Capitolo
3 – Friends will be friends
E
invece, quando pensavo di potermi rilassare solo in compagnia di me
stessa, ecco che …
<<
Buuuh! >>.
<<
Aaaah! >>. Lanciai un urlo che di femminile aveva ben
poco, ma non mi importava, avevo già capito chi era
l’autore dello scherzo.
<<
Ahahah! Isabella mi fai morire, ahahah! >>.
Ovviamente no che non potevo stare tranquilla, figurarsi se si poteva
stare tranquilli in presenza di questo esemplare!
<<
James! Quante volte dovrò ancora dirti che odio essere
spaventata? E poi sono scherzi cretini, oltre che ridicoli
>>, gli dissi, assumendo la mia posa fintamente
arrabbiata, ovvero mani sui fianchi e sopracciglio alzato.
<<
Per me puoi anche ripeterlo all’infinito, tanto non ti
ascolterei lo stesso >>, sorrise a trentadue denti.
Per quanto mi riguarda scossi la testa, ormai rassegnata dai
comportamenti di quest’uomo, e in verità,
divertita e contenta del nostro rapporto.
Da
che avessi memoria, io e James eravamo da sempre stati amici.
Questo perché Jay, come preferivo chiamarlo io, era il
figlio di Claire e le nostre madri ci avevano praticamente cresciuto
insieme. Quasi in simbiosi.
Il primo compagno di giochi è stato lui; il primo confidente
al quale abbia mai rivelato un segreto è stato lui; e il
primo amico con cui abbia insieme riso a crepapelle o sulla cui spalla
abbia versato mille lacrime, è stato lui.
Aveva un carattere sincero ed espansivo, era socievole ma non
invadente, sapeva mettere chiunque a proprio agio senza nemmeno
rendersene conto. Non penso ci fosse qualcuno che lo considerasse
antipatico. Aveva il dono di farsi amare da chiunque, volente o nolente.
Eravamo entrambi figli unici ma ci consideravamo fratello e sorella.
Per me era un rapporto meraviglioso, che avrei custodito e protetto ad
ogni costo.
Lasciai
per un attimo vagare gli occhi su quel viso, un tempo dai tratti
infantili e ormai divenuto adulto. Del bambino con la quale ero
cresciuta insieme non era rimasto molto: i capelli, una volta scuri,
avevano finito per schiarirsi in un castano quasi dorato; le guance non
erano più piene come quando da piccola andavo a pizzicarle
solo per sentirne la morbidezza; le mani che mi accompagnavano quando
dovevo attraversare la strada, adesso erano più magre e
affusolate. C'era un uomo ora di fronte a me, alto e maturo, eppure mi
bastava guardarlo negli occhi marroni per riconoscere quella scintilla
infantile di una volta.
<<
Che fai qui fuori? Dì un po’, sei di nuovo
arrivato in ritardo, non è così?
>>, dissi, furba. Sapevo dove colpirlo nei suoi punti
deboli.
<<
Con quell’aria saccente che ti ritrovi dovresti
già avere la risposta >>, rispose, fintamente
offeso.
Scossi la testa. Per quanto lo si potesse rimproverare quel ragazzo non
sarebbe mai, e ripeto mai, arrivato puntuale ad un appuntamento. Non ci
riusciva nemmeno se l’appuntamento era con una ragazza di cui
era interessato, figurarsi quindi quando si trattava di altri impegni.
<<
Tu invece? Non dovresti essere dentro a strapparti i capelli e ad
urlare al mondo come una psicopatica isterica il tuo amore
incondizionato per Michael Jackson? >>.
Lo guardai di traverso. Se voleva morire bastava solamente chiederlo,
non mi sarei tirata indietro.
<<
Sei serio o sarcastico? >>, chiesi, nemmeno tanto ironica.
<<
Aspetta che ci devo pensare >>. Mise una mano sotto al
mento e alzò gli occhi al cielo, assumendo
un’espressione pensierosa degna del miglior premio Oscar.
