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Autore: Cinnamon_Meilleure    28/07/2015    0 recensioni
Angels e devils hanno iniziato il loro secondo anno alla Golden School, e sono più pronti che mai alle nuove sfide che li attendono.
Raf, ancora innamorata di Sulfus, ha deciso di dimenticarlo per il bene di entrambi, nonostante ciò la distrugga.
Sulfus, invece, è ben deciso a non rinunciare a lei, a qualunque costo. Ma il prezzo che ha scelto di pagare è molto caro, il gioco che ha scelto di giocare potrebbe essergli fatale. Può l'amore andare oltre le regole e le convenzioni, oltre i peggiori ostacoli? Persino oltre... la morte?
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Ho scritto questa storia molto tempo fa, ai tempi in cui esisteva ancora il forum di angel's friends, forse i fan di vecchia data se ne ricorderanno. Mi chiamavo Dolce-Kira, e grazie a questa storia ho conosciuto una persona meravigliosa che è tuttora la mia migliore amica online. Lei insisteva sempre affinché la pubblicassi su EFP, e ora ho deciso di farlo.
La storia si collocatemporalmente dopo i 52 episodi della prima stagione.
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Quasi tutti, Raf, Sulfus | Coppie: Raf/Sulfus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Voglio chiedere scusa a tutte le lettrici per il ritardo nell'aggiornare...  non mi ero assolutamente resa conto del tempo che passava. 
Spero che questo capitolo vi piaccia!
13. Domande senza risposte
 
“ Le domande... sono terribili. E’ terribile avere centinaia di domande che ti affliggono, senza avere le risposte... ti sembra di sentire un vuoto dentro, simile ad un nulla nel quale ti perdi...”
 
 
Sulfus si rialzò il mattino dopo, dolorante. Scivolò giù dal letto, piano, a tentoni. Vedeva ancora poco, e distingueva appena i colori. Gli sembrava di vedere attraverso un velo nero sbiadito. 
Piano, lentamente, si avvicinò all’armadio e aprì l’anta per osservarsi allo specchio. Soffocò un gemito di terrore quando comprese che la terrificante immagine che gli regalava lo specchio era proprio la sua. Era il suo volto, quello.
E quelli erano i suoi occhi.
E quelle, erano le sue lacrime.
Lacrime nere. Nere come la pece, nere come il petrolio, nere come l’ebano.
Nere come il nulla più oscuro.
Era terribile, terrificante, peggio di quello che potesse immaginare.
Se le sfiorò con le dita: sembrava acqua nera, che gli macchiò le dita. Corse in bagno, evitando per un puro caso fortuito di centrare la porta, prese l’asciugamano e si lavò gli occhi, e le guance, e tutto il volto. Quando riaprì gli occhi, si avvicinò meglio allo specchio...
...ed ebbe veramente paura.
I suoi occhi erano neri. Fece un balzo all’indietro, si chinò sul lavandino e vomitò.
Vomitò sangue nero.
Quando si risollevò, emise un gorgoglio profondo. Sbatté le palpebre, disperato e tremante. Singhiozzò. Perché, perché era così doloroso trasformarsi? Perché le cose non potevano essere più semplici? Perché tutto doveva essere dolorosamente difficile? Tremò in modo incontrollato, appoggiandosi al lavandino. Chiuse gli occhi, perché gli bruciavano. Le sue ali tremarono dal dolore. Lasciò che le lacrime gli scorressero sulle guance, acide di dolore… non ci provò neppure a trattenerle. Si accasciò a terra, e si prese la testa fra le mani. 
Cosa stava diventando? Cosa aveva mai accettato di fare? Era troppo pericoloso, avrebbe dovuto capirlo prima. Ma ormai era tardi per tornare indietro… e comunque non voleva.
Ah, quanto gli sarebbe costata cara questa scelta! Ben più di quel che stava già sopportando! Quanto si era ridotto in basso!
Ma non gli importava, era disposto a tutto, per lei. Oh, come, come si può arrivare a fare le cose più folli,  pazze, strane, le cose più assurde per i sentimenti? Per amore?
 Non lo so, e non voglio essere io a rispondere, d’altra parte. Ma neppure colui di cui stiamo narrando le vicende intendeva rispondere a quella domanda. Domande, domande ancora domande senza risposte precise.
Anche l’amore, del resto, era strano. Era un sentimento strano, nuovo per uno come lui che non aveva mai amato veramente nessun’altra ragazza, prima di Raf. Un sentimento che aveva poco o niente da spartire con la ragione, e che aveva un che di irrazionale e pericolosamente tendente alla follia più assoluta...
- Sulfus! Esci fuori da lì! Ma stai dormendo? Se non esci Kabalé mi farà allo spiedo, muoviti!- Strillò Cabiria bussando per l’ennesima volta alla porta. Cavoli, Sulfus non l’aveva sentita neppure una volta. Sentì Kabalé che bisbigliava qualcosa di arrabbiato contro Cabiria, del tipo “taci, ma cosa ti metti a dire?!” o cose simili.
-Arrivo - Mugolò. Non doveva destare sospetti. Ma come avrebbe fatto, a farsi vedere con gli occhi neri?
…Occhiali da sole, giusto! Era abbastanza sicuro di avere ancora quegli orridi occhiali arancio fluo che gli aveva regalato Gas per il compleanno di 15 lampi. Erano veramente orribili, da dare il voltastomaco solo a vederli, ma era la sua unica speranza per non farsi scoprire. Rovistò nel cassetto, velocemente, e fu sicuro di averli trovati quando afferrò una cosa arancione che aveva la vaga forma di un paio di occhiali. Eh sì, purtroppo la vista andava e veniva. Pazienza!
Se li mise e aprì la porta. Un braccio (di Kabalé, sicuramente) lo tirò fuori in modo rude dalla sua stanza, comportamento che lui non ritenne particolarmente gentile. Inoltre già si sentiva male, ed ogni più piccola cosa gli sembrava insopportabile. Cercò comunque di contenersi.
 
