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Autore: Drops of Neverland    30/07/2015    1 recensioni
Vi è mai capitato di associare la vostra vita ad una canzone? Di accorgervi che il testo di quella canzone vi rappresenta in pieno?
E' un po' quello che succede ai sette protagonisti, legati da una strana amicizia, che però funziona. Tutto quello che sanno è che sono diversi, che amano la musica, che sono costretti a vivere l'adolescenza... E le canzoni che all'inizio li rappresentavano, rimarranno le stesse?
Mi sento un'idiota ad aver scritto questa orribile presentazione, ma io almeno ci ho provato; ora sta a voi.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - All Of Me

 
Claire Richardson s’infilò le cuffiette e scese le scale di corsa, con una mano poggiata sul corrimano e l’altra infilata nella tasca del piumino leggero. Nella testa le rimbombava la voce di Joel Madden che cantava a squarciagola. Ripeté nella sua mente le parole, ancora e ancora, come faceva sempre con le canzoni che amava:

“Io voglio solo vivere. 
Non mi importa delle cose che dicono, 
Non mi importa di che cosa mi succede.
Voglio solo vivere”


Solo vivere. Sì, lei voleva solo vivere. Voleva solo uscire con gli amici il pomeriggio, voleva solo farsi accompagnare a casa in motorino, voleva solo andare a lanciare sassolini nel lago. 
Voleva solo vivere al meglio quella sua adolescenza. 
Uscì in strada e si ritrovò nella sua solita via, quella che percorreva da ormai anni. Luminosa e circondata da palazzi, aveva sempre amato la sua via. Sui muri scendeva pigra una parete d’edera e il negozio davanti all’edificio era una piccola boutique, una di quelle che ti saresti aspettato di vedere in un film francese. I marciapiedi mancavano, ma si poteva tranquillamente camminare in mezzo alla strada asfaltata. Di lì passavano raramente auto, si vedevano solo alcune moto che correvano sfuggenti, guidate probabilmente da qualche adolescente che si dirigeva a scuola. Si guardò attorno e di malavoglia s’incamminò verso la sua adorata scuola. Come tutti quei maledetti giorni, di andare a scuola proprio non ne aveva voglia.
Ma, del resto, c’erano i suoi amici, che l’avevano sempre aiutata. Erano riusciti a tirarla fuori da quei suoi momenti un po’ così, un po’ tristi, con delle battute stupide e tante risate. E lei cos’avrebbe mai potuto fare, se non cedere allo scherzo? Perché lei era una persona seria, riflessiva, menefreghista e tutto quel che si voleva  ma quei sette ragazzi erano gli unici a sapere come farla ridere e farla sentire bene. Poi pensò lui, che era uno di quei sette, e pensò anche al fatto di non aver mai detto niente a nessuno. Cavolo, ma perché doveva complicarle la vita, con quei suoi capelli castani scompigliati terribilmente adorabili? Ma, nonostante fosse uno dei suoi migliori amici, non avrebbe mai avuto chance con lui. Lui era popolare, adorato da tutti e semplicemente perfetto. E non “un gran figoooo!” come lo definivano le ragazze che erano capitate in classe con Claire, e che ovviamente non sopportava. Insomma, cosa poteva esserci di tanto bello nel guardare un ragazzo, giudicarlo carino, provarci e nel caso andasse male, dimenticarlo subito?


Nathan Lewis alzò lo sguardo ancora una volta verso lo specchio, cercando invano qualche segno di ciò che lo rendeva “speciale”. Speciale. Quella parola lo perseguitava. Indossava una maglietta stampata e i pantaloni neri, il suo solito abbigliamento. Che c’era di speciale? Magari, se avesse deciso di rinnovare il suo stile sarebbe cambiato qualcosa, sarebbe stato davvero speciale. Anche se probabilmente in peggio, probabilmente non sarebbe stato più lui. Nathan era alquanto popolare a scuola, ma a lui le ragioni della sua “popolarità” erano ignote.