Infine scoppiò a ridere da solo.
<<
E a proposito di questo … >>. Gli tirai un
pugno all’altezza dello stomaco.
<< Ahi! E adesso che ti prende?
>>, esclamò, sbalordito.
Oh, faceva anche il finto tonto!
<< Si dà il caso che io
sia stata vittima di un complotto organizzato alle mie spalle, di cui
TU, a quanto vedo, facevi parte. Quindi, ben ti sta >>.
Alzò le mani, in segno di resa.
<< E va bene, va bene, chiedo scusa
>>, disse con un tono che di scuse aveva ben poco.
<< Ho taciuto perché
sapevo quale sarebbe stata la tua reazione. Come minimo, saresti
entrata nel pallone e soprattutto non saresti mai venuta. Per cui, ho
avuto una valida ragione per entrare a far parte del complotto
>> sorrise, compiaciuto da sé stesso. <<
Però, sul serio, tu devi avere qualche rotella fuori posto.
Lascia stare lui come persona, non lo conosciamo e non possiamo
esprimere opinioni di alcun genere - aprii bocca, pronta a
controbattere, ma Jay alzò una mano per farmi tacere
– No, so cosa stai per dire. Non dirla. Non si giudica una
persona se non la si conosce. Questo vale per tutti. Però,
musicalmente parlando, devi riconoscere che quell’uomo
è un genio, un fottuto genio davvero! >>.
Incrociai le braccia. Quel giorno non ne potevo più di
ascoltare gli stessi discorsi. Prima mia madre e adesso anche Jay.
<<
Non sapevo fossi un suo fan >>.
<<
Beh, fan non direi, sai che il mio cuore appartiene solo e soltanto ai
Beatles - mise una mano sul petto, in fare drammatico - Ma credimi Bee,
la musica non è più stata la stessa da quando
Michael Jackson ha fatto vedere al mondo come si cammina sulla luna.
Non hai idea di quanto sia acclamato quell'uomo a livello artistico. Se a
qualcuno va riconosciuto del vero talento, quel qualcuno è
proprio lui >>.
Ponderai le sue parole con cura e mi trovai tutto sommato
d’accordo. Non conoscevo bene la sua musica, ma ricordavo di
aver sentito una volta, mentre ero ancora adolescente, la famosa Billie
Jean, e di aver pensato che avesse un ritmo fuori dal comune.
L’ascoltavo e pensai che non potevo starmene a sentirla
immobile seduta sul divano; quella canzone ti induceva a
ballarla sulle sue note.
<<
Visto e considerato che ti piace tanto, che ci fai qui fuori a parlare
con me? Va dentro ad esprimergli tutta la tua ammirazione
>>.
<<
Stai scherzando? Sono entrato un attimo prima e l’ho trovato
completamente circondato. Non mi stupisco tanto dei bambini, ma gli
adulti potrebbero almeno farlo respirare un minuto. Non so come faccia
a resistere, io impazzirei >>.
Sospirai. Sapevo di cosa stava parlando, si dava il caso che in quel
gruppo ci fosse anche mia madre e la cosa era terribilmente
imbarazzante.
<<
E adesso perché sei diventata tutta rossa? Non è
che in verità ti piace e non vuoi dirmelo? Eh? Eh?
>>, disse, con un sorriso poco raccomandabile, mentre mi
dava colpetti con il gomito su uno dei miei fianchi.
Tossii e la cosa non andò a mio favore perché
diventai ancora più rossa.
<<
Ma che dici?! Hai completamente frainteso! >>, sbraitai,
infine.
Rise di gusto, me l’aveva fatta un’altra volta.
<<
Sei impossibile, davvero >>. Risi anch’io,
ormai rassegnata.
<<
Comunque dovresti andare dentro, tua madre sarà anche
abituata ai tuoi ritardi, ma sarà lo stesso preoccupata
>>.
