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Autore: _Frame_    02/08/2015    3 recensioni
1 settembre 1939 – 2 settembre 1945
Tutta la Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista di Hetalia.
Niente dittatori, capi di governo o ideologie politiche. I protagonisti sono le nazioni.
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[On going: dicembre 1941]
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[AVVISO all'interno!]
Genere: Drammatico, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Miele&Bicchiere'
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46. Adulto e Bambino

 

 

America allargò le braccia dandogli la forma delle ali di un aeroplano. Le piccole dita tastarono l’aria, il vento si mosse contro i palmi, risalì le manine, e fece sventolare le maniche della maglia. America fece un piccolo saltello sul posto e cominciò a correre lungo il marciapiede del Ponte di Westmister. Chiuse gli occhietti e sorrise. Il vento in faccia gli scompigliava i capelli sulla fronte e sulle guanciotte rosee, il sorriso scintillante gli incavava due piccole fossette che gonfiavano gli zigomi imporporati. Accelerò. I piedini battevano sul marciapiede di cemento sollevando un acuto ticchettio. America compì una falcata più ampia e spiccò un balzo in avanti, sollevando i piedi da terra. Allungò un braccio, tese la manina, afferrò l’immagine della croce sulla cima della torre del Big Ben, e riatterrò. Continuò a correre a braccia spalancate come un aereo ronzante nel cielo.

Inghilterra stese il palmo della mano davanti al viso, ne poggiò il fianco sulla fronte per fare ombra agli occhi. America balzò giù dal marciapiede e corse in mezzo alla strada deserta. Compì un altro saltello, aprendo e restringendo la manina come stesse giocando ad acchiappare le farfalle, e attraversò la carreggiata, andando verso la base del Big Ben. Le lancette dell’orologio segnavano le sedici e dieci.

Inghilterra aggrottò lievemente le sopracciglia.

“Non correre, America.”

America fece una piroetta su se stesso tenendo le braccia spalancate. Mise le mani a coppa attorno alla bocca e prese una grossa boccata d’aria. “Non corro tanto.” Sollevò il viso verso il cielo annuvolato di Londra. Un soffio di vento gli passò di fianco. Lo spinse dietro la schiena, facendolo traballare, e i capelli gli finirono scompigliati sulle guance e davanti alla bocca.

Inghilterra tolse la mano dalla fronte, la tuffò nella tasca dei pantaloni, e sospirò. Camminava lento lungo il confine del ponte, il muretto di protezione alla sua destra gli arrivava al bacino. Sotto di lui, gli scrosci delle acque del Tamigi si univano al sottile sibilare del vento.

America corse indietro, verso Inghilterra, a braccia spalancate, lasciandosi la torre del Big Ben alle spalle. La bocca sorridente, gli occhi chiusi, le manine divaricate.

“Sei tu che sei troooppo leeento.”

Saltò sul marciapiede, trotterellando verso Inghilterra. Quando si avvicinò correndo al muretto di protezione, Inghilterra fece scattare in avanti le mani d’istinto, sentendo un brivido di timore nascere in fondo alla schiena. Se fosse caduto...

America saltellò lontano dal muro e corse dietro le gambe di Inghilterra. Si appese alla stoffa dei pantaloni, fece sbucare il visino da dietro le ginocchia e sollevò gli occhi luccicanti. Infilò un indice nell’angolo delle labbra, estese il sorriso mostrando denti e gengive in una piccola boccaccia.

“Prendimi, Inghilterra!”

Inghilterra sorrise. Sfilò una mano dalla tasca e gli diede un buffetto sulla spalla.

“Preso.”

America cacciò un gridolino e sgusciò via dalla presa. Rideva come un puledrino che corre sgroppando nel prato.

America corse verso il primo dei lampioni alla loro destra e si appese alla base. Abbracciò il fusto di ferro e si nascose dietro.  “Non ce la fai,” esclamò. Ridacchiò di nuovo. La guancia rossa e gonfiata dal sorriso, spremuta contro il palo. “Vedi che sei lento?”

“Arrivo, arrivo.” Inghilterra accelerò la camminata. Piegò verso l’alto un angolo delle labbra e storse un sopracciglio. “Ti faccio vedere io chi è lento,” mormorò.

Posò un piede e una scossa di dolore partì dall’anca, ingabbiandogli tutto il bacino. Inghilterra si bloccò. Piegò le spalle in avanti e posò la mano sul fianco, contro il dolore. Guardò in basso e riprese fiato a piccole e rapide boccate che gli fecero scendere i sudori freddi lungo il collo e sulla fronte dall’attaccatura dei capelli. La vista vacillò. I piedi fermi sul marciapiede sfocarono, l’immagine delle gambe immobili e flesse in avanti si sdoppiò, tornò unita, e si sdoppiò di nuovo. La testa gli girava. Le dita strette attorno al bacino premettero sull’osso, massaggiando il punto dolorante.

Inghilterra prese un forte respiro dal naso.

Non va bene.

Il suolo tornò immobile, i piedi nitidi e dritti, la pelle asciutta e tiepida. Inghilterra raddrizzò le spalle e riprese a camminare. Strinse un pugno sul fianco e digrignò i denti.

Ci sto impiegando troppo per guarire dalle ferite, maledizione.

America zampettò vicino al muretto di protezione. Allungò le braccia verso l’alto, si mise in punta di piedi, e si aggrappò al bordo con le piccole dita. Stese ancora di più i piedini, appoggiò il mento sull’orlo di pietra e gli occhi ruotarono verso il basso.

Inghilterra accelerò il passo.

“Stai attento a non sporgerti.”

America staccò una manina, rivolse lo sguardo a Inghilterra, e stese l’indice davanti a sé. “Voglio vedere il fiume.” Fece un piccolo salto, sollevò il mento dal bordo, e riatterrò. Tornò nella posizione di prima, sulle punte dei piedi.

Inghilterra si fermò vicino a lui. Una mano in tasca e una stesa sul fianco con le dita che formicolavano, pronte a scattare nel caso America si fosse sporto troppo.

America spalancò gli occhi che si riempirono di luce. La bocca cadde aperta in un sospiro di meraviglia. “Wow,” puntò il braccio davanti a sé, “laggiù ci sono i palloni volanti!”

Inghilterra seguì con lo sguardo la direzione mirata dal suo piccolo indice. La punta si fermò contro l’immagine di un dirigibile bianco a forma di siluro che galleggiava insieme ad altri due palloni in mezzo alle nuvole. Tre tozze pinne si aprivano dall’assottigliamento della coda, spessi cavi nascevano dalla pancia dei dirigibili, si allungavano trapassando le nubi, e toccavano terra.

America fece un saltello sulle punte dei piedi e premette l’indice sull’aria. “Ehi, Inghilterra, dopo possiamo andare a fare un giro su quelle mongolfiere laggiù? Possiamo?”

