Anime & Manga > Binan Kōkō Chikyū Bōei-bu Love!
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Autore: MystOfTheStars    28/07/2015    2 recensioni
Si sa, l'unica cosa in grado di sconfiggere anche le più potenti e oscure tra le maledizioni è, naturalmente, il potere del vero amore.
Il neonato principe En viene maledetto da un demone malvagio e l'incantesimo oscuro potrà essere spezzato solo da un bacio. Tuttavia, sarà davvero difficile - se non impossibile - per i suoi tre spiriti guardiani riuscire a crescere il principino nel cuore della foresta, cercando anche di fargli trovare la persona giusta di cui innamorarsi. Per fortuna, il ragazzo potrebbe riuscire a trovare l'amore anche senza il loro aiuto...
[EnAtsu, IoRyuu, con la partecipazione di - quasi - tutto il cast dell'anime]
Genere: Fantasy, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Atsushi Kinugawa, En Yufuin, Kinshirou Kusatsu, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Un brevissimo appunto: questa è la compilation che ascolto la maggior parte del tempo quando scrivo questa fanfiction.
E' diventata un po' la colonna sonora di questa storia e credo sia un buon accompagnamento anche per la sua lettura!


 

 

Capitolo III

 

In un sogno

 

 

 

En dormiva, lungo disteso all'ombra di uno degli abeti del bosco, una mano dietro la nuca e l'altra appoggiata sulla pancia. Dal cestino di vimini che aveva accanto fece capolino uno scoiattolo. In equilibrio sul bordo e a naso fremente, si fermò ad annusare l'aria, perplesso.
Come vide l'animale, Atsushi si immobilizzò per non spaventarlo.
Cautamente, mosse qualche passo, cercando di non fare rumore, sia per non far scappare il roditore che per non svegliare il ragazzino. A metà strada, però, si disse che era una cosa stupida, visto che era arrivato fin là proprio per En - e poi, lo scoiattolo ormai l'aveva annusato ed aveva deciso di tornare in fretta e furia al riparo degli alberi.
Una foglia si staccò da uno dei rami più bassi, disturbata dalla foga dell'animaletto, ed atterrò sul dorso della mano di En. Questo tirò su col naso ma, per il resto, non si mosse di un millimetro.
Era davvero addormentato come un sasso.
La luce che filtrava dal fogliame del bosco creava sul suo volto un gioco di chiaroscuri cangianti, sottolineando ora la forma ancora infantile e tonda delle sue gote, ora quella già più affilata e matura dei suoi zigomi - nemmeno gli improvvisi raggi di sole che colpivano le sue palpebre chiuse sem­bravano avere il potere di smuoverlo.
Atsushi esitò. Forse En non voleva davvero essere svegliato, forse avrebbe preferito continuare a dormire invece di incontrarlo. Rimase fermo, in piedi accanto alla pozza, sfregandosi le mani senza sapere che cosa fare.
Dopo un po', però, decise che il fruscio dell'acqua nella fonte avrebbe comunque coperto i suoi pas­si ed andò a sedersi sul manto di aghi che copriva le radici degli abeti. Lì accanto, En, ignaro del suo arrivo, continuò a dormire.
Atsushi estrasse un libro dalla borsa che aveva a tracolla e iniziò a leggere.
Il romanzo non era lo stesso di quello che aveva con sé quando lui ed En si erano incontrati per la prima volta, qualche giorno prima, quello l'aveva già letto... fino a dove aveva potuto, almeno.
La verità era che si era completamente dimenticato della promessa fatta ad En quando si erano salu­tati e, nei giorni successivi, era stato troppo impegnato ad andare avanti con il romanzo per ricordar­si di tornare nel bosco. Poi, però, proprio sul più bello, la storia si era interrotta: le pagine che contenevano il finale del romanzo dovevano essere finite chissà dove nel bosco, lasciando bene in vista la rilegatura sfilacciata al di sotto. Deluso, Atsushi era stato bruscamente riportato alla realtà, nonché alla promessa che aveva fatto.

