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Autore: Mikirise    27/07/2015    2 recensioni
Malcom sa bene che i figli di Afrodite, quando tutti loro sono occupati nella Caccia alla Bandiera, preferiscono sedersi sulle rive del lago e iniziare a parlare tra loro con aria complice.
Sa anche che i figli di Afrodite sono legati da un doppio filo, comprensibile ed incomprensibile allo stesso tempo per tutti.
Quello che non sa è che all'uscire con uno di loro si sarebbe sottoposto:
1. Alla gelosia dei fratellastri
2. Ad un combattimento all'ultimo shipping -o qualcosa del genere.
{Storia scritta per la challange One Hundred Alternative Universes, indetta dalla community campmezzosangue}
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Drew Tanaka, Malcolm, Mitchell, Piper McLean, Quasi tutti
Note: AU, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Forse il fatto che Piper sembrasse soddisfatta e sorridente, doveva, in un modo o nell'altro, fargli capire quello che stava succedendo.

Mitchell aveva alzato di nuovo la schiena, lasciandogli la mano e girando il busto verso i suoi fratellastri. Muoveva il piede nervosamente, facendo ballare la sedia sulla quale era seduto. Malcom gli posò una mano sul ginocchio e il moro sorrise.

"Cosa ne dici, Lacey?" Piper aveva un talento speciale per comandare, si vedeva, perché era completamente a suo agio, mentre batteva silenziosamente i polpastrelli sul tavolo di legno.

La bambina sembrava indecisa, mordendosi le labbra e passando il suo sguardo ai due sfidanti. Decisamente non sembrava sicura di quel che avrebbe dovuto dire. "Drew" sputò alla fine, probabilmente più per presa di posizione che per altro. "La sua storia, nonostante fossero entrambe piuttosto semplici, è stata più..." Inclinò la testa. "Incalzante. Come ritmo, dico. Pensa al punto di vista, ad esempio. È riuscita a mantenerne uno solo, senza annoiare, mentre Malcom, forse perché doveva inventare una storia su due piedi, ma ha faticato a mantenere una coerenza... ecco."

Malcom sbattè le palpebre. Mai pensato di aprire un giornaletto di critica? Quanti anni aveva Lacey? Dieci? "Uau" mormorò con un sorriso. Forse Lacey non votava contro di lui perché lo odiava a prescindere.

"Sono d'accordo" commentò pigramente Piper. "Anch'io la penso così. Quindi, per maggioranza, direi che Drew ha vinto il secondo round. Ehi tu," puntò un ragazzino distratto. "A quanto stanno?"

"Uno a uno?" rispose il figlio di Afrodite, simile a Mitchell, uno piccolo, con gli occhi scuri e un sorrisetto furbo. "Ma ho paura che il punto di Drew sia dovuto alla paura degli dei e a un cameo della giudice nella storia." Appunto.

"Oh, sta zitto." Piper alzò gli occhi al cielo. "Qui abbiamo cose più importanti a cui pensare."

Drew, che fino a quel momento era stata in silenzio, con quel suo sorrisetto da vipera, sciolse la tessitura che avevano formato le sue dita, intrecciandosi tra loro. E inclinò la testa, leggermente, indicando, proprio col dito, una Hazel presa a carezzare la criniera di uno dei pegaso nel Campo. Frank era a pochi passi da lei, intento a sentire uno sfogo di Grover sulla condotta di alcuni semidei romani nel Campo Mezzosangue. "Li shippo" mormora.

Malcom si chiedeva cosa le passasse per la testa, cosa stesse pensando e perché avesse preso a parlare così poco.

Poi lei iniziò a raccontare e Malcom dovette abbandonare le sue confabulazioni.


















#13 Faccio di tutto per scoprire l'identità di questo supereroe e tu cerchi di depistarmi perché in realtà sei tu!






 

Gold
















"Leo." Hazel schivò un colpo d'ascia, piegando velocemente la testa di lato, per poi correre dalla parte opposta del gigante davanti a lei. "Leo!" chiamò di nuovo, mentre s'infilava sotto i tombini della città, inseguita da quel gigante fatto di spazzatura e fango -o almeno così sembrava a lei. Per conferma avrebbe dovuto parlare con Leo, che, ehi, mica rispondeva. "Cavolo Leo!" Premette le dita sul suo auricolare, cercando di captare una risposta dal ragazzo in questione.

"Sono la Torre di Controllo. E in missione mi devi chiamare Firestorm. Ne abbiamo già parlato!” La voce del ragazzo la raggiunse con quel tono che sembrava essere molto offeso, e se lo immaginava con la sua tazza di latte in mano e gli auricolari attaccati alla testa, mentre inveiva davanti al computer. Hazel alzò gli occhi al cielo. Leo.

“Leo. Non so se te ne sei reso conto, ma sarei, tipo, inseguita da un gigante metaumano, che puzza come tua zia Rosa e che vuole, non so, uccidermi. E lo dovrei uccidere prima io, se tu mi dici come fare, certo.” Voltò la testa, cercando di capire, in mezzo al buio, quanto fosse lontano il gigante. "Quindi, Leo, dimmi come ucciderlo."

"Non capisco. Chi è Leo?"

"Giuro che appena ti vedo ti uccido" ringhiò la ragazza, vedendosi davanti a un vicolo cieco sotto le strade di New York, mentre il metaumano gigante la stava raggiungendo. Come lo aveva chiamato Leo? Golia? "Firestorm!" Hazel doveva essere impazzita per chiamarlo così -per essersi messa la tuta che aveva progettato per lei, per essersi messa dentro questa storia. E quel Golia stava arrivando e lei non sapeva che fare.

"Affogalo." La voce di Leo arrivò lapidaria. Nessun rammarico, né nient'altro, solo una sentenza.

"Cosa? Leo, non so se te lo ricordi: Percy non è venuto con me. Ci sono solo io. E non controllo l'acqua." Si guardò intorno. Era morta morta morta morta morta morta. Il gigante stava arrivando con quella sua stupida ascia, e i suoi piedoni da... era morta. "Leo!"

