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Autore: Toki_Doki    08/08/2015    1 recensioni
Roberta è una ragazza che ama fare jogging nel tempo libero e percorre sempre lo stesso tragitto in un parco vicino casa. Lì vede ogni volta un ragazzo che si ferma su una panchina a leggere. Lei viene colpita dal suo portamento, ma non solo. Troverà il modo di attaccare bottone con quel meraviglioso sconosciuto?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Cap. 01 - Sconosciuti Sconosciuti
 
 
Amavo fare jogging e tenermi in forma perché mi faceva sentire viva e in pace col mondo. Da quando avevo scoperto quel meraviglioso parco non lontano da casa, non riuscivo più a fare a meno di frequentarlo per allenarmi. Ero una ragazza abitudinaria, quindi il tragitto era sempre lo stesso, così come i giorni e gli orari. Frequentavo il primo anno di università e il mercoledì pomeriggio, il sabato e la domenica, non avevo lezioni, quindi erano i giorni che dedicavo a me stessa.
Non amavo molto uscire a fare baldoria e non avevo neanche chissà quanti amici! La mia migliore amica era diventata anche la mia coinquilina e, a parte lei, frequentavo giusto un paio di ragazze conosciute ai corsi.
Con la musica nelle orecchie continuai il giro cercando di mantenere ritmo e respiro regolari, ma i miei sforzi furono vani quando lo vidi. O meglio: lo vidi di nuovo. Era un ragazzo bellissimo, con l'aria fiera e la schiena sempre ben eretta, che sedeva sempre sulla stessa panchina a leggere. La prima volta lo avevo notato in estate, quando avevo iniziato a fare quel giro, poi lo avevo rivisto ogni giorno. Sempre. Non mancava mai ed io ne approfittavo per guardarlo e cercare di sbirciare la copertina del libro che teneva tra le sue belle mani, dalle dita lunghe e affusolate. Era un po' inquietante il fatto che io avessi notato il particolare delle sue mani, o dei suoi occhi neri e profondi come il mare di notte, o i suoi capelli arruffati e neri come la pece che a volte rivelavano riflessi rossi. Era un po' inquietante che quello sconosciuto mi avesse colpito così tanto da spingermi a fingere una sosta in prossimità della sua panchina per avere modo di osservarlo.
In quegli ormai tre mesi, non avevo mai avuto il coraggio di sedermi accanto a lui o di attaccar bottone. Aveva l'aria di uno troppo intelligente e maturo per una come me, poi secondo me aveva sui trent'anni e non riuscivo proprio a concepire perché un uomo dovesse dar retta ad una ragazzina.
Chiariamo: non mi sentivo davvero una ragazzina, perché avevo vent'anni e le mie esperienze alle spalle - positive e negative - ma avevo l'aspetto di un'adolescente e quello mi frenava perché ero, forse stupidamente, convinta che non sarebbe voluto andare oltre l'aspetto. Insomma, quale uomo sano di mente approfondirebbe la conoscenza di una ragazza che dimostra sedici anni, tutta sudata, impacciata e rossa per la vergogna? Nessuno. Quindi mi ero rassegnata da subito a guardarlo da lontano e immaginare soltanto come sarebbe stato conoscerlo. Inventavo momenti, frasi, gesti, che mai avrei vissuto ma che tenevano attiva la mia fantasia. Avevo anche scritto qualche storiella, ma al contrario delle altre, quelle non le avevo fatte leggere a nessuno. Mi spiego: avevo l'abitudine e il bisogno di scrivere, qualsiasi cosa purché potessi liberare la mente e sfogare la fantasia. Mi sentivo bene quando lo facevo e così avevo iniziato senza smettere mai. Il mio sogno? Diventare una scrittrice, ovviamente!
I muscoli indolenziti dall'aria fredda mi fecero rendere conto che la pausa era durata anche troppo. Mi sgranchii le braccia e le gambe e, quando riportai lo sguardo sullo sconosciuto della panchina, i miei occhi incontrarono i suoi. Il cuore ebbe un fremito: era la prima volta che mi guardava. Tesi le labbra in un sorriso e corsi letteralmente via da quel ragazzo, che aveva ricambiato il sorriso mozzandomi il respiro in petto.
Alla lista dei particolari meravigliosi di quell'essere superiore, avrei dovuto aggiungere il sorriso stupendo.
 
Da quello scambio di sguardi, erano passati due giorni e non vedevo l'ora che arrivasse l'indomani: era sabato e sarei tornata al parco.