"Non ti sei perso, questa volta."
Atsushi alzò gli occhi dal libro. Assorto com'era nella lettura, non si era accorto che l'altro si era svegliato. Scosse la testa.
"No, ho imparato la strada... Credo."
Era stato strano, ora che ci pensava. Era tornato alla radura dopo cui aveva perso la strada la volta precedente e, da lì, si era infilato a caso in mezzo agli alberi, ma non aveva dovuto camminare mol­to per ritrovare la fonte. Tuttavia, a ripensarci ora, non avrebbe saputo dire che strada aveva percor­so per arrivare fin là.
En si stiracchiò, senza preoccuparsi di soffocare uno sbadiglio. Non appariva affatto sorpreso di es­sersi ritrovato Atsushi di fronte al risveglio, anzi, sembrava che per lui fosse la cosa più naturale del mondo.
"Be', meglio così. Gli altri giorni non sei arrivato, quindi pensavo che potessi esserti perso di nuo­vo."
Lo disse con l'aria di chi era ancora mezzo addormentato, ma Atsushi si sentì un pochino in colpa per non essere venuto prima.
Il biondo si alzò per andare a sciacquarsi il viso nella fonte.
"Sei venuto qui ad aspettarmi anche gli altri giorni?"
L'altro infilò la faccia nell'acqua e la rialzò gocciolante.
"Be', io vengo qui quasi sempre. Diciamo che ho passato il mio tempo anche aspettandoti."
Atsushi lo guardò tra il perplesso e il divertito, chiedendosi che cosa facesse normalmente En in quel posto. A giudicare da come lo aveva trovato prima, probabilmente niente di troppo impegnati­vo, si disse, e con questa considerazione si sentì un po' meno in colpa.
"Ah, Atsushi, nel bosco ho trovato una cosa."
En tornò verso gli alberi, passandosi una mano tra i capelli per scostarsi alcune ciocche bagnate dal­la fronte, con il solo risultato di renderli ancora più disordinati. Si chinò sul paniere di vimini e vi frugò dentro, fino a tirare fuori le pagine del libro che il vento aveva strappato via ad Atsushi.
Questo spalancò gli occhi per la sorpresa, prendendole in mano con trepidazione. Erano parecchio sgualcite - il vento non era stato clemente con loro, ed anche En doveva averci messo la sua parte - ma non importava; quasi non poteva credere che l'altro le avesse recuperate per davvero.
"Grazie!"
"Di nulla. Le ho trovate impigliate in un cespuglio."
Atsushi si mise a lisciarle con fare entusiasta, sotto lo sguardo vagamente apatico di En.
"Era il libro che stavi leggendo l'altra volta? Ma dimmi un po', non avevi detto che non ti piacevano le storie d'amore?" chiese pescando delle fragole dal paniere e mangiandole con aria distratta.
Atsushi lo guardò perplesso. "Non è una storia d'amore! Sono le avventure di un cavaliere che deve provare la sua lealtà al regno, sconfiggere dei nemici e-"
"Ma qui c'è di mezzo una principessa e i due si baciano alla fine, l'ho letto."
Al ragazzino per poco non caddero gli occhiali dal naso.
"Non dirmi come va a finire! Non ci ero ancora arrivato!"
"...oh. Scusa."

