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Autore: hapworth    28/01/2009    2 recensioni
La porta si aprì rivelando la figura snella di Ayako con un caffè in mano – Signor Anzai le ho portato il the – gli disse sorridente – Oh Oh Oh... grazie Ayako. Dimmi è già qui? – lei annuì ridacchiando – Sta di nuovo sproloquiando sul fatto che non dovrebbe venire qui perché è un Genio... – sospirò esasperata, Anzai annuì e le chiese di farlo accomodare.
IN HIATUS || ATTESA DI REVISIONE
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo completamente revisionato (23/04/2013); spero che risulti molto più scorrevole e interessante così, devo dire che è stato veramente difficile riprenderla in mano ma ci tengo moltissimo a finirla poiché ci sono molto affezionata.
Come sempre rammento che i personaggi utilizzati non sono miei ma di Takehiko Inoue che, anche senza permesso, me li ha ceduti gentilmente per questa follia.
Spero che possiate apprezzarlo come io mi sono divertita a scriverla e che i personaggi non mi siano usciti OOC, ho cercato in tutti i modi di non farli sfociare in comportamenti anomali per loro e spero di esserci riuscita. Ringrazio fin da ora chi leggerà/rileggerà e commenterà questa storia; buona lettura.
By athenachan


La Soluzione di Anzai
01. La preoccupazione di Anzai e Hanamichi Sakuragi

Anzai aveva chiuso, come al solito, la porta del suo ufficio con un sospiro, prima di andarsi a sedere sulla poltrona davanti alla propria scrivania. Su di essa giaceva ancora una cartellina di colore giallo aperta, indice che l’avesse già letta o che, comunque, la stesse esaminando con pazienza e devozione, com’era solito fare nel proprio lavoro.
Aveva iniziato da poco a leggere i dati essenziali di un caso umano che gli era stato affidato da un ospedale della zona; il ragazzo in questione aveva perso i genitori in un incidente e sembrava non aver riscontrato particolari problemi. Sembrava appunto. Lui era certo che ci fosse qualcosa, aveva quel suo presentimento solito, molto professionale, quando osservava una scheda o dei dati. Sentiva quando un paziente aveva dei problemi, ancora prima di incontrarlo. Dono? Probabilmente era proprio un dono il suo. E, del resto, se non avesse avuto quel suo modo di rapportarsi con la gente, di capire con una sola occhiata come comportarsi con gli altri, di certo, non avrebbe potuto fare lo psicologo.
Aveva analizzato con dovizia e attenzione ogni piccolo dettaglio di quella scheda, arrivando alla conclusione che doveva vederlo al più presto dal vivo, per poter verificare alcune cose che, nel leggere la sua scheda, gli erano venute in mente. La cosa che più lo aveva colpito era il fatto che quello fosse, anche prima della perdita dei genitori, un ragazzo schivo e poco incline alle amicizie. Una persona chiusa, introversa e di poche parole. Ma, in qualche modo, aveva cominciato a sospettare che quello fosse dovuto a qualcos’altro e lo avrebbe potuto verificare solo dopo averlo analizzato di persona, quello era ovvio.
Stava ancora pensando quando la porta si aprì, rivelando la figura di una ragazza dai lunghi capelli castani, ricci, legati in una coda di cavallo; aveva una teglia tra le mani, sopra la quale vi era una tazza e un porta zucchero.
«Signor Anzai le ho portato il thé.» aveva detto con un sorriso, prima di posare la tazza e il recipiente di ceramica bianca, liscio, sulla scrivania dell’uomo che, quasi subito, aprì il recipiente e, con il cucchiaino all’interno, prese una piccola dose di zucchero per versarla dentro alla tazzina.
«Oh oh oh! Grazie Ayako. Dimmi… È già qui?» glielo aveva chiesto guardandola attraverso i suoi occhiali spessi, lievemente rettangolari, che nascondevano due occhietti sottili mentre teneva un sorriso bonario sul volto, prima che la ragazza annuisse nella sua direzione ricambiando lo sguardo e ridacchiando.