Stavano camminando.
Che strano modo di orientarsi, Sulfus non si era mai sentito così sperduto in vita sua come quella volta. Però pensò che, se al posto di Kabalé e Cabiria ci fosse stata una persona sola, a guidarlo, allora non avrebbe avuto problemi a fidarsi totalmente.
Ovviamente pensava a Raf, ed il pensiero lo addolcì e lo fece sorridere.
-Sono orrendi quegli occhiali da Sole. – Commentò la diavoletta, franca, riportandolo alla realtà.
“Come se non lo sapessi!” Pensò Sulfus.
- Lascia che te li levi.
-No, fermati!- Urlò lui, allontanandosi per impedirle di toglierglieli.
-Cosa c’è? – Chiese Cabiria.
-Niente, niente. Mi dà un po’ fastidio la luce, tutto qui.- Mentì.
-Va bene... Sulfus, devo dirti una cosa seria.- disse Cabiria.
-Detto da un devil, non sembra molto credibile.- Commento, amaro, lasciandosi guidare dal braccio di Kabalé, per non mostrare che non vedeva, ma le due ragazze notavano che sbandava... e si teneva lo stomaco come se gli facesse male...
-Ho sognato un uomo biondo angel ed una donna mora devil con una stella su un occhio e che ti somigliava... erano in una foresta...
Lui si voltò verso di lei. Non la vedeva certamente meglio di prima, ma se cercava un modo per catturare la sua attenzione, c’era riuscita.
-E cos’hanno detto?- Chiese, preoccupato.
Cabiria continuò.- C’erano degli angel e dei devil che li portavano via, e loro due avevano le mani incatenate e si guardavano. Piangendo, la donna devil ha detto che le dispiaceva per tutto quello che era successo, ma l’uomo angel le ha detto, anche lui piangendo, che sarebbe successo comunque, e che era inevitabile, dato quel che avevano fatto. Poi sono stati condotti in una grotta, e sono spariti dalla mia vista. Ad un certo punto sono saltati fuori davanti a me, mi hanno quasi fatto paura, e hanno urlato, all’unisono: “A NOI E’ SUCCESSO. NON LASCIARE CHE ACCADA ANCORA! FERMALO IN TEMPO! DIGLI DI FERMARSI, NON DEVE SUCCEDERE DI NUOVO!”.
Poi mi sono svegliata. Ho subito sentito che dovevo dirlo a te. Non so perché.– Concluse la devil dai lunghi capelli neri.
Lui si bloccò. -No! – Urlò. – Digli che non mi importa se succederà ancora! Digli che continuerò comunque! Digli che ci proverò! Digli... che non mi fermerò!
-Ma che cosa dici?- Chiese Kabalé, inorridita.
- Io non ho alcuna intenzione di arrendermi!- Ripeté il ragazzo, agitato. Cabiria non riusciva proprio a capire.
-Tu hai capito chi erano le persone nel sogno, vero?- Chiese, cauta.
Lui annuì, con un cenno del capo. Erano Tyco e Sai, come non capire?
-Ed hai capito anche a che cosa si riferivano? Hai capito cos’è che non deve succedere ancora?
Lui non rispose. Credeva veramente di aver capito. Forse, Sai o Tyco aveva provato a... e invece non aveva funzionato. Così erano... A loro era successo di non tornare indietro e…  
Ma lui avrebbe provato comunque, rifiutandosi di cedere agli ammonimenti dei due sempiterni nel sogno dell’amica.
Cabiria capì che lui sapeva. - Tu hai capito tutto, vero?- gli chiese, in tono serio e deciso.
Sulfus ancora non rispose. -Io... devo andare da Ang-li. Non posso lasciare Matteo nelle sue mani... devo andare.- Detto questo si voltò, stizzito, con lo stomaco che gli doleva ed una viva preoccupazione che si faceva strada dentro di lui. Poi si allontanò, sbandando.
Cabiria e Kabalé si scambiarono uno sguardo sorpreso e sbigottito.
-Ma che cosa gli prende?- Chiese Kabalé, rivolta più a sé stessa che a Cabiria.
- Non ne ho la più pallida idea. Hai visto come ha reagito male quando gli ho parlato del mio strano sogno?
 La diavoletta annuì. -Certamente! Ma non che prima stesse meglio: la luce che gli dava fastidio agli occhi, lo stomaco che gli doleva, e tutto quel nervosismo!
- Beh, Sulfus non è mai stato un ragazzo particolarmente gentile!- Disse Cabiria, riflettendo. -Tranne con una persona - Concluse.
-Una persona che non può amare - aggiunse Kabalé, con gli occhi furbi.
- E con questo cosa vuoi dire?- Chiese Cabiria.
- Temo che... temo che si droghi.- Disse in tono grave, dando voce ai suoi atroci sospetti. Cabiria strabuzzò gli occhi fuori dalle orbite.
-Come? Credi veramente che Sulfus possa drogarsi? – Chiese, con tono incredulo.
- E’ disperato. Forse sta provando un po’ di sballo per dimenticare... lei.- Mormorò Kabalé, senza avere il coraggio di pronunciare per intero il nome di lei... strano, dato che quel nome aveva solamente tre lettere. Raf.
A volte, un nome può fare più paura di affrontare un mostro.
E’ come guardare in faccia alla realtà, alla paura di non essere mai considerati.
E Kabalé temeva la verità.
Cabiria si mostrò molto incredula nei confronti di quell’ipotesi. - Potrebbe essere una possibilità, ma francamente non credo. Lui non farebbe mai una cosa simile. Noi devil ci occupiamo del male dei terreni, ma del nostro bene. La droga farebbe male a lui stesso, perché mai dovrebbe drogarsi?
-E allora cos’altro potrebbe fare? – Chiese Kabalé, sorpresa dal ragionamento di Cabiria.
- Penso che cercherebbe a tutti i costi un modo per amarla. Non si arrenderebbe tanto facilmente, come un semplice terreno. Forse c’è dell’altro. Sicuramente c’è qualcosa che non vuole dirci. Ma non saprei proprio cosa...
Kabalé si sentì furente. Avrebbe preferito l’ipotesi della droga. -Ma noi siamo i suoi peggiori amici! – protestò. – Perché non ci ha detto niente?
Cabiria scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo. Poi li rivolse verso una direzione davanti a sé, ed un largo sorriso si fece strada sul suo volto. - Kaiwir! – esclamò, volando ad abbracciare il ragazzo che volava verso di lei, sotto lo sguardo allibito di Kabalé.
Poco dopo le presentò il ragazzo, che era il suo fidanzato.
- E’ un orrore conoscerti, Kabalé.
- Ricambio la scortesia, l’orrore è tutto mio!- Disse Kabalé, stringendogli la mano.
Semplici convenevoli di saluto fra devil, ovviamente. Niente di particolare.
Il ragazzo era abbastanza robusto e piazzato, e vestiva in modo strambo, a metà fra un punk e un emo esagerato. Aveva una cresta rossa come il fuoco, ritta sulla testa, suddivisa in tante candeline dritte ed appuntite.  Kabalé si ritrovò a pensare a come dovesse essere la fodera del suo cuscino. “Tutta bucherellata!” pensò, con un risolino. Aveva profondi occhi neri, che Cabiria definiva profondi come una notte senza luna (ma che in una situazione successiva, Kabalé definì profondi come pozzi di petrolio; con grande disappunto di Cabiria, la quale non le rivolse la parola per giorni e giorni).
I due si stavano abbracciando quando, non si sa da dove, uscì fuori Aracno, emettendo un versetto acuto. Kaiwir, appena lo vide, lanciò un urlo non esattamente virile - insomma, per intenderci, strillò come una femminuccia!- e corse via. Aracno guardò la sua padrona sconcertato, come se volesse chiederle che avesse fatto di sbagliato.
-Tranquillo, Aracno, non è colpa tua- disse Cabiria, sospirando e seppellendo il volto fra le mani.
-Cosa gli è preso, al tuo fidanzato? – Chiese Kabalé, divertita e sorpresa.
 Cabiria le scoccò un’occhiata acida. - Fa sempre così quando vede i ragni... sarà andato a chiudersi in bagno, suppongo!
Kabalé rise. -Wow, che virilità!- commentò, sarcastica. – mica come S...- Troppo tardi si fermò.
-...Sulfus. Stavi per dire lui, vero?
 Kabalé sbuffò. -Ah, sicuro! Sai che virile! Uno che si sta distruggendo facendo chissà che cosa per stare con la sua biondina angel - e rise.
In realtà, quella di Sulfus sì che era forza di spirito.
Ma nessuno poteva capire veramente quanto fosse forte dentro quel ragazzo e tutto quello che stesse sopportando.
-Ma cosa dici! A me lui non interessa per niente! Che continui pure ad amare la sua biondina piumata, sai quanto me ne importa! – Sbottò, scocciata.
Mentiva. I devil mentono sempre. Per loro mentire è normale come respirare.
 
