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Autore: Nurelnico    18/07/2015    1 recensioni
Newton Creek, una piccola città del South Dakota, dove forse le persone sanno più di quello che vogliono dire. Mentre Ryan e Victoria cercheranno di trovare le risposte ai loro dubbi, tra bugie, rapimenti, incomprensioni e paura, la storia ruoterà intorno ad un circo abbandonato nella zona di Hampton, nella periferia della città, che forse non è poi così abbandonato come si credeva da tempo, ma è il luogo ideale per nascondere qualcosa di importante ed evitare che qualche ficcanaso vada a curiosare.
Però la curiosità è una brutta bestia, soprattutto se alimentata dalla speranza.
Dal capitolo 2 "«anzi, non è bene neanche che vi siate incrociati. Devo gestire meglio gli orari» disse sedendosi sulla poltrona come tante altre volte."
è il mio primo esperimento, quindi vorrei avere dei commenti da voi lettori su come migliorare. Spero che vi piaccia e che con il passare dei capitoli vi appassioni.
Dal capitolo 3 "Salì e partì facendo stridere gli pneumatici sull’asfalto.
-Devo assolutamente tornare a casa.-"
Genere: Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Era un freddo pomeriggio di dicembre. Le nuvole lasciavano presagire che in un paio d’ore avrebbe nevicato abbondantemente. Il freddo era quasi insopportabile, tanto da sentirlo nonostante il giaccone pesante e gli ultimi minuti di luce della giornata non erano di certo una soluzione efficace per riscaldarsi.
Il termometro elettronico già segnava i -20°C ed erano solo le quattro del pomeriggio.
«Oggi si congela proprio.» disse Diana mentre il suo viso era parzialmente coperto da una nuvola di condensa.
«Allora faremo meglio a sbrigarci a tornare a casa, altrimenti la mamma si arrabbierà se stiamo fuori con questo tempo.» Victoria prese per mano la sorella di cinque anni meno di lei, mentre con l’altra teneva i pattini.
Erano state alla pista di pattinaggio tutta la mattina, visto che la ragazzina aveva insistito tanto per poterci andare, ma i loro genitori erano troppo impegnati con i turni di lavoro per poterla accompagnare.
Vedere la ragazzina così contenta, il suo grande sorriso illuminarle il volto contornato dai capelli biondi, era una sensazione incredibile: riusciva a scaldare tanto da non sentire neanche il vento freddo sulla faccia.
La distanza che separava le due ragazze dalla casa non era molta, ma era sufficiente per farle tirare un sospiro di sollievo dopo aver chiuso la porta di casa alle loro spalle.
«Vado a farmi un bagno caldo.» disse la ragazza dai capelli castani dopo aver riposto le giacche e i pattini, poi guardò la sorella e le sorrise.
«Sai dove sono i biscotti. Basta che non ne mangi troppi, altrimenti la mamma se ne accorgerà e poi non mangerai a cena.» Aggiunse passandole una mano sulla guancia con fare gentile, poi salì in camera a prendere i vestiti puliti e iniziò a riempire la vasca di acqua calda.
Lentamente il vapore caldo riempì la stanza e Victoria iniziò a spogliarsi con calma. Senza tutti quei vestiti vide allo specchio una ragazza abbastanza minuta, dalla pelle chiara e morbida, un corpo tonico e giovane che iniziava a mostrare la propria femminilità con delle leggere curve sui fianchi e sul seno.
Si allontanò dallo specchio per entrare nella vasca ormai piena di acqua bollente, sovrastata da una vaporosa schiuma profumata. Scivolò dentro lasciandosi sfuggire un verso di piacere al caldo abbraccio del bagno che le avrebbe sciolto tutti i muscoli.
Quel piacevole tepore la condusse in uno stato di semiveglia in cui l’unico suono reale era quello delle gocce che dal rubinetto andavano a colpire il pelo dell’acqua sottostante.
Il tempo divenne un qualcosa di effimero; non ricordava da quanto tempo era nella vasca, ma a giudicare dalla pelle doveva trovarsi lì già da un pezzo, quindi decise di uscire per asciugarsi. Con calma si rivestì e uscì dal bagno.
Il corridoio era una galleria del vento e si guardò intorno perplessa. Forse Diana aveva aperto una finestra e aveva dimenticato di chiuderla.
