Fanfic su artisti musicali > Michael Jackson
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Autore: Porsche    31/07/2015    2 recensioni
"Ok, ti dirò quello che ho capito di te dopo la discussione con tua madre. Ma se ci azzecco, allora devi essere sincera e dirmelo, d'accordo?".
Feci cenno di si con la testa, curiosa di sapere che cosa avrebbe detto riguardo la sottoscritta.
"Ho capito che sei una persona introversa, che difende il suo mondo interiore attraverso una corazza. Che preferisce restare nell'ombra, invisibile agli occhi degli altri, come se fossi soltanto anima e non corpo. Che non ha dei sogni nel cassetto per cui impiegare tutte le proprie forze, ma che si lascia trasportare dalla vita, come se non le appartenesse... E credo... di aver intravisto una ferita di molti anni fa che la corazza non è riuscita a rimarginare, ma che è ancora lì, ad attendere di essere guarita".
Non mi girai a guardarlo nemmeno una volta.
Ero stata sconfitta e ciò era umiliante.
Ma quello che volevo nascondere erano le lacrime che continuavano a scendere senza che niente e nessuno potesse fermarle.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Jackson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Dietro ad un sorriso

Capitolo 3 – Friends will be friends

 

 

 

E invece, quando pensavo di potermi rilassare solo in compagnia di me stessa, ecco che …
   << Buuuh! >>.
   << Aaaah! >>. Lanciai un urlo che di femminile aveva ben poco, ma non mi importava, avevo già capito chi era l’autore dello scherzo.
   << Ahahah! Isabella mi fai morire, ahahah! >>. 
Ovviamente no che non potevo stare tranquilla, figurarsi se si poteva stare tranquilli in presenza di questo esemplare!
   << James! Quante volte dovrò ancora dirti che odio essere spaventata? E poi sono scherzi cretini, oltre che ridicoli >>, gli dissi, assumendo la mia posa fintamente arrabbiata, ovvero mani sui fianchi e sopracciglio alzato.
   << Per me puoi anche ripeterlo all’infinito, tanto non ti ascolterei lo stesso >>, sorrise a trentadue denti.
Per quanto mi riguarda scossi la testa, ormai rassegnata dai comportamenti di quest’uomo, e in verità, divertita e contenta del nostro rapporto.

Da che avessi memoria, io e James eravamo da sempre stati amici.
Questo perché Jay, come preferivo chiamarlo io, era il figlio di Claire e le nostre madri ci avevano praticamente cresciuto insieme. Quasi in simbiosi.
Il primo compagno di giochi è stato lui; il primo confidente al quale abbia mai rivelato un segreto è stato lui; e il primo amico con cui abbia insieme riso a crepapelle o sulla cui spalla abbia versato mille lacrime, è stato lui.
Aveva un carattere sincero ed espansivo, era socievole ma non invadente, sapeva mettere chiunque a proprio agio senza nemmeno rendersene conto. Non penso ci fosse qualcuno che lo considerasse antipatico. Aveva il dono di farsi amare da chiunque, volente o nolente.
Eravamo entrambi figli unici ma ci consideravamo fratello e sorella.
Per me era un rapporto meraviglioso, che avrei custodito e protetto ad ogni costo.

Lasciai per un attimo vagare gli occhi su quel viso, un tempo dai tratti infantili e ormai divenuto adulto. Del bambino con la quale ero cresciuta insieme non era rimasto molto: i capelli, una volta scuri, avevano finito per schiarirsi in un castano quasi dorato; le guance non erano più piene come quando da piccola andavo a pizzicarle solo per sentirne la morbidezza; le mani che mi accompagnavano quando dovevo attraversare la strada, adesso erano più magre e affusolate. C'era un uomo ora di fronte a me, alto e maturo, eppure mi bastava guardarlo negli occhi marroni per riconoscere quella scintilla infantile di una volta.
   