Inghilterra incrociò le braccia sul bordo del muretto e chinò le spalle in avanti. Il vento gli carezzò i capelli. “Non sono mongolfiere.” Abbassò gli occhi verso America e sollevò anche lui l’indice verso i dirigibili. “Si chiamano ‘palloni frenanti’, e servono ad arrestare il volo degli aerei quando passano sopra le città.”

America sbatté le labbra. Una nota di delusione sbiadì la luce di meraviglia che gli riempiva gli occhi. “Non ti piacciono gli aerei che volano?”

Inghilterra annuì. “Sì, sì, mi piacciono. Certo che mi piacciono.” Tornò a incrociare entrambe le braccia sul muretto. Guardò oltre le acque del Tamigi che serpeggiavano sotto di lui, gonfie e spumose per la risacca del vento, risalì le nuvole con gli occhi e li tenne fermi sui palloni frenanti. Restrinse le palpebre. Un soffio di vento gli mosse la frangia contro le sopracciglia. “Ma preferisco che siano solo i miei a volare sopra il mio paese.”

“E perché gli altri non ci possono passare?”

Inghilterra sospirò ad occhi chiusi.

Tolse le braccia dal muretto, raddrizzò la schiena, e posò una mano sulla spalla di America. Gli avvolse il collo, lo tenne vicino a sé facendolo scendere dalle punte, e ripresero entrambi a camminare sul marciapiede.

Dietro al lampione piantato davanti alla base del Big Ben erano nascoste due sagome. Una era china sull’orlo della protezione, le spalle gobbe, la fronte bassa, lo sguardo puntato in avanti. La seconda era in piedi, gesticolava con le braccia. Inghilterra non sentiva niente di quello che si stavano dicendo.

Le lancette dell’orologio si erano spostate di due minuti. Le sedici e dodici. Nubi più cupe e fitte si addensarono sopra la cima della torre, alcuni sbuffi grigi sfioravano la croce dorata posta sulla punta.

Inghilterra si strinse nelle spalle. La voce bassa e fioca. “Perché c’è la guerra.” Il braccio scivolò giù dalle spalle di America. Inghilterra mosse piano le dita e gli avvolse la manina, piccola e calda dentro il suo palmo. “E gli altri aerei sono nostri nemici, finirebbero per distruggere ogni mia città.”

America slargò le palpebre. “Ooh.” Fece un piccolo salto, rallentò la camminata per stare a passo con Inghilterra. Innalzò il braccio e impennò l’indice al cielo. “Ho capito: sono gli aerei dei cattivi.”

Inghilterra trattenne una piccola risata tra le labbra che gli fece gonfiare le guance. “Sì.” Mosse le dita contro quelle di America, gli strinse di più la manina. “Più o meno direi di sì.”

America fece altri due salti. Si portò davanti a Inghilterra, tirandogli il braccio per farlo stare al passo. “Li sconfiggerò io, Inghilterra!”

Inghilterra gli sorrise, fingendo espressione stupita. “Tu?” Si lasciò tirare in avanti, accelerando la camminata. “Tutto da solo?”

America annuì e si posò il pugnetto sul petto. Gli occhi brillavano di una luce forte e determinata. “Io da grande voglio fare il supereroe e difendere tutti i buoni dai cattivi.” Si mise in bilico sull’orlo del marciapiede che dava sulla carreggiata della strada. Corse lungo il bordo facendosi tenere in equilibrio dalla mano che stringeva quella di Inghilterra. “Da grande posso, vero?”

Inghilterra sollevò il braccio di qualche centimetro, lo aiutò a tenersi in piedi. “Da grande potrai fare tutto quello che vorrai.”

“Yee!” America fece un saltello. Si sfilò dalla presa e corse in avanti, verso un altro lampione poco distante.

Inghilterra guardò verso le due sagome ferme dietro il palo della luce, sull’altro lato della strada. Si stavano avvicinando. La figura china sull’orlo del muretto protettivo volse il capo all’indietro, verso la seconda figura che stava in piedi, e scosse il capo. La seconda figura era nascosta dietro le tre lanterne a bulbo che fiorivano sulla cima del palo della luce. Inghilterra non riusciva a vedere le espressioni facciali dei due, solo i gesti delle braccia e delle mani che fendevano l’aria.

“Quando io sarò diventato un supereroe, tu cosa sarai diventato?” chiese America.

Inghilterra tornò ad abbassare lo sguardo su di lui. America fece un giro attorno al lampione, lo abbracciò, e sbirciò da dietro il palo grande quanto il suo corpicino.

Inghilterra tuffò entrambe le mani nelle tasche. Si avvicinò piano, passandogli di fianco.

“Io sarò Inghilterra, come lo sono adesso.”

America zampettò da dietro il lampione e gli corse incontro. Inghilterra gli porse la mano, lui la strinse.

“E anche tu continuerai comunque a essere America come lo sei adesso.”

“Uh?” America piegò il capo di lato. Un’espressione confusa dipinta sul volto. “Ma non combatterai anche tu i cattivi come me?”

Inghilterra inspirò, riempiendosi il petto d’aria. “Combatto già contro i cattivi.” Guardò davanti a sé. Una zaffata di vento lo colse di lato, gli sbatté le ciocche di capelli sugli occhi. Inghilterra abbassò la voce, le labbra si mossero lentamente. “Da tanto, tanto tempo, ormai.”

“E quand’è che vinci?”

Inghilterra strinse la mano di America. Raddrizzò le spalle, esponendo il petto gonfio di orgoglio. Le guance si tinsero di rosso sotto il sorriso ghignante. “Presto, che domande!”

Anche America sorrise. Fece una piccola corsetta in avanti e tornò a rallentare quando sentì che Inghilterra restava a passo lento.

Inghilterra mosse le dita che stringevano sulla mano di America. La presa divenne più rigida, contratta. Un piccolo tremore attraversò il braccio, lo scosse, e passò a quello di America.

“Ma sai, non...” Inghilterra si strinse le spalle. Sfilò la mano dalla tasca e si grattò dietro la nuca, a fronte bassa. Il viso sempre imporporato. Gli angoli delle labbra tremarono, piegandosi verso il basso e di nuovo verso l’alto. “Non è detto che io vinca sempre.”

America sbatté le palpebre. Piegò la testolina fino a toccarsi la spalla. “Ma come?” Sollevò il braccio libero e divaricò le dita. “I buoni vincono sempre, Inghilterra.” Saltellò più vicino al suo fianco e si appese a una sua gamba. “E tu sei sempre tanto, tanto buono con me, quindi non puoi perdere.”

Le unghie di Inghilterra sfregarono con più insistenza tra i capelli, scompigliandoli.