«Diana!» la chiamò.
«Perché hai aperto le finestre?» Chiese ad alta voce seguendo la direzione del vento, ma non era una finestra a essere aperta, bensì la porta di casa.
La porta era spalancata e si affrettò a richiuderla prima di chiamare di nuovo la sorella, ma non ricevette risposta. Chiamò ancora andando verso la camera e la trovò vuota, così come la cucina e la sala.
Diana non era più in casa.
Corse fuori e fu subito investita da una raffica di vento che portava i primi fiocchi di neve, ma non era quello il problema.
«Diana!» urlò a pieni polmoni, però nessuno rispose. Urlò ancora fino a che alcune persone cominciarono ad affacciarsi alle porte. La ragazza dai capelli castani cadde in ginocchio iniziando a piangere.
Sua sorella non era più da nessuna parte.
Il suono del campanello la destò da quelle immagini che assomigliavano più a incubi che a veri e propri ricordi e subito un barlume di speranza si accese nel cuore.
Era davanti alla porta della stanza che fino a poco prima era stata la cameretta di Diana, con la mano che stringeva la maniglia tanto da essere diventata quasi totalmente esangue.
Corse fino alla porta, ma la sua gioia si spense nel vedere il postino.
«Avrei una lettera per la signorina Victoria Skyfell.»
«Sono io.» prese la lettera e chiuse la porta dopo un cenno di saluto, mentre l’uomo le sorrise augurandole una buona giornata.
Di nuovo il cuore riprese a battere, mentre la mente si sbilanciava in ipotesi tanto varie quanto fantasiose ancor prima di leggere il mittente.
L’involucro era di nuovo anonimo, riportava solo il suo nome e il suo indirizzo, oltre ad un francobollo da alcuni centesimi con un fiore raffigurato. Lentamente aprì la busta, rimanendo ancora di fronte alla porta.
Al suo interno trovò un semplice bigliettino scritto a mano in una calligrafia molto precisa e leggermente inclinata verso destra.
 
Gli indizi spuntano sempre nei luoghi più insoliti.
Forse un esperto potrebbe portarti sulla giusta strada.
 
«Un esperto,» ripeté ad alta voce cercando di capire il vero significato del messaggio.
-Chi può essere l’esperto che il mittente vuole che trovi?- Pensò iniziando a ripercorrere mentalmente tutte le persone che le venivano in mente.
Camminò pensierosa fino alla cucina, dove poggiò la lettera sul tavolo, prima di sedersi a riflettere.
Alzò lo sguardo che incrociò un cerchio rosso sul calendario: la data importante era proprio quella di oggi e dentro il cerchio lo spazio era riempito dalla nota “Dr. Bennett”.
Si alzò di colpo, rovesciando la sedia.
«È lui!» esclamò, eppure una sensazione strana si insinuò tra i suoi pensieri: come faceva qualcuno a sapere che il dottor Bennett avrebbe potuto aiutarla? A quella domanda subentrò il pensiero razionale che le suggerì che forse era stata una scelta casuale di parole e che quindi non si riferisse precisamente allo psicologo, oppure potevano semplicemente sapere o aver supposto che lei fosse una sua paziente.
Troppe possibilità, pensò, che portavano ad altrettante variabili. Non avrebbe mai ottenuto una risposta rimanendo a fare supposizioni in cucina.
Prese il cappotto e uscì per andare all’appuntamento, nonostante fosse leggermente in anticipo e il tragitto che separava le due abitazioni era di solo un quarto d’ora, tagliando per il parco. Non valutò neanche l’idea di andare in macchina perché avrebbe perso anche più tempo solo per farla partire, poi una camminata avrebbe potuto avere dei risvolti positivi sulla sua mente tormentata dai ricordi.
L’aria fresca di quel pomeriggio che non si poteva ancora dire di primavera le fece venire dei piacevoli brividi.
Inspirò a pieni polmoni l’aria frizzante e si sentì di nuovo in grado di mantenere il controllo sulle proprie emozioni. Doveva affrontare la situazione in maniera razionale, senza farsi sviare dalle emozioni. Per trovare un rapitore che aveva agito in maniera così scrupolosa, bisognava almeno avvicinarsi al suo livello per sperare di trovare qualche indizio.
