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Autore: Blue Heads    02/08/2015    3 recensioni
Tom Orvoloson Riddle aveva dovuto attendere a lungo per poter attuare il suo piano: erano trascorsi undici anni prima che qualcuno trovasse il diario, e quasi altri cinque si erano resi necessari perché il legame tra le due anime diventasse sufficientemente profondo.
Il quinto anno ad Hogwarts... Curioso che anche lui avesse avuto proprio quell'età quando a sua volta aveva aperto la Camera dei Segreti.
La sua vittima col tempo si era rivelata meno sciocca del previsto, rendendo l'attesa meno tediosa, ma ciò non influenzava minimamente le sue intenzioni, né intaccava la sua determinazione: Ginevra Weasley non aveva scampo.
Certo, l'intelligenza della giovane superava le sue aspettative, e lo forzava a muoversi in fretta; ma ormai ogni cosa era predisposta. Dopo tanta attesa, il momento era giunto.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ginny Weasley, Tom O. Riddle, Tom Riddle/Voldermort
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Altro contesto
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Capitolo II


Ginevra era pigiata tra i fratelli all’interno dell’auto rovente, mentre sorvolavano la campagna nei pressi del villaggio di Ottery St Catchpole. Per ragioni mediche, ancora non poteva viaggiare via Metropolvere né, tantomeno, via Materializzazione: il viaggio in auto era stato inevitabile.
Sotto il suo sguardo si susseguivano colline dalle tinte variegate, investite dal sole: l'ocra dell'erba riarsa si alternava al verde dei vigneti, all'oro pallido dei campi di grano, alla terra battuta delle strade sterrate. Ginevra scorse la casa dei Lovegood e, poco lontano, il profilo irregolare della Tana.
Era mancata da casa solo per pochi mesi, ma Ginevra si sentiva un’altra persona rispetto a quella che aveva lasciato la Tana dopo le vacanze natalizie; temeva di sentirsi a disagio tra quelle mura che le avevano sempre dato sicurezza, di sentirsi un’estranea nella sua stessa famiglia.
Mentre l’auto planava, uno gnomo sfrecciò accanto al finestrino di Ginevra. La ragazza si voltò nella direzione da cui proveniva; nel cortile, Bill e Charlie apparecchiavano la tavola per il pranzo e Hermione faceva levitare sopra di loro un ampio gazebo, mentre Harry era impegnato in una disperata lotta contro uno stuolo di gnomi da giardino.
<< Forza Harry! >> gridarono Fred e George all’unisono dal sedile accanto a Ginevra << Falli cozzare tra loro! Così, bel colpo! >>
L’auto atterrò bruscamente; Ron corse ad aiutare l’amico, e i gemelli si fiondarono ad assistere alla battaglia, invitando gli altri a fare scommesse. Fleur si affacciò alla porta per dare il benvenuto a Ginevra, seguita da una Molly chiaramente esausta. Ginevra, mal disposta dal dolore alla testa, sfoderò un sorriso forzato, per nulla entusiasta all’idea di dover trascorrere il pranzo in quel trambusto.
Presto tutti presero posto a tavola e arrivarono le prime portate, seguite da molte altre, condite da esasperanti chiacchiere e risate. Ginevra era stanca di fingersi allegra e alla prima occasione si eclissò, andando a rifugiarsi nella sua camera, al terzo piano.


Entrò nella stanza, lasciando cadere la borsa a terra, e nel chiudere la porta gioì stancamente dell’efficacia che ancora conservava l’incantesimo insonorizzante che aveva lanciato anni prima, visto che senza la sua bacchetta non avrebbe potuto provvedere personalmente.
La camera era esattamente come l’aveva lasciata: i poster delle Holyhead Harpies tappezzavano le pareti, il violoncello era appoggiato in un angolo e il disordine regnava sovrano.
Ginevra prese un mucchio di vestiti dal letto, li appoggiò sulla sedia e si lasciò cadere sul materasso.
Era stata a letto tutta la mattina - e tutti gli altri giorni trascorsi in ospedale - eppure era esausta. Non avrebbe saputo dire cosa fosse più debilitante: la convalescenza o il colloquio con Silente.
Gli aveva mentito: era stata la scelta giusta? Neanche lei sapeva perché lo avesse fatto; da un lato non se l’era sentita di esporsi prima di aver messo ordine nella propria mente, ma dall’altro… Ginevra rigettava d’istinto l’idea di parlare a chiunque del diario. Per anni era stato il suo migliore amico e il suo più grande segreto, un rifugio sicuro in cui era certa di trovare comprensione.

… prima che cercasse di uccidermi, s’intende.