“Solo un ragazzo di città, 
nato e cresciuto nella zona sud di Detroit 
Ha preso il treno di mezzanotte 
senza avere in mente una destinazione precisa.”


Solo un ragazzo di città, cresciuto nella zona sud di Detroit. Quei versi si addicevano alla persona che si stava guardando allo specchio. Gli tornarono in mente quei versi ascoltati a ripetizione. I Journey gli infondevano un Non-So-Che che faceva girare tutto positivamente.
Nathan non si era mai sentito speciale o unico o come diavolo alla gente piaceva definirlo. Lui, in sé stesso, non ci vedeva assolutamente niente di originale. Aveva i capelli castano scuro e gli occhi azzurri. Una corporatura snella e le spalle grandi. A scuola se la cavava, ed era abbastanza popolare. Cos’aveva lui di diverso da un altro milione di ragazzini quindicenni? Era proprio questo che gli dava fastidio, lui non era originale. E poi, lui, una destinazione, una meta, un obbiettivo, non lo aveva. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto in futuro. Eppure ci rimaneva notti intere a pensarci, sveglio, nel suo letto, a fissare il soffitto. E poi  si faceva sempre sovrastare da sua madre, stava agli ordini.
Un mollusco, una persona senza spina dorsale, ecco cos’era.
Pensò a Claire, a come volesse sempre farsi distinguere, a come fosse determinata, al perché preferiva ascoltare la musica piuttosto che ascoltare la gente, a come fosse terribilmente bella.
E, al  ricordo di quella ragazzina con le cuffiette e dagli occhi verde scuro, sorrise.
 



Alexis Wright s’infilò il cappello Obey nero, facendo attenzione a non spettinarsi i capelli biondi e rosa che quella mattina aveva accuratamente lavato alle 6.00. Sua madre non voleva che si facesse la doccia di sera, così, tre volte alla settimana, era costretta ad alzarsi alle 6.00 e a farsi quella doccia calda che un tempo faceva con piacere, adesso solo mezza addormentata. 

“Oh, respiriamo l'aria 
e viviamo aspettando primavera,
siamo come i fiori prima 
di vedere il sole a primavera”


Osservò per un momento quella frase scritta sul muro bianco col pennarello indelebile. Già, l’unica su tutta la parete. L’aveva letta, le era piaciuta e ora, stava lì, sola, a farsi osservare.
I suoi amici sapevano che sua madre era italiana. Francesca Regni aveva conosciuto suo padre Cameron Wright in vacanza e dopo mesi di relazioni a distanza (cosa non facile al tempo, visto che non c’erano cellulari), avevano deciso di convivere. Si era trasferita in California e si erano subito sposati. Dopo qualche anno era capitata tra capo e collo Alexis, una bellissima bambina bionda. Non che fosse un problema, visto i soldi che avevano.
Ma Alexis sapeva che non avrebbe dovuto amare quella canzone. Non era neppure nella sua lingua. Se l’era fatta tradurre da sua mamma dopo aver ascoltato quel ritmo così incalzante. Aveva anche scoperto che era una cover italiana di “You to me are everything”, ma il testo non era bello come quello italiano.
…Oh, we live and breathe the air waiting for spring, we are like flowers before seeing the sun in spring….
 Ma i suoi amici non avrebbero mai dovuto sapere che era una canzone italiana. Sarebbe stato imbarazzante, e strano. E lei era quella popolare, ne era consapevole, non poteva fare qualcosa di strano., Così aveva detto che era una frase Tumblr trovata sul popolare social network. Sì, era una stupida. Ma non ci poteva fare niente, Aveva una reputazione, e non la poteva mandare all’aria.
Si guardò un ultima volta allo specchio: cappellino nero, leggins neri, felpa larga bianca con la scritta “I’m not a Monday person” e Vans rosa shocking. A parer suo, perfetta. I suoi capelli biondi dalle punte rosa le arrivavano alle scapole, e la matita nera intorno agli occhi azzurri le stava d’incanto, come ogni mattina. Lucidalabbra rosa chiaro ed era pronta per uscire. Prese la borsa a tracolla che fungeva da cartella e lanciò un urlo.  «Mamma, io esco!» Una voce femminile le rispose allegra. «Divertiti a scuola!»
 Alexis alzò gli occhi al cielo e accennò un piccolo sorriso «Come se fosse possibile!» Disse in tutta risposta.
La scuola era un, be’… un ostacolo, ecco. Era un ostacolo a tutto quello che Alexis aveva in mente di fare. Amici, fidanzati e feste non aspettavano certo la scuola per piombare nella sua vita come se nulla fosse. Ma era meglio non pensarci, per adesso. Insomma, alle 7.30 aveva già la mente offuscata di suo, perché avrebbe dovuto complicarsi le cose?




