Anime & Manga > My HiME - My Otome
Segui la storia  |       
Autore: Shainareth    27/01/2009    5 recensioni
[Mai HiME - anime] Natsuki strinse il piccolo post-it giallo nel palmo della mano. I suoi occhi verdi si fissarono sul moto ondoso del mare, lì dove diversi anni prima aveva rischiato di perdere la vita insieme a sua madre e al fedele Duran.
A scanso di equivoci, la presente NON è una YuuichixNatsuki. Anzi, se vi piace può essere considerata come un sequel di Pioggia, sebbene non sia strettamente legata ad essa, e prende spunto dall'epilogo del Natsuki's Prelude.
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Bivio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





CAPITOLO SETTIMO





«Tornate un’altra volta qui conciate in questo modo, e avverto la direttrice» le minacciò Sagisawa-sensei, applicando con poca grazia un cerotto sul braccio di Nao, proprio dove Natsuki le aveva lasciato i segni di un brutto morso.
   «Insomma, possibile che non impariate mai, voi due?»
   «È fiato sprecato, Midori: vanno avanti così da mesi.»
   La professoressa di Storia Giapponese, in piedi di fronte a Natsuki, i pugni sulle anche, si volse in direzione dell’amica. «È compito di ogni buon insegnante mettere in testa agli studenti che la scuola non è una giungla.» Tornò a fissare la propria alunna con aria stizzita. «Anche con i casi disperati come loro.»
   «Risparmiaci la predica» fu la risposta che sbuffò Kuga, braccia conserte.
   «Cosa?!» esclamò l’altra, incredula. Le puntò un dito contro e annunciò: «Fatelo di nuovo e, vi assicuro, vi assegnerò una punizione con i fiocchi!»
   «Sì, certo…» prese parola Nao, alzandosi dallo sgabello su cui si era accomodata per le medicazioni ed affiancandosi alla compagna. «Ma non di pomeriggio: ho i miei impegni in chiesa. E già quello è un supplizio.»
   «A te non basterebbe nemmeno il riformatorio» commentò la motociclista, attirandosi uno sguardo astioso da parte di tutte e tre le altre donne. Scrollò le spalle. «Tranquille, non ho voglia di ricominciare a litigare. Anzi, se ci lasciate andare, me ne torno in classe.»
   «Ecco, brave. È la miglior cosa» concordò Youko, rimettendo la cassetta di primo soccorso nell’armadietto dei medicinali. «E non fatevi più vedere da queste parti. Non prima del prossimo anno scolastico, possibilmente.»
   «Sì, sì…» bofonchiarono le due teppiste in coro, aprendo la porta ed uscendo dall’infermeria senza nemmeno salutare.
   La dottoressa scosse la testa. «Midori, lascia che ti dica una cosa: sei negata come insegnante.»
   Quella scattò sulla difensiva, scandalizzata. «Come osi?! I ragazzi mi adorano!»
   «Perché lasci che facciano i loro comodi, certo» fu la risposta caustica che ricevette.
   Midori soffiò, indispettita, sedendosi pesantemente sullo sgabello precedentemente occupato da Nao. «Scommetto che quelle due si presenteranno di nuovo qui prima di due settimane. E allora vedremo se la tua ramanzina avrà avuto effetti migliori delle mie.»

«Che strazio» si lamentò Yuuki, massaggiandosi il braccio mentre procedeva lungo il corridoio accanto alla sua senpai. La campana era suonata da una buona mezz’ora, e nessuna delle due aveva la minima voglia di rientrare in classe; tuttavia le assenze fatte fino ad allora erano troppe, e per non rischiare di dover ripetere l’anno erano costrette a comportarsi come alunne diligenti. Per quanto potessero passare per tali ricoperte di cerotti e mercurocromo.
   Quando furono in procinto di separarsi per dirigersi ognuna verso la propria aula, si ritrovarono di fronte il capitano della squadra di kendo. Tutti e tre arrestarono di colpo il passo.
