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Autore: Cinnamon_Meilleure    18/07/2015    1 recensioni
Angels e devils hanno iniziato il loro secondo anno alla Golden School, e sono più pronti che mai alle nuove sfide che li attendono.
Raf, ancora innamorata di Sulfus, ha deciso di dimenticarlo per il bene di entrambi, nonostante ciò la distrugga.
Sulfus, invece, è ben deciso a non rinunciare a lei, a qualunque costo. Ma il prezzo che ha scelto di pagare è molto caro, il gioco che ha scelto di giocare potrebbe essergli fatale. Può l'amore andare oltre le regole e le convenzioni, oltre i peggiori ostacoli? Persino oltre... la morte?
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Ho scritto questa storia molto tempo fa, ai tempi in cui esisteva ancora il forum di angel's friends, forse i fan di vecchia data se ne ricorderanno. Mi chiamavo Dolce-Kira, e grazie a questa storia ho conosciuto una persona meravigliosa che è tuttora la mia migliore amica online. Lei insisteva sempre affinché la pubblicassi su EFP, e ora ho deciso di farlo.
La storia si collocatemporalmente dopo i 52 episodi della prima stagione.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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12. Terribili forse
 
“Spesso siamo sospesi tra i forse delle nostre scelte. E quando scopriamo di essere importanti, di avere un ruolo determinante per tutti, ma un ruolo che non vorremmo interpretare... allora, cosa fare?”
                                                  
 
-Minaccia e Salvezza, Minaccia e Salvezza, Minaccia e Salvezza...- ripeté Arkan convulsamente, camminando avanti e indietro sotto lo sguardo stranito di Raf. Il professore era sconvolto.
-Le lezioni sono sospese!- Tuonò il professore agli angel che stavano rientrando nell’aula. -Andate ad occuparvi dei vostri terreni!
 In quel momento stava per entrare Urié, ed incrociò lo sguardo di Raf. Lei le fece cenno di andare via, e le disse a gesti che le avrebbe spiegato più tardi. La angel annuì ed uscì fuori dalla stanza. Raf invece restò ferma dov’era e osservò il professore che stava preparando la sua borsa con i libri in fretta e furia.
-E io? Cosa devo fare, io?- Chiese preoccupata, allargando le braccia.
-Tu... tu vieni con me – Sentenziò il professore. Un attimo dopo erano nel corridoio, e Raf faceva fatica a stare dietro al professore, che correva quasi, tanto era agitato.
-Ma dove stiamo andando?- Chiese, con voce ansimante.
-Dalla professoressa Temptel. Purtroppo devo parlarne anche con lei, si tratta di una cosa gravissima.- Il professore accentuò il tono sulle parole “Temptel” e “gravissima”, per sottolineare che erano le cose che gli dispiacevano di più.
Raf stette in silenzio per un po’, infine disse, debolmente:-Io potrei aspettare fuori, mentre lei chiama la professoressa?
Arkan la squadrò con uno sguardo interrogativo, ma si limitò ad annuire.
La professoressa, a dire il vero, la trovarono quasi subito, non fu necessario entrare nell’aula dei devil.
Lei si stava molto tranquillamente concedendo un caffè bollente in una tazzina di un orribile violetto scuro, dalla maniglia a forma di una terrificante aletta di pipistrello. Una cosa che Raf ritenne assolutamente di pessimo gusto. Dalla classe, lasciata allo sbaraglio, provenivano terribili urla.
La professoressa si girò a guardare i due angeli che venivano verso di lei con sguardo seccato.
-Brutto segno- Sentenziò, scuotendo la testa. – Quando un angel... anzi, quando addirittura due angel arrivano quaggiù, è veramente un brutto segno.-Concluse acida.
-Ha proprio ragione, infatti le assicuro che se la situazione non fosse stata veramente grave non saremmo mai venuti sin qui – Disse Arkan, franco.
- Ovviamente!- Disse la Temptel, sorseggiando l’ultimo sorso di caffè.
Nel frattempo, Raf vide che qualcuno si era affacciato alla porta, e così si voltò.
