Crossover
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Autore: Odinforce    04/08/2015    5 recensioni
In un luogo devastato e dominato dal silenzio, Nul, un essere dagli enormi poteri si diverte a giocare con i mondi esterni per suo diletto. Da mondi lontani sono giunti gli eroi più valorosi, pronti a sfidare le loro nemesi che hanno già sconfitto in passato. I vincitori torneranno al loro mondo, siano i buoni o i malvagi. Saranno disposti ad obbedire alla volontà di Nul?
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 14

 

Il Cimitero dei Mondi sembrava davvero sconfinato. I Valorosi vagavano tra quei cumuli di rovine ormai da un pezzo, senza scorgere alcuna traccia di Nul o di altri nemici. Chiunque ci fosse dietro le quinte a dirigere la scena, amava restare nascosto il più a lungo possibile.

Il gruppo decise di fare una pausa, fermandosi alla base dell’ennesima duna. L’atmosfera restava tranquilla tra di loro, ma cominciavano a pensare di stare sprecando il loro tempo: a parte Wall-E e quella creatura ripugnante chiamata Gollum, nei paraggi non avevano incontrato nessuno.

« Draven deve essersi sbagliato » dichiarò Jake mentre si sedeva sopra il cofano di un’auto. « Qui non c’è nessuno... non c’è traccia di questo Nul. »

« A pensarci bene, lui non ha mai detto che qui avremmo trovato Nul » obiettò Harry. « Ha detto che qui avremmo trovato i resti delle precedenti battaglie, non i nostri nemici. »

« Già, è vero » convenne Lara. « Comunque, vista la situazione in cui ci troviamo, un posto vale l’altro. Non siamo al sicuro in alcun posto. Ovunque andiamo, siamo costretti a combattere contro qualcuno. »

Molti compagni sospirarono, amareggiati. Avevano bisogno di rilassarsi, di scacciare la tensione; Po si occupò subito di preparare da mangiare, e poco dopo erano di nuovo tutti riuniti intorno a un fuoco a mangiare i suoi favolosi spaghetti.

« Non potremo combattere ancora a lungo » disse Hellboy, spezzando il silenzio che si era creato. Il diavolo stava controllando le sue armi, ma dallo sguardo che aveva non sembrava contento. « Io sono quasi a corto di proiettili... se andiamo avanti di questo passo, ci troveremo a secco molto presto. »

« Vale anche per me, in effetti » aggiunse Jake. « Ho esaurito le frecce... ma credo che non avremo problemi a rifornirci in un posto del genere. Se ci avete fatto caso, qui intorno è pieno zeppo di armi... appartenute a gente meno fortunata. Suggerisco di dare un’occhiata nei paraggi e recuperare ciò che potrebbe esserci utile: equipaggiamento, munizioni... tutto ciò che possiamo portarci dietro. Sbrighiamoci, finché siamo i soli a camminare in questo dannato posto. »

I compagni annuirono, perfettamente d’accordo come al solito. Dopo aver mangiato, si divisero perciò in coppie e iniziarono a setacciare la zona circostante, muovendosi piano tra le rovine.

Sora, pur non avendo bisogno di rifornirsi di nuove armi, seguì Jake nella sua ricerca, pronto ad assisterlo in caso di bisogno. Il guerriero Na’vi e il ragazzo salirono in cima a un’altra duna, dalla quale potevano osservare buona parte del paesaggio. Quell’area del Cimitero conteneva soprattutto pezzi di alta tecnologia: astronavi aliene e giganteschi robot dai colori vivaci giacevano semidistrutti nella distesa davanti ai due Valorosi, inattivi da chissà quanto tempo. Nonostante si trattassero di ammassi inanimati di metallo, trasudavano morte come nel resto del Cimitero. Ogni macchina, ogni arma, ogni nave rappresentava una battaglia combattuta da eroi di altre epoche, di altri mondi... conflitti organizzati dall’onnipotente Nul per il suo diletto.

« Uhm » fece Jake, la cui attenzione era rivolta verso un’arma ai suoi piedi. Era una mitragliatrice, perfetta per un tipo della sua taglia; inoltre, mentre la prendeva in mano, divenne molto familiare.

