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Autore: waterdrop    22/07/2015    4 recensioni
È appena cominciato l'autunno quando la terapista di Darcy propone a sua madre di farla tornare all'ospedale psichiatrico di Sidney. Darcy non ha scelta, se non quella di andare. Come se le cose non potessero andare peggio, appena arrivata le comunicano che a causa di problemi di spazio verrà collocata nel dormitorio maschile. A Darcy cadono le braccia: non potrebbe andare peggio. Ma le cose cambieranno in fretta.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: Lime, OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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La vista mi si appanna leggermente. Lo guardo ancora, e questa volta qualcosa di orribile mi afferra dallo stomaco, e mi scaraventa in aria.
"Tutto okay?" mi chiede Ginevra.
Mi guardo intorno. Sono ancora nello stesso punto di prima, Ginevra alla mia destra che mi guarda preoccupata, e il ragazzo alla finestra che non ha spostato il suo sguardo neanche di un centimetro. Guardo il soffitto e il peso della mia testa mi piomba addosso. Qualcuno mi prende per la maglietta. Mi libero della presa ed esco fuori, il mondo che vortica pericolosamente.
Ginevra mi sfreccia accanto, precedendomi prima di girarsi all'improvviso. "Che cazzo era?" mi chiede completamente sbalordita.
"Pa... panico" le dico a denti stretti, mentre mi afferro i lembi della maglietta e li stringo ferocemente.
"Soffri di attacchi di panico?" mi chiede di nuovo.
Annuisco. "Lasciami" le dico freddamente, strisciando giù contro il muro. Reclino la testa all'indietro, boccheggiando per l'aria.
Ginevra non sembra essersi infastidita, quando l'ho mandata via: al contrario ha aspettato e adesso si siede a gambe conserte accanto a me, aspettando che mi senta meglio.
La sua presenza all'inizio non fa che peggiorare la situazione, ma quando finalmente mi rendo conto che non sta cercando di fare niente recupero il fiato e la guardo.
Ginevra proietta verso di me uno sguardo interrogativo.
"Non lo dire a nessuno" le sussurro in un orecchio. "Quel ragazzo. Luke. L'ho già visto"
Lei si gira all'improvviso, urlando un "SERIA?"
La zittisco con uno sguardo contrito.
"E dove?" mi chiede in un tono di voce decisamente più basso.
"Non... non lo so, cazzo!" rispondo puntando le mani a terra e alzandomi con fatica.
"Va beeene" mi dice seguendomi. "Io torno dentro. Vieni?" mi chiede indicando la
stanza, dove si è affacciato un Michael incuriosito.
"Non... non lo so, Ginevra. Credo che me ne tornerò in camera" rispondo alzandomi a tentoni e tornando in fondo al corridoio. Tra un'ora ho la prima terapia di gruppo, e non è che voglio esattamente arrivare sfinita e stravolta.
Dov'è che ho già visto Luke?
Mentre mi dirigo in corridoio, sento dei passi scricchiolare dietro di me. Se è lui, cosa faccio? Non è che abbia fatto una delle entrate migliori, guardandolo e poi uscendo di corsa dalla stanza. 'Rilassati' mi dico mentre sto camminando. 'Che ne sai se sta seguendo te?'
Una mano mi si appoggia sulla spalla. Mi volto, la afferro spaventata e proietto il mio sguardo su un Michael sbalordito. Rimaniamo così per qualche istante: io che stringo il suo polso a mezz'aria e lui che mi fissa con gli occhi di fuori. Finalmente ritrae la mano, massaggiandosela con l'altra.
"Scusa" borbotto mentre mi metto a braccia conserte e guardo il pavimento.
Lo sento ridere. "Ehi, tranquilla eh? Sono solo venuto a vedere che cos'è successo"
"Niente. Non mi sento bene" gli dico aggrottando le sopracciglia.
Senza aggiungere altro, mi volto e me ne torno in camera.
"Aspetta" mi chiama di nuovo Michael.
"Cosa c'è?" gli chiedo scocciata.
Mi fissa per un po', apre la bocca, poi scuote la testa.
"Niente" mi risponde sorridendo appena. Poi va via.
 