«Sta di nuovo sproloquiando sul fatto che non dovrebbe venire qui perché è un Genio…» rivelò poi la ragazza, ma sembrava più divertita che esasperata. Del resto quel ragazzo, in qualche modo, la divertiva molto, come era certa che divertisse anche il suo superiore. L’uomo, dopo qualche istante, le chiese di farlo accomodare, mentre lui, nel frattempo, prendeva a sorseggiare la propria tazza di thé.
Qualche secondo dopo, all’interno dell’ufficio, fece il suo ingresso un ragazzo molto alto, dai capelli rossi e gli occhi marroni. Aveva sulle spalle larghe una cartella di cuoio – o almeno così sembrava - probabilmente una cartella scolastica.
«Buon giorno Sakuragi.» fu il saluto di Anzai che, con in mano la propria tazza di thé lo aveva visto entrare non molto contento. Infatti il ragazzo aveva una faccia leggermente, ma solo leggermente, alterata. Il suddetto lo osservò per qualche secondo in silenzio, prima di sospirare e, dopo, guardare il proprio medico senza un’espressione particolare sul viso.
«Buon giorno Nonnetto. Noto, con dispiacere, che sei ancora vivo e vegeto.» un saluto alla Sakuragi, in qualche modo. Anzai non era il tipo da prendersela per così poco, sapeva bene quanto costasse al ragazzo andare da lui e quanto, allo stesso modo, odiasse le loro sedute. Non solo per il semplice fatto di andarci, quanto piuttosto al fatto che sua madre sborsasse una fortuna per mandarlo lì, nella speranza che qualcosa nel figlio cambiasse e migliorasse. L’uomo, quindi, lo fissò qualche istante da dietro gli occhiali, prima di riprendere a sorseggiare lentamente il proprio thé.
«Beh, che vuoi farci… Ci sono sempre quelli che mettono i bastoni tra le ruote ai Geni.» gli fece, quindi, notare in modo piuttosto sarcastico, mentre il ragazzo dai capelli rossi, ancora in piedi vicino alla porta, lo guardava con un sopracciglio appena arcuato verso l’alto, per poi dare segno di non apprezzare il commento.
«Vecchiaccio non fare certe battute… Le trasformi in terrificanti freddure!» gli sbottò, poi, contro il rossino, il viso leggermente violaceo e l’espressione decisamente contrariata, mentre guardava ancora l’uomo che, qualche istante dopo, gli propose di sedersi e, Hanamichi, con molta semplicità lo fece, prendendo posto sul divanetto colorato poco distante dalla scrivania, stravaccandosi sopra di esso perfettamente a suo agio.
«Ti va di raccontarmi che cosa hai fatto durante la settimana, magari?» gli chiese Anzai, un’espressione bonaria sul viso mentre, il proprio paziente dai capelli rossi, lo fissava piuttosto annoiato, in verità. Sembrava tenere una sorta di maschera su di sé, che gli permettesse di proteggersi e, del resto, lui sapeva benissimo che avrebbe dovuto, prima o poi, fargliela gettare; era ancora presto però.
«Ok ok. Lo so che tutti vorrebbero sapere come un vero Genio come me passa le sue giornate, non c’è bisogno di essere così discreti sai?» un modo retorico di approcciarsi a lui, molto da Sakuragi del resto; non avrebbe mai ammesso che, di fatto, il parlare con qualcuno senza inibizioni lo aiutasse molto, facendogli assimilare, lentamente, la perdita che gli aveva sconvolto l’esistenza qualche anno prima. Rideva sguaiatamente, il rossino, come soleva fare in momenti del genere.
«Allora… Martedì ho fatto a botte con un tizio, mi pare si chiamasse Tetsuo. Era una testa dura, quello lì! Pensa che è riuscito a farmi dare una testata contro un muro; ovviamente mi ha preso alla sprovvista perché ero distratto. Ma poi il grande Genio qui presente gliele ha date di santa ragione e il povero idiota se n’è andato con la coda tra le gambe! Non credo che si farà più vedere dalle mie parti.» raccontò Hanamichi, soddisfatto del ricordo appena narrato al proprio psicologo.
Anzai si ritrovò, suo malgrado, a sospirare.