"Allora, uno, il nome da supereroe di Percy è Demigod ed è così che lo devi chiamare mentre siamo in missione..."

"Leo!"

"Sono Firestorm! E dai! Impegnati un po'... due, devi affogarlo sotto le macerie. Riesci a far crollare tutto quello che hai intorno a te, senza ammazzarti?"

"È uno scherzo?" Hazel stava iperventilando, cercando uno scorcio nel muro davanti a lei. I passi di Golia si fermarono e lei si voltò di scatto, lasciando che i suoi capelli ricci volassero sul suo viso. "Non c'è un altro modo?"

"L'unico modo per tenerlo buono. Come ha fatto David a uccidere Golia? Sassi. Altrimenti non ti avrei mandata, non pensi?"

Golia e la sua ascia erano proprio davanti a lei, con quel sorriso sadico e quel dito che sanguinava sulla lama dell'arma. Che schifo quel sangue. "Riuscirei a resistere qualche ora. Dove sei?"

"Sempre con te, Miss Sottosuolo." Per quanto la frase potesse suonare canzonatoria, Hazel capì che quella era l'ennesima promessa di Leo -quante volte l'aveva salvata da qualche strana situazione, sia nei panni di Firestorm che come semplice Leo? Sarebbe andato con lei, in quella missione, se solo il suo fuoco fosse stato utile contro Golia. E, a proposito di quel gigante, non era un po' troppo vicino a lei?

"Se non mi salvi, giuro su mio fratello che il mio spirito verrà a tormentarti la notte. Capito, Leo Firestorm? Se stai a litigare con quella Calypso, invece che a salvarmi, te la farò pagare." Aprì le braccia verso le pareti, con le dita ben aperte e distanziate tra loro. Golia si avvicinava ad un passo lento -"Cammina nello stesso modo in cui parlano i Dalek" avevano commentato Percy e Leo, davanti a degli irritati Hazel e Jason- e lei prese due o tre respiri profondi, chiudendo gli occhi.

"Questa volta potrei anche curarti le ferite" scherzò Leo.

Hazel sorrise, aprendo gli occhi dorati, chiudendo le mani a pugno e tirandole verso il suo stomaco. "Oh, lo sai che quello non è un privilegio tuo." E tutto crollò sopra di lei e Golia.













"Aaho" si lamentò la ragazza, strizzando gli occhi e stringendo la presa sugli angoli del tavolo, rannicchiandosi un po' su se stessa.

Frank sorrise con gentilezza, con quella sua espressione da orsetto abbraccia-tutti, che poco conveniva ad uno della sua stazza. Cercò di fare più delicatamente, poggiando il cotone sulla testa ferita di Hazel, che, comunque, continuava a fare espressioni doloranti e assolutamenre adorabili. Leo, dal canto suo, come sempre, girovagava per l'attico, con le mani dietro la schiena e cercando una scusa per scappare via. "Rispiegami la storia" disse il ragazzone, cercando di mantenere un aspetto sicuro. "Saresti caduta da...?"

"Da cavallo, Frank." Leo roteò gli occhi, girandosi verso di loro. "Airon oggi era nervoso. L'arrivo di Tempesta durante gli esercizi non ha aiutato. Mentre Hazel cercava di far trottare via Airon, quello si è messo a cavalcare, per poi impennarsi di colpo e far cadere Hazel. Visto che è arrivato nelle proprietà dei Laboratori Olympus, ho visto tutto e sono andato a prendere la tua ragazza, che adesso non è svenuta in mezzo a dei melograni geneticamente modificati grazie a me. Di niente, a proposito, Hazel." Niente da dire. Leo era un bugiardo perfetto.

Le cose erano andate un po' diversamente ma, ops, non tutte le relazioni sono fatte per essere basate sulla verità e la fiducia, a quanto pareva.

"Non ti poteva portare a casa qualcun'altro? Chiunque? Annabeth? Calypso?"

Hazel sorrise, prendendo una delle enormi mani di Frank tra le sue, piccoline e soffici -e che avevano ucciso qualcuno, qualcuno di cattivo, sì, ma lo avevano fatto e... le mani di Frank erano morbide e pulite. "Leo è stato un tesoro." Ed è inutile che fai tanto il geloso: è innamorato di un'altra. Una supercattiva che stordisce con la sua sola voce, Ninfae, che è bella da morire e che è arrivata nella vita di Firestorm prima che lui e Gold facessero la stupidaggine di volerci provare. Perché ai tempi, forse, Hazel-barra-Gold era innamorata di Leo-barra-Firestorm. Forse. Ma non è comunque una storia che Hazel poteva raccontare a Frank. Eh, no.

Poteva parlargli di Calypso, però, di quanto quelle litigate ai Laboratori Olympus sapessero già di coppia, di quanto fossero carini insieme, mentre discutevano su cose che lei nemmeno capiva. Calypso era una scienziata di non si sa bene che ramo della biologia, Leo un ingegnere - "Come i Fitzsimmons" sorrideva sempre Percy, ma nessuno, al di fuori di Leo, lo capiva mai. Quello lo avrebbe raccontato dopo, e, forse, quella tenera gelosia di Frank si sarebbe calmata.

"Sono solo preoccupato." Frank la guardò, seduta sul tavolo della cucina, con le gambe corte e un cerotto in testa, con quegli occhi dorati che lo scrutavano incuriositi. "Ultimamente ti fai più male del solito..."

Hazel lanciò uno sguardo preoccupato verso Leo, che non sembrava essersi gelato, né nient'altro. "Lo sanno tutti che Hazel è un'imbranata."

"Già." Un giorno, davvero, avrebbe ucciso quel ragazzo. Frank lo guardava con la testa inclinata, mentre sospirava. "Ma com'è andata a te la giornata? Clarisse ti ha fatto sparare contro una quercia?" Meglio cambiare discorso.