Inghilterra mugugnò qualcosa tra le labbra, guardò il cielo, abbassò gli occhi di lato, verso il Tamigi, e sospirò. “Sai, è che a volte...” Si sfilò la mano dai capelli e la nascose in fondo alla tasca. Si strinse le spalle. “A volte è un po’ difficile capire chi sono quelli buoni.”

America sollevò gli occhi, incuriosito. Inghilterra continuava a guardare di lato, il viso era nascosto dalla penombra dei capelli agitati dal vento, il passo rallentò facendosi guidare dalla trotterellata di America lungo il marciapiede.

Inghilterra prese un piccolo respiro dal naso. “Tu pensi,” le labbra tremarono, “tu pensi che io sia buono, America?” La mano strinse contro quella di America. Sentì il piccolo cuoricino battere contro il palmo.

Gli occhi di Inghilterra divennero umidi. Fermi, lucidi e socchiusi, riflettevano il colore scuro delle acque del Tamigi.

Le immagini dei ricordi corsero tra le pupille. La notte nel vagone letto di Compiègne, i pugni scagliati sul viso di Francia, i corpi esausti e feriti riversi supini sul pavimento, a braccia spalancate, i fiati affaticati che si mescolavano nel silenzio; il peso degli aerei stretti tra le sue dita durante le battaglie aeree, il calore delle esplosioni, il fischio dei motori dei caccia, le folate di vento che lo facevano sobbalzare e sbandare nel vuoto, la sensazione umida e calda del sangue che scivolava lungo il viso, il suo sapore viscido e ferroso che entrava in bocca; il duello con Norvegia, il bruciore della magia che scoppiettava tra le mani, le grida del drago e del troll che si prendevano a morsicate, l’ultimo colpo che aveva travolto Norvegia scaraventandolo a terra, e le parole di accusa di Danimarca mentre stringeva tra le braccia il suo corpicino inerme.    

Inghilterra si morse il labbro inferiore, trattenne il respiro. Il peso di quelle immagini strinse un nodo al cuore.

“Sì!”

L’esclamazione di America gli fece abbassare gli occhi ancora leggermente appannati.

America sollevò il braccio puntando l’indice al cielo. Corse davanti a Inghilterra continuando a tenergli il braccio. “Inghilterra è la persona più buonissima che conosco. E quando io crescerò e sarò diventato un supereroe, tu diventerai il mio aiutante.”

Inghilterra accennò un sorriso. Si strofinò la manica della giacca sugli occhi e asciugò il sottilissimo velo di lacrime dalle palpebre. Tolse il braccio, svelando un finto broncio offeso e un sopracciglio inarcato. “Solo aiutante?” Gettò uno sguardo alla manica della giacca. Non era sporca. Gli occhi non avevano ripreso a sanguinare.

America annuì deciso. “Sì,” premette un pollice al petto e allargò il sorriso, “perché io sono più forte.”

Il sorriso di Inghilterra divenne più naturale. Quel piccolo e dolce visetto allegro sciolse il nodo che gli soffocava il cuore. “Non c’è dubbio.”

America sfilò la mano da quella di Inghilterra e corse lungo il marciapiede. Stavano per raggiungere il quarto lampione, a metà della strada. America corse lungo la carreggiata, la attraversò in diagonale, e saltellò verso l’altro muretto di protezione sull’altro lato della strada. Inghilterra si fermò un secondo prima di attraversare, e guardò d’istinto a destra e a sinistra anche se il ponte era deserto.

America si appese al muretto protettivo e saltò sulle punte dei piedi, appoggiando il mento sulla parte piatta tra le piccole dita arpionate all’orlo. Di nuovo lo stesso sguardo lucido di meraviglia gli fece brillare gli occhi.

Inghilterra gli camminò di fianco. Gli sfiorò un braccio, facendogli segno di seguirlo. “Non vedi l’ora di diventare grande, eh?”

America scese dalle punte dei piedi e annuì. “Sì!” Gli occhi brillavano di un blu intenso.

Corse rimettendosi di fianco a Inghilterra.

Inghilterra rimise entrambe le mani dentro le tasche e si strinse le spalle. Un soffio di vento freddo gli agitò il colletto della giacca dietro la nuca, gli pizzicò la punta del naso facendogli storcere una smorfia. Le sopracciglia si piegarono in un’espressione soffusa e malinconica.

Invece è proprio quando sarai cresciuto che le cose diventeranno più complicate.

Si stavano avvicinando all’ultimo lampione sotto la torre del Big Ben. Le due figure ferme alla base del palo si fecero più nitide, i contorni più chiari e definiti.

Tornò il tiepido sorriso, e Inghilterra scosse il capo. “Non fa niente.”

America voltò il capo alle sue spalle. Una piega interrogativa gli attraversò lo sguardo.

Inghilterra fece due passi più veloci e gli camminò di fianco. “Quando diventerai grande imparerai ancora più cose.”

America fece un saltello più vicino a lui. Impennò il nasino al cielo, cercando gli occhi di Inghilterra. “Quali cose? Me le insegnerai tu?”

Inghilterra sollevò lentamente gli occhi davanti a sé. Il lampione era vicino. Riusciva a distinguere le sottili rifiniture dorate che nascevano attorno ai tre bulbi di luce, i piccoli pennacchi dello stesso colore sopra le cupole che tappavano i globi di vetro. Una delle due persone ferme dietro il lampione – quella in piedi – si avvicinò al muretto di protezione. La seconda persona era ancora poggiata sul bordo con le braccia incrociate e le spalle basse. La prima era arrabbiata. Il vento trasportava il suono della sua voce squillante, allarmata, e insistente. La seconda figura era impassibile. Restava immobile con il viso rivolto al Tamigi che sguazzava sotto di lui, e ogni tanto si limitava a scuotere il capo o a muovere piano le labbra per rispondere. 

Inghilterra prese un respiro. “America.”

America fermò la corsa. Si fermò davanti a Inghilterra, voltò il capo, e rimase in attesa, a labbra socchiuse, e occhi interrogativi. Il ciuffo biondo che nasceva dalla fronte scosso dal vento.

Inghilterra gli camminò di fianco, a fronte bassa. “Purtroppo il mondo non si divide in bene e male.” Non lo toccò, non lo prese per la manina. Si lasciò seguire in silenzio. “Un giorno ti sarà più difficile capire cosa sia l’uno e cosa sia l’altro. Un giorno forse ti chiederai se tu ti trovi davvero nella parte dove dovresti essere e...” Gettò lo sguardo di lato. Si pizzicò il labbro inferiore. Aveva ripreso a tremare. “E se stai facendo le cose giuste per rimanerci.” La voce tentennava.

Raggiunsero il lampione. Passarono di fianco alle due persone ferme davanti al muretto, senza guardarle.

Il piccolo America piegò il capo di lato. “E perché?”