Uscii dalla mia stanza canticchiando Take me to church, appena sentita alla radio, e mi sistemai sul tavolo della cucina dopo aver preparato un bel cappuccino amaro e qualche fetta biscottata con marmellata.
Fui raggiunta dalla mia pazza amica Laura, in ritardo come sempre.
«Buongiorno, eh!» la salutai divertita mentre cercava di infilarsi una fetta biscottata tutta in bocca.
Farfugliò la risposta sputacchiando briciole ovunque e facendomi scoppiare a ridere.
«Che corso hai oggi?»
Mandò giù il boccone, si diede un pugno sul petto per aiutarsi, poi rispose: «Filosofia.»
Sollevai le sopracciglia ammiccando. «Non far aspettare il signor Miretti, allora!»
Sbuffò teatralmente. «Non c'è niente tra noi. Devo ripetertelo ogni volta?»
«No, hai ragione. Un uomo che ti chiede di bere un caffè dopo le lezioni, di certo non è interessato.»
«È il mio insegnante! Quella volta mi ha invitato perché dovevamo discutere dei miei crediti.»
«Gli sbavi dietro da un anno» le ricordai.
«Non vuol dire che lui ci sta! E poi perché ne stiamo ancora parlando?» chiese alzando i toni e procurandomi una risata.
Scrollai le spalle. «Prima o poi dovrai ammettere che tu e il professorino ve la intendete!»
«Roby, sei una rompipalle! Non ci sarà mai nulla da ammettere.» Mise il broncio, lasciò la cucina e sbatté la porta d'ingresso lasciandomi capire che era uscita infuriata.
Quell'argomento non voleva mai affrontarlo, ma io l'avevo capito che aveva una cotta per il suo insegnante. Cotta per altro corrisposta. Parlavo per cognizione di causa dato che li avevo visti insieme all'università, e il modo in cui lui guardava lei mi aveva fatto venire il batticuore.
Misi da parte quei pensieri - anche perché dovevo farmi gli affari miei - e presi la borsa per dirigermi anch'io in sede. Quel giorno avrei avuto lezione fino alle sei del pomeriggio e la cosa mi destabilizzava sempre perché mi stancavo psicologicamente. Era anche per quello che avevo bisogno di sfogarmi correndo.
Scesa dall'autobus mi recai direttamente nell'aula due del secondo piano; imboccai la stanza e mi sedetti al banco centrale, per non stare troppo avanti né troppo dietro.
Le prime tre ore di giapponese volarono. Sì: amavo quella materia e le ore di lezione non mi sembravano mai abbastanza.
Le successive quattro ore furono altrettanto piacevoli, ma quando le terminai, sospirai di sollievo perché avevo un'ora buca per poter mangiare. Stavo morendo di fame, così mi diressi in una piccola pizzeria a taglio che si trovava vicino all'edificio scolastico. Era una fortuna che fosse raggiungibile a piedi e che avesse la pizza più buona che avessi mai mangiato.
Col sorriso sulle labbra e lo stomaco brontolone, mi recai in quella tavola calda decisa a strafogarmi. Mentre percorrevo il viale alberato, notai una figura estremamente familiare ferma a scrutare il lato opposto della strada. Il cuore sembrò uscirmi dal petto, ma riuscii a calmarmi prendendo un bel respiro.
Lo sconosciuto della panchina continuò a guardarsi intorno, quasi spaesato, poi sbuffò e si passò una mano tra i capelli. Avevo l'occasione di parlargli con la scusa di aiutarlo.
Presi coraggio e mi avvicinai cauta, come un cucciolo di gatto spaventato.
«Serve aiuto?» chiesi titubante.
Il suo sguardo saettò nel mio. «No. Sto aspettando una persona.» Aveva una voce profonda, a tratti rauca, che provocò un'ondata di calore nel mio corpo.
«Ah, ok» balbettai appena. Stavo facendo la figura della ridicola!
Un sorriso si aprì sul suo volto. «Sei la ragazzina che fa jogging al parco, vero?» Ragazzina, mazzata arrivata. Però almeno mi aveva riconosciuto!
«Sì.»
Vidi dietro di lui un ragazzo correrci incontro. Di certo era la persona che aspettava.
Il tipo in questione gli si affiancò. «Scusa il ritardo» disse guardandolo, poi rivolse il suo sguardo a me e si aprì in un sorriso. «Ciao.»
«De-devo andare.» Girai sui tacchi e me la diedi a gambe prima di proseguire con la figura penosa che stavo facendo.
