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Autore: DonnaEliza    10/08/2015    1 recensioni
"La verità è che a colui che gli dèi vogliono distruggere, ma distruggere davvero, non viene data in dono la follia, bensì l’immortalità.
Ma immagino che Euripide non potesse saperlo."
"Mi chiamo Julian. Sono morto a trentadue anni. Da allora, perdonatemi la battutaccia, tiro a campare."
Genere: Introspettivo, Mistero, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta, Tematiche delicate, Violenza
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Fase subacuta
“Cosa faresti, se potessi vivere per sempre?”
La risposta è: niente.
Niente di eclatante, comunque. Niente che possa portarti fama, notorietà. Che possa farti notare al di sopra della folla. Al contrario, terrai la testa bassa e condurrai una vita anonima e ritirata. Cercherai di non farti fotografare in pubblico. Non avrai un profilo su un social network; non uno con il tuo nome, comunque. Non causerai mai un incidente, ma nemmeno ti fermerai ad aiutare se ne incontrerai uno per strada. Sarai un cittadino molto, molto piccolo e buono, che non prende multe, che non disturba la quiete pubblica; qualcuno che non avrà mai motivo di mettere piede in una stazione di polizia. O in un tribunale. O in un ospedale. Perché non vuoi che il mondo sappia che puoi vivere per sempre.
Sai cosa succede ai conigli nei laboratori, sai cosa facevano ai prigionieri nei campi di concentramento e la tua naturale paranoia umana ti suggerisce che ci sono ragionevoli motivi di sospettare che le cavie umane vengano ancora usate, da qualche parte, in segreto. Le autorità potrebbero tenerci nascosto molto altro, oltre alla verità sugli alieni. E quindi no, non ci tieni affatto a far sapere al mondo di te.
Tu, viceversa, potrai apprendere tutto lo scibile del mondo: tempo, ne hai. Potrai imparare nuove lingue leggendo manuali di grammatica e conversazione, ascoltando lezioni registrate e guardando tutti i film in lingua originale che vorrai. Potrai colmare le tue lacune in fatto di storia, o padroneggiare finalmente il calcolo o la chimica, che a scuola ti riuscivano così astrusi. Ogni strumento musicale, prima o poi, diventerà il tuo docile schiavo, sol che tu lo voglia. Potrai scrivere il romanzo del secolo, del millennio!
A patto che tu non lo pubblichi.
Non potrai nemmeno sfondare con la tua band, soprattutto visto che non ne avrai alcuna.
Immagina poi la frustrazione di trovare una cura per il cancro.
Qualunque talento tu abbia o scopra, potrai coltivarlo fino alla più siderale perfezione senza mai poterlo estrarre dalla scatola dei passatempi.
La verità è che a colui che gli dèi vogliono distruggere, ma distruggere davvero, non viene data in dono la follia, bensì l’immortalità.
Ma immagino che Euripide non potesse saperlo.
 
L’anno scorso ho festeggiato il mio centesimo compleanno; è divertente e surreale pensare che potrei essere ancora vivo. Come regalo ho ricevuto una casa. Sempre più divertente: sono al mondo da cent’anni e non sono riuscito nemmeno a comprare casa per conto mio. La divido con altri quattro inoltre, come in una bizzarra sit-com: Julian, lo studente più vecchio del mondo e i suoi coinquilini. Che altro potrei fare, d’altro canto? Me l’hanno comprata loro, avranno ben il diritto di abitarci. Dopotutto, sono come me.
Cinque vampiri: il programma si fa avvincente, non trovate?