Il ragazzo sospirò, abbassando anche le spalle. "No," rispose con un sorriso stanco. "Ma oggi ho visto Gold in azione, finalmente."

Questa volta, anche Leo trattenne il respiro.



















"Lo sa." Hazel entrò nei laboratori con le mani sulle guance e un'espressione terrorizzata in volto. "Lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa lo sa."

Se si contavano tante altre squadre, probabilmente la loro era una delle più piccole. Una piccola squadra di supereroi che combattevano il male in una piccola parte di New York e nel New Jersey, quando proprio dovevano. Jason diceva che in California un vasto gruppo di supereori controllava la parte Ovest del paese, cercando di sconfiggere metodicamente tutti i supercattivi, ma ad Est, a New York, ci si arrangiava con quello che si aveva. A dirla tutta, a Hazel quel che si aveva sembrava tantissimo, ma non per questo quella doveva essere la realtà.

"Chi sa cosa?" Annabeth la guardò, quasi annoiata, bevendosi una tazza di caffè, davanti al suo computer, rivolta più a Leo, che seguiva la ragazza, che a Hazel stessa.

Quindi erano: Hazel, Leo, Percy, Jason e Annabeth. Solo loro cinque. Loro cinque contro i metaumani. Hazel, che aveva il potere della telecinesi e qualcos'altro legato alle allucinazioni e alla manipolazione della realtà; Leo, che oltre ad avere il controllo sul fuoco, era un cervellone, che aveva progettato e migliorato le loro tute da supereroi, nonché un sacco di armi, insieme a Annabeth; Percy, che aveva il controllo dell'acqua e comunicava con pesci e cavalli; Jason, che controllava l'aria e poteva volare. E poi Annabeth, che era un po' la Watch Tower del gruppo, colei che faceva in modo che tutti quanti tornassero a casa sani e salvi. E che occultava le loro vere identità, certo.

"Pensa che Frank possa capire che lei è Gold. Io le ho detto che Frank è stupido e non ci arriverà mai, ma non mi crede."

"Giuro che lo lascio a terra, morto."

"È colpa mia se ti scegli i ragazzi più stupidi?"

"Frank non è stupido!"

"No? Mr. Tarzan non lo è, Jane?"

Hazel era sul punto di scoppiare, prendere i capelli in testa tra le mani e staccarseli, ringhiare come una tigre e azzannarlo, non importava quante volte le aveva salvato la vita, non importava proprio. Forse, sì, questa volta sarebbero passati a litigare sul serio, se solo Annabeth non si fosse staccata dalla sua tazza di caffè e non avesse detto: "Penso che, se Frank ancora non sa niente della doppia identità di Hazel, sia perché lei ha già usato i suoi poteri su di lui, o no?"

I due si fermarono di colpo, sotto gli occhi grigi della bionda, che aveva alzato le spalle, incurante. Una fitta di colpa assalì Hazel. No, non aveva mai fatto niente del genere, per sviare i sospetti dei suoi cari, non aveva causato loro delle allicinazioni, aveva solo mentito, ma usare i suoi poteri... no, non poteva, non avrebbe potuto.

"Non capisco di cosa ti preoccupi, Haze." Annabeth tornò al suo computer e alla sua tazza di caffè, probabilmente si era appena svegliata e diceva le prime cose che le venivano in testa, ma quello... quello era suonato leggermente cinico e crudele e necessario. "Devi pensare al tuo bene e a quello di chi ami" terminò la bionda e, forse, quello sguardo lanciato a Leo era la promessa che nulla di quello che era successo a lui, sarebbe successo a lei.

"Forse dovresti lasciare che noi t'iniziamo a medicare" sussurrò appena il texano.

















"Percy, ti prego, ti scongiuro, no." La voce di Annabeth stava letteralmente distruggendo il timpano di Hazel, che aveva pensato a togliersi l'auricolare e tanti saluti. "Leo si può occupare di salvare le persone dentro la casa," Leo rispose uno Yep, prima di sorridere verso Hazel e alzare i due pollici in alto, correndo nella casa in fiamme. "Tu segui quel metaumano e portalo qui. Jason, portalo tu." Jason prese dalla tuta Percy, alzandosi in volo, e cercando di raggiungere -come lo aveva chiamato Leo? Badfire? Prometeo? Era un nome?

"Io che faccio?" chiese la ragazza.

"Ora facciamo una chiacchieratina tra donne."Annabeth ci mise un po' a continuare, forse perché stava cercando di rendere privata la loro conversazione, cosa che riuscì a fare, perché disse: "Ti devi occupare di Ninfae."

"Cosa? Dov'è?" Hazel prese a girare la testa a destra e a sinistra, cercando di trovare la figura della supercattiva in mezzo al buio della notte.

"Qui." Annabeth sospirò. "Proprio davanti a me. Torna alla Base, ora."



















Annabeth stava bene, e questa era una buona notizia. Il fatto che lei stesse bene, però, non fermò Hazel dal gettare addosso un'intero tavolo per bloccare la cattiva e per star sicura che non potesse neanche pensare di far del male a nessuna di loro.

"Hazel" chiamò dolcemente Ninfae, cercando di rialzarsi in piedi. "Hazel ascoltami. Voglio solo dimenticare."

La ragazza sgranò gli occhi, guardando verso la bionda, che si mordeva le labbra, nervosamente. "Come fa a sapere i nostri nomi?"

"Leo è un libro aperto, per chi lo sa leggere, vero Calypso?" Annabeth aveva le braccia incrociate e quell'espressione addolorata in viso, mentre si avvicinava verso la supercattiva, che rideva in maniera quasi isterica, passandosi una mano davanti agli occhi. "Vero?" ripeté, inginocchiandosi accanto a lei e non capiva cosa volesse fare, se abbracciarla, o farle del male, o entrambe. Le strappo solo la maschera dal viso, come era sempre giusto fare con i cattivi, ma lei... lei non era... lei era Calypso.