Era Sulfus, il quale aveva deciso di tornare in classe. Poi però, infiammato dal dolore, si era affacciato alla porta... ma non si aspettava di vedere proprio lei, che lo fissava con intensità e sembrava una luminosa visione di sgargiante bellezza che mozzava il fiato.
Si sfiorarono con lo sguardo, anche se entrambi avrebbero voluto farlo veramente. Incrociarono i loro sguardi. Lei nei suoi occhi lesse il dolore, lui nei suoi una cupa preoccupazione. Lui osservò la forma perfetta delle sue labbra, il movimento leggero e delicato dei suoi capelli agitati da un soffio di vento leggero che spirava da una finestra, la curva morbida delle sue spalle... il luccichio gioioso dei suoi occhi quando incrociava i suoi.
Lei si soffermò sulla forma delicata dei suoi occhi, sulle dolci curve del profilo del suo viso, le labbra che si dischiudevano in brevi sorrisi che regalava solo a lei, i capelli scuri come una notte senza luna nei quali si rifletteva una luce irreale.
Un momento perfetto. Perfettamente sospeso, perfettamente irreale, fuori dal mondo, dallo spazio e dal tempo. C’era tutto ma non c’era niente. La distanza quasi non c’era, eppure non potevano avvicinarsi... non ancora.
Fermi, l’uno dinanzi all’altra, vicini ma irrimediabilmente lontani, inevitabilmente impossibile avvicinarsi.
Anche se i due professori stavano parlando, in quel momento, se qualcuno si fosse messo in ascolto, avrebbe sentito un suono che sovrastava la loro animata discussione, il chiacchiericcio delle classi, le urla, qualsiasi cosa: ossia i battiti infuriati dei loro cuori lontani, mentre non facevano altro che guardarsi negli occhi, distanti ed avvolti da un atroce, doloroso, insopportabile, insuperabile silenzio.
Ad un certo punto, il ragazzo si piegò su di sé, la mano contro la parete per sorreggersi, e soffocò un gemito: era come se una lama di coltello gli avesse appena trapassato il ventre. In quel momento, distolse lo sguardo da lei.
Raf venne assalita da due istinti opposti: il primo, angelico e protettivo, di correre da lui, stringerlo fra le braccia e chiedergli perché stesse così male, accarezzargli i capelli, consolarlo… o semplicemente stargli accanto, in silenzio, tenendogli la mano.
Il secondo, razionale e scostante, le ripeteva che non poteva, che non doveva abbracciarlo, o andargli vicino, ed era sempre quell’istinto che la faceva sentire in colpa per il solo motivo di amarlo, per il solo motivo di pensare di stringerlo a sé.
Poi lui iniziò a sentirsi peggio, e sentì che stava per cadere a terra. Trattenendo un conato di vomito, rientrò nella sua aula, non prima di averle scoccato una lunga e penetrante occhiata piena di dolore, perché non voleva farsi vedere così da lei. E ruppe così l’incanto di quei fragili, stranissimi istanti magici, terribili e dolorosi.
Lei tirò un sospiro di sollievo, ma non riuscì a calmarsi. Il cuore le martellava ancora nel petto, e si sentiva le guance talmente calde che le sembrò di essere tra le fiamme. Era una sensazione soffocante. E anche inebriante. Non poteva sapere che quella era la stessa sensazione che provava lui, cioè pensava che anche lei era inebriante. Pensava anche che era dolorosissimo che non potessero stare neppure vicini...
Ma lui e solo lui sapeva che l’impossibile sarebbe presto accaduto. Però ancora non poteva lontanamente immaginarne i danni.
Se solo lo avesse saputo...
Se solo…
-Che questione? Quanto delicata?- chiese la Temptel, agitando per aria la tazzina, riportando Raf alla momentanea realtà di un mondo crudele senza amore.
-Tanto da non parlarne qui, adesso. Non credo che sia una cosa breve.- disse Arkan, guardandosi attorno, sospettoso. – Se potesse venire nel mio ufficio...- Lei annuì, roteando le pupille.
