Capitolo
2 – State of Shock
Non
so quanto tempo passò prima che mi riscossi dallo stato di
shock in cui sembravo essere caduta. Per quel che ne sapevo potevano
essere passati minuti interi, o anche ore.
Comunque, fu come essersi risvegliati da una trance, ciò che
era successo nel frattempo rimaneva per me ignoto.
Michael Jackson era lì a qualche metro di distanza, cappello
nero in testa e camicia rossa, e l’unica cosa che volevo fare
era andarmene via il più lontano possibile. Ma avevo
promesso ai bambini che sarei andata a trovarli, come facevo ogni anno
prima di Natale, e poi non vedevo l’ora di riabbracciarli.
Feci un sospiro silenzioso e subito dopo un altro, non volevo farmi
notare, quindi spostai piano i regali vicino la porta e a passo lento
mi andai a sedere su una sedia in un angolo della stanza. Salutai
distrattamente con la mano alcuni volontari che si trovavano seduti,
anche loro intenti ad ascoltare il Re del Pop. Ormai non
c’era più nessun dubbio, quella che si prospettava
essere una bella giornata era appena diventata un incubo, un inferno, e
quel che era peggio, non c’era via di fuga.
Nel
mentre erano entrate anche mia madre e Claire.
Mi concentrai su di
loro, assicurandomi di avere in viso l’espressione
più terrificante di cui fossi capace. Con il sangue che mi
ribolliva nelle vene non fu per nulla difficile. Difatti, a
confermarmelo fu la faccia che fece Claire non appena si
girò verso di me. La vidi deglutire e sorridere, allo stesso
tempo preoccupata e imbarazzata. “Bene bene”,
sorrisi interiormente, almeno una piccola soddisfazione
l’avevo avuta.
Mia madre invece … Ah! Mia madre prima o poi mi avrebbe
fatto esasperare! Era talmente concentrata su Jackson che non mi
degnò di uno sguardo. Forse credeva di avere davanti a
sé una delle sette meraviglie o di trovarsi in un sogno da
tempo desiderato, non ne avevo idea, ma in viso aveva
un’espressione totalmente adorante.
Per
la terza volta da quando ero entrata in quella stanza, sospirai.
Stavolta però, dovetti averlo fatto in modo più
rumoroso, perché d’un tratto il signor Jackson
smise di parlare e per la prima volta ci guardammo
reciprocamente.
Non mi aspettavo di ritrovarmi puntati addosso gli occhi più
grandi che avessi mai visto. Nel mio inconscio sapevo che erano anche i
più belli. Ma fu un pensiero che non trovò
l’attenzione necessaria per emergere. Rimase sopito in un
angolo della mia mente, ero troppo occupata a contemplare
l’uomo che avevo dinanzi.
Ci furono pochi secondi di silenzio e, quando anche i bambini si
accorsero di me, si udì il mio nome pronunciato in coro. Ben
presto venni circondata da una marea di baci e abbracci. Ricambiai come
potevo, divertita da quell’ entusiasmo e anche commossa,
soprattutto commossa. Salutai tutti, ma fu un momento
che passò velocemente perché sapevo che
dall’altra parte c’era ancora il Signor Jackson e,
nonostante di lui non me ne importasse nulla, l’avevo
interrotto maleducatamente.
<<
Forza, su! Tornate dal Signor Jackson, non volete sapere il continuo
della storia? >>.
Come se si fossero appena ricordati di una cosa estremamente
importante, tornarono tutti ai loro posti. Sorrisi guardando la loro
reazione, quel giorno erano davvero incontenibili.
Scoprii Jackson lanciarmi
un’occhiata divertita prima di ricominciare a leggere il
libro.
Mi concentrai a tappare la bocca e tenere da parte qualsiasi sospiro o
gesto che potesse di nuovo creare disturbo.
Aveva una bella voce, questo era indubbio.
Parlava piano, quasi in un
modo delicato, e alternava ad una lettura veloce momenti di brevi
silenzi, riuscendo a creare molta suspense al suo piccolo pubblico.
A
guardarlo, dava l’impressione di avere due
personalità. Anche non conoscendo la sua fama si sarebbe
detto di lui che avesse qualcosa di straordinario, qualche talento
sconosciuto e che non fosse una persona come tutte le
altre. Eppure, vederlo in quella situazione di completa
normalità, seduto sulle mattonelle fredde del pavimento, con
le spalle rilassate, come un uomo qualsiasi, mi fece chiedere quale
delle due impressioni fosse la più veritiera. Era
più personaggio o più persona? Non mi diedi
risposta.
Sembrava assorto e totalmente concentrato sul libro, ma aveva anche
un’aria serena. Ogni tanto alzava gli occhi per guardare i
bambini, lanciava un breve sorriso e tornava a riporre
l’attenzione al suo racconto.
Era bravo ad interpretare ciò che leggeva. Non usava sempre
lo stesso tono di voce e questo gli permetteva di esprimere al meglio
il significato nascosto dietro ogni parola che enunciava e, allo stesso
tempo, si assicurava di non annoiare chi lo stava a sentire.