Christopher Ward era seduto sul muretto della scuola. Non c’era nessuno. In quel momento, si scoprì sorpreso di essere ancora se stesso.

“Non piaci a nessuno quando hai quindici anni,*
e ti divertono di più i programmi TV,
i miei amici dicono che dovrei comportarmi come quelli della mia età
Ripetimelo, quanti anni ho?”


Era strano, davvero. Aveva ancora i suoi jeans larghissimi e le sue stesse camicie. Ascoltava ancora Prince, come sua madre gli aveva insegnato a fare in un’infanzia orami lontana. Era lo stesso, identico, ragazzino delle medie. Quei quindici anni proprio non erano riusciti a cambiarlo. Cos’aveva di diverso? Era un po’più alto e forse un po’ più magro. Aveva gli stessi capelli ricci e neri e la stessa espressione “impertinente”, come definita da molti, ma per lui, semplicemente, esprimeva il suo amore per la vita. Era sempre Chris. Il solito Chris. E, a volte, c’erano i giorni in cui quel Chris gli piaceva. Ma sì, quello era lui. Un po’ infantile, probabilmente, ma lui. Non doveva cambiare per forza, non doveva avere per forza quella trasformazione che aveva ogni adolescente… giusto? Ma chi voleva prendere in giro. Certo che doveva, certo che voleva. Non riusciva a fare a meno di guardarsi ogni mattina allo specchio per cercare qualche cambiamento, anche minimo. Ma non era solo il cambiamento fisico, che aspettava. Era anche quel click, quello che lo avrebbe fatto diventare un ragazzo e non un ragazzino. Lo aveva notato. Quando un commesso, un professore o un passante lo chiamavano, si riferivano a lui con quel termine, “ragazzino”. Quando invece volevano attirare l’attenzione Nathan o Dylan o Chase, dicevano “ragazzo”.
Christopher si rigirò tra le mani la cosa con cui armeggiava da qualche minuto, una bustina trasparente contenente qualche pasticca purgativa. Sorrise, e quasi scoppiò a ridere. Era stata sua, l’idea, come sempre. Dana avrebbe festeggiato il suo compleanno, quel giorno, e avrebbe offerto alla professoressa di Lettere, la più odiata dalla classe, un pasticcino purgativo. Ovviamente, la professoressa non se lo sarebbe aspettato. Dana era la cocca, nonostante la odiasse anche lei, per quei suoi voti altissimi e il suo comportamento perfettamente educato. 
Se tutto fosse andato bene, quel giorno Christopher non avrebbe dovuto studiare per il compito di Letteratura.




Dana McLaw era costantemente in ansia, sempre e comunque. E lo studio era l’unica cosa a cui pensava. Doveva rendere felici i suoi genitori, fieri di lei. Se loro erano contenti, poteva ritenersi soddisfatta. E loro, in realtà, non pretendevano neppure così tanto da lei. Forse era colpa sua, forse era troppo preoccupata per tutto. Amava i suoi genitori più di qualunque altra persona al mondo, eppure si sentiva costantemente in ansia.

