..:: Melanie
::..
Dicevano
che ero strana… una tipa fredda e ipocondriaca, che se ne
stava sempre in disparte, che non legava con nessuno. Forse era vero,
chissà, ma di certo nessuno di quei linguacciuti ficcanaso
aveva mai sperimentato le orribili sensazioni che sentivo io, che
sentivo da quando avevo memoria. Non ho mai capito davvero di cosa si
trattasse… era come se avessi dentro una fiammella, piccola
e quietamente scintillante, ma pronta a divampare in un brutale
incendio che avrebbe potuto facilmente incenerire la mia anima.
Quel
giorno ero chiusa in camera, seduta a gambe incrociate sul letto,
immobile. La musica energica e travolgente dei Nine Inch Nails riempiva
l’aria, talmente intensa da non permettermi di pensare a
qualcosa che non comprendesse riff di chitarra o assolo di batteria.
Non volevo pensare, volevo solo perdermi nel ritmo
incalzante della canzone Discipline e lasciarmi
trasportare lontano da quell’odioso mondo di finzioni e
bugie.
Am
I still tough enough? Feels like I’m wearing down, down,
down…
Sotto
il velo rassicurante della musica sentii un impercettibile
‘toc toc’.
«Posso
entrare?»
Socchiusi
gli occhi. Quella voce melodiosa e vellutata era inconfondibile.
«Certo,
entra pure, zia.»
Zia
Rosalie aprì la porta della mia stanza e venne a sedersi sul
letto accanto a me. Gli splendidi capelli dorati ricadevano in morbide
onde sulla sottile camicia di raso, e la gonna blu pervinca rivelava
gambe lunghe e perfette da top model. Sembrava un candido angioletto
piovuto direttamente dal cielo, e faceva una strana impressione vedere
tanta nivea bellezza nella mia camera scura e tenebrosa… una
dolce nota degli U2 in mezzo a un’esplosiva canzone dei Led
Zeppelin.
Am
I taking too much?...
«La
tua influenza musicale è calata anche su Emmett»
disse guardandomi con serietà. «Anche lui sta
iniziando ad ascoltare lo stesso genere… certo, non capisco
come due persone sensibili e intelligenti come voi ascoltino questa musica.»
Pronunciò
l’ultima parola come una bestemmia: il metal la schifava; lei
era un’artista vecchio stampo, di quelle che impazziscono per
le delicate note del pianoforte e che considerano le tastiere
elettriche un abominio. E insultare il metal era il miglior modo per
irritarmi.
«Sei
venuta solo per criticare quello che ascolto?» chiesi con una
certa asprezza.
Zia
Rosalie scosse la testa e strinse leggermente le labbra, come per
soffocare il disdegno che le premeva in gola.
«Volevo
fare una chiacchierata con te, da donna a donna.» Mi
guardò dritta negli occhi, e io ebbi l’impressione
che una saetta lampeggiasse dietro le sue iridi dorate e sfrigolasse
attraverso le mie, castano cupo. «Melanie, la Battaglia delle
Band non è l’unico avvenimento che ti
innervosisce. Il tuo professore di trigonometria ci ha inviato una
lettera, in cui scrive che “la signorina Cullen è
una studentessa attenta e brillante, ma che talvolta appare
curiosamente spenta e passiva”. E non è solo
questo… Mel, ti ho vista nascere, ti ho tenuta in braccio
quando non eri che una neonata gattonante, ti ho osservata mentre
crescevi e diventavi una giovane donna. Percepisco quando ti senti
calma, tesa, felice… o spaventata.»
I
need your help, I need your discipline…
Strinsi
le mani a pugno. «Sto bene, zia. Non ho bisogno che mi reciti
la parte della strizzacervelli…»
«Sono
molto migliore di qualunque psicologa» ribatté zia
Rosalie con fermezza.
Sospirai.
«Non ho niente da dire… ma se anche dovessi dirti
qualcosa non lo farei, non con quell’impiccione mentale di
mio padre che fruga i pensieri di tutti.»
«I
pensieri, non i ricordi»
sottolineò lei. «Ti prometto che non
penserò a quello che mi dirai quando lui sarà in
mia presenza… Starò molto attenta.»
«Davvero,
non ho niente da dire.»
Zia
Rosalie si guardò intorno, esaminando distrattamente i
poster e le gigantografie che affollavano le pareti –
Guns’n’Roses, The Ramones, Metallica, Led Zeppelin,
Black Sabbath, Nightwish – come se potesse estrapolare una
risposta da quei pallidi volti di carta; i muri erano così
gremiti che tra un poster e l’altro erano visibili solo pochi
centimetri di vernice lilla, ma nessuna di quelle bocche fotografate si
mosse per dar voce ai miei segreti.
Che
idiozia: ovvio che i poster non avrebbero parlato.
Poi
lo sguardo di zia Rosalie scivolò sui massicci mobili di
mogano, sulla mia elegante chitarra Gibson GS, sulle mensole contenenti
la mia collezione di CD, vinili e pezzi rari e infine cadde sulla fonte
del suo rancore: lo stereo ultimo modello regalatomi da zio Emmett.
«Quando
vorrai confidarti, sai dove trovarmi» concluse sepolcrale,
alzandosi e fluttuando via dalla mia stanza.
Sì,
contaci, zia.
Quando
fu uscita mi distesi sul letto e intrecciai le mani dietro la testa,
abbassando le palpebre. La fiammella dentro di me tremolò. Spaventata.
Ero spaventata da questa fiammella? Ero spaventata dal potere che mi
pompava nelle vene al ritmo del mio stesso battito cardiaco?
Once
I start I cannot help myself.
..:: Nessie ::..