<< Che fai qui fuori? Dì un po’, sei di nuovo arrivato in ritardo, non è così? >>, dissi, furba. Sapevo dove colpirlo nei suoi punti deboli.
   << Con quell’aria saccente che ti ritrovi dovresti già avere la risposta >>, rispose, fintamente offeso.
Scossi la testa. Per quanto lo si potesse rimproverare quel ragazzo non sarebbe mai, e ripeto mai, arrivato puntuale ad un appuntamento. Non ci riusciva nemmeno se l’appuntamento era con una ragazza di cui era interessato, figurarsi quindi quando si trattava di altri impegni.
   << Tu invece? Non dovresti essere dentro a strapparti i capelli e ad urlare al mondo come una psicopatica isterica il tuo amore incondizionato per Michael Jackson? >>.
Lo guardai di traverso. Se voleva morire bastava solamente chiederlo, non mi sarei tirata indietro.
   << Sei serio o sarcastico? >>, chiesi, nemmeno tanto ironica.
   << Aspetta che ci devo pensare >>. Mise una mano sotto al mento e alzò gli occhi al cielo, assumendo un’espressione pensierosa degna del miglior premio Oscar. Infine scoppiò a ridere da solo.
   << E a proposito di questo … >>. Gli tirai un pugno all’altezza dello stomaco.
   << Ahi! E adesso che ti prende? >>, esclamò, sbalordito.
Oh, faceva anche il finto tonto!
   << Si dà il caso che io sia stata vittima di un complotto organizzato alle mie spalle, di cui TU, a quanto vedo, facevi parte. Quindi, ben ti sta >>.
Alzò le mani, in segno di resa.
   << E va bene, va bene, chiedo scusa >>, disse con un tono che di scuse aveva ben poco.

   << Ho taciuto perché sapevo quale sarebbe stata la tua reazione. Come minimo, saresti entrata nel pallone e soprattutto non saresti mai venuta. Per cui, ho avuto una valida ragione per entrare a far parte del complotto >> sorrise, compiaciuto da sé stesso.
 << Però, sul serio, tu devi avere qualche rotella fuori posto. Lascia stare lui come persona, non lo conosciamo e non possiamo esprimere opinioni di alcun genere - aprii bocca, pronta a controbattere, ma Jay alzò una mano per farmi tacere – No, so cosa stai per dire. Non dirla. Non si giudica una persona se non la si conosce. Questo vale per tutti. Però, musicalmente parlando, devi riconoscere che quell’uomo è un genio, un fottuto genio davvero! >>.
Incrociai le braccia. Quel giorno non ne potevo più di ascoltare gli stessi discorsi. Prima mia madre e adesso anche Jay.
   << Non sapevo fossi un suo fan >>.
   << Beh, fan non direi, sai che il mio cuore appartiene solo e soltanto ai Beatles - mise una mano sul petto, in fare drammatico - Ma credimi Bee, la musica non è più stata la stessa da quando Michael Jackson ha fatto vedere al mondo come si cammina sulla luna. Non hai idea di quanto sia acclamato quell'uomo a livello artistico. Se a qualcuno va riconosciuto del vero talento, quel qualcuno è proprio lui >>.
Ponderai le sue parole con cura e mi trovai tutto sommato d’accordo. Non conoscevo bene la sua musica, ma ricordavo di aver sentito una volta, mentre ero ancora adolescente, la famosa Billie Jean, e di aver pensato che avesse un ritmo fuori dal comune. L’ascoltavo e pensai che non potevo starmene a sentirla immobile seduta sul divano; quella canzone ti induceva a ballarla sulle sue note.
   << Visto e considerato che ti piace tanto, che ci fai qui fuori a parlare con me? Va dentro ad esprimergli tutta la tua ammirazione >>.
   << Stai scherzando? Sono entrato un attimo prima e l’ho trovato completamente circondato. Non mi stupisco tanto dei bambini, ma gli adulti potrebbero almeno farlo respirare un minuto. Non so come faccia a resistere, io impazzirei >>.
Sospirai. Sapevo di cosa stava parlando, si dava il caso che in quel gruppo ci fosse anche mia madre e la cosa era terribilmente imbarazzante.
   << E adesso perché sei diventata tutta rossa? Non è che in verità ti piace e non vuoi dirmelo? Eh? Eh? >>, disse, con un sorriso poco raccomandabile, mentre mi dava colpetti con il gomito su uno dei miei fianchi.
Tossii e la cosa non andò a mio favore perché diventai ancora più rossa.
   << Ma che dici?! Hai completamente frainteso! >>, sbraitai, infine.
Rise di gusto, me l’aveva fatta un’altra volta.
   << Sei impossibile, davvero >>. Risi anch’io, ormai rassegnata.
   << Comunque dovresti andare dentro, tua madre sarà anche abituata ai tuoi ritardi, ma sarà lo stesso preoccupata >>.
Alzò il polso per controllare l’orario sull’orologio e sgranò gli occhi.
   << Stavolta però, ho anche battuto tutti i record, ho un’ora di ritardo >>, disse, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
   << Mio Dio, vuoi farle venire un infarto? Sbrigati! >>.
Cercai di spingerlo verso l’entrata ma con scarsi risultati.
   << Vieni anche tu? >>, mi chiese.
   << No, torno a casa a riposarmi, è stata una giornata stressante >>.
   << Ma stasera però ci sarai alla festa >>, disse e non capii se fosse una domanda o un’affermazione.