-Mi dia solo un attimo, collega... Gas!- strillò la prof, ed il ragazzo era già lì un attimo dopo.
- Ordini pure, Professoressa!-
-Prendi questa tazza, e mi raccomando: la voglio P-U-L-I-T-A. Non come la volta scorsa. Sono stata chiara?
-Lampante.
-Perfetto. Allora annuncia alla classe questo messaggio: andate a maltrattare un po’ gli angel e a far commettere le scelte sbagliate ai terreni. Le lezioni sono sospese. - Così dicendo si voltò di nuovo verso i suoi interlocutori. -Benissimo. Andiamo!
Così i tre volarono verso lo studio del professor Arkan.
I devil e gli angel dovevano occuparsi dei terreni, ma qualcuno aveva qualcosa di diverso da fare.
Quel qualcuno era Sulfus, che era atteso nella Terra Sospesa per la seconda parte del rito.
 
 
-Sei tornato?... qui di nuovo...?
-Sei tornato da noi?
-Sì. - Deglutì, mettendosi in ginocchio.
-Fa male?- Chiese una sirena, fingendo compassione.
-Malissimo- Rispose lui, piegato su di sé. - Non ne posso più... non potremmo fare più in fretta?- Implorò.
Le sirene risero. -Povero illuso! Povero illuso! Credevi fosse semplice? Dipende dalla tua capacità di reagire, dipende dalla tua forza interiore, dipende da molte cose... ma da te, semplicemente da te. Questa è la verità - sibilarono.
Sulfus non riusciva a vederle, ma le sentiva camminare e respirare, ridere, nascoste nella nebbia.
E aveva paura. Una paura terrificante che s’impossessava delle sue membra ogni volta che era in presenza di quelle temibili creature.
Se solo fossero state vere sirene! Ma loro non erano veramente sirene, e quindi buone, ma erano anime amareggiate... o almeno così credeva, esattamente non sapeva cosa fossero.
Non che ci tenesse così tanto, a saperlo, in fondo. A lui bastava che loro lo aiutassero. Certo era che, però, se avesse saputo chi fossero davvero quelle creature, forse si sarebbe sentito meno spaventato.
Ma nel suo cuore, ora, non c’era più posto per la paura.
Povero, povero incosciente! Perché non aveva pensato alle conseguenze? Semplicemente, non aveva pensato assolutamente a niente, ecco perché. Offuscato dal dolore, non riusciva a pensare ad altri sentimenti. Ora non poteva tornare indietro. Non poteva, non poteva, non poteva.
Non poteva!
E la cosa peggiore era che, se anche avesse potuto, già sapeva che non si sarebbe fermato.
Non poteva sapere che questa sua irremovibile decisione gli sarebbe costata cara.
- Ti senti pronto... per continuare?
-Sì.
E s’inginocchiò. Una delle creature si fece avanti. Gli pose la mano gelida sugli occhi…
…e il dolore fu atroce. Potrei dire che fu come se due artigli gli avessero strappato gli occhi, come se due lance glieli avessero trapassati, potrei dire che fu come se qualcuno gli avesse cavato gli occhi... ma non arriverò mai a descrivere veramente quell’inimmaginabile dolore.
Sulfus provò a trattenersi con tutte le sue forze, ma non ce la fece.
Urlò. Un urlo che invase tutta la grotta gelida, e fece rabbrividire persino l’acqua.
Il suo dolore riempiva la grotta, ma sembrava che non sfiorasse minimamente le sirene, impassibili e gelide come sempre, simili ad involucri vuoti.
-Per cancellare la vista che hai posseduto finora... Per annullare il tuo modo di vedere... Per cambiare la tua vita... Per ANNULLARE TE STESSO...
Quelle ultime parole lo fecero tremare. - E così sia...- balbettò.
- Più forte!- Gli intimò la sirena, prendendogli la testa per i capelli.
-E così sia!- urlò il devil, più forte, trattenendo le lacrime.
-Ora va bene – sibilò, con evidente soddisfazione, rilasciando la testa del ragazzo.