Scacciò via quei pensieri scuotendo violentemente la testa e prese a camminare con passo deciso verso l’abitazione dello psicologo, ignorando la strana sensazione che quelle lettere le avevano lasciato addosso.
Vide la grande casa a ridosso del bosco e ricordò di quando la vide la prima volta, poche settimane prima: era rimasta sorpresa dalla perfezione e dall’armonia del luogo.
L’edificio in legno scuro e pietra, con il tetto a spiovente e le grandi finestre, sembrava essere nato proprio per appartenere a quel luogo, come se ci fosse un’intima connessione tra la casa e il bosco.
Il ricordo viaggiò fino all’immagine del salone e della sua grande vetrata, così semplice eppure era come una porta verso la pace e l’armonia. I suoni esterni giungevano ovattati, ma si aveva la sensazione di non essere in un ambiente chiuso, bensì all’aperto.
Il ricordo, però, andò a scontrarsi con la realtà.
Il vialetto che conduceva all’ingresso era occupato da una macchina nera.
Qualcun altro con dei problemi, pensò sarcasticamente, mentre vide la porta aprirsi e il dottore che accompagnava un uomo verso la macchina parcheggiata. L’uomo sembrava relativamente giovane, ma la distanza che li separava era ancora troppa per dare una valutazione precisa. Indossava un giubbotto di pelle sopra dei jeans, che nascondeva ancora la sua corporatura, però riusciva a distinguere chiaramente le spalle larghe e la sua altezza.
Come si avvicinò di più notò i capelli scuri tenuti corti e la sua espressione seria. Lui era vicino alla macchina e probabilmente sentì i suoi passi sul vialetto coperto di breccia, perciò si girò verso di lei mostrandole il suo volto.
Era effettivamente un ragazzo, non propriamente un uomo, ma neanche giovane. La leggera barba la portò a valutare un’età sul quarto di secolo, le labbra erano sottili e molto chiare, mentre gli occhi erano scuri e profondi come la notte stessa.
Sentì subito il suo sguardo addosso, come se con quegli occhi potesse vedere cosa nascondesse dentro, ma il contatto durò pochi istanti, perché aprì la portiera e salì in macchina.
Superò la macchina del ragazzo come il dottor Bennett la invitò a entrare, ma in quel momento le tornò in mente la foto che aveva ricevuto. Ci assomiglia, pensò, ma la valutò come una forma di suggestione.
«Chi era quel ragazzo che è appena uscito?» chiese, girandosi di nuovo verso la finestra osservando ancora il tipo seduto in macchina.
-Ci assomiglia troppo,- pensò di nuovo.
«È un mio paziente, ma non posso dirti nulla su di lui.»
-È lui la persona che dovrei trovare!- Pensò ancora sentendo salire l’agitazione. -Lui deve sapere di mia sorella…sempre che non sia stato lui,- si disse e le sembrò un’ipotesi terribilmente convincente.
Sentì la macchina avviarsi e le ruote muoversi scricchiolando sullo sterrato. Doveva prendere una decisione alla svelta: lasciarlo andare e cercare di scoprire qualcosa da Luther, oppure seguirlo.
L’auto si stava cominciando ad allontanare, così come le risposte che cercava.
Uscì di corsa, ma la macchina nera era già lontana.
La inseguì correndo dando fondo a tutte le sue energie e al suo fiato, tagliando sull’erba, recuperando terreno.
Il ragazzo sembrava non essersi accorto di essere seguito, perché non rallentò minimamente, ma riuscì a seguirlo solo fino al primo incrocio, dove svoltò verso il centro della città.
Si fermò sfinita, piegata in due sulle ginocchia per riprendere fiato. Imprecò tra i denti per aver perso una possibilità per ottenere delle informazioni in più su tutta quella situazione che stava diventando davvero assurda.


Angolo dell'autore:
Diciamo che la vicenda ha preso il lancio. Con questo capitolo le cose cominceranno a farsi serie e spero che non ci siano buchi logici nella trama.
poi volevo ringraziare tutte le persone che sono arrivate fino a questo punto, perchè mi avete dato molta fiducia per continuare.
Grazie del tempo che mi avete dedicato fino a ora.
 
  
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