Hazel non voleva veramente trovarsi lì. No, non voleva. "Calypso?" chiese, perché, davvero? La stessa Calypso che le sorrideva tutte le mattine che doveva andare ai Laboratori Olympus, la stessa che si divertiva a creare nuove specie di rose, con la sua laurea in Biologia, o in Biotecnologie, chi la capiva quando iniziava a parlare di quella roba? Giusto Annabeth. Giusto Leo. Oh, Leo! La Calypso che tirava ortaggi a Leo, che prendeva con lui del the e che discuteva per qualsiasi stupidaggine... oh, Leo.

"Io... voglio solo dimenticare chi siete. Non voglio che... Hazel, devo dimenticare. Prima che Atlas sappia, toglimi tutte le informazioni su di voi dalla testa, fa in modo che voi siate al sicuro, che le vostre famiglie siano al sicuro. Io..."

"In carcere. Ecco che fine dovresti fare. Tu. Tu che distruggi le vite delle persone senza neanche un motivo, che fai del male che..." Annabeth doveva essere furiosa. Era rossa in viso e no, non sarebbe successo di nuovo a Leo. Lo avevano promesso. Si erano ripromessi di salvarlo da ogni tipo di situazione dolorosa. Sono stati i cattivi, si ripetevano in testa, a uccidergli la mamma, a far saltare in aria il fratello, a far scomparire il papà. Non un'altra vittima, non un altro dolore. Non aveva già sofferto abbastanza? "Tu..." Le tremavano le labbra e solo in quel momento Hazel si rese conto che anche le sue mani stavano tremando violentemente.

"Rinchiudicimi, allora." Calypso, Ninfae, la guardava dritta negli occhi. "Ma distruggete qualsiasi informazione nella mia testa che vi possa fare del male."

Toccava a Hazel. Annabeth le lanciò uno sguardo interrogativo. Cosa avrebbero dovuto fare?

Che la ragazza si avvicinasse alle altre due, non sembrò così strano. E Gold si guardò le mani. Non poteva cancellare dei ricordi, lo sapeva bene, non rientrava nelle sue capacità. Poteva fare un'altra cosa, però, che avrebbe fatto molto male alla sanità mentale di Calypso -Ninfae. Oh, Leo. Qual era la cosa giusta da fare? Cos'avrebbe dovuto fare, pensare, decidere? Se ci fosse Frank lì davanti, lei lo farebbe? Lei...?

Le toccò la fronte e gli occhi di Calypso persero luce, finché la ragazza non li chiuse.

"Cos'hai fatto?"

Hazel voleva mettersi a piangere. Cadde in ginocchio, vedendo davanti ai suoi occhi i ricordi modificati nella testa di Calypso. Lo amava. Lo amava. Dio, se lo amava. E lei l'aveva fatta diventare una possibile schizofrenica, con problemi a riconoscere la realtà e la fantasia. Pianse. Tantissimo. Oh, Leo. Scusa. Scusa. Scusami tanto.

Calypso riaprì gli occhi e non era più Calypso. Era Ninfae, che scomparve dalle mani di Annabeth in meno di due secondi. Scappata dalla prigione.

Nella fretta aveva anche dimenticato la sua maschera, che Annabeth teneva in mano, stringendola, nel pugno.


















Non voleva andare nei Laboratori Olympus, perché vedere la faccia sconvolta di Leo, quando Calypso lo aveva guardato come se fosse stato la feccia peggiore in questo mondo, l'aveva ferita nel profondo, e quello sguardo smarrito, quando Annabeth gli aveva detto che Calypso era una spia dei supercattivi -non avevano avuto il coraggio di dirgli che era Ninfae, non ancora, a piccoli passi-, era stato uno schiaffo. E lo sguardo vuoto, di quando gli aveva detto che era stata lei a modificare la sua memoria, era stato come sentirsi pugnalare al cuore e i suoi polmoni non funzionassero più e...

Leo aveva fatto una battuta. Ma sicuramente non stava bene. Si vede che ho occhio per le donne. Come avrebbero dovuto dirgli che Ninfae era Calypso? Perché risultava loro così doloroso, anche solo ammetterlo? Leo era una calamita per tragedie, si vede.

"I supereroi hanno una pausa pranzo?" La voce di Frank arrivò alle sue orecchie e Hazel sobbalzò.

"I poliziotti hanno una pausa ciambelle?" Seduta sulle scale anti-incendio del palazzo, Gold inclinò la testa, per poi incrociare le gambe intorno al tubo d'acciaio e lasciarsi scivolare a testa in giù, mentre Frank la guardava curioso. "Non penso."

“Qualcuno me lo ha già detto” borbottò Frank, pensieroso. E sì, che qualcuno glielo aveva già detto. Leo era un fermo sostenitore dei poliziotti, nonostante il suo carattere schivo e, a volte al limite della legalità e ripeteva in continuazione frasi contro lo steriotipo a loro affidato. Ma non era questo, quello che fece venire i brividi ad Hazel. Era il modo in cui le scrutava gli occhi, a preoccuparla.

Gold sorrise. Alzò il palmo della mano e Frank non la vide più.

















Frank era entrato in fissa con questa storia che voleva andare a trovare Leo a lavoro.

Non c'era niente di strano, si era detta Hazel, mentre nel tram guardava fuori dalla finestra. Ultimamente non gli aveva raccontato niente che riguardasse Leo e Calypso e, l'ultima volta che aveva visto il texano, lui sembrava molto triste, quasi col cuore spezzato e Frank poteva sembrare essere ostile a Leo, poteva sembrare che gli stesse antipatico, ma in realtà gli voleva un bene dell'anima. In realtà di poteva preoccupare tanto per lui.

Hazel aveva volutamente ignorato il fatto che il suo ragazzo osservasse i suoi occhi con molta più frequenza e con molta più intensità. Non era una cosa che doveva importare. Perché se le conseguenze fossero state le stesse di quelle di Calypso, allora grazie, ma no grazie.

“È strano” aveva detto Frank, seduto sul tavolo della mensa dei Laboratori, con al suo fianco Hazel e Leo, che mangiava a testa bassa e parlava pochissimo.