“La pressione mi butta giù
Ti schiaccia, come nessuno vorrebbe,
sotto pressione
che brucia completamente un palazzo”


Claire l’aveva paragonata a quella canzone.
Un giorno, mentre l’amica faceva le prove con il suo gruppo, si era messa seduta a terra a fare un tema per la scuola. Indossava come al solito una delle sue camicette e gli short di tela beige con i sandali. Era quello il suo usuale abbigliamento estivo. Claire indossava canotta e Converse nere e i pantaloncini di jeans. Cantava suonando il basso, e quel giorno facevano la cover di “Under Pressure” dei Queen e David Bowie. Finita la prova Claire l’aveva accompagnata a casa. “Però Dana, mai ascoltato il testo della canzone? Ti rappresenta.” Era stata l’unica frase sull’argomento, ma Dana ci aveva rimuginato a lungo. Da allora le venivano sempre in mente quei versi.
Dana  stava disperatamente cercando il suo libro di matematica, nonostante fosse già uscita era tornata a casa di corsa, con i capelli castano chiaro legati in uno chignon disordinato e gli occhiali inclinati sul naso. Prendeva i libri, li spostava, e li rimetteva diligentemente a posto. Possibile che non fosse da nessuna parte? 
Guardò l’orologio. Le 7.35.
“Ti prego, no, non oggi”
Per un ragazzo normale sarebbe stato un orario normale per uscire di casa, ma lei era terribilmente in ritardo.
Forse era davvero sotto pressione.




Chase Middleton non poteva fare a meno di ascoltare la musica, quando era in autobus. I sedili rovinati e il viavai di persone gli ispiravano troppo una di quelle scene da film in cui il protagonista scontra la solita ragazza timida e graziosa e raccoglie i libri che sono caduti dalle braccia di lei e poi sorride in modo rassicurante e irresistibile. Chase ci sperava sempre, ma sapeva che neanche quella mattina sarebbe successo. Innanzi tutto era troppo surreale.
E poi, lui era troppo timido per fare il protagonista figo e spigliato. Il massimo che sarebbe potuto accadere sarebbe stato che un gruppo di bulletti gli facesse cadere dalle braccia i suoi libri, ma non aveva importanza.

“Dimmi il vento ti ha fatto perdere l’equilibrio?
Sei finalmente riuscito a ballare con la luce del giorno
E ritornare verso la Via Lattea?”


Il problema di Chase era proprio la timidezza, e i Train con quella loro canzone gli infondevano un po’ di energia in quella sua anima quiete. Avrebbe tanto voluto essere come Christopher o come Nathan o come Dylan. Ma lui era diverso, un sognatore, un romantico che sognava di incontrare la sua anima gemella sull’autobus e poi baciarla in riva al mare. Com’era banale. Avrebbe voluto tanto riuscire ad immaginarsi un qualcosa di più originale, ma era Claire quella brava a fare queste cose. E non le avrebbe mai chiesto di immaginare uno scenario del genere, l’avrebbe preso in giro per il resto dell’eternità.
Guardò fuori dal finestrino dell’autobus, e fece un lungo e depresso sospiro. Sì, si sentiva proprio come in un film. Guardò fuori, provando a formulare pensieri molto profondi e degni di Shakespeare. Non gli venne nulla, ma non che ci potesse fare niente. Era il solito Chase, timido, che non faceva mai nulla di speciale. Che non era popolare come Alexis o Nathan, non suonava bene quanto Claire, prendeva voti discreti, non eccezionali come quelli di Dana, non era simpatico e amato da tutti come Christopher e non se la cavava con le ragazze come Dylan. Non sapeva fare nulla di speciale, e si sentiva fuori posto. I suoi amici erano casinisti, sapevano divertirsi, ma erano anche delle persone dotate di buon senso. Lui invece aveva solo quello, il buon senso. Da solo non riusciva a divertirsi, o semplicemente a passare il tempo. Si annoiava a morte, e si richiudeva in se stesso, e non aveva neanche il coraggio di chiamare un amico e chiedere “Usciamo?” Solo dopo una lunga, lunghissima conversazione in chat chiedeva di uscire. Aveva sempre il terrore di dare fastidio e di sembrare antipatico. Viveva nella paura di se stesso e degli altri.



