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Autore: Blue Eich    01/08/2015    4 recensioni
Blue guardò ancora giù, cupa. Perché vivere? Si chiedeva. Perché vivere una vita dove era costretta a rubare le cose che le erano state sempre negate, tra il rimorso e l'invidia nel vedere bambini ridenti con al fianco i genitori, al calore di un focolare acceso? Poteva avere senso, una vita del genere, dove doveva persino fingersi qualcosa che non era, lasciando passare le critiche su di sé come un velo di pioggia?
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blue, Crystal, Green, Red, Silver
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga
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Orfanelli a Londra

2. Sempre azzurra non può essere l'età

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Quando erano scappati non sapevano a cosa sarebbero andati incontro. All'epoca Blue voleva soltanto oltrepassare quelle mura – e dire bye bye a quella strega di suor Sabrina – mentre a Silver importava solo stringere la mano nella sua.
Era sempre Blue, ovviamente, a prendere le decisioni. Quando svegliarsi, quando uscire allo scoperto, quando e dove andare a dormire. C'era furbizia in quei momenti e la sua voce, chissà come, non sembrava più di una bambina di cinque anni.
La prima volta che erano andati in centro, era stato bellissimo. Correvano da una parte all'altra, meravigliati dalle vetrine dei negozi, o anche solo dalla gente infagottata in costose pellicce che passeggiava sul marciapiede. A proposito di vestiario: Silver era a posto, con la sua tutina nera. Le braccia bianche come il latte di Blue, invece, erano senza maniche e perennemente con la pelle d'oca. Ma lei non si lamentava mai e andava sempre avanti sorridendo, ormai immune al gelo londinese.
Pian piano si erano fatti il loro giro che si ripeteva ogni mattina. Blue aveva preso in simpatia il negozietto di dolciumi della quinta strada, Rare Candy. Sugli scaffali più in alto c'erano barattoli di confetti e sacchettini di meringhe bianche come gesso. Invece, dietro una cupola del bancone, dei lollipop legati insieme da un fil di ferro, grandi quasi quanto la sua testa. Accanto un rotolone di liquirizia, un vassoio fondo pieno di palline colorate e le bugie, che dovevano essere buonissime. Ma si accontentava di una manciata di palline colorate e schizzava subito fuori, prima che la donna col grembiule sporco di glassa ritornasse.
Silver aspettava paziente Blue, senza batter ciglio né aprir bocca. Perché gliel'aveva detto lei. “Fratellino, ti ricordi i miei disegni?” Si era tirata le guance per curvare la bocca insù. “Se fai il bravo, io sorrido.” Poi le aveva portate giù. “Sennò, io divento triste. Hai capito?”
Perciò obbediva, anche se avrebbe tanto voluto aiutarla e fare qualcosa per lei.
 
L'anno stava trascorrendo, con i crampi alla pancia perenni e l'abilità di Blue nel rubare sempre migliore. Le spiaceva insegnare queste cose a Silver, perché lei era vissuta in una famiglia onesta e gli insulti delle persone derubate le si abbattevano addosso come uno sciame di spilli. A volte quasi si bloccava. Poi nella sua mente vedeva una bambina sorridente, mano nella mano con la propria mamma, che leccava un grossissimo lecca-lecca. Allora, con la bocca serrata e la frangia a incupirle la fronte, pensava innocentemente: “Anche io sono una bambina. Lo voglio anche io. Perché io no?” Così trovava lo slancio per correre più svelta.
Nel frattempo Silver imparava a parlare. Come se fosse stato sempre capace, ma in collegio si rifiutasse di farlo. Però diceva cose molto concise e la sua voglia di aiutare Blue cresceva, per ripagarla dei piccoli gesti quotidiani che faceva per lui. Ad esempio quando con un sorriso amorevole gli allacciava i bottoni della giacchetta a vento; sentiva il suo viso così vicino, ed era così bello. Oppure quando cadeva e cercava di trattenere le lacrime, lei accorreva subito, preoccupata. Poi diceva: “Ora faccio una magia!” Dava un bacino al ginocchio spellato e Silver, poco dopo, si sentiva meglio. O ancora quando lo aiutava a soffiarsi il naso o a pulirsi il viso. Con lo stesso fazzoletto, quello che aveva sempre avuto e stringeva al petto, l'unico suo tesoro intoccabile assieme ai guanti neri. Perciò dovevano continuamente andare alla fontana e lavare questo fazzoletto, perché Silver non l'avrebbe mai buttato, così come Blue non avrebbe mai buttato il suo vecchio peluche.
 