“Perché non è quello che tu mi hai insegnato,” esclamò America.

Il piccolo America sbarrò gli occhietti, si girò di scatto, e corse al riparo dietro una delle gambe di Inghilterra. Le piccole dita aggrappate alla stoffa dei pantaloni, la fronte appoggiata dietro il ginocchio, e la luce dell’occhietto che sbirciava le due persone. Un altro Inghilterra e America adulto.

L’Inghilterra vicino al piccolo America sfilò una mano dalla tasca e gli cinse la spalla, come per proteggerlo. Rimasero entrambi a guardare la scena, immobili e in silenzio.

Inghilterra – quello poggiato con i gomiti al muretto – aggrottò la fronte. “Infatti è così. Non sono mai stato io a insegnarti le cose in cui le vedi tu.” Voltò il capo verso America adulto, indurendo lo sguardo. “Tu rifletti il mondo secondo la maniera in cui tu vorresti vederlo, non ha nulla a che fare con me e con quello che ti ho insegnato e spiegato.”

America adulto strinse i pugni sui fianchi, le braccia tremavano. “Sì che ce l’ha, invece,” esclamò. “Mi hai sempre detto di essere nel giusto quanto me, ma io,” scosse il capo, “io non avrei mai fatto quelle cose. Io non avrei mai attaccato delle nazioni indifese solo per indebolire il mio nemico.”

Inghilterra fece roteare gli occhi al cielo e tornò a guardare il Tamigi. Snodò un braccio dall’intreccio sul muretto, poggiò il peso sul gomito, e affondò le nocche nella guancia. “A volte sono necessari dei sacrifici, America. Soprattutto in guerra.” Il vento gli soffiò sulle guance, fece scuotere la frangia davanti agli occhi scuri come le acque del fiume. “La vita non è un gioco, o una fiaba.” Restrinse le palpebre. “È spietata e crudele, è dura ma è così.”

America trattenne un piccolo gemito nel petto. Le guance rosse dopo la sfuriata sbiadirono, gli occhi smisero di vacillare.

Inghilterra prese un profondo respiro e sollevò le spalle, raddrizzando la schiena. Il tono di voce divenne secco e pesante. “E se speri di riuscire a sopravvivere senza sporcarti le mani, allora hai ancora molto da imparare, temo.”

America adulto affondò i denti nel labbro inferiore e abbassò gli occhi ai suoi piedi. Le spalle chiuse e chine, le braccia stese lungo i fianchi, rigide, e i pugni serrati e vibranti.

Il piccolo America strinse di più le manine attorno ai pantaloni di Inghilterra. Appoggiò la guancia alle gambe e sollevò gli occhietti, in cerca del suo sguardo. Il viso di Inghilterra era freddo, buio, nascosto dall’ombra dei capelli. Gli occhi annebbiati guardavano le loro due immagini riflesse che continuavano a discutere senza accorgersi di loro.

America adulto prese un respiro. Un brivido gli fece tremare la schiena. “Perché?”

Inghilterra storse un sopracciglio.

America strizzò le palpebre. “Perché,” le spalle tremarono, “se tu...” Riaprì gli occhi, guardando Inghilterra da dietro le lenti. Le sopracciglia piegate in un’espressione triste. “Se tu mi avessi lasciato partecipare tempo fa, ora io vi avrei aiutati, avrei aggiustato tutto, e tu non dovresti essere costretto a fare queste cose.”

Inghilterra gettò lo sguardo di lato. “Io non sono costretto a fare queste cose. Semplicemente è così che funziona.” Si appoggiò di schiena al muretto, i gomiti piegati sull’orlo, e guardò lo scorrere del fiume alle sue spalle. “È giusto così, America. Fine della discussione.”

America sbarrò le palpebre. La bocca cadde aperta. “Giusto?” Si guardò i piedi, con aria confusa, e lasciò che il vento gli scuotesse i capelli davanti al viso. Le guance ripresero colore e America scosse il capo. I pugni stretti ai fianchi. “No, io non ci vedo proprio niente di giusto in tutto questo.”

Inghilterra lo inquadrò con un’occhiata severa. “E quale sarebbe il giusto, secondo te?”

America sollevò la fronte. Un’intensa luce gli attraversò gli occhi, l’abbaglio passò attraverso le lenti e si perse in un luccichio dentro il nero delle pupille.

“Sconfiggere Germania e salvare il mondo. Senza fare del male a quelli che non c’entrano, anche,” inspirò mostrando il petto, “anche a costo di sacrificarsi per il bene dell’umanità.”

Un alito di vento passò in mezzo a loro, fece rotolare qualche fogliolina secca tra i piedi, e due di esse scivolarono giù dalle aperture muretto, piovendo verso il Tamigi.

Inghilterra e America rimasero a fissarsi negli occhi. Gli sguardi fermi, irremovibili e calmi. La luce negli occhi di America era più seria, Inghilterra aveva uno sguardo più sereno e rilassato.

Inghilterra sospirò a palpebre chiuse. Un sospiro liberatorio. Un piccolo e disteso sorriso ironico gli storse gli angoli delle labbra verso l’alto.

“Oh, America.” Tornò ad appoggiarsi al gomito con il pugno chiuso sulla guancia, e guardò il punto dove il Tamigi si restringeva, svanendo inghiottito dalla città di Londra. “Mi chiedo per quanto tempo dovrò continuare a parlarti e a guardarti come se avessi di fronte un bambino.”

Il piccolo America ebbe un sussulto. Sporse di più la fronte da dietro le gambe di Inghilterra e guardò in alto, verso l’Inghilterra appoggiato al muretto, quello estraneo.

America adulto gonfiò le guance, gli zigomi divennero rossi. Allontanò gli occhi. “Io non sono più un bambino.”  La voce secca e scocciata, ma non infantile.

Inghilterra sollevò le sopracciglia. “Sì.” Sbatté piano le palpebre, smuovendo una luce malinconica che si riflesse negli occhi. Sospirò. Le labbra si mossero piano sfiorando il pugno chiuso contro la guancia. “Lo so.”

“E so anche...” America abbassò il tono. “So anche cos’è bene e cos’è male.” Fece un passo in avanti, più vicino a Inghilterra. La fronte bassa ma lo sguardo alto, velato di tristezza e delusione. “E so che adesso tu non sei più il bene.”

Inghilterra piegò verso l’alto un angolo delle labbra in uno scatto, snudò la punta del canino. “Forse non lo sono mai stato,” mormorò.

Il piccolo America sbatté le palpebre. Un’aria incredula gli fece sollevare le sopracciglia, lo sguardo confuso e smarrito ancora in cerca di quello di Inghilterra.

L’Inghilterra insieme ad America adulto si staccò dal muretto di protezione. Fece un passo verso America, secco e deciso. Lo fronteggiò guardandolo negli occhi a sopracciglia corrugate, con sguardo scuro e inflessibile.

