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Autore: Ginny Jane    12/08/2015    7 recensioni
Tutti facciamo progetti: che siano per mantenere il nostro mondo in equilibrio o per abbatterlo e crearne uno nuovo....più semplicemente, per costruire le nostre vite. Ma quando le premesse cambiano? Quando risvolti inattesi trasformano il Sogno in un Incubo? La vita, poi, va dove vuole.
Di ritorno dalla Svezia, dopo il Terrore, Fersen si scontra con un una Francia cambiata, ma il cambiamento potrebbe essere molto più profondo di quanto si aspetta: che cosa ne è stato di Oscar? I loro mondi potranno coincidere ancora, come in passato, o si muovono ormai su orbite sfalsate?
Ecco la continuazione di "Sul muretto", che ne è diventato il primo capitolo, che alterna momenti comici e riflessioni tendenti al tragico, con la complicità di qualche piccolo personaggio nuovo. Mi sento in dovere di avvertire che il Fersen da me creato ha preso una piega un po' OOC. Spero che vi piaccia!
Genere: Commedia, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Axel von Fersen, Oscar François de Jarjayes
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa

Un caro saluto e un abbraccio a tutte quante!

Troverete una certa discrepanza fra i sentimenti di Fersen, che ormai conoscete alla nausea, e quelli che gli attribuiscono, rispettivamente, Oscar e André: nessuno, per quanto sensibile, è in grado di leggere nella mente dei suoi simili con tanta chiarezza quanto il lettore, ed è buona norma supporre che la verità sia nel mezzo.

Ho deciso di discostarmi dall'immagine comune dell'unione perfetta di Oscar e André, immersa nel miele: i bei matrimoni non lo sono mai.

Dopo aver fatto fare tante figuracce al povero Fersen, riequilibrio un po' la situazione: perché non sempre sotto pressione le persone, gli uomini soprattutto, credo, connettono adeguatamente la bocca con il cervello.

Sperando che la lettura vi sia gradevole

Ginny Jane

 

 

Silenzio!

-Che cosa avevi sta sera? Eri strano...aggressivo, non è da te..-

Erano finalmente riusciti a raggiungere la loro camera, esausti e ad un'ora decisamente troppo tarda per qualcuno che si sarebbe alzato all'alba, l'indomani.

-Io? Non direi. Era il tuo amico che aveva voglia di fare baruffa-

-Effettivamente non capisco neanche lui: dire cose del genere...non me l'aspettavo. Aveva la luna storta: è stato sorpreso di trovarci sposati, e deluso dalle nostre convinzioni, ma questo non giustifica l'atteggiamento che ha tenuto-

André sbuffò sonoramente, sfilandosi la camicia.

-Perché sbuffi, tu sai cos'aveva?-

-No, certo che no, ma posso intuirlo-

-Cioè?-

Ma lui ignorò la richiesta di chiarimenti, cosa che fece definitivamente saltare la mosca al naso alla moglie: -Per l'ultima volta, ti vuoi degnare di dirmi cosa non va?- chiese in uno svolazzo stizzito della camicia da notte, che stava indossando.

-Perché, tu sei stata normale?-

-Che cosa avrei fatto?

-Eri..distratta-

-Distratta? E da che? In che modo?... E guardami mentre ti parlo!-

Lo sguardo che aveva preteso era particolarmente torvo: -Beh, vediamo...immagino che tu fossi distratta da Fersen, sbaglio?! Sì, tanto distratta che non ti eri neanche accorta che i tuoi figli non erano a letto. Mettiti nei miei panni: torno a casa distrutto, dopo aver dormito nel carro per tre notti, vorrei solo trovare mia moglie ad accogliermi, mangiare un pasto tranquillo e dare una bacio sulla fronte ai miei bambini già addormentati. Invece vado a mettere via il carro e trovo Pierre arrampicato sull'orcio di pietra vuoto, che tenta di tirare fuori Horace, incastrato dentro, tirando una corda che gli aveva legato attorno al petto-

-CHE COSA?!-

-Non dubito che sia stata un'idea di Pierre, perché Horace non avrebbe potuto entrarci da solo. Ma non ha voluto dirmi da quanto il piccolo era lì dentro. Avevo paura che soffocasse, fra la corda e la mancanza d'aria in generale: era viola in faccia quando l'ho tirato fuori!-

-Mio Dio! Io...mi dispiace...credevo che fossero a letto. E' vero, non ho controllato ma...-

-Ma? Se fosse stato per te ci sarebbero rimasti tutta la notte!-

-Oh non esagerare André. Sono sicura che se fosse stato il caso Pierre sarebbe venuto a cercare aiuto!-

- Era già il caso! E non aveva intenzione di farlo perché, immagino, sa bene che è colpa sua. Non so se volesse evitare di essere punito o soltanto fare tutto da solo. L'orgoglio non l'ha preso da me!-

-André!!- Oscar era sinceramente dispiaciuta, avvertiva una terribile fitta di preoccupazione retroattiva e senso di colpa, ma non era successo niente di grave...il suo uomo sembrava impazzito, non le aveva mai parlato così in sei anni di matrimonio e non era disposta a tollerarlo.