   «Oh, bene» ruppe l’imbarazzante silenzio Nao, sorridendo da brava carogna. «Vedi, Kuga? Il destino è davvero magnanimo con te.»
   «Taci!» la seccò lei, furiosa, le gote sfumate di rosso.
   L’altra le batté affettuosamente una pacca sulla spalla, facendole anche male perché incurante di averle procurato un livido lì diversi minuti prima. «In bocca al lupo» le disse, iniziando ad allontanarsi per lasciarli soli. «E che sia di carne, mi raccomando!» aggiunse poi, in lontananza.
   «Mi capiterai di nuovo tra le mani, maledetta bastarda!» le inveì contro Natsuki, già dimentica di essere oggetto di attenzione da parte del giovane che, al momento, in qualche modo la interessava.
   «Uhm… Kuga?» Sobbalzò, ricordandosi finalmente di lui, ed avvampò più di prima, tornando ad assumere una postura elegante e spostandosi una ciocca dal viso con un rapido gesto della mano.
   «Dimmi» rispose, come se nulla fosse.
   Masashi la fissò perplesso, decidendo però di non domandarsi nulla: dopotutto non era la prima volta che vedeva l’amata alle prese con modi di fare poco femminili come quello. C’era, invero, un altro motivo che lo distraeva da quel comportamento. «Che ti è successo?»
   «Eh?» cascò dalle nuvole la fanciulla, aggrottando un sopracciglio.
   «Sei piena di ferite» le fece notare il kendoka, sempre più preoccupato. «E hai l’uniforme strappata.»
   Augurando a Nao di tutto cuore una seduta in bagno per le prossime tre ore, lei cercò di non dare peso alla cosa. «Ah, sì… Un piccolo incidente.»
   «Ma stai bene?»
   «Sì, certo.»
   «Meglio così» fece finta di crederle l’altro. «Allora ti conviene tornare in classe, le lezioni sono già cominciate.»
   Natsuki annuì. «E tu che ci fai in giro per i corridoi?»
   Takeda si sorprese. Molto. Da che si erano conosciuti, alla ragazza non era mai importato di quello che gli accadeva. Anzi, se non era lui a salutarla per primo, di sicuro lei non si sarebbe scomodata a farlo. Nell’ultimo periodo, però, l’atteggiamento della mora nei suoi confronti era cambiato, e se Masashi non ricordava male, il tutto era iniziato quel giorno di qualche settimana addietro, quando, sotto un’abbondante nevicata, lui le aveva offerto il proprio ombrello per accompagnarla a Tsukimori. Aveva già trovato abbastanza strano il fatto che lei avesse accettato quell’invito, ma mai si sarebbe aspettato che le cose tra loro prendessero una piega che pareva volgere verso l’amicizia – o qualcosa di simile.
   «Il responsabile della mia classe mi ha chiesto di portare questi in sala professori» spiegò allora, mostrandole una pila di questionari che aveva fra le mani e che Natsuki non aveva neanche notato.
   «Oh» mormorò questa, sentendosi una scema. «Bene, allora non ti trattengo. Ci vediamo.» Fece per proseguire, ma il giovane la chiamò indietro. Si volse di nuovo nella sua direzione, in attesa che lui parlasse. Lo fece.
   «Kuga… posso… Posso chiederti se è successo qualcosa?»
   Avvertendo una sensazione di calore al volto, lei abbassò il capo nell’inutile tentativo di dissimularlo. «Perché, cosa dovrebbe essere successo?» bofonchiò, intimidita.
   «Non so… È che mi sembri… cambiata…»
   Colpita e affondata, Natsuki fece un passo indietro. «C-Credi?»
   Takeda annuì, prendendo coraggio e avanzando di poco verso di lei. «Cosa ci facevi fuori dalla palestra quella volta?»