Sulfus venne lasciato cadere bocconi a terra. La testa gli pulsava in modo terrificante, e tremiti lo avvolgevano. Gli occhi erano trafitti da un dolore che nemmeno conosceva.
-Non aprire gli occhi per un’ora. O potresti perdere totalmente la vista.
Lui deglutì ed annuì. Abbassò la testa e tornò sulla terra, in preda agli spasmi. Poco dopo, batté la testa contro qualcosa... Chissà cos’era. Ma era nella sua stanza, perciò con tutta probabilità si trattava di una mensola.
Avanzò a tentoni nella stanza, sino ad arrivare al letto, e si accovacciò lentamente su di esso, tremante. Sommerse il volto fra le mani e si abbandonò a sonni pieni di incubi, mentre gli spasmi continuavano ad avvolgerlo da capo a piedi. 
Solo, abbandonato da tutti e da tutto.
Solo nel tempo, solo nello spazio, solo in una stanza.
Solo nel mondo.
Solo.
E nel sonno pianse, pianse lacrime nere. Ma non poteva ancora vederle.
 
 
-Vorrei proprio sapere il perché di questa convocazione!- Sbuffò la Temptel, limandosi le unghie, seduta su una comoda poltroncina rossa.
Arkan si prese il volto fra le mani. –Ti dice niente Minaccia e Salvezza? La profezia?
La Temptel si accarezzò il mento socchiudendo gli occhi, come se cercasse la risposta a quel quesito in un lontano passato nel quale non riusciva a vedere che una fitta nebbia che rendeva tutto indistinguibile.
- No - Ammise infine, con uno sbadiglio.
-Sforzati! – Incalzò lui, allungandosi sulla scrivania nella sua direzione.
Lei scosse la testa. -Mi spiace collega, ma non ricordo nulla...- ad un certo punto, però, le si illuminarono gli occhi. -Sì! Minaccia e Salvezza! Ma certo!
-Ti ricordi?- Chiese Arkan, speranzoso.
-No, ma adesso ricordo perché non ricordo. Non l’ho mai imparato. Non mi sono affatto presentata a quell’esame. Mi bocciarono. Era l’esame finale. Ed ora sono qui. Che orrore, quel giorno! Lo ricordo benissimo!- Esclamò, con aria dolcemente persa nei ricordi.
-Male, non ricordo neppure io di questa strana profezia. Rammento solo che è una cosa importante e grave che potrebbe riguardarci tutti.
 La prof rise. -Ma guarda! L’angel che non ricorda una profezia imparata per un esame! E’ la prova che studiare non serve a nulla, tanto dimentichi le cose! Dovresti fare come faccio io, che mi godo la vita!
Lui si risistemò gli occhiali sul naso, contrariato. -Ho studiato la profezia trecento astri fa. E’ anche abbastanza normale che io non mi ricordi!- Ribatté infastidito, scoccandole un’occhiata acida.
-Se nessuno di voi due si ricorda, ci penso io- Esordì Raf, alzandosi.
-E come?- Chiese Arkan.
-Semplice: Urié due giorni fa mi ha prestato il libro che parla proprio di quella profezia, e adesso è sul mio comodino! Possiamo leggere lì e tutti i problemi saranno risolti!
-Fantastico, che splendida idea! Corri a prenderlo, allora!
Lei annuì, e volò fuori dalla stanza.
-Splendida? A me sembra una PESSIMA idea, detesto leggere!- Commentò la Temptel con una smorfia, mentre Arkan seppelliva il volto fra le mani dalla disperazione.
 
 
Quando Raf arrivò nella sua stanza, non impiegò molto a capire che c’era entrato qualcun altro prima di lei. Qualcuno che non era certamente Urié.
Rimase impietrita sulla soglia, sentendosi sola e terrorizzata. Ogni cosa era a soqquadro, niente era più al suo posto.
Fu questione di un attimo, la ragazza non ebbe il tempo di chiedersi nulla: si trovò all’improvviso di fronte ad una creatura ricoperta sino ai piedi da una lunga veste di sacco. La creatura si sfilò il cappuccio... e quando vide il suo volto Raf si sentì tremare dalla paura. Era un volto orribile. Il volto di una donna pelata sulla cui testa troneggiava una grande criniera sfavillante rosso fuoco, e al posto degli occhi splendevano due sfere luminose.