-Naturalmente supponevo che ci fosse un'ottima ragione per cui non ti stavi interessando dei tuoi figli. E infatti, c'era: entro in casa e ti trovo seduta con Fersen, (Fersen! Va' a sapere che ci fa in casa mia!) a tenervi le mani e ridere come ragazzini. Una bella distrazione, davvero!-

Fu l'ultima osservazione ad aprirle gli occhi, sì che le sue labbra formarono una piccola “O” silenziosa. André era... geloso?!! Era assurdo: non si era mai dimostrato geloso prima. Le aveva concesso di portare gli abiti maschili, che rivelavano le sue forme in maniera non del tutto consona ad una riservata mogliettina. Aveva lasciato che frequentasse gli ambienti e le amicizie maschili a cui era abituata, a Parigi, ricevendo affettuose pacche sulle spalle dai suoi ex soldati e abbracci soffocanti da Alain... Certo...non tutti gli uomini erano il suo primo amore...

-André?- chiamò con voce improvvisamente più soffice, avvicinandosi a lui, intento a lavarsi al catino, e accarezzandolo lievemente sulle spalle tese, ancora più larghe e forti da quando lavorava in campagna. -Non sarai mica geloso?-

Non riceveva risposta. Era indecisa se perdere le staffe, come era molto tentata di fare, sentirsi un po' (oh, solo un pochino!), lusingata, oppure tentare di ragionare insieme. Scartò la seconda ipotesi “da stupida donnicciola!” Si decise per la terza: André era irresistibile con quel broncetto, come quello di Pierre quando veniva costretto a fare il bagno: la somiglianza fra di loro era stupefacente. E la nonna aveva sempre detto che gli uomini, in fondo, sono dei grossi bambini.

-Non ne hai motivo, lo sai?- lo abbracciò forte da dietro, una guancia ad accarezzargli la schiena nuda. -Non essere sciocco! Sono anni che non penso a lui, lo sai bene quanto me. Ti amo, ne hai mai dubitato da quando siamo sposati?-

-Tu forse- si decise a rispondere sibillinamente, la vibrazione della cassa toracica che si ripercuoteva come un massaggio sulla pelle rosea di quel volto femminile.

-Io forse cosa?-

-Non pensi a lui...-

-...e? Cosa vuoi dire? Che credi che improvvisamente Hans si sia interessato a me?- Non poté trattenersi dal ridere a quel pensiero. -Oh, questa è bella! Non gli sono mai interessata quando glielo chiedevo in ginocchio! E ora...ah, hahha!-

André sciolse l'abbraccio, voltandosi per scostarla un poco e guardarla negli occhi accigliato: -Non hai visto come ti guardava prima che io entrassi?-

La donna indietreggiò di qualche passo, incredula. -André...hai preso una botta in testa mentre eri via o stai solo cercando un modo assurdo per litigare? Mi guardava con gli occhi, ecco come-

-Ah certo, perdonami: dimenticavo che tu hai un sesto senso per capire quando piaci ad un uomo! Dovrei chiedere a Girodelle che cosa ne pensa, ma forse mi basta pescare a caso uno dei tuoi ex sottoposti... Comunque, io so come poi guardava me: una cosa molto sgradevole e inferiore che non avrebbe dovuto essere dov'era...diciamo, una lumaca che stava mangiando la sua insalata!

Per carità, lo capisco: mi sono esercitato per anni a non mostrare un'espressione della stessa famiglia nei suoi confronti...con più successo, sicuramente.-

Oscar emise uno strano verso, un via di mezzo fra uno sbuffo, un fischio ed una risata. -Ma ti rendi conto André? Sei stanco, ti sei spaventato per Horace e hai discusso con Fersen. Vuoi sfogarti facendo baruffa con me, d'accordo, sono io che di solito ho questa reazione...ma per favore, adesso smettila! Non starai esagerando?-

Rimasero a guardarsi silenziosamente, le labbra contratte in una speculare espressione rabbiosa.

-Non starai esagerando André? Almeno un po'?-

-Forse- concesse, sillabando con lentezza.

-E anche se fosse? Che importanza avrebbe? A me non potrebbe importare di meno. Forse una volta...ora non più. Te lo ripeto: perché dovrebbe preoccuparti?-

-Forse...ma mi concederai che mi dia fastidio-

-Concesso. Anche se continuo a credere che sia tutto un tuo castello in aria. Ora, per favore, andiamo a letto!- e diede all'istante una dimostrazione di come si eseguiva quell'ordine, infilandosi fra le lenzuola.