Un giorno, Blue era felicissima perché aveva trovato ben due penny per terra e aveva potuto finalmente comprare qualcosa da Rare Candy: due bugie. Aveva porto il soldino allungandosi sulle punte dei piedi, tutta emozionata, ma anche in imbarazzo di potersi far vedere.
Così avevano in mente di mangiarli sul bordo della fontana dove lavavano sempre il fazzoletto di Silver, in mezzo al viavai della gente, sotto il chiarore del cielo terso del mattino. I piccioni gli facevano compagnia, alla ricerca delle briciole incastrate negli incavi delle piastrelle.
Blue sollevò Silver per la vita per farlo salire più facilmente. Lui come al solito era stato immobile, incantato da tali premure, e annuì vigoroso dopo la raccomandazione di non sporgersi troppo. Anche Blue salì. Silver poche volte l'aveva vista così: era veramente allegra, canticchiava e muoveva di continuo le gambe a penzoloni. Vederla così gli infondeva più sicurezza. Iniziarono a mangiare quei dolciumi, semplici, ma che per loro erano qualcosa di straordinario.
«Blue?»
«Uhm?»
«Che bugia è?» chiese Silver, fissando il resto del suo dolce. Blue, in collegio, gli aveva insegnato che le bugie erano cose cattive. Eppure lui ne stava mangiando una e non era affatto cattiva. Forse l'avevano detta per fare del bene, per questo era dolce, mentre tutte le altre erano amare. Non avrebbe mai creduto di poter mangiare una bugia. Forse anche le verità si potevano mangiare e, di sicuro, erano più buone.
«Eh?» Blue rimase un attimo perplessa, prima di rispondere, con un risolino: «Ma no! Queste non sono bugie che si dicono, però si chiamano così.»
Silver, perplesso, pensò a quando dicevano che andavano a dire le preghiere e poi non era vero. Quella bugia doveva essere dolce di sicuro, dato che li rendeva felici. «Perché?»
«Non lo so» rispose lei, mantenendo sempre il sorriso. Si era per un attimo dimenticata della vergogna nel guardare gli occhi della donna a cui rubava sempre le gomme, con la consapevolezza che avrebbe continuato a farlo. «Oh, sei proprio buffo!» esclamò poi d'un tratto. «Fermo…»
Silver stavolta arrossì un poco, al trovarsi quel viso così bello vicino, ma lei non se ne accorse, concentrata nel togliergli lo zucchero a velo dalle guance. «B… Blue?»
I suoi occhioni color d'oceano si alzarono. Così vicini, così belli. Voleva che restasse vicina a lui per sempre. Senza pensarci, fece uno scatto in avanti e sfiorò le sue labbra, così morbide che ebbe la sensazione di toccare una nuvola. Fu il turno di Blue di arrossire di botto, sconcertata da quell'azione. Quei pochi attimi sembrarono minuti, dove ogni suono esterno era come se non ci fosse, la vita scorreva, ma per loro scorreva più lenta. Silver fece schioccare le labbra sulle sue: un bacino umido, caldo, per poi tirarsi indietro.
Blue, adesso rivolta su un fianco, teneva una mano in prossimità della bocca ed era davvero, davvero rossa. Silver la fissava e basta, convinto di non aver fatto nulla di male. A un certo punto, lei deglutì e disse: «Fratellino… Q-Queste cose non si fanno. Le fanno i grandi.»
Lui abbassò lo sguardo, deluso. Non era un rimprovero, ma aveva capito lo stesso di aver sbagliato. Poi, poco dopo, si rassicurò da solo. Aveva detto che era una cosa da grandi. Quindi da grandi avrebbe potuto farlo di nuovo. Doveva solo aspettare.
Blue, intanto, si era sciacquata la faccia un paio di volte con l'acqua della fontana e continuava a sfiorarsi vicino alle labbra, facendosi rivenire in mente quel gesto.
 