Ma lui non parlava di Leo. Aveva gli occhi puntati su Calypso, che mangiava da sola, su un tavolo circolare e sembrava star parlando da sola. Poco prima, la ragazza aveva tirato in testa una melanzana al texano, gridando di star lontano dal suo giardino -come i vecchietti. Ma lei non stava più scherzando. Dopo aver lanciato quella melanzana, non aveva sorriso verso Leo, non aveva fatto una battuta. Aveva ringhiato e se n'era andata. “Cos'è…?”

Calypso si alzò di colpo dal suo tavolo, facendo cadere la sedia dietro di lei. “Questo non è vero!” gridò al nulla, per poi guardarsi intorno e rendersi conto che tutti la stavano guardando. Hazel sapeva che non riusciva più a distinguere con chiarezza finzione e realtà e sapeva anche che era colpa sua. E voleva andare da lei, e dirle che tutto andava bene, che sarebbe migliorato col tempo, se non si lasciava andare, ma poi ricordava chi era e si fermava. E stava zitta.

Frank guardò Leo, che chiuse gli occhi nello stesso modo in cui avrebbe fatto se fosse stato colpito e aggrottò le sopracciglia. “Dovresti andare a parlarle.”

Annabeth lo fermò col solo sguardo. Leo abbassò la testa, facendo toccare la sua guancia alla spalla. “Abbiamo fatto la cosa più sicura, per Leo” ripeteva sempre la bionda, alla riccia, che vedeva quello che stava succedendo a Calypso come un avvertimento -potrebbe succedere a Frank.

Abbiamo fatto la cosa più giusta?
















“Hanno preso dei poliziotti.” La voce di Leo avvertì Jason e Hazel, che si fermarono di colpo, aspettando che continuasse con le notizie e le indicazioni. “Jason, dovresti occuparti dell'ostaggio. Non penso che sia una buona cosa che Hazel si avvicini troppo al grattacielo.”

“Perché?” Hazel alzò gli occhi verso il piano più alto del palazzo, mentre Jason si preparava a prendere il volo.

“Problemi tecnici” intervenì la voce di Annabeth. “Saresti troppo distante dalla terra per poter usare i tuoi poteri di telecinesi e saresti più d'impiccio che d'aiuto. Creeremo una una trappola e tu devi essere pronta ad intrappolare il metaumano quando cadrà da lassù. Va bene?”

“Okay” annuì la ragazza, facendo cenno di approvazione verso Jason, che con un sorriso prese il volo.

Si guardò intorno per qualche secondo, vedendo alcuni civili correre spaventati e gridare nel panico. Sospirò. Doveva aiutare. Prese a creare delle vie sicure, perché nessuno si ferisse e assicurando che il metaumano non avrebbe fatto ulteriori danni. Salvò due bambini dalla caduta di grossi mattoni e un paio di macchine dovettero frenare di colpo, vedendosela davanti, gridando di portare via chiunque potessero portare via. Poi alzò gli occhi verso l'alto e le sue iridi dorate divennero due sottili linee tra le luci notturne.

“Jason” chiamò, non sentendolo più battibeccare con Percy che, probabilmente, seduto accanto a Leo e Annabeth, stava mangiando qualche dolcetto blu, preparato dalla mamma. “Jason?” Nessuno rispondeva, come se l'avessero isolata dalla comunicazione della loro squadra. Non di nuovo.

Una bambina le tirò la tutina, con degli occhioni pieni di lacrime perché non trovava più sua sorella, perché doveva proteggere sua sorella e non ci stava riuscendo e…

Hazel l'aveva data in custodia ad un poliziotto giovane che guardava il cielo, come lei, tenendo in mano un walkie-talkie. “Tienila al sic…” stava dicendo, quando, finalmente, sentì un rumore provenire dal suo auricolare.

Un urlo tanto forte da farle posare la mano sull'orecchio. “No!” Lo scoppio di Jason. “Annabeth. Annabeth! È…”

“Raggiungilo.”

Hazel assottigliò di nuovo lo sguardo, puntando gli occhi verso l'alto, mentre la bambina e il poliziotto indicavano qualcosa che cadeva dall'ultimo piano del grattacielo. La figura di Jason, fasciata nella tutina anche troppo aderente progettata da Annabeth -adoravano metterlo in imbarazzo-, cercava di raggiungere il primo oggetto in caduta libera.

“Hazel. Quello è Frank.” Leo parlava a bassa voce, cerando di sembrare calmo, cercando di non agitarla troppo. “E se non trovate un modo per non farlo schiantare a terra, morirà.”

Le mancò il respiro, mentre riusciva a sentire un ceffone arrivare sulla nuca dell'amico e un lamento ovattato, mentre i suoi sensi mettevano a fuoco Frank. Frank che cadeva. Frank che sarebbe potuto morire. Una rete una rete una rete. Deve trovare una rete e stenderla e fare in modo che Frank non si spezzi l'osso -perché sì, Leo le ha raccontato che fine fa Gwen, la ragazza di Spider Man, e no, non era esattamente quello che più desiderava.

Una rete una rete una rete una rete una rete.

Aprì il cofano della macchina della polizia e iniziò a cercare e si sentiva dannatamente lenta e voleva morire.

Jason lo salvò.

Salvò Frank, che era ferito, che aveva del sangue che cadeva copiosamente da… dappertutto. E lo teneva come un gattino, per paura di fargli del male e fermarlo con troppa bruschezza -perché potevano anche chiamarlo Superman Biondo, ma conosceva l'esistenza della fisica: dopo averlo afferrato aveva preso a cadere con lui, rallentandone la velocità e salvando il sedere dei cittadini newyorkesi.

Hazel si buttò su di loro, con niente in mano, perché normalmente i poliziotto non si portano teli, o reti, nel cofano e se fosse stato per lei Frank sarebbe morto. Prese tra le mani il viso del ragazzone, piangendo sollevata e stando attenta a non fargli del male.