Perché ero rimasta così scossa da quell'incontro? Quel ragazzo non lo conoscevo per niente; era uno sconosciuto e tale sarebbe rimasto. Ed era proprio quella la cosa che mi metteva tristezza: non avrei potuto conoscerlo. Eppure avevo la sensazione che doveva entrare nella mia vita, sensazione che diventava più forte ad ogni "incontro".
Cosa dovevo fare? Lasciar perdere era l'unica soluzione, quella logica che non mi avrebbe permesso di restare scottata se le cose si fossero messe male. Ero in tempo per farmi passare quella stupida infatuazione e cancellare dalla mia mente il profilo regale dello sconosciuto che aveva occupato un posto nel mio cuore senza neanche che me ne accorgessi; senza che avesse fatto nulla in particolare.
 
Ero ancora davanti allo specchio a guardare la mia intera figura: le scarpe da ginnastica erano ben legate; i leggins erano abbastanza caldi per quella giornata, e la maglia abbastanza lunga da coprire ciò che si doveva coprire; i capelli erano raccolti in una coda alta. Insomma, ero pronta a uscire, eppure era qualcosa come dieci minuti che mi fissavo senza dare cenno di voler lasciare la mia camera.
Fui riscossa da alcuni colpi leggeri alla porta. Diedi il via libera alla mia amica che si gettò sul letto, rimbalzando due volte prima di infossarsi nel materasso e sospirare.
«Ho un problema» confessò a malincuore.
«Vuoi un cane che non possiamo tenere nel palazzo?» Era di quello che si lamentava da due intere settimane.
«Miretti.» Un sorrisino spuntò sulle mie labbra. «Sembra geloso.»
«Allora lo è. Ascolta, il modo in cui ti guarda potrebbe essere la causa dello scioglimento dei ghiacciai!»
«Infatti è così che mi sento quando mi guarda.»
«Sposato?»
«No.»
«Allora buttati. Non si vive per sempre e per sempre non si resta single.»
Sospirò e restò in silenzio mentre io contemplavo ancora il mio riflesso.
«Tu quand'è che ti butterai?»
Chiusi gli occhi e presi un bel respiro. «Cioè?»
«Il tipo del parco. Perché non provi ad attaccare bottone?»
Non le avevo ancora detto dell'incontro del giorno precedente. «Ieri l'ho incontrato per caso e mi ha definito "la ragazzina che fa jogging", quindi non gli posso interessare.»
«La tua è solo una scusa. Non hai mai avuto intenzione di provarci.»
«Anche se fosse, ormai è tardi. E poi non ho neanche la minima idea di chi sia. È stata una parentesi insignificante della mia vita, punto.»
«Per questo è mezz'ora che fissi lo specchio e non ti sei voltata neanche un secondo a guardarmi?»
Roteai gli occhi al cielo. Mi voltai verso di lei mettendo le mani in vita. La fissai per qualche secondo, poi lasciai la stanza sbattendo i piedi come una bambina. Quando non sapevo cosa controbattere, mi sentivo frustrata perché era raro che succedesse.
Presi l'iPod dal tavolino davanti al divano e uscii facendo le scale due a due. Il nostro appartamento era al terzo piano, quindi non mi avrebbe fatto male iniziare il riscaldamento in quel modo.
Appena uscita dal palazzo, i miei piedi si mossero automaticamente in direzione del parco. Diedi un'occhiata all'orologio e appresi che ero in ritardo di venti minuti rispetto al solito. Due sensazioni mi assalirono: sollievo, perché forse non avrei incontrato lo sconosciuto, e tristezza, perché forse non avrei incontrato lo sconosciuto. Molto coerente con me stessa insomma!
Ancora più infastidita, accelerai il passo iniziando a correre sul serio. I primi venti minuti furono traumatici: avevo spinto troppo e mi sentivo stanca morta. Lottai contro l'impulso di sdraiarmi sull'erba a prendere il sole per il resto della mattinata e resistetti fino alla famosa panchina, quella che avevo addirittura sognato. Ripensai allo sconosciuto che mi baciava dopo avermi sorriso e il cuore batté ancora più forte di quanto già facesse.