A parte il negozio Rare Candy ce n'erano altri, che facevano una cosa a loro molto comoda: in determinati giorni, lasciavano una busta di roba vicina alla scadenza sul retro, accanto all'immondizia. Andare a prendere quelle buste, lasciate apposta per chi non aveva niente, diventò il compito di Silver. Si era deciso tanti appostamenti in cui rannicchiare il suo corpicino e aspettare il momento giusto. Non poteva numerarli, perché sapeva contare solo fino a dieci, ma gli dava dei nomi: “appostamento del cespuglio”, “appostamento del vicolo” e così via.
Blue gli concedeva solo di prendere le buste. Lei andava al mercato, che era il lavoro più pericoloso, ma anche il più adatto a un falso angelo come lei. Aria disinvolta, mani dietro la schiena, camminata innocente. Poi arraffava una mela o un'arancia e la addentava furtiva, nascondendosi nel vicolo più vicino.
Una volta le era venuta l'idea di rubare dei trucchi, per sentirsi grande e più carina. Anche se Silver, schietto schietto, le diceva sempre “sei bella” quando i loro visi erano vicini. Ma lo faceva con innocenza.
Insomma, Blue aveva usato il solito metodo: fingere di passeggiare, afferrare e scappare. Così si ritrovò in un vicolo, stringendo tra le dita un rossetto di un bel rosa vivido, rigirandoselo tra le mani. Quasi le spiaceva consumarlo, perciò si godette lentamente gli attimi solenni in cui se lo spalmava sulle labbra. Era buono, sapeva di zucchero a velo e usciva dal tubetto come crema. Mentre pensava già che avrebbe dovuto dire a Silver di non mangiarlo per nessuna ragione al mondo, sentì un aspro: «Ehi!» alle sue spalle, che la fece sussultare.
Si girò, cauta, stringendo il suo prezioso oggetto nel timore che qualcuno volesse portarglielo via. Un ragazzino la squadrava con un sopracciglio severo e le braccia sui fianchi. Aveva degli sbarazzini capelli bruni, calzava un paio di stivali arancioni e il dettaglio che spiccava di più era senz'altro il medaglione al suo collo.
«Ci conosciamo?»
«Sei stata tu! Ti ho vista!» l'accusò, puntandole il dito contro. «Quel rossetto non è tuo, l'hai rubato!» gridò, avanzando a grandi passi verso di lei.
Blue fece una smorfia e, con le mani strette vicino al cuore, rispose frettolosamente: «Non è vero» anche se sapeva benissimo che era vero. Era la prima volta che veniva scoperta da qualcuno, perciò non sapeva come comportarsi.
Il ragazzino le afferrò un polso, strattonandolo. Con la stessa forza di suor Sabrina, tanto che le sembrò di essere tornata indietro nel tempo.
«L-Lasciami andare!» esclamò, con gli occhi lucidi.
«No! Non posso permettere che una ladra come te la passi liscia!»
Quando il ragazzino alzò lo sguardo, vide il viso in lacrime di lei, che mugugnò un: «Mi fai male…» sommesso. Scosso da quella vista, allentò la presa fino a mollarla del tutto. Ladra o non ladra, era sempre una donna, e non c'è colpa più grave di cui macchiarsi che ferire una donna. Suo nonno lo diceva sempre.
«Quello che hai fatto è sbagliato» ribadì, in tono meno impetuoso. «Se vuoi qualcosa devi chiedere il permesso ai tuoi genitori, capito?»
«Non so dove siano i miei genitori» sibilò lei, a capo chino, per non affrontare i suoi occhi.
Ne seguì un cupo silenzio. Fuori da quel vicolo, la gente continuava le proprie faccende, ignara della tensione e la malinconia che regnavano lì dentro.
«I miei sono in cielo» raccontò lui, d'un tratto, come se quella confessione su se stesso fosse un modo per scusarsi di essere stato così brusco. «Senti, però adesso smettila. Se vuoi fare la bambina grande, non devi piangere: le bambine grandi si truccano perché sanno che non piangeranno.»
Blue arrossì leggermente e annuì, a testa china, mentre il ragazzino, con le mani in tasca, se ne tornava sui propri passi. «Mi chiamo Green Oak» gridò, di spalle. «Il sabato è sempre una noia… Puoi venire alla farmacia di mio nonno in Pallet Street, se non hai di meglio da fare» propose con nonchalance, forse troppa, segno che magari si vergognava. «Poi fa' come vuoi, eh.»
«D'accordo!» gridò Blue di rimando, ridacchiando poi tra sé. Aveva un amico. Un po' antipatico, ma aveva un amico. E l'aveva invitata ad andare a giocare da lui. Si riscosse, ricordandosi delle crema densa ma appiccicaticcia sulle labbra. Giusto. Doveva tornare da Silver.
 