En decise quindi che poteva essere il momento giusto per tornare ad appisolarsi, dato che Atsushi non sembrava per niente contento di essersi visto rovinare il finale della storia e si era messo a leg­gere avidamente le pagine che gli aveva restituito.
Si stese al sole, la schiena appoggiata all'erba che cresceva, morbida e rigogliosa, attorno alla fonte. In bocca aveva ancora il sapore delle fragole e, dietro di lui, il rumore della carta aveva un che di rassicurante. Sembrava quasi andare al ritmo delle ombre che le foglie degli alberi proiettavano sul suo viso, muovendosi pigre nel venticello...
"...e comunque lo leggevo per le avventure del cavaliere."
En rotolò su un fianco per voltarsi verso l'altro.
"Leggi in fretta, eh." commentò. Gli era sembrato che fossero passati solo pochi secondi da quando aveva chiuso gli occhi.
Atsushi stava ordinatamente riponendo i fogli sotto la copertina del libro che aveva con sé, sperando forse che in questo modo riacquistassero almeno una parvenza di ordine.
En si chiese se fosse ancora arrabbiato o se, forse, non gli fosse piaciuto il finale della storia.
"Vuoi delle fragole? Sono nel cesto. Le puoi prendere." offrì allora.
Poco dopo, erano entrambi sdraiati al sole e avevano le dita appiccicose di frutti. La foresta attorno mormorava tranquilla, quasi invitandoli a parlare sottovoce.
"En, posso chiederti una cosa?"
Il biondo annuì, seguendo con gli occhi i pigri mutamenti di forma di una solitaria nuvola nell'az­zurro del cielo limpido.
"Perché mi hai chiesto di non dire a nessuno di averti incontrato?"
En girò la testa verso di lui.
"È un segreto."
Atsushi aggrottò le sopracciglia.
"Ho capito che è un segreto, ma perché?"
"È quello che voglio dire, non lo so il perché, è un segreto. Me lo ripete sempre il fratellone Gora, che se mai dovessi incontrare un estraneo nella foresta, non dovrei mai e poi mai farmi vedere, per­ché nessuno deve sapere che sono qui. Ma il perché rimane un mistero."
Dietro le lenti dei suoi occhiali, i grandi occhi nocciola di Atsushi lo osservavano con perplessità crescente. En si raggomitolò su se stesso, abbracciandosi le ginocchia.
"Gora insiste sempre tanto, quindi, per favore, mantieni il segreto."
Atsushi annuì, ma poi scosse la testa.
"Se ci tieni così tanto ad obbedirgli, tanto per cominciare, non avresti dovuto aiutarmi." fece, serio.
En si strinse nelle spalle.
"Per te è diverso, non eri proprio un estraneo. E poi Gora non lo verrà mai a sapere."
"Non ero un estraneo? Scusa, ma noi due non ci eravamo mai visti prima."
En piegò un po' la testa, affondandola nell'erba, i suoi occhi che comparivano e svanivano tra gli steli.
"Io ti avevo incontrato, invece." affermò tranquillamente. All'espressione sempre meno convinta di Atsushi, aggiunse in tono pigro: "In un sogno. Anzi, in più di uno - o forse no, è stato sempre lo stesso, ma l'ho fatto molte volte."
Strappò un filo d'erba e lo spiegazzò. En dormiva molto, ma non poneva molta attenzione ai propri sogni, in genere, fatta eccezione per questo, che era stato difficile da ignorare.
"Non sarei venuto verso la tua radura, se non avessi sognato che proprio quel giorno saresti arrivato da lì." aggiunse.
Del resto, quella radura era uno dei tanti posti dove non poteva andare.
Questo non era stato Gora a dirglielo; il fratellone gli raccomandava, al massimo, di non allontanarsi troppo da casa. Tuttavia En sapeva che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto uscire da quella foresta; era come se, spintosi fino ad un certo punto nel labirinto di alberi, qualcosa gli impedisse di proseguire, come una catena invisibile allacciata alla vita che non gli permetteva di fare un passo oltre.
In realtà il danno era relativo, visto che En non era mai stato particolarmente ansioso di scoprire che cosa ci fosse al di là della foresta - sapeva che c'era qualcosa, presumibilmente altre case ed altri esseri umani e tutto quello che era descritto nei libri su cui aveva imparato a leggere. Solo, non era mai stato interessato a vederlo coi suoi occhi.
Ora che Atsushi era lì, però, si rendeva conto che non avrebbe potuto seguirlo al di fuori di quegli alberi e che non poteva fare altro se non aspettarlo.
"Hai sognato che sarei arrivato rotolando?" indagò Atsushi allora.
"No." rispose En, tutto serio. "Sapevo solo che se fossi venuto da quella parte, avrei trovato qualcuno che dovevo a tutti i costi incontrare."
"Un sogno abbastanza approssimativo." il ragazzo con gli occhiali obiettò, per nulla impressionato.
"E tu sei abbastanza pignolo." replicò En, piccato. "L'importante è che abbia funzionato, no? Altri­menti alla fine saresti rotolato in mezzo alle ortiche, chissà."
Atsushi si strinse nelle spalle con un mezzo sorriso, tornando poi ad osservare l'erba che aveva sotto il naso.
Il sogno che lo aveva portato da Atsushi aveva lasciato ad En una sensazione di buffa pace interiore; quando si era risvegliato, aveva avuto il netto presentimento che la persona che stava per incontrare gli sarebbe rimasta accanto, anche se non aveva idea né di che aspetto avesse né di chi fosse.
Tornò a chiudere gli occhi, lasciando che uno stelo d'erba gli solleticasse le palpebre. 
Atsushi poteva avere i suoi dubbi, ma oggi era tornato nel bosco e questo voleva dire che il sogno, invece, era stato accurato.