Sinceramente non avevo nessuna voglia di andarci e il motivo non era per nulla difficile da indovinare. Già quel pomeriggio mi era bastato per distruggermi la giornata e rovinarmi l’umore. Almeno la sera volevo starmene un po’ per conto mio, in totale relax. Ma sussisteva un problema: non ero mai mancata ad una festa dell’orfanotrofio e si dava il caso, che proprio la festa di quella sera, quella di Natale, fosse la più importante. Mi sentivo divisa da due forze che tiravano verso due estremità opposte.
Alla fine trovai una ragione che mi portò ad una decisione definitiva, e il motivo era mia madre.
Forse può sembrare un motivo banale, ma vi assicuro che se non mi fossi presentata alla festa quella donna mi avrebbe tartassata per tutta la serata di telefonate e se alla fine non avessi ceduto, sarebbe venuta direttamente lei a prendermi di peso e portarmi in spalla fino all’orfanotrofio.
Non sapevo come avrebbe fatto, considerando la sua piccola statura, ma sapevo che ce l’avrebbe fatta. Di questo ne ero certa.

   << Si, ci sarò >>, dissi, infine, non senza un leggero tono di fastidio.
Jay parve non averci fatto caso, e anche se fosse stato il contrario, non disse nulla.
   << Mettiti un vestito >>, disse, sorridendo come un beota.
   << E perché? >>, risposi, attonita.
   << Perché non li metti mai ed è un peccato, quindi stasera mettilo >>.
Non replicai subito. Non so il perché.
   << Non è vero. Li ho sempre messi, ma solo quando la situazione lo richiedeva >>.
Non mentivo, non avevo nessun problema nell’indossare un vestito. Piuttosto, non capivo perché me lo stesse chiedendo.
   << Beh, stasera c’è la festa di Natale e sarà presente un vip. Questo è un evento che richiede un vestito >>, s’impose, con le mani appoggiate sui fianchi.
Era tutto inutile, e non avevo nemmeno più voglia di starlo a sentire.
   << Ti va bene se ti dico che ci penserò? >>.
   << No che non va bene >>. Girò i tacchi e si incamminò verso l’entrata dell’orfanotrofio. Appena poco prima di varcare la soglia, tornò a guardarmi. << Dico sul serio Bee, mettiti un vestito >>, usò di nuovo il soprannome che mi aveva dato la prima volta quando ancora eravamo piccoli e sparì oltre la porta.

