.
Non era un sogno.
Non era un’illusione.
Violetta era  lì, in carne ed ossa. 










NOTA AUTORE: Buonasera! Ebbene si, sono vivo (mi dispiace per voi) xD Tra problemi di studio e familiari, purtroppo il capitolo è andato un po' a rilento, ma...bisogna ammettere che è parecchio ricco di notizie interessanti ù.ù Mentre i due schieramenti cominciano a giocarsi le ultime carte (Ludmilla con il Popolo Ombra e Pablo che, poraccio xD, non ha potuto nemmeno rivolgere una parola alla Prescelta :') Però Angie sa che la Leonetta è più importante e si mette in mezzo :P), da una parte FINALMENTE troviamo Alice, o meglio, quello che è rimasto dopo il passaggio di Alice, che deve porre rimedio al suo errore del passato che consiste nel non aver saputo sfruttare appieno il potere dell'armatura ù.ù E da qui una serie di flashback che ci fanno intuire come sono andate le cose, con tanto di spiegazione (e io spero che si sia capito, perché- ammetto che è un tantino contorto xD). Oltre a una tenera scena di Andres e Libi (AWAWAWAW- ce la meritavamo, su), ecco finalmente lo scontro/incontro finale...della reazione di Leon non sappiamo nulla, perché fino alla fine l'abbiamo visto parecchio combattuto- quindi vi lascerò con questa bellissima dose di ansia/angoscia fino al prossimo capitolo :P I MIEI FEELS LEONETTA. Ragazzi, era da un secolo che non scrivevo una scena con loro due, non venitemi a dire che scrivo solo di loro perché sono seriamente in astinenza :') Mamma mia, che faticaccia xD Spero che il capitolo tutto sommato vi piaccia (almeno un pochetto :3), e niente- alla prossima, buona lettura, e grazie a tutti quelli che mi supportano qui su EFP e su twitter, siete delle persone dolcissime, e questa storia esiste soprattutto grazie a voi <3 Vi ringrazio anche per l'enorme pazienza con cui attendete l'aggiornamento :P Con tantissimo affetto,
syontai :3 
P.S: Per chi non lo sapesse Lewis Carroll è uno pseudonimo. Il nome dell'autore è Charles Dodgson- Inoltre Charles conobbe veramente Henry Liddell con la figlia Alice, che divenne rettore dell'università. Questo per dirvi che mi sono attenuto il più possibile alla storia effettiva di Charles. Charles infatti soffriva di emicrania (come si vede in uno dei flashback) e per un periodo venne accusato di pedofilia (e mi sono rifatto a questo per l'ultimo flashback, con le accuse per aver rapito Alice Liddell). Insomma, è stato un po' faticoso mettere tutto insieme, ma tutto sommato è venuta fuori una bella ricostruzione, dai :3
  
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