 

---

 

"Scacco matto."
Atsushi sospirò, ma con un sorriso. Amava giocare a scacchi; in generale, amava qualsiasi passa­tempo che richiedesse pazienza e lungimiranza. Era anche piuttosto bravo, ma Kinshiro era alla pari con lui e non era insolito che tra i due si alternassero sconfitte e vittorie.
"Complimenti, mio signore."
Kinshiro prese la tazza che gli veniva porta dal signor Ibushi, il suo maggiordomo personale. Era un giovane alto alto, dai capelli scuri che ricordavano vagamente il colore del muschio. Atsushi lo tro­vava un tipo gentile, preparava sempre del tè eccellente e sapeva accompagnarlo coi dolci delle mi­gliori qualità.
Il tè venne offerto anche al principe, che lo prese con un educato ringraziamento.
"Io ed Atsu siamo pari, con questa." il ragazzino col caschetto argentato rivolse un sorriso smaglian­te al suo avversario, i piedi che penzolavano dalla grande poltrona su cui era seduto.
Atsushi ricambiò il sorriso, bevendo il suo tè.
"Oh, il Principe sta migliorando sempre di più, non è così?" osservò quindi Ibushi, appoggiando il delicato vassoio sul tavolino tra i due ragazzi.
Atsushi pescò un pasticcino alla panna.
"Kin è così bravo, giocando con lui imparo molto." spiegò modestamente.
L'amico, di fronte a lui, arrossì lievemente, subito sorridendo da un orecchio all'altro.
"È che quando gioco con te dò il meglio." si schernì.
Atsushi ricambiò il sorriso; questo era vero anche per lui. Scacchi a parte, il tempo trascorso con Kinshiro era sempre prezioso.

Kinshiro era il rampollo di una famiglia nobile da poco trasferitasi nel Regno di Boueibu, e trascorreva le sue estati in una villa che sorgeva poco lontano dal castello della famiglia reale. Era una di­mora estremamente raffinata ed elegante, ed Atsushi amava trascorrervi qualche bella serata o po­meriggio, quando vi veniva invitato, molto spesso anche con sua sorella.
A dire il vero, era proprio grazie alla ragazza che Atsushi e Kinshiro si erano conosciuti. Un'estate, era stata proprio lei a trascinarsi dietro il fratellino per fargli vedere il bellissimo giardino di quella villa. Lì, le piante erano così rigogliose, le foglie ed i boccioli erano talmente perfetti che sembrava­no quasi innaturali. Secondo Kinshiro, era tutto merito del lavoro instancabile e paziente del signor Ibushi, che aveva tanta passione ed un talento fuori dal comune per il giardinaggio.
La parte più entusiasmante del giardino, per il principe, era lo spazio dedicato al labirinto di cespugli di rose. La prima volta che era stato lì, Atsushi vi si era avventurato da solo, per pura curiosità, ed aveva finito col perdervisi per delle ore, tanto che alla fine era dovuto intervenire a ripescarlo lo stesso padrone di casa.
Nonostante questa disavventura, il principe sembrava essersi innamorato di quell'angolo di giardino, ed insisteva per poterci andare ogni volta che ve n'era l'occasione.

Anche quella sera, dopo aver finito il tè ed i pasticcini, Kinshiro ed Atsushi fecero una passeggiata, lasciando Ibushi a riordinare.
"Ehi, Kin, possiamo fare un giro nel labirinto?" chiese il principe, con aspettativa.
L'altro ragazzino sorrise. "Anche oggi? Ti piace davvero tanto, eh? Va bene, ma non dirlo ad Arima, lo sai che non gli va che ci andiamo da soli."
Atsushi annuì, entusiasta.
In un certo senso, inoltrarsi in quei corridoi di penombra verde aveva un che di eccitante, come quando sgattaiolavano fuori nel pieno della notte per guardare le stelle.
Nonostante tutte le volte che lo aveva già visitato, il principe non si stancava mai di camminare nel labirinto. I rosai che ne formavano le pareti erano così spessi e rigogliosi che non si vedeva più il re­ticolato di supporto che li sosteneva; all'interno, ogni passaggio era ombreggiato, perché le piante si inarcavano solidamente sopra le teste di chi camminava, dando vita ad una volta di un compatto verde scuro, solo a tratti aperto sul blu del cielo.
L'aria all'interno era dolciastra, i petali caduti tappezzavano il suolo e attutivano il suono dei loro passi. Un'ape solitaria ronzò loro accanto, per andare a posarsi su una rosa bianca. Atsushi si chiese se l'insetto avesse scoperto il segreto di quel labirinto - ma ad una piccola creatura con le ali, naturalmente, sarebbe bastato volare in alto fino ad uscire dal soffitto di foglie e spine.
Anche al principe sarebbe piaciuto farlo. Quel labirinto era misterioso; dopo anni, ancora non era riuscito a comprenderne il disegno. Per quanto tentasse di ricordarsi svolte e bivi, la volta successi­va trovava che doveva essersi sbagliato - e sì che, in tutto quel tempo, avrebbe ben dovuto averla imparata a memoria, la strada che conduceva al centro di quel rompicapo!
Ma la cosa più buffa, a questo proposito, era un'altra: ad Atsushi sembrava proprio che la struttura del labirinto cambiasse ogni volta che ci tornava. Certo era il signor Ibushi che si divertiva a spostare le piante. Del resto, Kinshiro sapeva sempre esattamente dove andare e come fare ad uscirne. E poi, ammise con se stesso, Atsushi aveva recentemente dato prova di non eccellere affatto per senso dell'orientamento.