 
Sulfus si aggrappava convulsamente al muretto di pietra, nel giardino dove Matteo stava leggendo. Al suo fianco c’era Ang-li, che sembrava piuttosto annoiato. Il devil si sentiva malissimo, peggio di quella mattina. Era come essere in un tunnel dove tutto girava, girava…
L’angel se ne accorse.
- Sulfus, scusa se sono indiscreto, ma cos’hai?- Chiese apprensivo, dopo averlo osservato a lungo. Lui non rispose. Niente esisteva, la vista andava e veniva, tutto causava dolore. La voce dell’avversario gli arrivò come un brusio indistinto e confuso.
Si mise dritto, ed il mondo girò vorticosamente. Una sensazione di nausea lo pervase. Si lasciò cadere a terra, sforzandosi di non piangere. Non ci riuscì. Si mise carponi e vomitò, le lacrime nere che gli scorrevano lungo le guance, il medaglione che bruciava come fuoco sulla sua pelle. Ang-li era inorridito.
-Credo che tu non stia bene.
Acuto spirito di osservazione, gli si deve riconoscere!
-Non ho bisogno di aiuto… se è questo che vuoi chiedermi.-Tronco’. Ovviamente non era vero. Aveva seriamente bisogno di aiuto, e lo sapeva. -Devo andare, Ang-li… devo andare…
-…sì, devi andare da un dottore, ecco dove!- Concluse l’angelo.
-Fatti gli affari tuoi.- Disse, nervoso.
-Sei ridotto male.
-E cosa te ne frega? – urlò, con voce rotta.
-Ti stai facendo del male. Lo so. Me lo dice il mio settimo senso. Smettila, Sulfus. Ti stai riducendo ad una nullità.
Lui lo fissò, torvo. Era già una nullità, senza Raf, perché gli altri questo non lo capivano?
Si sollevò e volò via velocemente, senza neppure salutare.
- Sulfus, fai attenzione!- Gli urlò Ang-li, ma lui era già troppo lontano per udirlo.
Ma anche se l’avesse sentito, sarebbe andato ugualmente nel posto dove era atteso.
Ancora una volta nella Terra sospesa.
 