Alzò il polso per controllare l’orario
sull’orologio e sgranò gli occhi.
<<
Stavolta però, ho anche battuto tutti i record, ho
un’ora di ritardo >>, disse, come se fosse la
cosa più naturale del mondo.
<<
Mio Dio, vuoi farle venire un infarto? Sbrigati! >>.
Cercai di spingerlo verso l’entrata ma con scarsi risultati.
<<
Vieni anche tu? >>, mi chiese.
<<
No, torno a casa a riposarmi, è stata una giornata
stressante >>.
<<
Ma stasera però ci sarai alla festa >>, disse
e non capii se fosse una domanda o un’affermazione.
Sinceramente
non avevo nessuna voglia di andarci e il motivo non era per nulla
difficile da indovinare. Già quel pomeriggio mi era bastato
per distruggermi la giornata e rovinarmi l’umore. Almeno la
sera volevo starmene un po’ per conto mio, in totale relax.
Ma sussisteva un problema: non ero mai mancata ad una festa
dell’orfanotrofio e si dava il caso, che proprio la festa di
quella sera, quella di Natale, fosse la più importante. Mi
sentivo divisa da due forze che tiravano verso due estremità
opposte.
Alla fine trovai una ragione che mi portò ad una decisione
definitiva, e il motivo era mia madre.
Forse può sembrare un motivo banale, ma vi assicuro che se
non mi fossi presentata alla festa quella donna mi avrebbe tartassata
per tutta la serata di telefonate e se alla fine non avessi ceduto,
sarebbe venuta direttamente lei a prendermi di peso e portarmi in
spalla fino all’orfanotrofio.
Non sapevo come avrebbe
fatto, considerando la sua piccola statura, ma sapevo che ce
l’avrebbe fatta. Di questo ne ero certa.
<<
Si, ci sarò >>, dissi, infine, non senza un
leggero tono di fastidio.
Jay parve non averci fatto caso, e anche se fosse stato il contrario,
non disse nulla.
<<
Mettiti un vestito >>, disse, sorridendo come un beota.
<<
E perché? >>, risposi, attonita.
<<
Perché non li metti mai ed è un peccato, quindi
stasera mettilo >>.
Non replicai subito. Non so il perché.
<<
Non è vero. Li ho sempre messi, ma solo quando la situazione
lo richiedeva >>.
Non mentivo, non avevo nessun problema nell’indossare un
vestito. Piuttosto, non capivo perché me lo stesse chiedendo.
<<
Beh, stasera c’è la festa di Natale e
sarà presente un vip. Questo è un evento che
richiede un vestito >>, s’impose, con le mani
appoggiate sui fianchi.
Era tutto inutile, e non avevo nemmeno più voglia di starlo
a sentire.
<<
Ti va bene se ti dico che ci penserò? >>.
<<
No che non va bene >>. Girò i tacchi e si
incamminò verso l’entrata
dell’orfanotrofio. Appena poco prima di varcare la soglia,
tornò a guardarmi. << Dico sul serio Bee,
mettiti un vestito >>, usò di nuovo il
soprannome che mi aveva dato la prima volta quando ancora eravamo
piccoli e sparì oltre la porta.
Dopo vari ripensamenti, monologhi destinati soltanto a me stessa,
camminate avanti ed indietro per tutta la stanza e sbuffi da far
invidia ai tori della Corrida, presi la decisione di indossare un
vestito. In realtà, sapevo bene che era stupido farsi tanti
problemi per una questione del genere, era solo uno vestito in fondo.
Il fatto è che facevo fatica ad indossare qualcosa che fosse
femminile e che, quindi attirasse l’attenzione. Avevo la
tendenza a far di tutto pur di sparire alla vista altrui, preoccupata
di non so che cosa. Se mi fosse stata data la possibilità di
avere un super potere, avrei scelto
l’invisibilità, senza ombra di dubbio.