Più tardi, dopo essersi educatamente accomiatati dai suoi ospiti, i due principi Kinugawa lasciarono la villa. In piedi dietro una delle finestre del salotto dove lui ed Atsushi avevano giocato a scacchi, Kinshiro rimase ad osservarli allontanarsi, scortati da una delle cameriere e da una delle guardie di corte.
Non era più il bambino i cui piedi non arrivavano nemmeno a sfiorare il pavimento quando era se­duto sulla poltrona. I suoi lineamenti si erano affilati, assieme alla statura aveva perso anche il viso tondo della sua versione infantile. I suoi occhi, ora sottili e freddi, scrutavano il tramonto oltre la fi­nestra senza più mostrare alcuna traccia della gioia innocente che li aveva illuminati fino a poco pri­ma.
"Dedichi davvero molto tempo a quel piccolo umano." commentò bonariamente Arima, osservando la strada assieme al suo signore.
"Mi piace giocare a scacchi, è tutto." rispose questo in tono secco, come a voler troncare l'argomen­to sul nascere.
Anche Kinshiro amava i giochi di pazienza e strategia, quando avevano regole ben chiare. Soprat­tutto, gli piaceva giocare con tutti i pezzi bene in vista; nella dama o negli scacchi, ogni pedina era sulla scacchiera ed entrambi i giocatori avevano la possibilità di leggere le possibili mosse dell'av­versario. Se una delle pedine veniva occultata, però, la faccenda si faceva irritante, nonché molto più complicata.
Erano passati dodici anni, ed ancora nessuna traccia della pedina che serviva a lui per portare avanti la sua strategia di gioco.
"La Principessa continua ad essere assolutamente muta sul punto, non è così?" chiese, sentendo en­trare Akoya dalla porta alle sue spalle.
Il demone annuì, slacciando il nastro del largo cappello di paglia che portava sul capo.
"Se si parla di matrimonio, arrossisce e dice di essere ancora troppo giovane." Akoya fece spallucce, sistemandosi la lunga chioma rosata, lievemente spettinata dal copricapo.
"Chissà, è possibile che non gliene abbiano ancora parlato." disse Arima.
"Spero vivamente che non me lo stia tenendo nascosto di proposito. Non sarebbe affatto carino da parte sua, con tutta la fatica che sto facendo a reggere questa recita." fece Akoya con un sospiro teatrale.
"Ti è stato affidato il compito di renderla tua amica, Gero. Avevo capito che con la tua eleganza e le tue buone maniere non ti sarebbe stato difficile."
L'altro si sistemò i capelli con in gesto di stizza.
"Con gli umani è tutto tempo sprecato. E chi la vuole come amica quella comune mortale, comun­que?"
"Se ricoprire questo ruolo ti dà così fastidio, adesso puoi pure toglierli, quei vestiti."
Akoya gettò a Kinshiro un'occhiata risentita.
"Dopo tutto il tempo che ci è voluto per mettere assieme questa meraviglia di completo? Già che ci sono, tanto vale che me lo goda ancora un po'." rispose, lisciando con attenzione le balze della gon­na di seta color crema che indossava.

Per tenere compagnia alla Principessa Kinugawa, Akoya era stato costretto a vestire i panni di una nobile cugina di Kinshiro. Del resto, non si poteva sperare che sua Maestà diventasse amica di un ragazzo, no? La signorina Gero, quindi, scriveva deliziosi biglietti alla Principessa Kinugawa per invitarla a prendere il tè e passeggiava con lei in giardino, nella speranza di potersela ingraziare al punto da ricevere le sue confidenze, soprattutto di tema amoroso.
Il demone aveva fatto capire più volte che detestava tenere compagnia all'umana - sebbene fosse di famiglia nobile, era pur sempre una creatura mortale di rango decisamente inferiore al suo.
Proprio per questo, ogni volta che doveva incontrarla passava delle ore a decidere come agghindarsi ed a scegliere abiti che definire maestosi era certamente riduttivo. Per quanto potesse insistere nel dire che odiava il suo compito, gli altri due demoni erano più che convinti che, in fondo, si divertisse parecchio.