In quel luogo tetro e remoto, in quel luogo abbandonato dal mondo, in quel luogo di cui l’uomo ignora l’esistenza, in quel luogo chiamato Terra Sospesa, fra le sirena c’era un’eccitazione febbrile.
A cosa era dovuta, inutile dirlo. Ora avevano il libro, e presto avrebbero saputo la verità! Presto avrebbero saputo chi era la Minaccia e la Salvezza! Ne avrebbero avuto la certezza… e stavano per aprirlo, stavano per leggerlo, quando arrivò Sulfus.
Non ce la faceva più ad aspettare, e già un giorno per ogni fase era fin troppo doloroso.
Dal punto di vista delle sirene, non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per venire. In ogni caso, a tutte fu chiaro che i festeggiamenti e la lettura del libro erano eventi solo rimandati, e tutte le sirene si nascosero nuovamente nell’acqua e nella nebbia, tranne una, dalle pinne di uno sgargiante rosso fuoco.
-Sei qui per la nuova fase, immagino!- esclamò, trafiggendo il ragazzo con i suoi occhi lucenti, venendo fuori dalla nebbia come una regina fuori dal suo palazzo.
Il ragazzo annuì. La creatura ghignò di crudeltà.
-In acqua, svelto. Togliti la maglietta.
Lui obbedì, ma non si tolse il ciondolo. La creatura lo spinse in malo modo in acqua. Una luce intensissima lo circondò. Fu intensa come un’esplosione. Sentì la sirena che gli massaggiava la pelle all’attaccatura delle ali.
Fu percorso da un brivido, quando udì le parole che mormorava.
 