   Al ricordo di quanto accaduto quel pomeriggio in cui era rimasta sotto la pioggia battente ad aspettarlo, l’ex-HiME fu presa dal panico. «Niente! Cosa vuoi che ci facessi, lì?» iniziò a tartagliare, fingendo di non aver mai ammesso, pur con Tate testimone, che si trovava in quel posto per ricambiare un favore al capitano della squadra di kendo.
   Quest’ultimo però lo ricordava bene, per cui si mosse ancora nella sua direzione. «Kuga…»
   «È tardi, dovremmo andare in classe…» iniziò a fremere lei, evitando i suoi occhi.
   «Ascolta…» insistette purtroppo il giovane, non sapendo che la poveretta era nel bel mezzo di una crisi interiore: Masashi non era al corrente dei particolari riguardo Shizuru, solo dell’amore che quest’ultima provava per la bella amica.
   Natsuki fece quasi per scappare e lui la bloccò per un braccio, mostrandosi sicuro almeno per una volta. Non aveva forse deciso di rinunciare a lei? E allora perché adesso, quasi per dispetto, la compagna pareva stuzzicare di nuovo il suo cuore? Voleva capire cosa stesse succedendo. Doveva capirlo. Anche a costo di prendersi l’ennesimo ceffone da parte sua.
   «Lasciami!» urlò la ragazza. Il fatto di essere forzata fisicamente a fare qualcosa la terrorizzava al punto che in quegli attimi concitati smarrì la lucidità mentale. Con un brusco movimento del corpo riuscì a liberarsi dalla presa, ma uno dei suoi piedi perse l’appoggio e lei scivolò all’indietro. Takeda l’afferrò per l’altro polso e per la giacca dell’uniforme giusto in tempo per evitarle una brutta caduta, lasciando che i fogli che teneva in mano scivolassero sul pavimento e creassero così una gran confusione tutt’intorno.
  «Stai bene?»
   La sua voce giunse come da un mondo lontano, e quando Natsuki se ne rese conto, rialzò lo sguardo verso di lui, fissandolo come se non lo avesse mai visto prima di allora. Si accorse quindi che si trattava del suo senpai, di una persona che, in definitiva, non le aveva mai fatto del male, anzi. Di colpo, senza che potesse farci nulla, le lacrime cominciarono silenziosamente a scivolarle sulla pelle del viso.
   «Kuga…?»
   «Takeda…» La sentì rantolare lui, disperata. «Per favore… lasciami andare…»
  Subito l'accontentò, temendo di farla piangere di più. «Kuga... te ne prego, dimmi che è successo.»
  «Cosa sta succedendo?» gli fece eco Sakomizu-sensei che, uscendo dalla sala professori lì vicino, aveva sentito Natsuki gridare.

Le mise una tazza di tè caldo davanti e tornò a sedersi al proprio posto. Aveva fatto accomodare la ragazza accanto a lui, alla sua scrivania, nella speranza che lei potesse calmarsi. Amava Natsuki quasi come fosse stata sua figlia, forse in memoria dell'antico affetto provato un tempo per la madre di lei, Saeko. Si sentiva perciò responsabile di tutto quello che le capitava e, sperando che anch'ella potesse in qualche modo trovare conforto nella sua presenza, cercava di starle accanto nei momenti più difficili anche ora che la Stella delle HiME era scomparsa per sempre.
   Sorrise, vedendola tirare su col naso nel tentativo di camuffare il fatto di aver pianto. «Con chi ti sei azzuffata?»
   «Con nessuno.»
   Sospirò, prendendo in mano il proprio infuso. «È incredibile come tu riesca a mentire così sfacciatamente.» Volse la propria attenzione verso Takeda, impegnato a discutere con un altro docente riguardo i questionari che doveva consegnare. «Non sarà stato lui a ridurti in questo stato, voglio sperare...»
   Natsuki alzò la testa di scatto, fissandolo quasi offesa. «Assolutamente» proruppe, così ad alta voce che in molti levarono gli occhi nella loro direzione. «E comunque,» riprese lei, moderando il tono, «ho già avuto una strigliata da Midori e dalla sua amica.»