Rallentai fino a fermarmi al solito posto, con le mani sulle ginocchia e il fiato corto. Stavo per morire, me lo sentivo! Restai in quella posizione finché il respiro non tornò regolare, poi drizzai la schiena e presi il coraggio di volgere lo sguardo alla panchina. Il cuore si bloccò all'istante e il fiato tornò a mancarmi: lui mi stava guardando, tenendo il libro chiuso sulle gambe. Quando si alzò, entrai in totale confusione perché non sapevo se mi stesse venendo incontro o se semplicemente se ne stesse andando. Appena capii che era corretta la prima opzione, sentii il bisogno di scappare lontano perché non avevo idea di cosa volesse da me, ma le mie gambe tremanti mi stavano tradendo.
In un attimo mi fu davanti, con un bel sorriso stampato in faccia che rendeva le sue labbra fini. Deglutii a fatica e cercai di ignorare il cuore che batteva violentemente contro il petto.
«Ciao» disse semplicemente.
«C-ciao.»
«Volevo ringraziarti per ieri.»
«Per cosa?»
«Per avermi offerto il tuo aiuto.»
«Non devi. Non ne avevi neanche bisogno...»
«È il gesto che conta, sai?»
Un sorriso nacque spontaneo sul mio volto. «Sì.»
«Ti lascio alla tua corsa.» Mi fece l'occhiolino e fece per andarsene ma, per qualche assurdo motivo a me sconosciuto, gli afferrai la manica del cappotto. Si voltò incrociando i suoi occhi sorpresi nei miei, poi abbassò lo sguardo sulle mie dita ancora strette alla stoffa pesante. Lasciai subito la presa e mi schiarii la voce cercando qualcosa da dire.
«Ehm... Scusa. Io non so...» Che figuraccia!
I suoi occhi scuri e intensi si posarono di nuovo nei miei. «Vuoi dirmi qualcosa?»
Scossi la testa. «N-non so perché lo abbia fatto» balbettai impacciata.
Le sue labbra si tesero in un sorriso. «Non ci conosciamo neanche.»
«Lo so.»
«Vorresti conoscermi?»
Deglutii a vuoto. «Sì.»
I suoi occhi continuavano a scrutarmi dall'alto. «Non puoi.»
«Perché?»
«Sei una ragazzina.»
Aggrottai la fronte. «Ho vent'anni.»
Sgranò leggermente gli occhi rivelando il suo stupore. «Sei comunque una ragazzina.»
«Non ci conosciamo neanche» citai le sue parole di poco prima.
Gli scappò un sorriso. «Non voglio conoscerti.»
Anche se avevo previsto quella possibilità, ci rimasi comunque male.
«Pe-peggio per te» dichiarai sembrando risoluta, e ripresi a correre.
Mentre mi dirigevo a casa, sentivo ancora la sensazione di quella stoffa tra le dita e un nodo alla gola che non si decideva a lasciarmi.
Nelle due settimane successive, cambiai routine e non passai più davanti a quella panchina perché non volevo rivedere mai più quell'uomo che era riuscito a sconvolgermi nonostante fosse uno sconosciuto. Per fortuna lo studio, la scrittura e la mia amica, mi tenevano impegnata abbastanza da non pensarci troppo.
Il mercoledì della terza settimana, presi il coraggio di riprendere il mio solito giro perché avevo bisogno di ripercorrere con lo sguardo quel paesaggio che tanto amavo. E poi non potevo continuare a comportarmi da stupida ragazzina dando la soddisfazione allo sconosciuto di avermi fatto apparire una debole e sciocca bambina.
Fare di nuovo quella strada dopo tanto tempo, fu un sollievo e una gioia. Può sembrare assurdo, ma mi sentivo a casa in quel parco: ogni angolo; ogni albero; ogni cigno nel laghetto, mi facevano sentire bene. Persino quando arrivai in prossimità della panchina e lo vidi lì seduto a leggere, mantenni la mia pace interiore e passai oltre come niente fosse.
Mentre tornavo all'appartamento, però, ricominciai a chiedermi perché lo sconosciuto non avesse voluto darmi neanche una possibilità. Poi arrivai alla conclusione che lui non sapeva di avere i miei stessi gusti in fatto di libri, per esempio; o che prima di fare jogging passavo anch'io i pomeriggi a leggere in un parco.
Con la mia risolutezza ritrovata, decisi che avrei dovuto fare qualsiasi per farmi conoscere. Rimuginai e pregai per un'idea brillante, che non tardò ad arrivare.


N.d.a.:
Buongiorno a tutti! Non ho tanto da dire, solo che sono contenta di pubblicare questa storia perché è nata per caso e mi sono davvero divertita a scriverla. Spero vi piaccia :3
Alla prossima ♥
   
 
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