Voleva ripetere il suo nome, abbracciarlo, baciarlo, dirgli quanto si era sentita spaventata, ma non lo poteva fare. Jason la prese per la spalla, per riportarla alla Base e Hazel non ci voleva tornare alla Base, voleva che quei cavolo di paramedici arrivassero e mettessero in salvo il suo Frank, o per lo meno lo portassero all'ospedale, in cui lei li avrebbe seguiti anche subito, per stare certa che...

"Dov'è il metaumano?" chiese, cercando gli occhi azzurri di Jason, che sospirò, sentendosi quasi in colpa.

Certo, ovviamente.

Il metaumano aveva gettato Frank come diversivo e poi era scappato via, a fare festa con la sua banda di supercattivi, trai quali c'era anche Ninfae che saltellava felice e incurante del dolore che causava. Perché sembrava che i supercattivi vincessero sempre. Sempre. Hazel ci provava, a non pensarci, a ignorare quanto tutta la sua squadra avesse perso a causa dei cattivi e di quanto i cattivi, in realtà, potessero essere non cattivi a volte.

I paramedici arrivarono dopo che Jason prese di forza Hazel, caricandosela sulle spalle e portandola verso la Base -freddo e calcolato, come sempre: Jason era un soldato, non dava tempo ai sentimentalismi, se questo era inconveniente.

"Annabeth." La testa di Hazel era a penzoloni, attaccata alla schiena del biondo, che aveva già preso il volo, ma la sua voce uscì tremendamente seria, tanto da far paura a tutta la squadra. "Non decidere mai più cos'è conveniente che io sappia."

"Non essere ipocrita." Tutti sentirono la sua risposta, Hazel ne era certa. Se la immaginava seduta, ancora davanti al suo computer, che beveva altro caffè. "Come se tu non avessi mai fatto delle scelte discutibili solo per tenere in salvo un'amica."

Che Annabeth fosse così lucidamente eroica, faceva paura.













Frank aveva uno sguardo strano, sdraiato sul letto dell'ospedale, seguendola con gli occhi, silenziosamente. Hazel fece finta di niente, sistemando un vaso di fiori accanto a lui - "Me li manda Calypso?" "Calypso non ha niente a che fare con noi."- Sistemava i petali di rose con uno zelo che normalmente non avrebbe avuto e, di tanto in tanto, si girava verso di lui, sorridendo incerta.

"Dopo essere caduto" dice ad un certo punto il ragazzo, carezzandosi la fronte. "Penso che Gold fosse accanto a me. Non so perché. Credo piangesse."

Hazel si sedette su quella poltrona vicino alla finestra e arricciò le labbra. "Mi offendo a sapere che nel momento di una possibile morte, il mio ragazzo sogna una supereroina e non me."

Frank arrossì violentemente, balbettando parole senza senso, probabilmente scuse, che comunque la sua ragazza non voleva sentire.

Bastava che non capissse chi era Gold, no?











La tensione all'interno della squadra era palpabile e poco serviva che Percy facesse battute e cercasse di farli ridere tutti: Hazel era sul punto di lasciare tutto e fare, finalmente, quello che lei credeva giusto, seguendo il suo cuore e nient'altro.

Che Annabeth volesse seguire il suo cervello, le dava fastidio e che avesse il controllo di tutte le loro azioni in missione non era qualcosa che le faceva piacere. In più, quel soldatino di Jason, che le dava ragione a prescindere -"La nostra prima missione è far tornare tutti a casa, sani e salvi. Conoscendoti, vedendo Frank cadere ti saresti buttata dietro di lui e poi? Chi avrei dovuto salvare? Come avrei fatto a riportarci a casa? Non puoi pensare solo ai tuoi sentimenti, in battaglia."- le dava così sui nervi da voler prendere a calci entrambi i biondi. Ma sapeva che non l'avrebbe mai fatto.

Hazel non era, comunque, utilizzabile in missione, non in quella situazione, quindi niente. La lasciavano nella Torre di Controllo e quella volta in cui Ninfae stava per uccidere Firestorm, la ragazza stava soffrendo dentro e voleva chiedere scusa a Leo e sentì un battito del suo cuore fermarsi, quando lui disse: "Qualcosa mi dice che Calypso è ancora piuttosto arrabbiata con me, eh?"

E se Leo non si era arrabbiato con loro, per essere stato protetto in una maniera così poco giusta, che diritto aveva Hazel di tenere il broncio?













Successe che una volta Gold aveva fatto cilecca con i suoi poteri. Era successo una sola volta e, sì, forse Jason e Annabeth avevano ragione e Hazel era completamente inutile quando era sotto pressione, o quando voleva proteggere le persone che amava.

Percy e Frank erano dietro di lei e il palazzo stava crollando su se stesso. C'era Chris, un altro poliziotto, un po' di metri più in là e Hazel, in un primo momento, sentendo Leo che le diceva che la casa aveva la particolarità di essere stata fatta con la struttura di pietra, perse il controllo sui suoi poteri e una trave stava per cadere su Percy. Hazel aveva alzato la mano, cercando di fermare la trave e se l'era rotta. Dopo che Annabeth le aveva gridato di non pensare a chi le stava intorno, ma al fatto che doveva salvare molta più gente - "Te l'ho detto. In missione cerca di essere più fredda possibile."-, Hazel aveva fatto in modo che l'edificio reggesse finché tutti furono fuori, al sicuro.

Ma si era comunque rotta una mano.

"Cosa ti è successo?" Frank tornato da una missione chiede a Hazel cosa le è successo. Uno dei paradossi della loro vita. Anche il fatto che l'avesse chiamata per essere sicuro che si facesse trovare a casa sua, per poter fare quella cena che avevano deciso di fare così tanto tempo prima, sarebbe stato strano, se non fosse stato Frank a chiederlo.