Passo un'ora stesa sul letto a non fare niente. Fuori dal corridoio sento voci sovrapporsi a passi, le risate profonde dei ragazzi spezzate ogni tanto da qualche urletto che sicuramente appartiene ad un paio di tette. 
Non sono neanche le nove del mattino, e già ho un sonno terribile. Tutto questo fa schifo. Sto giusto pensando di alzarmi per vedere che ora è, quando qualcuno bussa alla porta.
Mi si annoda lo stomaco in trenta modi diversi. Ginevra? Michael? Luke??
Infilo distrattamente le ciabatte e corro ad aprire. I polmoni mi si svuotano alla vista di un'infermiera con in mano una cartellina clinica e una penna a scatto. "Moonacre?" cinguetta sorridente. Annuisco, capendo di cosa si tratta. "La tua terapia è fra cinque minuti, tesoro. Se vuoi ti accompagno" dice mentre tira una riga con la penna sulla sua cartellina.
Esco chiudendomi la porta alle spalle, rassegnata.
"Chiami solo me?" le chiedo mentre camminiamo verso l'uscita.
"Chiamo solo i ragazzi nuovi" mi risponde mentre accelera il passo. Le saltello dietro, nei limiti che le mie ciabatte mi permettono.
"Lo sai vero, che non sono 'nuova'? È la terza volta che mi chiudono qua" ribatto scocciata. Mi dà un sacco di fastidio che chiamino un infermiera solo per farmi andare a una stupida terapia di gruppo. Pensano che non ci voglia andare? Mi conoscono più che bene, le persone qua dentro.
"Seguo solo il protocollo" mi risponde, sempre tranquilla. Alzo gli occhi al cielo.
Il gruppo mi aspetta in un edificio vicino al dormitorio, in un aula chiamata "PD" (cioè 'Panic Disorder'). L'infermiera apre l'aula e se ne va senza neanche guardare dentro.
Se solo assumessero persone che davvero tenessero a questo lavoro, questo posto sarebbe mille volte migliore. Ma del resto chi potrebbe amare lavorare in un posto del genere?
Mentre entro faccio per infilare le mani nelle tasche - inesistenti - della tuta, ritrovandomi a mettere le braccia conserte.
Tasche. Ho bisogno di qualcosa con le tasche e sicuramente mia madre non ne avrà portata neanche una. Non posso sopravvivere tre mesi senza mettere le mani in tasca.
Scuoto la testa per dissolvere i pensieri, guardando il gruppo. Quasi tutte le sedie sono occupate, tranne due: la terapista mi fa segno di sedermi su quella più vicina a me. Chino la testa e volo verso il mio posto. Qualcuno sta chiacchierando a bassa voce mentre altri si guardano nervosamente intorno come me, mentre la psicologa sfoglia la sua cartellina.
Qualcuno apre la porta: ha un bicchiere di polistirolo in mano con una cannuccia e un coperchio di plastica. È Michael.
La terapista alza un occhio e chiude la sua cartellina. "Michael, cosa ci fai qua?" chiede pazientemente.
"Lui non viene. Ci sono io al posto suo oggi"
"Vi abbiamo già spiegato che non funziona così" dice mentre la sua pazienza comincia evidentemente a sbriciolarsi. "Chiamo un'infermiera"
Michael si siede, noncurante. Si guarda intorno e mi strizza l'occhio, prima di alzarsi e dileguarsi.
Chi è 'lui'? mi chiedo mentre la terapista torna al suo posto.
Ma certo, penso mentre un piccolo pensiero si fa strada dalla mia mente alla mia pancia, facendola sprofondare per soddisfazione.
Luke.
Un'infermiera entra nella sala stringendolo per le braccia, che sono ferme dietro la schiena come se fossero legate da due manette.
Lui entra sorridendo, mentre si mordicchia le labbra. Si guarda intorno e poi si siede sconfitto. Neanche per un secondo il suo sguardo si ferma su di me: è come se ai suoi occhi fossi completamente invisibile. Quando l'orologio rintocca le nove precise, la psicologa finalmente comincia la seduta. Ci saluta tutti allegramente prima di cominciare a leggere qualcosa dalla sua cartellina. “Il primo attacco di panico, come il primo amore non si scorda mai. Però nel primo amore quasi sempre si è in due, nell'attacco di panico sei sempre da solo. ”
(Dario Vergassola)
Quando finisce, si ferma evidentemente per guardare le nostre reazioni: io però continuo a fissare un angolino del pavimento, girando i pollici e masticando la lingua concentrata sulle sue parole.
"Tu! Sei nuova, vero? Io sono Rosa. Tu?" mi chiede mentre inchioda le labbra in un sorriso di plastica. Mi rimetto nervosamente composta. "Da... Darcy" balbetto.
"Piacere di conoscerti, Darcy. Vuoi condividere con noi la tua opinione su quello che ho appena letto?" mi chiede abbassando gli occhiali per guardarmi negli occhi. Io distolgo lo sguardo, scuotendo la testa.
"Io penso che sia una gran cazzata"
"Che cosa, Luke?" esclama Rosa girandosi contenta di sentire qualcuno interessato.
"Romanticizzare gli attacchi di panico, o qualsiasi malattia del genere. La dovete finire di far sembrare queste cose delle passeggiate. Non c'è niente di bello in tutto questo e sicuramente la gran cazzata che hai appena letto l'hai presa da Tumblr" dice sbuffando alla fine.
Rosa sorride. "C'è qualcuno che vuole aggiungere qualcosa?"
"Io!" mi sento dire dal fondo della mia gola.
'Stupida capra!? perché lo hai fatto?' penso mentre schiarisco la voce.
"'Romanticizzare' in questo caso non è la parola adatta. Penso piuttosto che..." comincio a dire. Luke proietta il suo sguardo nei miei occhi e per un attimo perdo le parole. "Che..." provo a continuare. Le ho perse. "Che... tu abbia ragione" dico finalmente sospirando, in direzione di Rosa.
 
Novanta minuti di inferno dopo, Rosa ci fa uscire. Per tutta la durata della terapia Luke si è divertito a fissarmi. Quando mi giravo, al posto di voltarsi e fare finta di niente, continuava a guardarmi concentrato.
Mentre mi avvio verso le scale per tornare in camera, qualcuno mi mette una mano sulla spalla. Quando mi volto, vedo Luke, le braccia conserte e il mento alzato. Tutta la sua posizione lascia trasudare una pesante aria di superiorità e superbia: ma io che sono in questo mondo da che mi ricordo, so che c'è qualcosa sotto. "Si?" gli chiedo, leggermente distratta. "Questa sera, dopo il coprifuoco, ci stiamo vedendo in camera mia. Ma non portare Ginevra" mi dice facendo l'occhiolino e tornando indietro.
  
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