Doveva essere piacevole ascoltarlo per chi lo amava.
Per me, invece, era solamente irritante.
Nello stesso momento in cui chiuse il libro, i bambini iniziarono a
lamentarsi. Volevano sentire altre storie ma Jackson si
limitò a ridere e a dire che il bello sarebbe avvenuto in
quel momento perché avrebbero scartato i regali. In
verità, non sapevo di quali regali stesse parlando visto che
in quella stanza c’erano solamente quelli portati da me,
però bastò a far entusiasmare i bambini, che
adesso sembravano impazienti.
Compresi subito dopo che stesse parlando dei miei regali,
perché velocemente alzò gli occhi su di me, mi
sorrise e fece cenno di avvicinarmi.
Non mi mossi subito. Lo guardai alcuni secondi, incapace di muovere un
muscolo.
Dovevo avere una faccia davvero buffa perché rise con quella
sua risata che tanto avevo imparato ad odiare e che per questo mi
riscosse dallo stato di blackout in cui per l’ennesima volta
mi ero imbattuta.
Tornò ad intimarmi di raggiungerlo e così feci.
In pochi passi raggiunsi i bambini che adesso guardavano me, felici.
Sorrisi a mia volta.
<<
Isa, guarda chi è venuto! Michael Jackson! Guarda, guarda!
>>.
<<
Ehi Ricky, ma lo sai che anch’io ho due occhietti? Lo vedo
chi è >>, risposi ridendo.
Alla mia destra una bambina con i capelli biondi e il viso
più dolce che potesse esistere, mi si aggrappò
alla maglietta cercando di attirare la mia attenzione.
<<
Mi sei mancata … >>. Non era solo il viso ad
essere dolce.
Si chiamava Katy, aveva quasi quattro anni e da quando
l’avevo conosciuta occupava un posto speciale nel mio cuore.
La prima volta che la vidi era una neonata di sole tre settimane,
abbandonata a sé stessa vicino all’entrata
dell’orfanotrofio. Fui io la prima a trovarla e la prima a
darle un biberon pieno di latte mentre veniva cullata dalle mie braccia.
Mi abbassai al suo livello e le posai le mani sulle guance paffute.
<<
Anche tu mi sei mancata Katy >>, dissi in un soffio,
felice.
<<
Vieni, voglio presentarti una persona >>. Mi prese la
mano e mi accompagnò davanti al Re del Pop, che nel
frattempo si era alzato. Katy acciuffò anche la mano di
Jackson e portò entrambe ad avvicinarsi, fino a stringersi.
<<
Piacere, sono Michael >>, annuì leggermente e
sorrise. Aveva la mano grande e fredda.
<<
Isabella Hayden, piacere >>, risposi, in tono un
po’ distaccato.
Nonostante questo aveva ancora il sorriso stampato in viso.
Ero tesa come una corda di violino ed io odiavo dare
quell’impressione alle persone.
Avevo lavorato a lungo sul mio carattere. L’avevo rafforzato,
fortificato.
Non avrei più permesso di farmi vedere debole.
Eppure … eppure, avevo
scoperto che il dolore è un ottimo maestro di vita, ti aiuta
a crescere, ma una volta che si è presentato, si insinua in
te e viene fuori quando meno te lo aspetti sotto forma di paure e
incertezze.
Anche il carattere più forte avrà sempre momenti
in cui sarà considerato debole.
<<
Vedo che i bambini ti adorano, prima appena ti hanno vista sono corsi
da te >>.
<<
Sì, beh, vengo qui spesso. Sono tanti anni ormai che frequento questo
posto >>, dissi, in maniera più rilassata
possibile.
<<
Complimenti, è un bel gesto >>.
<<
Grazie, anche se non è molto, faccio quel che posso
>>.
<<
Credo sia il contrario invece. Non serve tanto per rendere migliore la
vita di qualcuno, delle volte basta anche solo regalare dei sorrisi, e
i bambini sono felici quando stanno in tua compagnia, quindi secondo me
fai molto per loro >>, disse, e dal tono che
utilizzò parve fermamente convinto del suo pensiero.
Sorrisi leggermente, avevo apprezzato il complimento.
Ad un tratto sentii tirare la mano che mi aveva preso in precedenza
Katy.
<<
Isa, possiamo aprire i regali? >>.
<<
Certo! Venite >>.
Andai vicino alla porta, dove erano rimasti i sacchi pieni di regali.
Per un attimo incrociai lo sguardo di mia madre, aveva uno strano
luccichio mentre mi guardava. Non mi soffermai nel chiedermi cosa
stesse pensando, anche se dentro di me qualcosa avevo intuito.