Non siamo mai stati in voga come adesso: le librerie sono affollate di romanzetti romantico/pruriginosi i cui protagonisti hanno smesso di respirare da un pezzo. Anche il cinema fa la sua parte, e il mercato del make up permette a chiunque lo voglia di impersonare il proprio non morto preferito con tutta la verosimiglianza a cui si vuole credere. Mi è capitato di incrociare “vampiri” molto più credibili di me, e che sembravano anche molto più morti. Noi li guardiamo con tenerezza e un filo di dispiacere: trovarsi così vicini ad un vero morto vivente e non saperlo! E scoprire di non somigliarci affatto! Un bel colpo, per l’immaginazione di un adolescente. Thomas giura di essere andato in un club underground, abbigliato per l’occasione e aver ballato con una ragazza candida di biacca, con elaborati arabeschi di trucco nero e livido attorno agli occhi. Cogliendo il giusto movimento della musica, l’aveva stretta a sé e fissata negli occhi senza mai battere le palpebre e senza respirare per lunghissimi attimi, e per buona misura, al culmine della melodia le aveva preso la mano e se l’era posata sul cuore, che ovviamente non batteva. Finita la canzone, aveva smesso di ballare e l’aveva trattenuta contro di sé –Ti giuro, Jules, che a quel punto la stavo guardando con la faccia di una maestra elementare che incoraggia lo scolaretto a rispondere ad una domanda difficile. Invece lei niente! Mi faceva gli occhioni da cerbiatta, sbatteva le ciglia. Finte. E aveva le lenti a contatto bianche e le sopracciglia disegnate a due metri da dove dovrebbero essere… una regina delle tenebre, guancia a guancia con un’autentica salma parlante e non se ne accorge nemmeno. Mi è scappato da ridere e l’ho lasciata lì. Magari ora è innamorata persa di me -
Thomas si è preso una blanda ramanzina per quell’alzata d’ingegno: in fondo, difficilmente una ragazzina probabilmente brilla in un club rumoroso avrebbe notato qualcosa di strano in lui. Inoltre, Thom è il genere di persona che si diverte a correre rischi controllati, o forse ha solo una fortuna sfacciata. Il punto è che la caccia al vampiro ci mette a disagio, che il fine ultimo sia lo sterminio o il matrimonio. Preferiremmo che il mondo ci ignorasse, oltre a non credere nella nostra esistenza.

Dal canto nostro, noi facciamo il possibile: abbiamo scelto come residenza uno di quei paesini accovacciati tra le colline che sono costituiti solo da un alimentari, un pub e una cappella che condividono la stessa, minuscola piazza di acciottolato. Le poche case in vista sono sparpagliate per i campi circostanti, e raramente vi si nota segno di vita. La strada è una, taglia la piazza dalla tangenziale a valle attraversando qualche altro paese parimenti trascurabile e prosegue poi intrufolandosi tra una collina e l’altra. Man mano che si sale, inoltrandosi nelle zone boscose, sulle curve della strada cominciano ad affacciarsi case dalle fogge più disparate, a distanza variabile l’una dall’altra. Sono costruzioni erette con l’unico scopo di essere case delle vacanze, secondo il capriccio del committente; su molti cancelli c’è il cartello Attenti al Cane, anche se non ne ho mai visto uno. Non si vedono nemmeno gli abitanti: a volte compare un’auto nel vialetto nei fine settimana o le luci colorate nel periodo di Natale. La maggior parte di queste case rincorre lo stereotipo della baita di montagna: tetto spiovente, infissi in legno, travi a vista. La nostra dev’essere stata progettata da un architetto folgorato sulla via di Damasco dalla Casa sulla Cascata, che abbia passato la vita aspettando gli anni Settanta per poter sfornare qualcosa di analogo senza dare troppo nell’occhio: un ammasso di parallelepipedi di cemento armato a tre piani, con una parete in pietra priva di finestre da terra al tetto, bucata solo da due file di bocche di lupo, la prima rasoterra e la seconda in corrispondenza della scala interna che sale dal primo al secondo piano. Due balconi dal parapetto assurdamente alto abbracciano l’angolo ovest del secondo piano e tre lati del terzo piano. Il tetto è assolutamente piatto, invisibile da terra e un lucernario ne prende buona parte. Ai miei occhi, nati e vissuti per posarsi sui solidi e maestosi edifici in stile georgiano o Regina Anna, sembra l’espressione architettonica di un attacco di panico. Sono convinto che l’abbia scelta Priska.
Casa nostra non appare più viva né più disabitata delle altre della nostra zona: le nostre imposte sono sempre accostate, ma le luci di Natale saltano fuori anche nel nostro giardino; d’estate gli irrigatori si prendono cura del prato e d’inverno il fumo esce dal camino. Anche il postino ci frequenta, dato che ordiniamo un sacco di roba su internet; in genere la ritira Lola. L’anno scorso il nostro giardino è comparso su Google Streetview: era il nostro primo inverno lì ed eravamo così ispirati che durante la notte abbiamo eretto non meno di una dozzina di pupazzi di neve dalle fogge più disparate.
Di notte apriamo le finestre: la vita domestica non cala durante il giorno ma, dovendo tenere chiuse le imposte, quando si fa sera è un sollievo aver qualcosa da guardare fuori dalla finestra. Ironicamente, la nostra casa ne ha di tutti i tipi: oltre al lucernario sul tetto, buona parte di una parete del salotto è presa da una vetrata; nel bagno al secondo piano una doppia fila di mattoni quadrati in vetrocemento opaco corre dal pavimento al soffitto; nella stanza della Santa c’è un grande e profondo bovindo con una finestra quadrata dall’intelaiatura asimmetrica, stile bauhaus. Abbiamo speso un capitale in tende.