Eppure, che mi crediate o no, la maggior parte delle volte ero io
stessa a crearmi le situazioni ideali per mettermi al centro
dell’attenzione. Una contraddizione, certo, ma non potevo
farci nulla. Avevo due brutti difetti, di cui però
segretamente andavo fiera: ero testarda fino ai limiti del possibile e,
quello peggiore dei due, non sapevo tenere la bocca a freno, se
qualcosa non mi piaceva, dovevo dirlo.
Se mi mettevo nei guai era quasi sempre per quest’ultimo
motivo. Si poteva considerare una questione di vita o di morte.
Forse rasentavo la maleducazione, ma questi due difetti mi ricordavano
l’adolescente forte e ribelle che ero una volta e che, in
piccola parte, ancora avevo dentro, nascosta nell’ombra.
Immagino che certe cose siano destinate a non cambiare mai, qualsiasi
cosa succeda.
L’avevo indossato una sola volta, ma ne ero innamorata.
Arrivava esattamente all’altezza delle ginocchia ed aveva le
maniche lunghe. Considerata la stagione fredda, faceva al caso mio.
La festa avrebbe avuto inizio alle 19:00. Ci sarebbe stato un piccolo
buffet, al quale io partecipavo con la mia famosa torta di mele e
cocco. I bambini avrebbero formato un piccolo coro e avrebbero intonato
le canzoni natalizie più famose. Invece, come ogni anno
sarebbe toccato a James l’arduo compito di travestirsi da
Babbo Natale e, sempre come ogni anno, sarebbe arrivato il momento in
cui uno dei bambini avrebbe scoperto chi, in realtà, si
celasse sotto quelle pesanti vesti rosse e tutti lo avremmo preso in
giro.
Scossi
la testa, divertita. Stranamente, mi era tornato il buonumore.
Io amavo la festa di Natale più di qualsiasi altra festa.
C’era magia pura in quelle ore di divertimento e
spensieratezza, e c’era un’atmosfera di
fratellanza, di affinità e di amore puro che non vedevo
l’ora di rivivere.
Niente mi avrebbe buttato giù
di morale, nemmeno una certa presenza …
Quando
finii di fare questi pensieri ero già pronta. Mi guardai
allo specchio e sorrisi, compiaciuta. Avevo sistemato i capelli
lasciandoli sciolti sulle spalle e facendo in modo che avessero un
movimento ondulato. Gli occhi verdi, dopo tanto tempo, erano tornati ad
essere incorniciati da un filo sottile di matita e da lunghe ciglia
nere. Non mi truccavo quasi mai, un po’ per pigrizia, un
po’ perché non ne capivo il senso, tanto facevo
allontanare chiunque provasse ad avvicinarmi.
La mia era una corazza bella spessa, era stata costruita con cura e
dedizione sopra fondamenta che difficilmente avrebbero ceduto. E
più passava il tempo più sembrava diventare
indistruttibile, una vera arma di difesa contro i peggiori attacchi.
Non che ne andassi orgogliosa, ma al momento non avevo trovato nessuna
forza capace di far anche solo tremare quel muro.
“Forse
è tutto nella mia testa … la forza è
nella mia testa”.
Scacciai
via quei pensieri, mi ero promessa di passare una bella serata e
così avrei fatto. Presi il cappotto nero
dall’armadio e la borsetta da sera, recuperai le chiavi della
macchina e fui pronta per partire.
*Spazio
autrice:
Lo so, capitolo di passaggio ma necessario per presentarvi un
personaggio fondamentale all’interno della storia.
Che ne pensate di James, o meglio Jay? Non metterò la foto
di come me lo immagino perché, essendo un personaggio di
sostegno e supporto, il migliore amico che tutti vorrebbero avere,
vorrei che ognuno di voi lo immaginasse come meglio crede.
È stata e sarà la spalla di Isabella, ma non
crediate che non creerà anche un po’ di scompiglio
... chissà ;)
Un bacio <3
Martina