"Ti impegni molto sempre e comunque, non è così? Riesci tutte le volte ad avere un aspetto strabi­liante, pur agghindandoti con questi indumenti umani." commentò Arima con un sorriso. Certo non si poteva dire che Akoya non si fosse calato nei panni della ricca nobildonna, almeno esteriormente.
L'altro arrossì lievemente.
"Be', non posso certo permettere di sfigurare di fronte ad una mortale."
Kinshiro tornò a volgere lo sguardo oltre il vetro della finestra, deciso a far tornare l'attenzione dei due al loro problema principale.
"Prima o poi dovranno parlarle della persona a cui è promessa in sposa, non può essere diversamen­te."
Non avrebbero potuto lasciare la ragazza all'oscuro del suo destino ancora a lungo, in fondo, era quasi in età da marito. E quando lo avessero fatto, Kinshiro era certo che, in un modo o nell'altro, sarebbero venuti a saperlo anche loro.

Non era un caso, ovviamente, se il trio di demoni, assunte le sembianze di comuni mortali, si era avvicinato alla famiglia reale e, in particolare, ai due principini. Dover tenere in piedi quella farsa era seccante, ma sembrava, al momento, l'unico modo per poter carpire qualche informazione a pro­posito del Principe Yufuin.
Al palazzo reale di Binan, l'erede al trono non veniva mai menzionato. Il Re, subito dopo la festa dedicata al bambino, aveva fatto bruciare tutti gli arcolai del regno ed aveva proibito di nominare il nome del figlio, nonché di parlare di quanto accaduto quella sera. Il neonato era sparito, assieme ai suoi tre spiriti protettori, e gli stupidi umani credevano di poterlo difendere, fingendo che non fosse mai esistito e proibendo a chiunque anche solo di menzionarne il nome.
Il punto era che, purtroppo, l'erede del Regno di Binan sembrava davvero essere sparito nel nulla. A Kinshiro sarebbe anche andata bene così, in fondo non gli importava davvero di quel moccioso. Tuttavia, il fatto che gli spiriti protettori fossero sveniti con lui lo faceva sospettare che quel terzetto avesse trovato il modo di contrastare la sua maledizione, o vi stesse, perlomeno, provando.
I tre demoni avevano perlustrato la capitale e le città adiacenti in lungo e in largo, avevano cercato nelle fattorie più sperdute, controllato gli orfanotrofi, ma nulla. Nessuno sapeva niente, i più si vol­tavano dall'altra parte se si provava a menzionare l'argomento, i rimanenti, invece, tiravano fuori le storie più fantasiose, senza alcun fondamento di realtà.
Stufi di fare buchi nell'acqua, quindi, i tre avevano deciso di rimanere vicino alla persona che, prima o poi, sarebbe stata legata al ragazzo. Per ora, sembrava che sia lei che il fratello fossero completa­mente all'oscuro di quanto accaduto dodici anni prima. Con ogni probabilità, anche i sovrani Kinu­gawa avevano deciso di non parlare del principe e di quanto accaduto. Ma, Kinshiro ne era certo, era solo una questione di tempo: in fondo, la Principessa non era che una bambina, e sicuramente si sarebbe lasciata scappare qualcosa. Se non fosse stata lei, magari sarebbe stato Atsushi.
Kinshiro aggrottò le sopracciglia; le sagome del piccolo gruppo di umani erano sparite oltre la curva della strada, il sole era tramontato.
Era stato stranamente facile diventare amico di Atsushi; forse, anzi, lo era stato un po' troppo.
Il cipiglio di Kinshiro si mutò in un accenno di sorriso. Il Re e la Regina erano stati così felici di ve­dere il loro secondogenito farsi un amico a corte. Assolutamente incredibile come gli umani fossero sempre disposti a credere a ciò che si diceva loro, soprattutto se corrispondeva a ciò in cui volevano credere. Le loro menti erano così deliziosamente facili da distogliere e da ingannare: appena un pizzico di magia e qualche cambiamento nel loro aspetto, e nessuno aveva riconosciuto i tre demoni che, pochi anni prima, avevano seminato il panico alla corte di Binan.

Kinshiro girò le spalle alla finestra e fece cenno ad Arima di versargli altro tè. Era solo una questione di tempo, l'erede di Binan sarebbe saltato fuori, prima o poi, Kinshiro non aveva fretta. In fondo, avevano ancora sei anni davanti.
 