«Hanamichi, perché non la smetti di fare a botte? Lo sai che danneggia la tua già precaria situazione; in fondo se ti hanno affidato a me è perché vogliono che diventi più calmo, no? Sakuragi, davvero, dovresti pensare a questa eventualità. Non lo dico per essere noioso ma…» il vecchio era davvero esasperato, per certi versi: quel ragazzo sembrava non capire il motivo in cui era stato affidato a lui; dopo che il padre del rossino era morto, i servizi sociali pur non togliendolo alla madre, l’avevano obbligato a farsi seguire da Anzai, con la speranza che Hanamichi smettesse, una volta per tutte, con la vita da teppista e si concentrasse davvero sul suo futuro.
«Si si, sempre la solita solfa. Lo so, vecchiaccio! Anche per me non è una pacchia venire tutte le settimane qui, che credi?! Pensi che sapere che vado da un vecchio strizzacervelli mi faccia sorridere, alla mattina? Non vedo l’ora di…» il rossino, come sempre, sembrava sul piede di guerra. Un po’ lo comprendeva, chiunque alla sua età non sarebbe stato entusiasta di vedersi portato via un giorno di libertà per vedere un uomo che cercava, in qualche modo, di farlo desistere da certe sue abitudini non proprio salutari; però era anche vero che se solo Hanamichi l’avesse voluto, quelle loro sedute si sarebbero tranquillamente potute interrompere. Bastava che lo volesse, che capisse i suoi errori. Anzai, a quel punto, gli sorrise bonario prima di parlare.
«E allora perché, figliolo, non cerchi di risolverlo, questo problema?» glielo chiese, guardandolo dritto negli occhi mentre Sakuragi sospirava; oh, sapeva bene cosa pensava e, di fatto, anche cosa stava per dirgli. Finiva sempre così, del resto quel tipo di discorso.
«Non sono ancora pronto per entrare nel mondo degli adulti, vorrei ancora vivere per qualche tempo come un ragazzino un po’ infantile, credendomi un fenomeno e un talento. Tutto qui. Quando sarò pronto sarai il primo a saperlo, ma per adesso… Lasciami ancora vivere questi momenti.» lo disse con un sorriso amaro che, ad Anzai, fece tenerezza e che, dunque, lo indusse a produrre la solita risata, giusto per smorzare un poco l’aria che si era fatta tesa, per così dire.
«Oh oh oh! E sia, Hanamichi. Ora però finisci di raccontarmi gli eventi della settimana.» concluse poi, attendendo e tornando l’uomo pacato e bonario che era stato fino a poco prima di assumere quell’espressione seria. Il rossino, dal canto suo, sorrise contento, prima di riprendere il proprio resoconto della settimana.
«Mercoledì dichiarazione alla dolce Yoko, ma neppure lei ha visto le mie immense doti da Genio… Che disgrazia. Yohei e quei maledetti malati di mente del Guntai si sono messi a fare festa mentre mi disperavo; inutile dire che si sono beccati un pugno per uno.» dichiarò, gli occhi con due grosse gocce di lacrime sotto le ciglia, pronte a cadere; aveva sempre un che di comico, Hanamichi in quei momenti. Riusciva a sdrammatizzare in modo assurdo, benché fosse una situazione non proprio ottimale quella che aveva appena descritto.
«Siamo alle solite, eh? A che quota siamo, ragazzo mio?» domandò l’anziano, sorridendogli, senza cattiveria nella voce, piuttosto un ironico senso di complicità con il proprio paziente e le sue solite messe in scena. «Cinquanta, povero me… Nessuno mi vuoleeeee!» piagnucolò il ragazzo, mentre Anzai lo guardava ridendo, prima di parlare «Goditi questa libertà finché puoi, ragazzo mio… Quando finirai invischiato con qualcuno per tutta la vita sei fregato per sempre.» affermò lo psicologo, ancora ridendo. E lui, del resto, ne sapeva ben qualcosa dato che era sposato da parecchi anni.
«Seh, vabbé. Allora… Giovedì sono andato al Pachinko con Yohei e i ragazzi; poi ho fatto la spesa per la mamma e, appena arrivato a casa, le ho misurato la febbre. Ah già! Tu non lo sai ma si è presa l’influenza. Il Gori ha detto che è stato per la troppa tensione, dovuta al lavoro esagerato.» lo informò, pensieroso, mentre Anzai si alzava per riporre la cartella gialla che aveva analizzato poco prima che arrivasse Hanamichi che, sentendosi ignorato, richiamò l’attenzione del vecchio.