Si rivoltò nel letto. Ecco una delle tante cose che non riusciva a spiegarsi: lui aveva cercato di ucciderla, quindi lei aveva cercato di ucciderlo; ma evidentemente lui non era morto, visto che bacchetta e diario erano spariti; ma se lui era vivo, com’era possibile che anche lei lo fosse?
Aveva tentato di ucciderla… Com’era potuto succedere? Si era fidata di lui, era suo amico... o perlomeno lo aveva sempre considerato tale, quando invece lui l’aveva usata come un burattino.
Ginevra colpì il cuscino, frustrata. Si alzò di scatto, ignorando il dolore allo sterno, attraversò la stanza e si appoggiò al davanzale della finestra, avvilita: fino a poche settimane prima, se si fosse sentita tanto confusa avrebbe scritto a Tom - non sempre lui era d’aiuto, ma lo stesso atto di scrivere le permetteva di mettere ordine tra le idee.
Animata da questo pensiero, Ginevra liberò con una manata la scrivania e vi dispose pergamena e inchiostro. Spostò i vestiti dalla sedia al letto, quindi sedette al tavolo, intinse la piuma e cominciò a scrivere:

 
  1. Tom è tornato in vita

  2. Mi ha usata e ha cercato di uccidermi

  3. La sua amicizia era tutta finzione

 

Ginevra si bloccò. Era stata davvero tutta finzione?
Sbarrò quanto scritto, e riprese. Ripercorse gli eventi degli ultimi cinque anni: tutte le volte che Tom l’aveva sopportata, incoraggiata, ascoltata. Le rare, preziose occasioni in cui lui si era aperto, raccontandole le sue esperienze a Hogwarts e nell’orfanotrofio babbano. I molti casi in cui non si erano trovati d’accordo e avevano discusso.
Possibile che non ci fosse niente di vero?
Perché non le aveva mai detto di poter tornare in vita? Se Tom si fosse fidato di lei come lei si fidava di lui, se l’avesse considerata un’amica, un’alleata, che ragione avrebbe avuto di tramare alle sue spalle?

Razza di idiota, se me lo avesse chiesto lo avrei anche aiutato!

Accartocciò rabbiosamente la pergamena e si allontanò dal tavolo. Prese a misurare la stanza a grandi passi, mentre fuori il sole calava.

Perché?

Avanti e indietro. Non poteva accettarlo.
Avanti e indietro. Non ne capiva il senso.
Neanche l’evidenza dei fatti poteva cancellare ciò che era stato, perchè quel passato aveva reso Ginevra la persona che era in quel momento, plasmando il suo presente: non avrebbe mai potuto rinnegarlo.
Eppure che Tom l’avesse ingannata era indiscutibile.
Gradualmente smise di camminare. Crollò sul letto, estenuata.


Perché...?
 

Avanzava nel buio della notte. I suoi passi risuonavano sulla pietra, mentre in lontananza si udiva l’agghiacciante grido di una civetta. Ginevra uscì dall’ombra, sotto le fronde scricchiolanti degli aceri. La fredda luce della luna dominava la valle, proiettando sul prato ombre spettrali di lapidi frastagliate. Ammantata di nero, Ginevra procedeva solenne tra i morti, portando tra le mani un giglio scarlatto. Il mormorio dell’erba accompagnava il suo passaggio, mentre incedeva verso una lapide solitaria. Si arrestò di fronte ad essa.
La stele si levava tenace, lineare e maestosa nonostante l’erosione del tempo. Ginevra posò il fiore sul granito, e, come il soffice petalo toccò la pietra, il colore e la freschezza lo abbandonarono; il giglio e la lapide divennero tutt’uno.
Ginevra arretrò d’un passo, osservando il fiore di cristallo nero, sotto al quale si stagliava austero un nome: Tom O. Riddle.

 

Ginevra si svegliò nel cuore della notte, pervasa dall’inquietudine. Rimase lì, distesa sulla schiena, lo sguardo perso nella semioscurità, la mente agitata da un tacito tumulto.
In quel momento la rabbia e la frustrazione provate durante il giorno, prima dirompenti, si erano sopite, lasciando spazio a una malinconia disincantata. Aveva oltrepassato un punto di non ritorno: con l’amicizia di Tom si lasciava alle spalle una parte di sè.
In quel silenzio opprimente le tensioni represse lottavano per emergere, reclamando uno sfogo.
Ginevra si alzò dal letto, dirigendosi verso il violoncello; lo estrasse lentamente dalla custodia e, per la prima volta dopo mesi, iniziò a suonare.
L’arco correva frenetico, strappando allo strumento voci straziate e sospiri dolenti; le troppe emozioni che ribollivano in lei si accalcavano, premevano per uscire, si libravano in note sofferte. Le sue passioni si riversavano in fiumi di note e lacrime, dando vita a una melodia appassionata, quasi grezza, ma dolorosamente autentica.
Il peso che la opprimeva  si tramutava gradualmente in suono: passaggi struggenti si alternavano a note aspre e dissonanti.
Mano a mano che il tempo scorreva la musica fluiva sempre più leggera, il ritmo rallentava, i suoni echeggiavano tenui, dissolvendosi nell’aria.
Infine, nella luce soffusa dell’aurora, Ginevra si ritrovò completamente vuota, sola in una totalità di silenzio.

 
   
 
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