Che le ali non ti consentano più di volare
Ma solo d’amare
Che smettano di funzionare
Che smettano di essere
Sino a cadere
 
“E così sia!” pensò lui.
Sentì un tremito più forte. Una scossa. E infine, due strappi laceranti alla schiena. Furono fortissimi. Le sue ali c’erano ancora, ma era come se non ci fossero.
Non funzionavano più.
Ora era schiavo della forza di gravità, come ogni terreno.
Per il momento.
 
 
Era notte, il cielo era pieno di stelle che splendevano d’oro. Raf le guardava, incantata. Erano bellissime. Si sentiva triste, addolorata.
Nella sua mente, tanti problemi e dubbi si accavallavano. Troppi, per un piccolo angelo biondo come lei.
La voce di sua madre, quella dolce voce così reale, che le aveva riferito quelle parole così inquietanti per metterla in guardia dalle sirene… un pericolo che non poteva comprendere completamente e nella sua pienezza, perché non aveva letto uno stupido libro! Quanti ne aveva letti, di libri inutili! Proprio quello non doveva leggere?
Gli sguardi preoccupati dei professori l’avevano seriamente allarmata.
Gli sguardi…
Non  aveva davanti agli occhi che l’immagine di quello sguardo, lo sguardo di Sulfus. Dolce e struggente, un’immagine tanto forte e dolorosa da imprimersi nella sua mente come fuoco. Era stato bello e terribile, si era sentita incatenata a qualcosa che stava per perdere, a qualcosa che non poteva avere e che non l’avrebbe mai fatta sentire felice.
Si stese sul letto, cullata dalle splendide stelle che la guardavano da lassù come se volessero proteggerla. Ma non potevano proteggerla dal dolore che provava, e dalla paura di cosa avrebbero potuto farle le sirene.
Povera Raf! Era per sé che aveva paura, ma avrebbe fatto meglio ad accorgersi prima che era in serio pericolo l’incolumità di qualcun altro…
…ma questo, lo avrebbe capito solo più tardi.
Quando, forse, sarebbe stato già troppo tardi.

 
   
 
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