“E cosa speri di fare, in questo caso?” Si posò una mano sul petto, reclinò il capo di lato, parlando con voce calma. “Entrerai in guerra e ti batterai contro di me per estirpare fino all’ultima goccia di male da mondo?”

America contrasse lo sguardo. “No, io...” Strinse i pugni e scosse il capo. “Io voglio proteggervi, voglio combattere di fianco a voi.” Sollevò i pugni davanti al petto, guardò Inghilterra negli occhi. “Voglio far finire la guerra prima che sia troppo tardi.”

L’altro Inghilterra mosse la mano sulla spalla del piccolo America, tenendolo stretto vicino a lui. Gli occhi guardavano quello adulto. Un sopracciglio lievemente piegato verso l’alto.

No. Tu vuoi pavoneggiarti, America. È diverso.

“A dispetto di quello che mi hai sempre detto e insegnato tu,” continuò America adulto, “voglio dimostrarti che bene e male esistono davvero. E che il bene sconfigge il male.”

Inghilterra fece scivolare la mano giù dalla spalla del piccolo America, gli avvolse la manina e premette delicatamente la presa. Mosse il primo passo, e America lo seguì, zampettando di fianco alle sue gambe. Tornarono indietro percorrendo il ponte di Westminster in senso opposto, e si lasciarono il Big Ben e le due controparti alle spalle.

Inghilterra fece un amaro sorriso che tenne nascosto dietro la spalla. Emise un piccolo sbuffo divertito.

“Che scenata.”

America sollevò gli occhi, continuando a camminare più lentamente rispetto a prima.

Inghilterra gli rivolse quel triste e tiepido sorriso che gli appannava lo sguardo. Avvicinò una mano al visetto di America e gli strinse la punta del nasino tra le nocche dell’indice e del medio.

“Da grande diventerai proprio un ragazzo egocentrico e arrogante, eh?”

Sfilò le dita e America arricciò il naso come faceva prima di uno starnuto. Si strofinò il visetto con il braccio, passandoselo anche sopra la bocca.

“Perché non vuoi lasciarmi entrare in guerra?” biascicò. “Forse non...” Tolse il braccio dal viso. Sollevò le sopracciglia, gli occhi si inumidirono, e ora sembrava stesse per piangere. “Non vuoi vincere? Non vuoi che finisca?”

Inghilterra sospirò. Attraversò la strada e risalì sul marciapiede della sponda opposta. America ci salì sopra con un rimbalzo.

“Perché a volte, vedi, è più...” Inghilterra sollevò gli occhi verso le nuvole. Parlò piano, le parole si dispersero nel vento. “È più facile e meno doloroso perdere se stessi che correre il rischio di perdere qualcuno che si ama.”

Sul viso di America tornò l’aria confusa e annebbiata. Non capiva.

Inghilterra strinse la manina di America.

Gli mancò l’aria. La densa e viscosa acqua del lago gli scivolò lungo la gola, gli entrò nei polmoni, l’odore delle alghe gli riempì le narici, la sensazione viscida e umida delle piante lunghe e piatte che si stringevano attorno ai polsi e alle caviglie gli raggelò la pelle, paralizzando il flusso del sangue.

Inghilterra deglutì un groppo di saliva amara. Restrinse le labbra. Un nodo di paura gli spremette il cuore, una pulsazione di dolore gli svuotò il petto.

“Temo,” sibilò con voce arrochita, “temo ti essermi perso, America.” Mosse le dita sulla sua piccola, morbida e calda mano.

Si fermarono sul marciapiede, vicino a uno dei lampioni. Loro due da soli in mezzo ai soffi di vento.

Inghilterra sollevò una mano e si nascose il viso contratto dalle pieghe di dolore. “Mi sto perdendo e sto impedendo che tu mi venga a cercare, preferendo essere abbandonato piuttosto che trascinarti con me.” Le dita tremarono, premettero contro la pelle. Inghilterra piegò le labbra verso il basso, la bocca tremò, e tornò a curvarle all’insù. “Chissà, forse mi sto inconsciamente punendo da solo,” disse con voce amara.

America spalancò le palpebre. “Eh?” Si appese alle gambe di Inghilterra, guardando in alto. “Ma io non ti abbandonerei mai, Inghilterra! E ti verrei sempre a cercare.”

Inghilterra strofinò il fianco della mano sulle palpebre, tirò su col naso, e sorrise. “Sì.” Arruffò i capelli di America scompigliandoglieli sulla fronte. Gli sorrise. “Lo so.”

Ripresero a camminare, mano nella mano. Inghilterra si strinse nelle spalle, brividi di freddo risalirono la schiena pizzicandogli la base del collo. L’aria era gelata. Gettò un’occhiata dietro di sé, sull’altra sponda del marciapiede, inquadrando il lampione sotto il Big Ben. Loro erano spariti.

America sollevò il braccio libero e sfiorò il bordo del muretto, continuando a saltellare a ogni passo. Le piccole dita strisciarono lungo la pietra e lo aiutavano a issarsi a ogni rimbalzo per guardare giù, verso il fiume.

Inghilterra percepì un caldo soffio al cuore.

Lui c’era ancora.

Inghilterra inspirò e sollevò la fronte al cielo. “Ah, maledizione.” Posò il fianco della mano sulla fronte facendo ombra agli occhi, anche se non c’era il sole, e seguì i movimenti delle nuvole spinte dal vento. “Forse sono già morto, che dici?”

America smise di saltellare, si fece più vicino a Inghilterra.

“Eppure non ho sentito arrivarmi addosso nessun attacco.” Inghilterra prese un lembo della giacca, lo stese sotto gli occhi, e lo rigirò da una parte all’altra. “Germania è stato più rapido e silenzioso del solito.” Mollò la stoffa, lisciò la giacca fino ai fianchi.

Incrociò gli occhi con quelli di America e sollevò le sopracciglia, sorridendogli. Intrecciò le dita tra i suoi capelli, glieli pettinò sulla fronte, dietro le orecchie. Erano morbidi. Onde dorate come i filoni di un campo di grano attraversarono le ciocche.

“Dev’essere per questo che ti sto vedendo qui, nella forma in cui vorrei che tu fossi rimasto.” Districò le dita dai capelli di America, gli carezzò la guancia con le nocche – la pelle era sofficissima – e stese la mano sul fianco. Tornò a guardare verso il fiume, le acque color caffelatte, gli alberi che crescevano sulle strade deserte, le foglie mosse dal vento, i tetti delle case e i comignoli che si innalzavano verso le nuvole. Inghilterra sollevò un sopracciglio, piegando un angolo della bocca verso il basso. “Anche se l’aldilà me l’aspettavo diversamente.” Infilò la mano che non stringeva quella di America in tasca e sollevò le spalle. Le labbra sfiorarono il colletto della giacca. Socchiuse le palpebre, si erano fatte più nere e pesanti da tenere aperte. Lo sguardo di Inghilterra era scuro come il cielo annuvolato. “Forse il vero America inizierà a combattere sul serio dall’altra parte, ora che io non ci sarò più.”