Dylan Harris era sempre stato un cosiddetto “marpione”. Non che il termine gli piacesse, lui preferiva “rubacuori” o “dongiovanni”. La gente però non si riferiva mai a lui così. Svoltò l’angolo che portava verso la scuola, e subito avvistò il familiare edificio di cemento grigio. Proprio davanti a quella scuola i suoi amici avevano deciso che il termine adatto a lui era “maniaco”, ma a lui stava bene così. Se fosse stato davvero un maniaco non glielo avrebbero detto così, papale papale. Sarà che aveva preso un po’ troppo alla lettera Alexis e Cyndi Lauper.

“Loro vogliono divertirsi.
Oh, le ragazze vogliono solo
E' tutto ciò che vogliono veramente
Un po' di divertimento”


Ripensò a quella serata. Alexis si stava scatenando sul tavolino di casa di Dylan. C’erano tutti, come al solito, ma quella sera c’era un po’ di ilarità in più. Ovviamente non avevano bevuto un goccio d’alcol, a quei tempi avevano solo quattordici anni (e nonostante adesso ne avessero quindici, ancora non lo potevano bere), ma avevano tutti l’anima particolarmente leggera. La ragazza dai capelli rosa ballava e cantava a squarciagola “Girls just wanna have fun”. Dylan la guardava affascinato. Alexis non le era mai piaciuta, e mai le sarebbe piaciuta, ma Dylan voleva solo capire. Era davvero tutto ciò che volevano le ragazze? Solo un po’ di divertimento? Suo fratello più grande, Marcus, cambiava continuamente ragazza. Davvero era così facile trovarne una?  Pareva di sì. Così Dylan decise che la sua maestra di vita sarebbe stata Cyndi e che da allora in poi non avrebbe dovuto farsi tanti pensieri. Del resto, non era neppure brutto. Aveva capelli biondicci e gli occhi castani, anche se secondo Claire sarebbe stato più carino con delle lenti a contatto grigie o azzurre. Era alquanto alto e, da quando aveva iniziato palestra, anche muscoloso. Ma il problema non era l’aspetto fisico, ma bensì il carattere. Era un po’ troppo diretto, e le ragazze si disgustavano fin dall’inizio. Le frasi “Forse non sono il più bell’uomo qua dentro, ma sono l’unico che ti sta parlando” o “Credi all’amore a prima vista o devo ripassarti davanti?” non erano sempre l’approccio migliore per rimorchiare, anche se dopo un paio di queste battute squallide, aveva capito come attaccare bottone con una ragazza carina.
Poi vide Christopher.




Neverland's corner:
Allora, non so esattamente a chi potrebbe interessare questa cosa. L'ho solo scritta, e sarei molto contenta se qualcuno che è riuscito ad arrivare fin qua giù recensisse, fatemi sapere cosa ne pensate! personalmente amo molto i persoanggi, e ho cercato di renderli più realistici possibile. Mi scuso per le numerose descrizioni di capelli, occhi, vestiti e quant'altro, ma tengo molto a caratterizzarli per bene.
Vi lascio nome e artisti delle canzoni citate.

Titolo: Fluorescent Adolescent - Arctic Monkeys
Capitolo: All Of Me - Matt Hammitth
Claire Richardson: I Just Wanna Live - Good Charlotte
Nathan Lewis: Don't Stop Believin' - Journey
Alexis Wright: Primavera - Marina Rei
Christopher Ward: What's My Age Again? - Blink-182 *ho modificato l'età, nella canzone dice 23, ma lui ne ha 15
Dana McLaw: Under Pressure - Queen ft. David Bowie
Chase Middleton: Drops Of Jupiter - Train
Dylan Harris: Girls Just Want to Have Fun - Cyndi Lauper

Miss Neverland

 
 
  
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