   «Credo che Sugiura-sensei sia più brava di me in questo genere di cose» le concesse l'uomo, sorseggiando il tè. «Allora, mi vuoi dire cosa ti è successo?»
   «Nulla di particolare.»
   «Che testarda...»
   La sua alunna lo imitò, prendendo la tazza ed iniziando a bere e a riscaldarsi i palmi contro la ceramica. «Dovrei essere in classe» disse poi, in perfetto contrasto con l'indolenza delle proprie azioni.
   «Così conciata?» Sakomizu-sensei scosse il capo. «Anzitutto dovresti smettere di piangere.»
   L'ex-HiME corrucciò la fronte, stizzita. «Non sto piangendo.»
   Il professore decise di lasciarla in pace. Vide Takeda che, alle spalle di lei, attraversava la stanza per uscire in corridoio: benché avanzasse verso la porta, i suoi occhi verdi sbirciavano la figura della ragazza. Kaiji si alzò da dove era seduto. «Takeda-kun» chiamò, facendo sussultare entrambi gli studenti. «Potresti farmi il piacere di accompagnare Natsuki in aula?» propose senza tanti giri di parole, lasciandoli spiazzati. «Indisciplinata com'è, non vorrei saltasse ancora una volta le lezioni del pomeriggio.»
   «Ehi!» protestò la mora, scattando in piedi.
   «Non lo hai appena detto tu che devi tornare in classe?»
   «Sì, ma non ho bisogno della baby-sitter.»
   Sakomizu-sensei rise bonariamente. «Nessuna baby-sitter, voglio solo assicurarmi che tu stia bene» spiegò, lasciandola piacevolmente stupita. Tornò a rivolgersi a Masashi. «Takeda-kun?»
   Lui fece un leggero inchino. «Certo, Sakomizu-sensei.»

Camminavano in silenzio, l'uno accanto all'altra. Il primo avanzando con movimenti rigidi, tanto era nervoso, la seconda stretta nelle spalle, il capo basso.
   Ormai aveva perso il conto, Natsuki, delle volte in cui si era sentita in colpa, come ora, nei confronti del suo senpai. Questi aveva la sfortunata capacità di trovarsi sempre nel posto sbagliato nel momento sbagliato, ma era anche vero che, abituata a non fidarsi di nessuno, lei continuava a fraintendere tutto ciò che quel poveretto faceva o diceva. La ragazza se ne rammaricava, anche perché adesso aveva iniziato a conoscerlo meglio e, tenendo a mente le parole di Tate, come quest'ultimo riusciva a vedere alcune delle qualità del giovane che lei invece aveva precedentemente ignorato.
   Anzitutto, il senso dell'onore. Non sapeva spiegarsi, la bella Kuga, se la sua fosse una virtù innata o se Takeda l'avesse rafforzata con il tempo, grazie agli esercizi di meditazione a cui egli era solito sottoporsi durante gli allenamenti di kendo. In ogni caso, era senza dubbio da apprezzare.
   Non farebbe mai ciò che ha fatto Shizuru...
   Fu questo il primo pensiero che le venne alla mente. Si morse le labbra, ricordandosi di come pochi minuti prima lei avesse reagito d'istinto ad un gesto del tutto innocuo del compagno di scuola. Era bastato davvero poco affinché la paura la sopraffacesse, e se ne domandò la ragione: perché succedeva soltanto ora, dopo mesi dalla violenza subita? Non aveva potuto spiegare a Mai cosa esattamente Shizuru le avesse fatto mentre era incosciente, perché lei stessa non lo sapeva: preferiva rimanere nell'ignoranza. Era forse questa la ragione per cui, illudendosi che in realtà l'altra HiME non le avesse fatto nulla, che le si fosse semplicemente stesa accanto, a Natsuki era stato più o meno facile perdonare l'accaduto. Tuttavia i dubbi continuavano ad attanargliarle il cuore, facendolo dolorosamente sanguinare adesso che finalmente aveva iniziato a prendere le distanze da quel lontano giorno, adesso che aveva potuto sfogarsi apertamente con qualcun altro.