Abbassò gli occhi. Il sorriso debole e sconsolato rivolto ad America.

“E così alla fine riuscirai a disobbedirmi comunque.”

Fermò il passo, guardò lontano, oltre le acque del fiume, oltre le chiome degli alberi che si scuotevano sulle rive, oltre i tetti e i comignoli delle case, oltre le nuvole che nascondevano i palloni frenanti.

Le labbra di Inghilterra tremarono. Gli incisivi premettero contro il labbro inferiore come per far stare ferma la bocca che bruciava sotto la pressione dei denti.

“Perdonami, America. Io ho...”

America strinse la manina dentro quella di Inghilterra e guardò in alto. Gli occhi sereni e luminosi, ma le labbra piatte.

Inghilterra tornò a coprirsi il volto. Le dita premute sulle palpebre e sulla bocca. La voce bassa e scossa. “Ho combinato un disastro.”

I ricordi delle battaglie ronzarono davanti agli occhi come il volo dei caccia, sollevarono aria, sabbia, e vortici di nuvole. Le nubi si aprirono, rivelarono le immagini.

Il braccio teso in avanti, contro il cielo, le dita che si muovevano guidando il volo degli aerei, che si piegavano azionando gli spari che scoppiettavano nell’aria e foravano i caccia nemici. Gli aerei che esplodevano in aria, le vampate di calore, le ondate di fuoco e fumo, di ferro fuso e gomma bruciata.

Inghilterra deglutì. “Sono stato proprio un pessimo,” tentennò, le labbra si incurvarono in un ghigno amaro, “un pessimo tutto,” finì con uno sbuffo di risata.

America spalancò le palpebre con un sospiro. Si appese alle sue gambe come quando voleva essere preso in braccio. “Oh, no. Non essere triste, Inghilterra. Io non ti disobbedisco, vedi?” Salì sulle punte dei piedi. Gli occhi luccicavano come specchi d’acqua. “Non diventare triste.”

Inghilterra si strofinò la punta del naso e sfregò il braccio contro tutto il viso. “No.” Alzò il tono. Si fece più deciso. “No, hai ragione, non sono triste.” Tolse il braccio dal volto e svelò il sorriso più sincero e naturale della giornata. “Ora non ho più motivo di esserlo, dopotutto.”

America gli sorrise. Sollevò le braccia, agitò le mani spremendo l’aria e saltò sulle punte dei piedi.

“Mi prendi in braccio?”

Inghilterra chinò le spalle. “Certo.”

Gli cinse i fianchi con una presa delicata e lo sollevò contro il suo petto. Un braccio dietro le spalle, e uno dietro le gambette rannicchiate. Gli diede una piccola spintarella per sistemare la posizione e America strinse le manine dietro il suo collo, appoggiando il mento sulla sua spalla. Era già più pesante rispetto all’ultima volta che lo aveva tenuto in braccio.

America strinse le dita sulla giacca di Inghilterra. Avvolse di più le braccia attorno al suo collo, premette il petto contro il suo, accoccolandosi tra le pieghe dei gomiti. Nascose il viso nell’incavo del collo, parlandogli vicino all’orecchio.

“Resta con me, Inghilterra.”

Inghilterra voltò il capo, cercando lo sguardo del piccolo ancora nascosto contro il suo collo. Le piccole mani strinsero dietro le sue spalle.

“Io divento triste quando vai via a fare la guerra. Io voglio sconfiggere i cattivi e far smettere le guerre, così tu puoi rimanere sempre con me.” America strofinò il viso contro la sua spalla. Le manine risalirono le spalle e si allacciarono dietro la nuca di Inghilterra. Il piccolo corpicino tremò contro il suo petto. “Non lasciarmi da solo.”

Il braccio di Inghilterra che gli fasciava le spalle si strinse. La mano risalì la testolina di America, le dita passarono tra i capelli, carezzandone le ciocche. “Non ti lascio.” Fece poggiare il capo del bimbo contro la sua spalla e gli posò le labbra sopra la fronte. I suoi capelli profumavano di fiori di campo e di erba fresca. “Te lo prometto, America.”

Tanto sono morto. In qualche modo. Forse.

Abbassò le labbra carezzandogli la pelle della fronte. “Adesso non ti lascerò mai più da solo.”

America scivolò all’indietro con le spalle, rimase appeso con le braccia dietro il suo collo e gli sorrise. I due visi vicinissimi.

Inghilterra gli diede un’altra pettinata alle ciocche della frangia, scompigliate dal vento.

Mhm, c’è qualcosa che non va.

Gli sfiorò le guance con le nocche, dandogli un buffetto nel punto in cui la pelle diventava più gonfia e rossa, proprio sullo zigomo. America si strinse nelle spalle e trillò una risatina.

Dubito che mi sia stato concesso il paradiso con così tanta clemenza. Ma, dopotutto...

La mano di Inghilterra rimase aperta sulla guancia di America. Il viso disteso e sereno, gli occhi socchiusi, pacifici.

Non intendo lamentarmi di questo.

“Oh, Inghilterra, guarda!” Il braccio di America scavalcò la spalla di Inghilterra. Tese l’indice e puntò l’orizzonte sopra il fiume, tra le nuvole. “Guarda là, il cielo! Perché è tutto rosso?”

Inghilterra piegò un sopracciglio. “Ros –” Si voltò con una piroetta, tenendo il corpicino di America stretto al petto. Uno sbuffo di vento lo spinse di lato, facendogli incrociare i piedi per tenersi in equilibrio. Inghilterra guardò il punto indicato da America.

Nuvole grigie contro il cielo scarlatto. Un cremisi intenso toccava le acque del Tamigi, ora più simili a vino che a caffelatte, che sfumava in uno scuro color ciliegia mentre risaliva le nuvole.

“Ma cosa...” Inghilterra fece un passo in avanti. Le braccia strinsero inconsciamente attorno ad America. I suoi occhi larghi, lucidi, riflettevano le sfumature scarlatte del cielo. “Cosa sta succedendo?” Una nota di allarme gli fece tremare la voce.

Una nuvola brontolò. Fitti e spessi fulmini color rubino artigliarono le nubi, come una zampa scheletrica, e stritolarono i cumuli grigi. Il rimbombo basso del tuono, come un colpo di tamburo, fece tremare il ponte.

Inghilterra arretrò di un passo. Oh, merda. Allora sono davvero finito all’Inferno? Aggrottò le sopracciglia, piegò gli angoli della bocca verso il basso. Be’, non che non me lo meritassi, ma diamine, io...