Inquietante.
Raf non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare, neppure a distogliere lo sguardo.
Passò un secondo.
Ne passarono due.
Tre, quattro, cinque secondi di pura e totale immobilità nel silenzio. Come quando aveva incrociato gli occhi di Sulfus. Ma era ben diverso dal guardare gli occhi di Sulfus, che era bello come guardare il Sole: perché entrambi sapevano che non avrebbero dovuto farlo. Sapevano che era dolcemente impossibile… come guardare la luce, appunto.
Ma guardare quegli occhi no. Guardare quegli occhi era diverso… era come guardare in faccia alla morte. Raf non avrebbe saputo dire perché, ma era così, guardare quegli occhi era proprio come guardare la morte trasfigurata dal riflesso del dolore.
La creatura ad un certo punto sollevò le mani (e Raf vide che in una stringeva proprio il libro che era andata a prendere) e ne allungò una verso di lei. Mormorò qualcosa e la angel cadde, svenuta.
 
 
-Quanto ci mette, la tua angioletta? Doveva prendere solo un libro, lo sta fabbricando, per caso?-Sbottò la prof, dopo un quarto d’ora che Raf non tornava.
-Mah… mi sembra strano che non sia già tornata!- Disse Arkan. -Secondo me è meglio che andiamo a controllare.
-Sì, mi farà bene sgranchirmi un po’ le gambe.
-Ma voi devil non siete quelli che non si preoccupano del male?
-Del male degli altri- puntualizzò lei. – Ma del nostro bene sì. Ovviamente!
Poco dopo arrivarono alla stanza di Raf, dove la ragazza giaceva sulla soglia, svenuta.
-Per tutte le basse sfere! Cos’è successo?- Chiese la Temptel, che tutto si aspettava  tranne che ciò che vedeva.
-E’ svenuta.- Constatò Arkan, prendendola fra le braccia un po’ rozzamente.
-Sì, questo lo vedo! – Commentò indispettita la prof. –Mi chiedevo come potesse essere successo!
Come era successo, glielo spiegò Raf in infermeria, poco dopo, appena riprese i sensi.
A racconto concluso, nessuno dei due prof voleva proferire parola al riguardo. Non era un bell’argomento, quello delle sirene. Non bello da apprendere per una semplice stagista.
Ma Raf voleva sapere. E così, Arkan le spiegò che quelle creature erano anime del Purgatorio cadute in tentazione, che non sarebbero mai arrivate al Paradiso, e vivevano sospese in eterno Limbo, in una sorta di dolorosa palude. Ognuna era dipendente dall’altra. Se una soffriva, soffrivano tutte. Tranne una… la cui leggenda diceva che fosse particolarmente potente, e che potesse stare separata dalle altre. Ma era incorporea, fatta di spirito. Dunque le sirene avevano promesso che, un giorno, avrebbero trovato l’anima più grande di tutte, la Minaccia e la Salvezza, per donarla allo spirito della creatura più potente di tutte.
-E come si fa a prendere un’anima?- Chiese Raf, deglutendo.
-Serve la sfera di vetro smerigliato, che dona loro incredibili poteri… Loro daranno l’anima potente allo spirito, per essere liberate. E se si sono attivate per cercare il libro e scoprire chi sia la Minaccia e la Salvezza, significa che ora ce l’hanno.
-Ma come hanno fatto a procurarsela, se prima non potevano muoversi dal Purgatorio?- Chiese giustamente Raf. I professori tacquero.
A questa domanda, loro non sapevano rispondere.
A quella domanda, poteva rispondere solamente una persona…
Raf aveva paura, terribilmente paura. Paura per sé,  ma presto… presto avrebbe scoperto che avrebbe dovuto avere paura per tutti. Perché tutti erano in pericolo.
Dal primissimo all’ultimissimo angel.
Dal primissimo all’ultimissimo devil.
   
 
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