---

 

Il demone trovava tanto ridicolo il fatto che gli umani non fossero in grado di accorgersi della mi­naccia che incombeva su di loro, pur trovandosela sotto il naso, eppure non immaginava che, oltre gli alberi che circondavano la sua villa estiva, nel cuore di quella foresta disabitata che aveva snobbato nelle sue ricerche, il principino in cui riponeva tanta fiducia era appena diventato amico del ragazzo che stava cercando instancabilmente da dodici anni.

Anche per Atsushi ed En era stato stranamente facile diventare amici, forse troppo.
Eppure, quell'estate la trascorsero quasi sempre assieme, impegnati ad esplorare la foresta ed a ren­derla un campo da gioco perfetto. All'ombra fresca dei faggi, fecero tutto quello che due ragazzini della loro età avrebbero potuto fare in una foresta incontaminata e completamente priva di pericoli: si improvvisarono esploratori, pescatori, scalatori, si rimpinzarono di frutti selvatici e fecero il ba­gno in tutte le piccole insenature dei torrenti.
Su suggerimento di Atsushi, costruirono una piccola casa sulla grande quercia che sorgeva nella radura più vicina alla fonte. Avrebbe dovuto essere più grande nei piani originari, ma a metà dei lavori En aveva deciso che tutto quel martellare chiodi era decisamente troppo faticoso e che era stufo di mettere assieme pezzi di legno.
(Inoltre, Gora aveva cominciato a farsi delle domande su dove svanissero le tavole che aveva taglia­to per sistemare il soffitto di casa ed En non era certo di poterla fare franca ancora a lungo.)
Comunque, riuscirono a dotarla di tre pareti, di un tetto e di un'altalena; Atsushi decise addirittura di lasciarvi in pianta stabile alcuni dei suoi libri preferiti, inaugurandola quindi come loro rifugio se­greto.
Il principe, dal canto suo, era deliziato all'idea di avere tanti spazi di libertà in cui gli era consentito fare tutto ciò che voleva, ben lontano dalla severità della corte.
Dall'altro lato, con Atsushi al suo fianco, En vedeva la foresta in una luce diversa. Se prima lasciava casa sua e vagava tra gli alberi solo per evitare le faccende domestiche e per trovare qualche posto meno affollato dove oziare, per la prima volta nella sua vita, ora, usciva con in mente uno scopo ben preciso. Assieme ad Atsushi faceva tutto quello che era stato troppo pigro e demotivato per fare da solo, fino a quel momento.