La
musica si sentiva dal piano di sotto: chiaro segno che Melanie era in
casa. Era quella musica bizzarra e pesante che le piaceva
tanto… In tutta sincerità, io non avevo idea di
quali differenze ci fossero tra heavy metal, death metal, gothic metal
e speed power metal, ma lei ne capiva e apprezzava tutte le sfumature.
Prima
di entrare in casa inspirai a fondo e mi concentrai il più
possibile su Jennifer Ridley, una mia compagna di classe; mi stampai
fermamente in testa il suo sfarzoso salotto e la sua stanza tappezzata
di immagini di Jude Law e Leonardo di Caprio. Mi ero allenata a lungo a
riempirmi la mente di concetti simili; papà poteva leggermi
il pensiero, ma a quanto pareva disponevo di una specie di lieve
protezione mentale che gli impediva di capire se quello che pensavo era
verità o menzogna. Il dono di mamma era una vera
benedizione.
Quando
mi sentii pronta, uscii dalle fitte ombre boschive e spalancai la porta
con studiata spensieratezza.
«Ehilà!
Sono a casa!»
«Ciao
Nessie!»
Un
lampo bianco e nero mi schizzò davanti, mi rivolse un
sorriso a trentadue denti e sfrecciò in cucina. Impossibile
non riconoscerla: il viso da folletto di zia Alice era inconfondibile,
come anche i suoi scarmigliati capelli corvini e il suo corpicino
piccolo e minuto.
«Sto
imparando a cucinare la bouillabaisse!»
annunciò. «È una zuppa di pesce
francese… dall’immagine del ricettario sembra
deliziosa!»
«Fantastico,
zia» dissi sforzandomi di suonare entusiasta. «Non
vedo l’ora di assaggiarla.»
Per
un attimo immaginai me stessa che tuffavo la testa in una ciotola piena
di disgustosa poltiglia marroncina… Chissà, forse
di lì a poco la scena sarebbe stata quella.
«A
proposito» continuò, da dietro la porta socchiusa
della cucina «Ed e Bella sono andati a caccia al confine
nord… Secondo Ed torneranno entro mezzanotte,
ma…» si sporse dalla cucina e mi fece
l’occhiolino «sono sicura che vorrà fare
lo spaccone e cercare qualche leone di montagna. Saranno qui a notte
inoltrata.»
Zia
Alice aveva un dono favoloso: poteva prevedere il futuro, o meglio,
poteva leggere tutte le varie implicazioni che il futuro avrebbe potuto
riservare. Questo sistema funzionava alla grande sui vampiri, ma non
sugli ‘ibridi’ come me, Dawn e Mel. E non
funzionava nemmeno sui licantropi!! Quel potere era davvero fantastico:
non aveva proprio difetti.
La
notizia che i miei genitori sarebbero tornati a notte inoltrata mi
riempì di gioia; almeno per qualche ora avrei potuto
crogiolarmi tra i miei pensieri, senza freni, senza barriere, senza
timore che un certo padre ficcanaso venisse a sbirciare nella mia
testa.
Salii
sulle scale a passo danzante.
Jacob,
Jacob, Jacob, ripetevo allegramente tra me e me, volando sui
gradini. Mi sentivo una perfetta idiota, ma un’idiota felice,
e questo acuiva il mio buonumore. Jacob, stasera la mia mente
appartiene solo a me.
Immersa
in questi splendidi pensieri, per poco non andai a sbattere contro
Melanie, che m’aspettava in cima alle scale. Ripresi
l’equilibrio giusto un attimo prima di ammazzarmi
giù per le scale rotolando come una botte.
«Stai
bene?» chiese Melanie inarcando un sopracciglio.
«C-certo»
farfugliai. «Tutto a posto!»
Accidenti,
Melanie sembrava appena uscita da un film dell’orrore: aveva
la faccia mortalmente pallida, sulla quale spiccavano occhi sinistri e
penetranti, ingigantiti dal trucco, e i suoi bizzarri capelli tinti di
nero e screziati di meches violette svolazzavano da tutte le parti,
sfidando le regole della gravità. Indossava una sobria
maglietta nera e vecchi jeans scoloriti, ma per quel che la riguardava
avrebbe anche potuto vestirsi come una ballerina di samba a Carnevale:
le parole ‘allegria’ ed
‘esuberanza’ parevano non esistere nel suo
vocabolario. Non che non le volessi bene – anzi! –,
semplicemente non mi sarebbe dispiaciuto vederla un po’
più cordiale.
Lei
mi scrutò con attenzione, e quei suoi strani occhi scuri mi
perforarono come se volessero decifrarmi l’anima.
«Sei
tornata da Jackson» sussurrò.
‘Jackson’
era il nome in codice di Jacob: non era prudente parlare a voce alta in
una casa dove persino i muri avevano le orecchie.
Io
annuii, fissandola a mia volta e chiedendomi come diamine avesse fatto
a intuirlo.
Senza
aggiungere altro, Melanie tese un braccio all’indietro e
aprì la porta di camera sua.
«Avanti, vieni… Sembra che tu ti sia appena scolata un’intera bottiglia di vodka, da quanto sei rossa…»
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Ringrazio
tutti i lettori, e soprattutto un grazie super speciale a:
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DenebDenise: se ti consola questo è il mio primo colpo di
fantasia da circa sei mesi, e poi i classici sono sempre ok :)
..::
Eryp92: XD solo che avevo in mente la scena del pranzo da Jake da
troppo tempo e non potevo ignorarla… e poi era abbastanza
facile da riprodurre: personalmente adoro la cucina indiana ^^
..:: Ci e Ci
Vampire Co: sisi l’ho letta ^^ ahah i piccoli Cullen sono
favolosi!