« Un M60 » commentò sorpreso. « Avevo un’arma come questa su Pandora... possibile che sia lo stesso modello? »

Coincidenza o no, Jake non avrebbe potuto trovare un’arma da fuoco più adatta per lui; funzionava perfettamente e il terreno ai suoi piedi era pieno di munizioni. Il Na’vi non esitò a prendere tutto quello che poteva, finché lo sguardo non gli cadde poco lontano: le sorprese non erano ancora finite.

« Grande Madre di Tutto! »

Un lungo arco faceva capolino tra i cannoni e grossi frammenti di metallo. Quando lo afferrò, ancora intatto, Jake non riuscì a crederci: era un arco Na’vi, non poteva sbagliarsi... e come nel caso della mitragliatrice, era ancora più familiare.

« Che ti prende, Jake? » chiese la voce di Sora, lontana alle sue orecchie come se fosse ad anni luce di distanza.

« Neytiri » rispose con voce tremante. « Questo è il suo arco... l’arco della mia amata. »

Jake prese a guardarsi intorno, guidato da un nuovo, tragico pensiero. Ormai era chiaro: ai suoi piedi giacevano i resti di una battaglia tra guerrieri venuti dal suo mondo; il nuovo arco che ora stringeva tra le mani non poteva essere finito laggiù per caso, separato da colei a cui aveva donato il suo cuore. Ma per quanto aguzzasse la vista, Jake non riuscì a trovarla, né viva né morta; non c’erano cadaveri nelle vicinanze, solo mucchi di armi e metallo immobile. Cercò a lungo, ignorando del tutto la presenza di Sora al suo fianco.

Il Custode del Keyblade non ebbe modo di confortare il suo amico, perché qualcos’altro aveva attirato la sua attenzione. Poco lontano, al confine con l’area tecnologica in cui si era inoltrato Jake, due relitti si stagliavano imponenti davanti al ragazzo; erano velieri di un’epoca passata, ammassati l’uno contro l’altro. Sora rimase perplesso: non c’era nemmeno un po’ d’acqua nei paraggi... come avevano fatto quelle navi a combattere in un posto del genere?

All’assurdo non c’era mai fine.

Sora era certo di aver riconosciuto una delle due navi. Una bandiera ondeggiava ancora in cima all’albero maestro, mostrando un teschio con due spade incrociate; le sue vele erano nere, prive di qualsiasi stemma, lacerate e mosse dal debole vento. Era una nave pirata... la stessa in cui lui era salito a bordo non molto tempo prima.

La Perla Nera.

Una gran quantità di emozioni invasero la mente di Sora nel giro di un istante: stupore, angoscia, paura, sgomento, e tutte le loro sfumature concepibili. Un attimo dopo si era messo a correre in direzione della nave, ignorando Jake e la sua ricerca di armi. Doveva sapere, capire... scoprire la verità dietro quell’immagine inquietante: la Perla Nera, compagna di avventure del suo amico Jack Sparrow, giaceva immobile e distrutta nel Cimitero dei Mondi, schiantata contro un’altra sconosciuta nave. Quest’ultima aveva un aspetto terrificante, spettrale: il suo scafo era incrostato di alghe, molluschi e altra flora acquatica; la prua sembrava una bocca irta di fauci, dotata di una polena scolpita simile alla Morte, dotata di falce. Anche le vele erano ricoperte di alghe e sporcizia, come se fossero state ripescate dalle profondità marine insieme al resto della nave. Sora non fu in grado di riconoscerla, ma era ovvio che la Perla Nera avesse avuto uno scontro con quella nave... in cui entrambe avevano trovato la sconfitta; e ora giacevano nel Cimitero, due relitti abbandonati e avvolti dal silenzio.

« Jack! » gridò Sora, quando non fu più in grado di sopportarlo. « Jaaack! Jack Sparrow! »

Nessuno rispose. Sora non si arrese e continuò a chiamare il suo amico pirata, mentre saliva a bordo della Perla Nera. Non aveva la più pallida idea di quanto tempo fosse passato da quella battaglia, ma in quel momento non gli importava; la più piccola speranza sarebbe stata sufficiente per lui, se gli avesse permesso di ritrovare un amico ancora vivo. Continuava a ripeterselo mentre percorreva il ponte della nave, spaccato e squarciato in diversi punti.