Un pomeriggio, sedevano sulla piattaforma della loro buffa casetta sull'albero, gomiti appoggiati al ramo di fronte e piedi nudi che penzolavano nel vuoto sottostante.
"Atsushi, come mai ti piacciono tanto le storie con tutti quei cavalieri ed eroi?" chiese En, lasciando cadere di sotto il nocciolo della ciliegia che aveva mangiato.
"Che razza di domanda che mi fai, Enny." fece l'altro, forse colto di sorpresa. "Perché sono avventu­rosi. E poi piacciono anche a te, no?" replicò l'altro, che aveva già prestato all'amico un paio dei suoi romanzi preferiti.
"Sì, abbastanza."
"Comunque, li leggo per le loro avventure. Come sconfiggono tutti quei mostri... Insomma, non ti diverti anche tu a leggere delle loro gesta?"
En fece spallucce.
"Sì, ma pensa farlo per davvero... una fatica immensa. E poi è anche pericoloso."
Atsushi ridacchiò.
"I ragazzi delle nostra età dovrebbero ambire a diventare dei cavalieri come quelli delle storie, la fa­tica dovrebbe essere l'ultimo dei problemi."
"E tu vorresti diventare un eroe delle leggende?"
Atsushi arrossì appena. "Be', mi piacerebbe vivere un'avventura come quelle dei libri, ecco."
"Tu sei un principe, Atsushi, non è già abbastanza interessante? Anche il protagonista del libro che mi hai prestato ieri è un principe, in fondo."
Atsushi appoggiò il mento sulle braccia incrociate di fronte a lui con un sospiro.
Naturalmente, aveva rivelato ad En la sua vera identità, ma l'altro non aveva fatto una piega. Forse non aveva capito davvero chi si trovava davanti, forse non gli credeva o, più probabilmente, per com'era fatto, non gli importava minimamente del suo sangue blu. In ogni caso, il suo atteggiamen­to nei suoi confronti non era minimamente cambiato, e di questo Atsushi gli era grato.
"Nella realtà non è proprio come nei libri." rispose alla fine. "Ci sono un sacco di cose noiose da fare a corte, molto da studiare, e sicuramente non c'è tempo per andare all'avventura. È... un compi­to di grande responsabilità, ecco."
In realtà, a dodici anni nemmeno compiuti, non aveva le idee ben chiare su che cosa comportassero tutte queste responsabilità che gli venivano continuamente ricordate, ma che non aveva ancora affrontato sul serio – tuttavia, era piuttosto sicuro che esistessero.
"Ma come? Non avete stuoli di servitori che fanno tutto al posto vostro?" En inarcò un sopracciglio. Non sapeva molto della vita a palazzo, in realtà, ma dalle storie che aveva sentito sembrava essere una pacchia. Certo i principi non dovevano dare una mano a tagliare la legna, né dovevano stare a badare all'orto o alla cucina: avevano chi si dava da fare per loro.
"Se fossi un principe starei a dormire dalla mattina alla sera. Insomma, non dovrei lavorare né nien­te del genere... Per tutta la vita! Altro che avventure."
Atsushi sbuffò, ma con un mezzo sorriso.
"Sarebbe comodo se fosse come dici... Però, Enny, magari anche tu sei un principe e non lo sai."
En si distese sulla piattaforma dietro di lui.
"E come?"
"Non hai detto tu che il tuo fratellone Gora ha trovato te ed i tuoi cugini nel bosco quando eravate ancora in fasce? Per quel che ne sai, magari siete gli unici discendenti di qualche nobile famiglia che ha dovuto abbandonarvi pur di salvarvi da un destino crudele! Forse avevi al collo un medaglio­ne con qualche stemma, o qualcosa del genere."
En scosse lentamente la testa.
"Niente di niente... Ehi, lo stai raccontando come se fosse la trama di uno dei tuoi romanzi." com­mentò in tono piatto.
Atsushi si zittì, rendendosi conto di aver mancato di tatto; nella realtà, erano ben altre le ragioni per cui venivano abbandonati i bambini. Avrebbe dovuto pensarci prima di tirare fuori spiegazioni più avventurose.
L'altro, tuttavia, non sembrava essersela presa.
"Se è così faticoso come dici, comunque, preferisco non esserlo." aggiunse stiracchiando le gambe. Era vero, in quella casa nel bosco c'era da tagliare la legna e da badare all'orto ma, oltre a quello, nessuno gli aveva mai parlato di responsabilità.
"Comunque, tornando a noi... se fossi un cavaliere, non vorrei mai dover affrontare uno scarafaggio gigante."
Atsushi rise di cuore.
"Perché la cosa non mi sorprende? Ma stai tranquillo, non credo proprio che esistano mostri del ge­nere, non li ho mai trovati in nessuno dei miei libri! Quanto a me..."

Tra letture e chiacchiere, i due ragazzini fecero scivolare via quello che rimaneva del pomeriggio. Senza che se ne rendessero conto, lo stesso successe con le ultime settimane di quell'estate.

 

 

 

*** *** ***

 

NOTE: ho ricevuto alcuni commenti di stupore all'apparizione di Kinshiro nel capitolo precedente, ma a me piace tenere tutti gli elementi del canon che posso anche nelle AU, quindi non potevo non lasciare che lui e Atsushi fossero amici anche qui. Con questo capitolo, comunque, avete anche già capito che non si tratta di un'amicizia del tutto disinteressata. (Ma chissà...)

Rimanendo in tema di amicizie, ne approfitto per spendere due parole sull'annosa (?) questione dei soprannomi. Trattandosi di un'AU fantasy, il “chan” è rigorosamente bandito, e tuttavia sarebbe stato un peccato lasciare i nomi come sono, visto che Atsushi appioppa diminutivi a tutti i suoi migliori amici. Mentre Kinshiro e Atsushi sono nomi facili da abbreviare, En è... be'. Chiaramente i suoi l'hanno chiamato così perché altrimenti sarebbe stato un nome troppo lungo da pronunciare e lui non ce l'avrebbe mai fatta. “Enny” è la traduzione fatta dalla Funimation per l'anime, che è stata allegramente contestata dal fandom anglofono (poi vabbe', Kin-chan era diventato Kinny e quello effettivamente proprio non ci sta). Ho deciso di usarla nonostante tutto perché a me, in italiano, non suona così male, e perché comunque non ci sono alternative (o almeno non me ne sono venute in mente).

Alla prossima~

 

 

  
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