“Voglio guardare più da vicino.”

America sgusciò fuori dalle braccia di Inghilterra e saltò sul marciapiede. Prese a correre verso il muretto protettivo che dava sull’argine del fiume.

Inghilterra fece scattare le braccia in avanti. Sobbalzò. “America, aspetta, non avvicinarti troppo.”

America si appese al muretto, strinse le piccole dita all’orlo sollevando i piedini da terra. Sgranò gli occhi, spalancando la bocca per la meraviglia. “Ooh, è proprio tuuutto rooosso!”

Inghilterra sollevò un sopracciglio. Si avvicinò di un altro passo al muretto, stando alle spalle di America.

Il cielo brillò di rosso. Fiamme vive si contorcevano tra le nuvole, si piegavano sotto il vento, le lingue si impennavano risalendo il cielo e si gonfiavano come petali appena sbocciati. Un altro lampo cremisi attraversò una nuvola. Il cielo tuonò, e il pavimento vibrò.

Inghilterra restrinse le palpebre. Fuoco?

Qualcosa esplose. Il cielo emise il suono di una lastra di metallo che si accartoccia su se stessa. Il fischio accompagnò la caduta di una sagoma nera a forma di siluro dietro le fiamme. Ci fu un botto. La luce si intensificò emanando un lampo bianco. Altro fuoco aprì una bocca scarlatta che inghiottì una nuvola. Lo spettacolo si riflesse nelle acque del Tamigi.

La mandibola di Inghilterra cadde spalancata. Bombe incendiarie. Ma com’è possibile? Inghilterra si toccò il petto. Deglutì. La guerra mi ha perseguitato anche nell’aldilà?

La mano scese. Si alzò e abbassò accompagnando il movimento del petto. Un battito pulsò sotto il palmo.

E se io non fossi...

Un suono scricchiolante, come quello del pane secco che si sbriciola, gli attraversò i piedi, nascondendo i rimbombi delle esplosioni.

Inghilterra si guardò tra le gambe. Un ramo nero si allargò sul cemento del ponte, scavando una crepa a forma di fulmine che strisciò tra i suoi piedi come un serpente. Inghilterra scattò di un passo all’indietro. Il tallone affondò in una placca di cemento più cedevole e la sfondò. Frammenti più piccoli e sottili si scrostarono intorno al piede che sprofondò nella buca. Sprofondò. Durante la caduta, sentì lo stomaco arrivargli in gola.

Inghilterra innalzò le braccia. “Waah!”

Le mani artigliarono il bordo di cemento che gli arrivava al gomito. Inghilterra strinse i denti, strizzò gli occhi, e fece pressione con le dita graffiando le unghie sul bordo della crepa. Le gambe ciondolarono. Si diedero una spinta e le ginocchia batterono sullo strato di cemento che premeva contro la pancia. Inghilterra chiuse un pugno, tirò il braccio in avanti strisciando sull’orlo con la spalla. Il viso rosso di fatica, i muscoli rigidi, gli addominali doloranti.

“Inghilterra!” America corse verso il cratere. La voce squillante e spaventata. “Ti tengo io!”

Inghilterra sbarrò gli occhi. “No, allontanati, America!” Agitò un braccio facendogli segno di andare via, e strisciò in avanti di un centimetro. Ricadde all’indietro. Pancia e mento premuti sul bordo del cratere. “Non ti avvicinare al buco!” urlò svuotando i polmoni.

America disobbedì e cadde in ginocchio davanti a lui. Strisciò di due passetti in avanti, allungò le braccia e agguantò il polso di Inghilterra con entrambe le mani. Strizzò gli occhietti e gettò le spalle all’indietro, tirandolo.

“Ti salvo io!”

Altri rombi gorgoglianti scossero il cielo. Le nuvole dietro alla figura china di America spumeggiarono ingoiandosi a vicenda. I rami scarlatti chiudevano le nubi nere dentro una guaina elettrica che le faceva contorcere e deformarsi lungo la distesa cremisi. America strinse le dita attorno alla manica di Inghilterra, e lo tirò indietro. Le guance rosse per lo sforzo. Sotto il petto che si spostava sull’orlo del cratere, Inghilterra sentì altro cemento sbriciolarsi e piovere sotto di lui.

Inghilterra prese un respiro più lento. Però, se fossi ancora vivo dall’altra parte potrei...

Voltò il capo guardando sotto di sé da sopra la spalla.

Frammenti di cemento crollarono dal ponte, rotolarono a mezz’aria e si tuffarono nelle acque del fiume. Il Tamigi li inghiottì. Le acque si aprirono increspandosi sotto la caduta dei massi. Erano rosse, riflettevano il colore del cielo.

Se io mi buttassi giù ora, America non rischierebbe di cadere con me, ma...

La presa di America strinse attorno al polso. “Resisti!” La mano di Inghilterra pulsò. Gli aveva fermato il sangue.

Inghilterra sollevò gli occhi. Il peso molle e abbandonato, ciondolante verso il Tamigi che scrosciava sotto di lui. Gli occhi alti verso America riflettevano i colori delle nubi che si contorcevano sotto le scariche elettriche.

Se è davvero per proteggere qualcuno che sto facendo tutto questo...

America trattenne un piccolo gemito tra le labbra mentre faceva l’ultimo sforzo. Serrò la presa, contrasse i muscoli, e slanciò il colpo all’indietro con le braccia che si innalzavano sopra la testolina. Inghilterra volò via dal cratere frantumando altre scaglie di cemento sotto la spinta che fece per issarsi. Cadde sul fianco, battendo la tempia a terra. La testa e la gabbia toracica vibrarono. Per un secondo gli mancò il fiato.

America sollevò i pugnetti al cielo. “Ce l’ho fatta!” Cadde a sedere. “Ti ho salvato!”

Inghilterra rimase steso a terra, diede un colpo di tosse che sollevò una nube di polvere grigia sulla sua guancia. Sbatté le palpebre. Mise a fuoco la strada spianata del ponte tremante, il cielo rosso come sangue che stendeva radici elettriche lungo i grappoli di nuvole color carbone.

Strinse il pugno per terra, raccogliendo una manciata di polvere sbriciolata dal cemento. Sacrifici. Chiuse gli occhi. La guancia premeva per terra. In guerra sono necessari dei sacrifici.

Inghilterra si issò a sedere. America sedeva di fianco a lui, con la fronte bassa e la bocca spalancata a riprendere fiato.

“America.”

America sollevò gli occhi. Sbatté le palpebre un paio di volte, scrollando via il sudore dalle ciglia.