   Quando raggiunsero l'aula della ragazza, Masashi arrestò il passo di scatto. «Eccoci arrivati» disse, quasi gridando per la tensione. Con una certa delusione, a Natsuki parve che fosse tornato ad avere paura di lei, come quando gli urlava contro senza motivo, e non poté dargli torto. «Ci... Ci vediamo.»
   «Takeda» lo richiamò prima ancora che lui potesse allontanarsi. «Mi dispiace... per prima.»
   «No... non importa, sta' tranquilla» si sentì rispondere con voce incerta.
   Scosse la testa, mortificata. «Importa a me.» Il kendoka la fissò ancora una volta allibito: da quando era diventato così importante per lei? «Io... non ti ho ancora ringraziato per avermi accompagnata a Tsukimori, quella volta.»
   Si portò una mano dietro la nuca, come fosse in imbarazzo. «Ah... No, no, non ce n'è bisogno, davvero. È stato un piacere.»
   Natsuki sorrise e rialzò gli occhi per fissarli in quelli di lui. «Sono io che ci tengo a sdebitarmi.»
   Spiazzato, e a dir poco spaventato da quella novità, Masashi lasciò ricadere la mascella. «Che...?» La vide ridere. La sua dea, Kuga, non lo aveva mai fatto in sua presenza. «Ne sei... sicura?»
   Lei annuì, tornando però ad imbronciarsi e a guardare altrove. «Però...» iniziò, arrossendo, «questo non è un appuntamento, sia ben chiaro.»
   Di nuovo l'altro rimase di stucco. «Oh, no, no!» esclamò, riprendendosi il prima possibile e gesticolando in modo decisamente buffo. «Non fraintenderò! Figurarsi se proprio tu... sì, se una come te... può voler uscire con me...» La prese come un gioco, ma la vecchia ferita tornò a riaprirsi dentro di lui. «Beh... allora fammi sapere dove e quando, ok?»
   «Non...» cominciò la fanciulla. Si fermò per riprendere fiato, o forse per riflettere. «D'accordo, ma non sarà in tempi brevi. Scusa.»
   «Kuga» non resistette alla tentazione di chiederle lui. Visto che, a quanto sembrava, poteva sentirsi libero di rivolgerle la parola quando voleva, decise di approfittarne. «Posso chiederti perché ti scusi?»
   «Forse...» rispose la mora, tornando a sorridere mestamente, «perché sono sempre stata ingiusta con te.»














Anzitutto chiedo scusa se questo capitolo dovesse risultare confuso o pieno di errori (di qualunque tipo), ma ho avuto delle serie difficoltà a scriverlo perché mi sono ritrovata in una situazione che non avevo previsto: inizialmente avevo intenzione di far fare a Takeda l'ennesima figuraccia, cadendo in modo maldestro su Natsuki o roba simile. Se non è accaduto è per due ragioni: 1. lo trovavo banale; 2. dopo aver subito uno stupro (o quel che era) da parte di quella che credeva la sua unica amica, come avrebbe preso, Natsuki, un incidente del genere? Di sicuro non bene. Sarebbe davvero stato cattivo da parte mia, e onestamente non me la sento di fare ancora del male a questo personaggio che gli sceneggiatori hanno già massacrato abbastanza (non che agli altri sia andata meglio, ma loro si sono ripresi a fine serie, mentre Natsuki ha ancora a che fare con quella là).
Mi auguro, in ogni caso, di essere riuscita a seguire una certa logica... Sappiatemi dire, per favore.
Concludo con gli immancabili ringraziamenti ai lettori e ai recensori: siete davvero preziosi. ^^
Shainareth





  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > My HiME - My Otome / Vai alla pagina dell'autore: Shainareth