E poi vide Jack, dove era certo di trovarlo... ma non appena si rese conto della verità, fu assalito dal terrore. Il pirata più imprevedibile al mondo era al timone, immobile... morto. Le sue braccia penzolavano inerti tra le pale della ruota, la testa piegata verso il basso. Sora non osò avvicinarsi: l’immagine era già spaventosa in quel modo, nonostante lo avesse già visto con l’aspetto di un cadavere in passato. Stavolta non c’era nessuna maledizione azteca da spezzare, lo sapeva; Jack Sparrow era andato in un luogo da cui non sarebbe più tornato.

« Niente puoi fare per lui. »

Sora si voltò di scatto. Qualcuno aveva parlato alle sue spalle, un uomo con una voce molto familiare; il ragazzo lo trovò seduto sulla cima di un cumulo di rovine, proprio accanto alla Perla.

« Lui uomo morto. Non ha bisogno di aiuto » disse ancora l’uomo, senza guardare Sora. Il ragazzo lo osservò attentamente: aveva l’aspetto di un indiano pellerossa, con indosso gli abiti tipici della sua tribù; aveva lunghi capelli neri e quello che sembrava un corvo impagliato posto in cima alla sua testa. Il suo volto era dipinto di bianco con strisce nere, in modo simile a Eric Draven... ma sotto quella pittura, Sora riusciva a notare gli stessi lineamenti di Jack Sparrow e degli abitanti di Burton Castle.

Il Custode del Keyblade, dopo tutto quello che aveva passato, era convinto di essersi abituato alle sorprese, ma quel mondo continuava a sbattergliene in faccia un numero sempre maggiore. Per questo non riuscì a nascondere il suo stupore nemmeno stavolta, mentre osservava quel bizzarro personaggio.

« Tu... tu chi sei? » domandò.

« Tonto. »

« Cosa? E perché dovresti esserlo? »

« Mio nome » disse l’indiano. « Tonto, della tribù Comanche. »

Sora tacque, imbarazzato per l’equivoco.

« Conoscevi Jack Sparrow? » domandò.

« Lui grande guerriero » rispose, continuando a guardare lontano. « Fessacchiotto, lui... strano come cavallo di mio compagno Kimosabe. Ma lui forte. Rimasto a combattere fino alla fine. Aveva cuore... e buoni stivali. »

E indicò gli stivali che indossava. Sora li riconobbe, e istintivamente guardò i piedi scalzi del cadavere di Jack per avere la conferma.

« Glieli hai rubati? » esclamò indignato. Era abbastanza certo che, da qualsiasi mondo uno provenisse, rubare i vestiti a un morto fosse più che sbagliato.

« Non rubati » rispose Tonto. « Barattati, con buon cibo per uccelli. »

Sora lo fissò senza parole, mentre l’indiano prendeva del mangime dalla tasca per offrirlo al suo corvo impagliato. Ne aveva viste di stranezze nell’ultimo anno, ma quel tipo riusciva a stupirlo più di quanto si aspettava.

« E tu cosa ci fai qui? » chiese ancora, cercando di ignorare le sue strane abitudini.

« Anche io ho combattuto, con mio compagno Kimosabe. Anche lui fessacchiotto. Anche lui forte. E ha combattuto fino alla fine. »

Tonto rivolse lo sguardo verso il basso, ai piedi della duna di rottami su cui sedeva. Un cappello da cowboy ondeggiava piano, mosso dal vento, appeso a un fucile piantato sul terreno: il massimo che quell’indiano matto aveva potuto fare per onorare il suo compagno defunto. Sora restò a guardare in silenzio, chiedendosi ancora una volta il senso di tutto ciò.

« Ma tu sei sopravvissuto » osservò poco dopo, rompendo il silenzio.

« Morte era scelta migliore » ribatté Tonto, voltandosi a guardarlo. « Questo non è il mio mondo. Battaglia è finita, tutti morti... tranne me. Posso solo aspettare che morte ritorni e mi porti via. »

« Non dovresti arrenderti così! » sbottò Sora. « I tuoi amici sono morti, e allora? Non gettare le tue speranze in questo modo. Se sei ancora vivo, puoi ancora fare qualcosa per salvarti! Puoi... puoi continuare a camminare finché non troverai la strada di casa... ecco cosa puoi fare. »

Tonto restò in silenzio, scrutando Sora come se volesse penetrare il suo cranio con lo sguardo. Quel volto inespressivo, indurito dalla pittura bianco-nera, supportato dalla presenza del corvo impagliato sulla sua testa... sembrava appartenere a uno spirito inquieto, pronto a ghermire un’anima innocente.