Tornai a casa in preda alla confusione e all’indecisione più assoluta. 
Dopo vari ripensamenti, monologhi destinati soltanto a me stessa, camminate avanti ed indietro per tutta la stanza e sbuffi da far invidia ai tori della Corrida, presi la decisione di indossare un vestito. In realtà, sapevo bene che era stupido farsi tanti problemi per una questione del genere, era solo uno vestito in fondo. Il fatto è che facevo fatica ad indossare qualcosa che fosse femminile e che, quindi attirasse l’attenzione. Avevo la tendenza a far di tutto pur di sparire alla vista altrui, preoccupata di non so che cosa. Se mi fosse stata data la possibilità di avere un super potere, avrei scelto l’invisibilità, senza ombra di dubbio.
Eppure, che mi crediate o no, la maggior parte delle volte ero io stessa a crearmi le situazioni ideali per mettermi al centro dell’attenzione. Una contraddizione, certo, ma non potevo farci nulla. Avevo due brutti difetti, di cui però segretamente andavo fiera: ero testarda fino ai limiti del possibile e, quello peggiore dei due, non sapevo tenere la bocca a freno, se qualcosa non mi piaceva, dovevo dirlo. Se mi mettevo nei guai era quasi sempre per quest’ultimo motivo. Si poteva considerare una questione di vita o di morte.
Forse rasentavo la maleducazione, ma questi due difetti mi ricordavano l’adolescente forte e ribelle che ero una volta e che, in piccola parte, ancora avevo dentro, nascosta nell’ombra. Immagino che certe cose siano destinate a non cambiare mai, qualsiasi cosa succeda.

Il vestito che avevo scelto aveva sfumature rosa ed era ricamato interamente in pizzo con un meraviglioso tema floreale.
L’avevo indossato una sola volta, ma ne ero innamorata.
Arrivava esattamente all’altezza delle ginocchia ed aveva le maniche lunghe. Considerata la stagione fredda, faceva al caso mio.
La festa avrebbe avuto inizio alle 19:00. Ci sarebbe stato un piccolo buffet, al quale io partecipavo con la mia famosa torta di mele e cocco. I bambini avrebbero formato un piccolo coro e avrebbero intonato le canzoni natalizie più famose. Invece, come ogni anno sarebbe toccato a James l’arduo compito di travestirsi da Babbo Natale e, sempre come ogni anno, sarebbe arrivato il momento in cui uno dei bambini avrebbe scoperto chi, in realtà, si celasse sotto quelle pesanti vesti rosse e tutti lo avremmo preso in giro.

Scossi la testa, divertita. Stranamente, mi era tornato il buonumore.
Io amavo la festa di Natale più di qualsiasi altra festa. C’era magia pura in quelle ore di divertimento e spensieratezza, e c’era un’atmosfera di fratellanza, di affinità e di amore puro che non vedevo l’ora di rivivere.
Niente mi avrebbe buttato giù di morale, nemmeno una certa presenza …

Quando finii di fare questi pensieri ero già pronta. Mi guardai allo specchio e sorrisi, compiaciuta. Avevo sistemato i capelli lasciandoli sciolti sulle spalle e facendo in modo che avessero un movimento ondulato. Gli occhi verdi, dopo tanto tempo, erano tornati ad essere incorniciati da un filo sottile di matita e da lunghe ciglia nere. Non mi truccavo quasi mai, un po’ per pigrizia, un po’ perché non ne capivo il senso, tanto facevo allontanare chiunque provasse ad avvicinarmi.
La mia era una corazza bella spessa, era stata costruita con cura e dedizione sopra fondamenta che difficilmente avrebbero ceduto. E più passava il tempo più sembrava diventare indistruttibile, una vera arma di difesa contro i peggiori attacchi. Non che ne andassi orgogliosa, ma al momento non avevo trovato nessuna forza capace di far anche solo tremare quel muro.

Forse è tutto nella mia testa … la forza è nella mia testa”.

Scacciai via quei pensieri, mi ero promessa di passare una bella serata e così avrei fatto. Presi il cappotto nero dall’armadio e la borsetta da sera, recuperai le chiavi della macchina e fui pronta per partire.

 

 

*Spazio autrice:

 
Lo so, capitolo di passaggio ma necessario per presentarvi un personaggio fondamentale all’interno della storia.
Che ne pensate di James, o meglio Jay? Non metterò la foto di come me lo immagino perché, essendo un personaggio di sostegno e supporto, il migliore amico che tutti vorrebbero avere, vorrei che ognuno di voi lo immaginasse come meglio crede.
È stata e sarà la spalla di Isabella, ma non crediate che non creerà anche un po’ di scompiglio ... chissà ;)
Un bacio <3
Martina

  
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