"Perché?" Hazel sembrava distratta, ma questo perché era appena entrata dalla finestra del bagno nell'appartamento. Aveva dovuto correre come una forsennata e cercare di riprendere fiato, prima che Frank entrasse dalla porta, e anche fingere di star preparando qualcosa -quando tutti e due sanno che lei non sa cucinare, ma compra tutto dal ristorante all'angolo... a proposito, dov'e Jason con la cena? Doveva portarle la cena... oh, e adesso come farà?

Frank fece un gesto con la mano e Hazel cercò di imitarlo, rendendosi conto, però, di non poterlo fare, a causa della fasciatura intorno al suo polso e sul suo palmo. Oh, quello.

"Cos'è successo a te" chiese lei, cercando di prendere tempo e indicando la sua andatura zoppicante. Una buona bugia richiede tempo.

"Uno di quei criminali che vuole distruggere New York."

"Un metaumano?"

"Lo fai suonare divertente."

Hazel sorride e no, non è divertente, ma che importa? Jason ha lasciato il cibo davanti alla finestra della cucina, Frank non se n'è accorto e si spera che abbiano dimenticato la mano fasciata.

"Tu cosa ti sei fatta?"

"Rissa ai Laboratori. Dovresti vedere l'altra." Okay, cosa stava dicendo?

"Cosa?"













Si vedeva lontano un miglio che Hazel non sapeva mentire e forse Frank stava iniziando a capire tutto.

“Dobbiamo trovare un modo per confondere le acque.” Annabeth, seduta sulla sua sedia del Laboratorio, masticava nervosamente una matita, lanciando degli sguardi preoccupati agli altri membri della squadra.

“Potremmo tenere Hazel fuori dalle missioni” iniziò Leo, giocherellando con un cacciavite. “Con i suoi poteri potrebbe dare l'illusione che Gold sia accanto a noi a combattere i cattivi e massacrare gente, mentre se ne sta qui, o in un posto in cui Frank la possa vedere.”

“È un buon piano” annuì Jason, incrociando le braccia, accanto all'enorme finestra che dava sulla città. Si guadagnò, suo malgrado, un'occhiataccia da parte di Percy, che stava seduto accanto alla più piccola, con una smorfia. “Fallo.”

Hazel si grattò la guancia con un io, lanciando uno sguardo ai suoi compagni. Ovviamente l'unico contrario a questo piano era Percy, che continuava a sbuffare.

Percy odiava mentire a chi voleva bene.

“Va bene. Un nuovo periodo alla Torre di Controllo, allora” sospirò la ragazza. "In pratica la schiavetta degli eroi..."

"Voglio una coca-cola, Torre di Controllo!" gridò divertito Leo, poi sorrise verso di lei e andrà tutto bene, vedrai.


















"Perché nascondersi dietro una maschera?"

Hazel stava per sputare tutto il latte che aveva in bocca. Si trattenne appena in tempo, tappandosi la bocca con la mano e girandosi verso la finestra del bar. "Come?"

"Perché Demigod, o Firestorm, o Gold, si nascondono dietro una maschera? Insomma, non fanno cose cattive, no? Non dovrebbero essere fieri di quello che fanno?" Frank sembrava veramente sopra le nuvole, con le sue grandi mani intrecciate sulla tazza gli occhi scuri puntati chissà dove.

"Ancora con la tua cotta per Gold?"

Il ragazzo posò il suo sguardo su di lei e inclinò la testa. Ultimamente Hazel era strana. Cioè, parlava in modo strano e diceva tantissime bugie. Frank non era stupido. Lanciò un'occhiata alla mano fasciata della ragazza. Gli vennero in mente gli occhi dorati di Gold, che davvero, sembravano tanto simili a quelli di Hazel. No, davvero, Frank non era stupido. "Domani non posso cenare a casa tua. Lavoro..."

"Se vuoi ti raggiungo" sorrise Hazel dolcemente. "Così Clarisse non ti potrà bullizzare mentre mangi."

Lì ti volevo.



















"È una cavolata."

"Tu fallo"

"E che mi dai?"

"Cosa vuoi?"

"Tu sai cosa voglio."

"No, guarda, non è che lo so. Se mi dai un indizio..."

"Beh, sai no? Magari con Clarisse..."

"Che c'entra Clarisse?"

"Beh, potresti aiutarmi, diciamo."

"Cos- oh! Ah, okay. Che schifo. Cioè, va bene."

"Allora dovrei fare questa cavolata, così, giusto perché tu credi in cosa?"

"Io non ho fatto domande su Clarisse, Chris."














“Sta controllando i tabulati telefonici. E le apparizioni di Gold.” Annabeth sospirò, passandosi una mano sulla fronte, mentre Leo, accanto a lei, cercava di bloccare le informazioni dal cellulare di Hazel, perché nessuno potesse più controllare le informazioni della sua SIM. Non sembrava starci riuscendo. Se avesse avuto il cellulare a portata di mano, forse, ce l'avrebbe fatta, ma il cellulare della ragazza -che si mordeva nervosamente le labbra, dietro di loro- era stato rubato qualche giorno prima, mentre lei e Frank si stavano dirigendo agli studi Olympus. “Non ci vorrà molto prima che faccia due più due.”

Leo si girò verso l'amica, con le labbra incollate tra loro, in un'espressione preoccupata. “Il cellulare è nella stazione di polizia dove lavora Frank. È sicuramente lui. E deve aver reclutato Malcom per proteggere le informazioni.”

“Sì, ma perché? Ultimamente sono stata fuori dal campo e…”

“Anche Gold” la fermò Annabeth. “Perché per un motivo o per un altro, tutte le volte che entravamo in azione, era impossibile contattarti. Eri sempre con Frank.”

“Calmiamoci un attimo. Frank non è poi così furbo. Dai. È un… un poliziotto che si fa prendere in giro dalla sua ragazza da quanto? Tre anni? E questo perché ha sempre aspettato che Hazel gli dicesse tutto. Non l'ha mai forzata a…”

“Pensi non sia lui?”

Leo arricciò le labbra. No, sicuramente era stato Frank. Tutte le prove conducevano a lui. Quindi sicuramente sarebbe stato così. “Dico che non sembra da lui, ecco.”