Chiaramente, tutti abbiamo avuto più di una residenza, negli anni, ma questa è la prima casa che chiunque di noi abbia comprato da quando è morto; inoltre, è la prima volta che viviamo tutti assieme. Il nostro gruppo si è formato nel corso degli ultimi cinquant’anni e finora abbiamo sempre vissuto in maniera diciamo “canonica”, ciascuno per suo conto. Con l’arrivo di Lola, però, abbiamo lentamente capitolato all’evidenza: passiamo tutto il nostro tempo assieme. Credo che ci faccia sentire più normali rispetto all’infinita introspezione a cui conduce irrimediabilmente il tempo passato per conto proprio, e di certo è meglio del confronto con i vivi, che risulta di volta in volta tedioso, doloroso o surreale. Così abbiamo fondato la nostra stramba comune, un gruppo di morti viventi di età assortita tra i centouno e i trentanove anni. Facciamo il bucato, facciamo le pulizie, curiamo il giardino. Paghiamo le bollette. Andiamo al cinema e a ballare, con le dovute cautele. E leggiamo un sacco di giornali. I giornali sono importanti: il nostro seminterrato è in larga parte dedicato al setaccio dei quotidiani. Ogni giorno il designato di turno prende l’auto alle quattro e mezza del mattino e raggiunge l’edicola di uno dei quattro centri abitati a noi più vicini. Sei persone, quattro paesi a rotazione: siamo abbastanza sicuri che gli edicolanti non abbiano ancora memorizzato le nostre facce. Abbiamo anche una complicata tabella affissa al muro che regola la frequenza delle nostre visite nei vari paesi; la usiamo anche per fare la spesa. Ogni mattina acquistiamo tutti i quotidiani locali, quasi una decina tra testate autorevoli e gazzettini di paese. Una volta arrivati in casa, gli inserti di cronaca delle contee nel raggio di un centinaio di miglia vengono meticolosamente spulciati. Abbiamo anche un computer, un vecchio relitto che staziona nel seminterrato per le ricerche online; potremmo servirci di uno qualunque dei nostri portatili, ma ci sembra molto più romantico  usare uno scassone con un monitor CRT da sedici pollici. Non prendiamo sempre tutti parte alla ricerca, ma la compiamo ogni giorno, religiosamente. Abbiamo iniziato sei anni fa, ma solo da quando ci siamo trasferiti tutti insieme è stata messa a punto un’organizzazione metodica. Non ha ancora dato nessun frutto e non smettiamo di maledirci per non averci pensato prima.
Ci siete arrivati da soli, vero? Cerchiamo altri vampiri.
   
 
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