Silver imparò presto il concetto di gelosia, anche senza i disegnini. Sentiva un attaccamento maggiore nei confronti di Blue, da quando lei gli aveva raccontato di quel bambino del vicolo. Era una bella notizia, ma non riusciva a rallegrarsene.
Il primo sabato che venne, iniziarono a frequentare casa Oak. Non potevano sbagliarsi: la farmacia più famosa della città si chiamava proprio Oak.
Il farmacista, Samuel Oak, rimase leggermente interdetto quando vide Blue.
«Ciao, piccolina, posso aiutarti?» le chiese, con un sorriso bonario.
«Stiamo cercando Green Oak, sa per caso dove possiamo trovarlo?» domandò, sporgendosi sulle punte per cercare di arrivare al banco, mentre Silver, mano nella mano con lei, dava un'occhiata alla vetrata delle medicine.
«Oh, voi dovete essere gli amici che Green ha invitato qui, oggi!» esclamò l'anziano, sempre allegro e disponibile. «Green, scendi!»
«Arrivo!» si sentì in risposta – in tono un po' scocciato – da in cima alla rampa di scale dietro al bancone.
Samuel, mentre guardava Blue china e sorridente verso l'altro bambino, proprio come una sorella maggiore, rifletteva. Rifletteva su dove potesse averla già vista. Nella sua mente era rimasto un ricordo sfocato, di parecchi anni prima. Una bambina, dai grandi occhioni azzurri come i suoi, ma lucidi e arrossati, con una sciarpa al collo. Una madre che si era afflosciata come un fiore morente, dopo aver appurato che le poche monete nel suo borsellino non bastavano a comprare lo sciroppo per la tosse. Come dimenticare quella scena, che gli aveva stretto tanto il cuore, quando la madre si era chinata ad accarezzare ripetutamente il capo della bimba che continuava a tossire. Samuel non aveva detto niente. Le aveva semplicemente allungato il flacone, perché l'espressione di felicità e sollievo che vide fu molto più appagante di qualsiasi cifra in denaro. Non poteva essere la stessa bambina di quel freddo giorno d'inverno… Però le somigliava davvero tanto.
 
La casa degli Oak era sopra alla farmacia. Camera di Green, letto a parte, era spoglia, fatta eccezione per due mensole occupate da una collezione di macchinine tutte diverse e una scrivania con su alcuni libri.
«Oggi non vado a scuola e mi annoio» spiegò, come a giustificare la loro presenza.
«Blue» fece Silver, tirandole l'orlo del vestito. «Guarda.» Indicò con il dito la collezione di piccoli veicoli, così lucidi e rifiniti che sembravano veri.
«Sono molto belle, però non possiamo giocarci. Dobbiamo chiedere a Green, non è come in collegio» spiegò, abbassandosi leggermente per parlargli.
«Preferirei che non le toccaste, costano molto» intimò il castano, con una smorfia, a cui seguì lo sguardo deluso di Silver. «Ho altri giocattoli» annunciò, subito dopo. Con un calcio deciso spinse uno scrigno fuori da sotto il letto.
Come la storia di Adamo ed Eva: potevano toccare tutti i frutti – giocattoli, in questo caso – tranne la mela proibita, cioè le macchinine. Però era Adamo – Silver – invece di Eva, a rischiare di cadere in tentazione. Le fissava sempre, languidamente, ma non aveva il coraggio di avvicinarsi.
I sabati si susseguivano e lui stava sempre inginocchiato in disparte, a far camminare due soldatini di stagno o due animaletti di legno, mentre poco distante Blue e Green si concentravano in una partita di dama o scacchi. Silver ricordava bene la volta che, frugando in fondo in fondo allo scrigno, avevano trovato una ballerina.
«Oh! È bellissima!» esclamò Blue, ammaliata. «Aspetta, ma perché ne hai una?» chiese, con un sorrisetto birichino.
«Stupida» borbottò Green, un po' in imbarazzo. «Non è mia, era di mia sorella Daisy, ma lei non la usa più. Prendila, tanto io non me ne faccio un bel niente» disse poi, con un verso concessivo.
Tempo neanche due secondi che Blue gli saltò al collo per abbracciarlo e gli schioccò un bacio sulla guancia, lasciandogli lo stampo di quel rossetto zuccherino non adatto alla sua età, che di tanto in tanto ancora metteva. Green, un po' in difficoltà da quel suo comportamento espansivo, girò orgoglioso il capo dalla parte opposta.
Fu allora che Silver fu veramente deluso. Finora era sempre stato l'unico con cui Blue era affettuosa e a cui dava il bacio della buonanotte in fronte. Si sentiva tradito, in un certo senso. A parte il sabato, che per lui significava “brutta giornata”, il resto della settimana si susseguiva sempre tutto uguale, i mesi passavano, loro crescevano.

 

 


 

Angolo Autrice
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Salve!
Ecco il secondo capitolo su tre, spero vi piaccia: questo rappresenta la seconda parte d'infanzia dei nostri dolci orfanelli. :3
Vi sarete accorti che il negozio di dolci si chiama Rare Candy, un piccolo riferimento alle Caramelle Rare presenti nei videogiochi - anche perché, lo ammetto, non avevo altre idee.
Ah, per l'accenno alla sorella di Green ho preferito usare il nome inglese: Daisy è molto meglio di Margi!
E siccome il professor Oak doveva avere un lavoro importante, ho scelto di fargli gestire una farmacia perché mi sembrava quello più adatto a lui.
Bene, non c'è altro che dovevo dire, perciò alla prossima!
-H.H.-

 
   
 
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