«Ohi, vecchio, mi ascolti? Di chi è quella cartella, a proposito? Non l’ho mai vista, una di quel colore intendo.» valutò, pensieroso, mentre il più anziano tornava a sedersi sulla propria poltrona e guardava il proprio paziente con espressione divertita, per via della curiosità del rossino.
«Non dovresti chiedermelo; comunque è un paziente che mi hanno appena assegnato. Lo vedrò non appena te ne sarai andato, spero solo che non sia grave come penso… Finisci pure il resoconto, forza.» affermò Anzai, continuando ad ascoltare il ragazzo che, dopo un’occhiata fintamente offesa per non aver avuto ulteriori dettagli sul “fantomatico paziente” ricominciava a raccontare.
«Venerdì gita con la scuola, inutile dire che ho pestato un tizio che ha provato a rubarmi la merenda. Mentre Sabato e Domenica ho poltrito tutto il giorno, tranne quando ho dovuto preparare il cibo alla mamma; deve guarire presto!» una dichiarazione, quella di Hanamichi, prima che Anzai lo guardasse esasperato da quel suo comportamento; del resto era così che era sempre stato, quel rossino scapestrato. «Bene, sono felice che ti prendi cura di tua madre e che questa settimana tu abbia fatto meno a botte del solito. Continua così e fai anche i tuoi compiti, che siamo sulla buona strada. A Lunedì.» non era una bugia, del resto Sakuragi aveva solo il problema di essere un po’ troppo violento con gli altri e di essere un po’ uno scansafatiche quando si trattava di impegni scolastici… Ma era una brava persona, in definitiva. Bisognava solo conoscerlo un po’, visto che ad una prima occhiata poteva sembrare tutto fuorché pacifico con quei suoi occhi infuocati di rabbia e i suoi capelli rosso fuoco.
Anzai vide, dalla porta dell’ufficio, Ayako che lo guardava ansiosa: che cos’era successo? Era strana vederla in quel modo; di solito sprizzava tutt’altro genere di sentimenti ma, in qualche modo, poteva intendere che c’entrasse il nuovo paziente che stava aspettando in sala d’attesa.
Le fece segno di avvicinarsi e la donna, con espressione preoccupata, gli espose un poco di perplessità riguardo al nuovo paziente che aspettava dall’altra parte da, a suo dire, oltre quaranta minuti; era un tipo in orario, tutto il contrario di Hanamichi.
«Mi pare molto silenzioso, non ha detto una parola.» era una prassi che Ayako cercasse di intavolare un discorso con i pazienti, specie se nuovi, per capire che tipi fossero, per informarne il proprio superiore ma, a quel punto, sarebbe toccato ad Anzai “scoprire” il tutto; sperava solo che gli parlasse.
«Bene. Hanamichi vai da Ryota, giusto?» domandò lo psicologo, tornando a dedicare la propria attenzione al rossino che, con un leggero assenso del capo, informandolo poi a parole che avrebbe dovuto prendere le medicine per sua madre, ancora malata.
«Digli che ci passo più tardi allora, sai, le medicine della strega.» lo informò il più anziano, sorridendogli: la chiamava così, ma voleva davvero molto bene a sua moglie e il rossino, con il tempo, aveva imparato che Anzai usava quel modo di chiamarla per dimostrarle affetto, malgrado tutto. Sakuragi si infilò la giacca, prima di sorridere a trentadue denti «Certamente! Il Genio le farà questo immenso favore!» urlò, uscendo dall’ufficio. Peccato che la sua uscita avesse attirato due occhi blu un po’ spenti, nei quali Hanamichi si specchiò per poco meno di un istante. Aveva la pelle pallida, i capelli nerissimi e un’espressione vagamente incolore. Non ci si soffermò più di tanto e, mentalmente, si disse che doveva essere il nuovo paziente, quello per cui il Nonnetto sembrava tanto preoccupato; non si era mai preoccupato di un nuovo paziente in quei tre anni in cui si erano visti per le visite. Chissà in che cosa quel ragazzo era diverso, perché doveva essere diverso per fare quell’effetto ad Anzai. Furono, però, pensieri sfuggevoli, prima che il rossino uscisse da quella porta bianca e rientrasse nel grande caos cittadino.


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