Inghilterra stese un sorriso morbido e tenue. Gli angoli delle labbra e le guance erano sporchi di cemento. “Perdonami.” Allungò un braccio verso il suo viso e gli posò il palmo sulla guancia. “Hai ragione, io,” nascose gli occhi, scosse il capo, “io non posso,” si morse il labbro inferiore, “rimanere qui per sempre assieme a te.” La voce strozzata in gola.

America sollevò le sopracciglia in uno sguardo avvilito. Gli occhi lucidi e cristallini brillavano come pozze d’acqua. “Non mi vuoi più bene?”

Inghilterra scosse la testa e gli carezzò la guancia con il pollice. “Te ne voglio tantissimo.”

Uno squarcio di tuono fece tremare il cielo sopra di loro e il ponte sotto le loro gambe. Luci rosse lampeggiarono sui loro visi, colorandone la pelle. Nessuno dei due si mosse.

Inghilterra sollevò anche l’altra mano, prese con delicatezza il viso di America tra i palmi e guardò il piccolo negli occhi. “Ma proprio per questo non posso restare in questo posto.”

America socchiuse la bocca. Il labbro inferiore traballò come la luce all’interno dei suoi occhi. Il tocco di Inghilterra gli lasciò le guance, e lui seguì i suoi movimenti ruotando solo le pupille, restando immobile.

Inghilterra si mosse sulle ginocchia verso il cratere. Un soffio di vento passò sopra il buco screpolato e fece rotolare una manciata di scaglie di cemento lungo la superficie del ponte. La crepa ne inghiottì alcune.

“Ora devo fare quello che non sono riuscito a fare centinaia di anni fa.” Inghilterra si fermò sul bordo, strinse le mani attorno alla superficie di pietra ruvida e irregolare. Guardò in basso. Vortici scarlatti agitavano le acque del Tamigi come le rapide di una cascata. Spuma bianca schiumava dalle increspature delle onde. Inghilterra abbassò la fronte. “Io devo avere il coraggio di sacrificarmi per il tuo bene.”

Spinse le ginocchia in avanti. Non si voltò nemmeno al suono della voce di America.

“Inghilterra!”

Chiuse gli occhi e si lasciò andare.

 

♦♦♦

 

7 settembre 1940, Londra

 

Sbarrò le palpebre di colpo, una botta di luce gli centrò gli occhi come il gancio di un pugile. Gli fece male alla radice del naso, le vene sulla fronte pulsavano, un forte peso martellava dall’interno del cranio. Minuscole stelle sciamavano sul soffitto, spegnendosi e riaccendendosi a brevi e rapidi lampeggi.

Inghilterra spalancò la bocca e prese la prima grossa sorsata di fiato che gli riempì i polmoni. L’aria passò attraverso la gola in un forte sibilo, l’affanno del risucchio gonfiò il petto. Inghilterra diede un colpo di reni, gemendo, e riatterrò sul suolo duro, sbattendoci sopra le ossa delle scapole. I polmoni bruciavano, il petto si alzava e si abbassava a ritmo dei battiti cardiaci. Il cuore galoppava, premeva sulle costole come a volerle sbriciolare, il suono denso e gutturale delle pulsazioni fluiva fino alla testa, rimbombando nelle orecchie.

Tu-tum, tu-tum, tu-tum...

Inghilterra prese un respiro più avido. Chiuse le labbra, si bagnò il palato secco come avesse inghiottito una manciata di segatura, e riprese a respirare a bocca aperta. Anche le labbra erano asciutte come pergamena.

Brividi ghiacciati corsero lungo la schiena, si espansero lungo la spina dorsale. Tremori gli attraversarono le braccia e si raccolsero nei palmi aperti. Inghilterra agitò le dita informicolate, tastò il pavimento su cui era disteso a braccia spalancate. Era freddo. La schiena era gelida a contatto con il marmo.

Inghilterra sollevò un braccio tremante e fece cadere la mano sul petto. Umido. La giacca era bagnata, intrisa del suo stesso sudore che lo annaffiava dalla testa ai piedi. Inghilterra strinse le unghie e spremette goccioline gelate fuori dal tessuto che le riassorbì subito. La mano strisciò lungo il petto, risalì il collo infradiciato e si aprì sul viso. Il palmo contro la bocca socchiusa e sibilante, le dita divaricate attorno agli occhi sbarrati sul soffitto. Una luce vitrea riempiva le palpebre, le pupille si erano ristrette come capocchie di spillo e tremavano dentro la luce dell’iride.

Altri rivoli di sudore scesero dall’attaccatura dei capelli, rigarono la fronte, e corsero tra le dita aperte sul viso. Si insinuarono tra le palpebre, gli occhi bruciarono, e dentro le labbra, inumidendo la bocca di un acre sapore salmastro.

Un dolore acuto batté contro la tempia.

Inghilterra fece scendere la mano dal volto e si toccò la testa. Scavò tra le ciocche zuppe di sudore ghiacciato. Una scossa di dolore sotto i polpastrelli gli fece ritirare la mano. Inghilterra strizzò un occhio, guaì, e staccò le dita come se si fosse punto. Sollevò la mano davanti agli occhi, contro la luce che veniva dal soffitto. Rigirò i polpastrelli. Un denso liquido rosso gocciolò da sotto le unghie. La tempia sanguinava. Aveva battuto la testa cadendo.

Inghilterra ruotò gli occhi verso sinistra e vide lo spigolo del tavolo davanti al fascio di luce del lampadario. Alcuni fogli erano in bilico, inchinati sul bordo della scrivania con gli angoli piegati verso terra come lenzuola. Tre erano caduti di fianco a lui. Uno rivolto verso l’alto, con le scritte battute a macchina che ne riempivano la superficie, e gli altri due verso il basso, bianchi.

Inghilterra inspirò dal naso e buttò fuori l’aria dalle labbra. Tornò a tuffare la mano tra i capelli senza sfiorare la ferita, e si massaggiò la fronte, stropicciando le guance con il palmo. Continuava a sudare. Il corpo bagnato e infreddolito tremava come una foglia contro il pavimento.

La mano scese lentamente dal viso, passò sopra le palpebre, il naso, le labbra secche, il mento, la gola vibrante, e tornò sul petto. Si fermò sulla parte sinistra. Inghilterra restrinse le dita fino a sentire il suono spugnoso dell’acqua strizzata via dalla stoffa della giacca. Chiuse il pugno, digrignò i denti.

Tu-tum!    

Un battito violento gli fece vibrare le nocche.

Il cuore pulsava.

Inghilterra era vivo. E Londra era in pericolo.

Inghilterra strinse i denti, gemette tra le labbra, e rotolò su un fianco, stendendo un braccio davanti a sé. Aprì un palmo sul pavimento, fece aderenza sul marmo con la pelle lucida e umida di sudore, e strisciò in avanti di pancia, spingendosi con le ginocchia.

Doveva sbrigarsi.

   
 
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