L’indiano si alzò in piedi all’improvviso, cogliendo Sora di sorpresa. Gli voltò quindi le spalle e iniziò a camminare, scendendo giù dalla duna su cui era stato seduto per tutto il tempo.

« Ehi, che stai facendo? » esclamò Sora.

« Cammino » gli rispose Tonto a voce alta. « Finché non trovo strada di casa. Ecco cosa posso fare. »

E sparì all’orizzonte, lasciando il ragazzo da solo sulla nave.

Sora rimase dov’era per un po’, lasciandosi invadere da un miscuglio di pensieri derivati dagli ultimi avvenimenti. Il Cimitero, la nave, Jack Sparrow, e quello strano pellerossa che aveva preso i suoi stivali... ce n’era abbastanza per mettere in crisi chiunque, compreso il membro più ottimista dei Valorosi. Anche ad uno come lui ci voleva del tempo per digerire un boccone così grosso.

Peccato, però, che le sorprese non fossero ancora finite. Sora fu distratto all’improvviso da un urlo in lontananza, che lo costrinse ad alzare lo sguardo. Seguirono spari ed esplosioni, proprio nel luogo da cui era arrivato; e la voce che aveva sentito urlare divenne subito familiare.

« Jake! »

Sora iniziò a correre, il Keyblade in mano, pronto ad aiutare l’amico in difficoltà...

 

Per capire cosa era successo a Jake Sully, occorre tornare indietro di qualche minuto. Mentre Sora raggiungeva la Perla Nera, il leader dei Valorosi si era concentrato nella ricerca di armi e munizioni. Aveva appena recuperato l’arco di Neytiri per sostituirlo al suo, quando la sua attenzione fu attirata da qualcosa di ben più grosso. Tra un cumulo di rottami, Jake notò un’altra arma proveniente dal suo mondo: a prima vista sembrava un robot senza testa disteso su un fianco, ma lui lo riconobbe subito come un AMP Suit, un esoscheletro da battaglia usato dai Marines per attaccare Pandora. Come molte altre cose nei paraggi, sembrava ancora intatto... forse funzionante. Jake restò a fissarlo per un po’, lasciandosi trasportare da ricordi spiacevoli: l’esercito di macchine giunto dal cielo per depredare quel meraviglioso mondo, che aveva distrutto e bruciato intere foreste prima che riuscissero a fermarlo. Piante, animali, intere famiglie di Na’vi avevano perso la vita per mano di quei maledetti, chiusi nelle loro armature di metallo.

I maledetti umani...

« Bah! » fece Jake, voltando le spalle all’esoscheletro. Un attimo dopo, tuttavia, qualcosa lo afferrò per la coda, tirandolo all’indietro con violenza. Il Na’vi fu sollevato da terra e scagliato contro un altro cumulo di rottami, buttandolo giù; sentì parecchio dolore mentre il capogiro offuscava i suoi sensi. Riuscì a rimettersi in piedi, scorgendo una figura massiccia torreggiare sopra di lui. L’AMP Suit che aveva visto un attimo prima era attivo, pilotato da un uomo chiuso all’interno dell’abitacolo; il vetro trasparente rivelò la sua identità a Jake, che in un attimo si trovò a guardarlo con odio immenso.

« Quaritch! »

« Jake Sully » disse il colonnello dal volto sfregiato, ponendo le braccia dell’esoscheletro sui fianchi. « Ti trovo bene, ragazzo... e vedo che giochi ancora a fare il selvaggio! »

« E tu giochi ancora a fare lo stronzo » ribatté Jake. « Dopotutto siamo qui per questo, per giocare. »

Quaritch restò in silenzio, come per valutare le parole del Na’vi.