Una volta aperto il grande sacco, cominciai a distribuire ad ognuno il
suo regalo. Era fantastico vederli sorridere emozionati mentre
ricevevano il pacco incartato. In quel momento trasmettevano una
felicità tale che riuscivano a contagiarti e a farti vivere
quegli istanti come se fossi uno di loro, tanto che dopo pochi secondi
mi ritrovai a sorridere come un’idiota, neanche fossi
anch’io una bambina che doveva scartare il suo regalo. Mi
rendeva orgogliosa vederli felici grazie a me, mi sentivo come se fossi
parte del mondo, come se fossi viva e non rinchiusa nel mio solito
guscio. Dimenticai per un attimo l’irritazione che avevo
provato solo pochi minuti fa e mi abbandonai a quel clima di festa.
Ma mi sentivo osservata.
Cercai di non badarci, avevo una strana sensazione a riguardo, ma la
curiosità ebbe poi la meglio, così mi girai e le
mie supposizioni trovarono conferma.
Michael Jackson mi stava guardando.
Quando lo colsi sul fatto arrossì vistosamente e
girò lo sguardo verso i bambini.
Io invece rimasi con un sottile senso di disagio che mi
attraversò da capo a piedi.
A quel punto non sapevo chi fosse più rosso in viso, se io o
lui.
Quando fu tutto sistemato mi avvicinai a Claire, la quale era andata ad
assicurarsi che i bambini si stessero divertendo.
<<
Allora ragazzi, vi sono piaciuti i regali di zia Isabella e di zia
Elizabeth? >>.
<<
Siii! >>, urlarono insieme.
<<
Sono contenta >>. Batté le mani, in un gesto
di contentezza, e si girò nella mia direzione.
<< Ah, Isa, non so se tua madre te ne ha già
parlato, ma stasera avrei pensato di fare anche una festa di Natale. Lo
so che è in anticipo ma credo che sia il momento giusto
visto che i bambini sono emozionati per la presenza di Michael. E a
proposito, ci sarà anche lui stasera, è
fantastico! >>.
Cosa?!
Mi morsi la lingua, reprimendo un grido.
Avrei voluto dirle che, no, non era per nulla fantastico, ma era troppo
entusiasta ed io non volevo rovinarle il momento, quindi tenni il
pensiero per me.
<<
Beh, in effetti non ne sapevo nulla, ma non mi stupisco, dato che, a
quanto pare, non è stata l’unica cosa di cui sono
stata tenuta all’oscuro >>, risposi leggermente
piccata, notando con piacere che aveva colto il significato della
battuta, visto il sorrisetto imbarazzato.
<<
Eh eh! Ora vado dal signor Michael, questo è un giorno
speciale >> riprese, con il suo tono entusiasmante di
sempre.
Speciale, eh?
Come no, a me pareva più un incubo, quelli che non vorresti
più vivere perché riaprono vecchie ferite che in
realtà, non sono mai state chiuse.
Averlo lì, davanti ai miei occhi, che adesso rideva e
scherzava con i bambini, mi infastidiva terribilmente.
Con le mani cominciai a giocare con la zip della mia borsa, cercando di
passare il tempo e di distrarmi dai miei pensieri. Anche mia madre era
rimasta vicina al suo cantante preferito e sinceramente la cosa non mi
dispiaceva affatto. Quel giorno me l’aveva fatta troppo
grossa ed io ero ancora arrabbiata per poterle stare vicino senza dirle
qualcosa che di certo avrebbe messo in imbarazzo me e lei.
Mi sentivo un po’ sola, a dir la verità, e tradita, quindi
decisi di alzarmi e andare a prendere una boccata d’aria
fuori. Il movimento dovette aver catturato l’attenzione di
mia madre perché smise di parlare con Jackson ed entrambi mi
guardarono. Fecero cenno di avvicinarmi ma declinai l’invito
scuotendo la testa e facendo un sorriso rassicurante, per non destare
sospetti. Ebbi giusto il tempo di notare i loro visi perplessi prima di
girare lo sguardo.
Mi affrettai ad arrivare all’uscita e quando finalmente mi
trovai di fronte i meravigliosi paesaggi californiani tirai un enorme
sospiro di sollievo. Davvero, dovevo aver trattenuto
un’immensa quantità d’aria
perché sentii i polmoni alleggerirsi e le spalle rilassarsi.
Mi ero quasi sentita claustrofobica a stare in quella stanza.
Sorrisi, adesso più serena, potevo finalmente starmene in
santa pace.
*Spazio
autrice:
Prima di tutto grazie a GiulyJ, Diana_mj e RaffaellaMj per aver
recensito il primo capitolo. Mi avete reso felice.
Punto secondo … piaciuta la sorpresa??? Volevo farvi vedere
come mi ero sempre immaginata Isabella nella mia testa.
Adoro Vittoria Puccini (*__*), credo che sia un esempio lampante di
donna bella, elegante ed intelligente al tempo stesso.
E per questa storia non potevo non scegliere lei.
Come sempre fatemi sapere cosa ne pensate, sono ben accette critiche e
complimenti (<--- soprattutto
questi ultimi ahahah XD).
Al prossimo capitolo, ciao!