“Pensavamo la stessa cosa di Calypso” azzardò Hazel, continuandosi a mordere le labbra. “Magari è un supercattivo e non me ne sono mai resa conto… in fondo, cosa mi dice il contrario?”

Annabeth guardò i due ragazzi, per poi sospirare e riprendere a maneggiare con il computer per controllare le mosse dei poliziotti. Si erano fermati.

“Non voglio fare quello che ho dovuto fare a Calypso” mormorò Hazel e suonò così egoista alle sue orecchie, sotto lo sguardo di Leo, che sarebbe voluta morire in quel momento. Ma lui non disse niente e aspettò che qualcuno dicesse qualcos'altro. Perché lui non voleva proprio parlare.

“Forse dovresti dirglielo. Che sei Gold, dico. Tutti i gruppi hanno un alleato nelle centrali di polizia e…” Annabeth deve schioccare la lingua sul palato. “Potrebbe essere una scappatoia.”

Le due ragazze lanciarono un'occhiata a Leo, che continuava a torturarsi le mani, Dio solo sa pensando a cosa.

“Se è per salvare la mente di Frank, fatelo.” Annuì. “Una vittima in più non fa giustizia.”

Nella centrale di polizia avevano ricominciato a cercare le prove dell'identità segreta di Gold.











Le ragazze avevano abbandonato Leo, ognuna per andarsi a fare gli affari suoi. Hazel, sicuramente a progettare la sua rivelazione a Tarzan là, mentre Annabeth aveva in programma qualcosa come una maratona di film romantici da guardare da sola -come fanno le vere donne.

Lui non aveva piani. In realtà li aveva avuti, ma quella chiacchierata con le ragazze gli aveva chiuso lo stomaco e la voglia di fare qualsiasi cosa. Bon che non volesse Frank salvo! Lui voleva bene al ragazzone ma…

Giocando con il cacciavite, prese a martellare su un piccolo marchingegno che stava portando a termine grazie al progetto di Annabeth. Probabilmente lo avrebbe rotto per poi ricorso ruolo dal nulla quella notte.

Stava giusto per prendere il martello quando…

“Leo.”

Il ragazzo alzò lo sguardo, guardando stupito la persona che stava in piedi sulla porta. “Cosa…?” prese a chiedere.

“Io so chi sei.”















Hazel stava respirando con fatica, mentre Frank la guardava con quello sguardo innocente. Le aveva preso le mani e sembrava volerla incoraggiare, alzando un sopracciglio. Sembrava veramente non sapere nulla di quello che sarebbe potuto uscire dalle labbra di lei.

“Sono Gold” sputo fuori, chiudendo gli occhi e aspettando una reazione negativa da parte di Frank, che semplicemente inclinò la testa.

“Okay.”

“Okay? Solo okay?”

Frank aggrottò le sopracciglia e sorrise. “Okay. Ho una cotta per Gold. E tu non puoi essere neanche gelosa di te stessa.” Strusciò il pollice contro la mano piccola di Hazel, che continuava ad essere piuttosto confusa dalla sua reazione. “E poi quante persone conosco coi tuoi stessi occhi?”

“Sapere no. Intuivo qualcosa. Le ferite, gli appuntamenti posticipati, eri anche strana. Ho provato a tenerti più vicina possibile per vedere quando scomparivi, ho fatto domande sui supereroi e poi ho cercato di prendere il tuo cellulare, ma quando ho provato a farlo non ce lo avevi più. Si vede che sei furba.”

“N-non hai tu il mio cellulare?”

“Perché mai dovrei rubartelo?”

I due si guardarono per qualche secondo e Hazel prese a sudare freddo. “Chiama Leo” ordinò, alzandosi in piedi e prendo a camminare intorno al tavolo.

“Cos-? Perché dovrei…?”

Ma Frank non finì la frase. Il suo cellulare iniziò a squillare e lui alzò il suo sguardo su Hazel, prima di aggrottare le sopracciglia e frugare nelle sue tasche. Era Leo. Ma cosa cavolo…?

“Leo?” rispose al cellulare, senza distogliere gli occhi dalla sua ragazza, che sembrava ancora più allarmata dopo questa strana coincidenza - “Raramente l'Universo è così pigro.”

“Calypso” rispose Leo. La sua voce era ad intermittenza e sembrava faticare molto per parlare. “…perché ma… ho paura che… Laboratori Olympus… non… io. Chris Rodriguez… venduto. Capito? Non… lei ricorda o… scoperto… forse è stata lei… ci sono tutti… pericolo.”

La telefonata si chiuse da sola. Frank rimase per qualche momento immobile, guardando fisso davano a sé. “Leo è in pericolo. Cosa non doveva ricordare Calypso?” Entrò nei panni del poliziotto, girando da una parta all'altra della stanza, caricando una pistola e andando a prendere un giubbotto anti-proittili.

A Hazel fu di nuovo tolto il respiro e la paura di quello che sarebbe potuto succedere a Leo a causa di un suo lavoro fatto male la stava facendo sentire inutile, un'idiota, male. “Lei è Ninphae” riuscì a sussurrare e Frank sbatté le velocemente, come colpito da una rivelazione.

“Andiamo. Ho bisogno di un Super per salvare Leo.”

“Anche lui è un Super.” Hazel lo seguì chiudendo la porta dietro di loro e cercando di mantenere il passo con quel gigante.

Lui aggrottò le sopracciglia. “Altre confessioni dopo, per favore.” Davanti alla porta del condominio, Frank si fermò di colpo, girandosi verso la ragazza, che andò a sbattere contro la sua schiena, connub leggero lamento. “Devi stare attenta” disse lui, guardandola. “Non potrei vivere senza di te.”

Lei sorrise, prima guardando per terra, rossa, poi si alzò in punta di piedi e gli lasciò un leggero bacio sulla guancia. “Vale lo stesso per me.”
























Note:
Cosa? Ah, sì. La storia finisce così. Sorry (ho bisogno di più supereroi in giro…)  
  
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