« Dunque Nul ha scelto te come mio avversario » continuò Jake, sorridendo mentre sollevava il mitra. « Devo ammettere che questo mi sta bene... ho affrontato idioti ben peggiori di te; e considerando ciò che hai fatto al Popolo, rispedirti all’inferno sarà un vero piacere! »

« Non sarà mai un piacere maggiore di quello che proverò io » rispose Quaritch, « dopo che ti avrò ridotto a pezzi! »

I passi pesanti dell’AMP Suit risuonarono nell’aria mentre il suo pilota lo scagliava contro Jake, impaziente di compiere la sua vendetta. Il Na’vi si scansò appena in tempo, osservando il suo nemico mentre travolgeva macchine e rottami. Quaritch si riprese subito dal maldestro attacco, sfoderando nel frattempo la sua mitragliatrice; Jake, consapevole di non avere difese adeguate contro un’arma del genere, fu costretto a scappare. La raffica di Quaritch falciò tutto quello che colpiva, provocando ogni tanto delle esplosioni; molte delle armi e macchine nei paraggi erano piuttosto delicate.

Jake trovò riparo tra i resti di un gigantesco robot rossoblu, sfuggendo in questo modo al campo visivo di Quaritch; mentre caricava le sue armi si sentì un idiota per non essersi accorto prima della sua presenza: evidentemente l’uomo si era appostato da tempo per tendergli una trappola, nascondendosi nell’AMP Suit per coprire il suo odore.

Aveva appena imbracciato il suo fucile, il colpo in canna, quando i rottami che lo riparavano furono di colpo scaraventati lontano. Quaritch lo aveva trovato!

« Pivello! » commentò il colonnello con un ghigno. « Ti sei dimenticato che posso rilevare il movimento e il tuo calore corporeo? »

Fu il fucile di Jake a rispondere, con una buona raffica di colpi dritti contro il bersaglio. Quaritch si riparò con uno dei rottami che aveva afferrato; questo, tuttavia, copriva troppo la sua visuale... un errore che Jake riuscì a sfruttare. Cessò il fuoco e si tuffò tra le gambe dell’AMP Suit, trovandosi così alle sue spalle; Quaritch si stava già voltando, ma Jake fece in tempo ad aggrapparsi al suo braccio, quello armato di mitra. Il Na’vi ricordava fin troppo bene il loro ultimo scontro: era inutile affrontare un bestione corazzato del genere... doveva raggiungere il pilota e farlo secco prima che facesse altri danni. Quaritch, lo sapeva, era tipo da arrendersi solo da morto.

Ma il colonnello non era tornato in vita per ripetere gli stessi errori di un tempo. Non appena Jake si era issato su per il suo braccio, Quaritch attivò un dispositivo, generando una forte scarica elettrica sulla superficie dell’esoscheletro che investì in pieno il suo avversario. Jake urlò, per poi rovinare pesantemente a terra.

« Anche per un selvaggio è difficile fare il duro, quando migliaia di volt friggono le sue palle » dichiarò Quaritch soddisfatto. Si avventò subito su Jake, bloccandolo al suolo con la sua morsa d’acciaio.

« Mi piacerebbe tanto che questa fosse la fine, per te » aggiunse, « ma so che uccidendo il tuo Avatar, tu ritorni automaticamente nel tuo vero corpo. Mi toccherà andare a cercarlo per finire il lavoro, dunque. »

Jake si lasciò sfuggire una risata.

« Non ho più quel corpo » disse, guardando il suo nemico con aria orgogliosa. « Ora sono un vero selvaggio... e lo sarò per sempre! »

Quaritch rimase incredulo per una manciata di secondi, poi si riprese.

« Oh be’... questo rende tutto più facile, allora. Addio, traditore! »

Un urlo improvviso, un lampo di luce e un forte botto cambiarono di colpo la situazione. Qualcosa si era abbattuto sulla mano dell’AMP Suit che bloccava Jake al suolo, danneggiandola gravemente. Quaritch barcollò, mentre un nuovo personaggio appariva di fronte al suo campo visivo, giunto in difesa di Jake Sully.

« Sora! »

Il Custode del Keyblade aiutò il suo amico a rialzarsi, poi puntò l’arma contro il nemico, pronto a combattere.

« Non ti conosco, ma sento che sei molto cattivo » disse Sora nella sua semplicità. « E non ti permetterò di far del male ai miei amici! »

   
 
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