Ma il marito non la seguiva, costringendola a sollevarsi ancora per guardarlo esasperata.

Era pensieroso... chiese molto lentamente: -Che cosa ci fa qui? Ha un motivo preciso?-

-Si..no..non so. Forse ha accennato qualcosa, ma...no, no mi sbaglio. Che motivo dovrebbe avere? Ci è venuto a trovare, cosa c'è di strano?- Poi spalancò un po' gli occhi, un solo sopracciglio biondo alzato e un sorriso di sbieco: -Oh! Adesso vorrai insinuare che è venuto dalla Svezia solo per fare la corte a me!-  Il sarcasmo era palese.

-Questo...non lo so. So che è un lungo viaggio, e molto pericoloso, per lui, di questi tempi. Se voleva fare due chiacchiere bastava che ti scrivesse. Dev'esserci una ragione. Davvero è venuto solo per vedere con i suoi occhi se eri viva o morta? Sarebbe una novità, non gliene è mai importato così tanto di te...-

Questa era una cattiveria, un'esagerazione ed era indegna di lui. Che non ci tenesse affatto a ricevere sguardi ammirati era un conto, sentirsi ricordare così l'indifferenza che aveva patito dall'uomo che dormiva poche stanze lontano, un altro. Senza più aggiungere niente si raggomitolò volgendosi verso il muro, posizione nella quale si immobilizzò.

 

-No..scusa Oscar..dai...non so perché l'ho detto. Non così...è stato cattivo...- sospirò.

Ma cosa gli prendeva? Non si era mai comportato così...non si era mai sentito così. Non si riconosceva. A se stesso doveva ammetterlo: si era ingelosito. La gelosia...che strano sentimento. Credeva di averla provata in passato...proprio nei confronti di Fersen...ma solo adesso si rendeva conto che non è possibile essere veramente gelosi di qualcosa che non è tuo. Oscar aveva ragione, stava esagerando: lei lo amava, era questo il centro gravitazionale della loro vita, nient'altro aveva importanza... e poi non aveva motivo di pensare che Fersen...eppure lo sentiva a pelle, dove scorreva elettrica un'ostilità che non si spiegava. Trovarselo in casa inaspettato, a quel modo, a quell'ora..non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione, un istinto che lo avvertiva che un suo simile, un animale suo pari, aveva sconfinato nel suo territorio.

Ma Oscar non centrava, Cielo no! Non avrebbe dovuto parlarle a quel modo: non aveva fatto nulla per meritarlo.

-Scusami Oscar, io...- - Lasciami dormire, fa' silenzio!-


Dopo qualche istante l'uomo si stese al suo fianco. Raccolto un po' di coraggio, le si fece vicino: doveva farsi perdonare, valeva la pena fare un tentativo. Ma la mano che allungò verso di lei, per accarezzarle una spalla, era in qualche modo incerta: non era affatto sicuro che non l'avrebbe morso.

-Lasciami dormire ho detto!-

Rinunciò sospirando, distendendosi supino: non era il caso di disobbedire ancora al comandante-moglie.

Però doveva ammettere che, questa volta, il comandante-moglie aveva ragione.

 

 

I rintocchi della campana del monastero più vicino, accompagnati a grande distanza dal vento impetuoso, sotto la volta delle nuvole alte e nere, informarono l'uomo che era giunta la quarta ora della notte. La stanza in cui lo avevano sistemato era spoglia, ma tiepida e accogliente. Il materasso di discreta qualità, le lenzuola fresche, profumate di lavanda per tenere lontano i parassiti. Eppure Fersen non aveva ancora preso sonno. Non si sentiva a suo agio: non avrebbe voluto restare lì per la notte, si sentiva un intruso. Meglio, non avrebbe dovuto essere lì, punto. Ma aveva scoperto appena arrivato che non c'era alcuna locanda nel borgo vicino, la più prossima a diversi chilometri di distanza. Naturalmente, quindi, gli era stata offerta ospitalità, che lui, dopo le doverose formule di protesta, aveva accettato.

La notte era stata attraversata fino a poco prima da forti tuoni, giunti nel seguito della loro luce, che come percussioni irregolari avevano ritmatole sue riflessioni. Aveva passato la maggior parte del tempo a formulare frasi con cui avrebbe potuto scusarsi con i suoi ospiti per la sua scortesia e il suo malumore, rimandando ad un altro tempo la revisione dei suoi progetti, ora che si erano dimostrati assolutamente infondati.

No, girarsi ancora nel letto era inutile: doveva uscire da quella stanza, le cui parti si facevano sempre più vicine attorno a lui, una marcia lenta e inesorabile che avrebbe finito per togliergli il respiro. La lasciò, infatti, vagamente intenzionato a tornare al piano terra. Non lo raggiunse: mosso qualche passo nel corridoio buio sentì levarsi una voce tenue, dolce e calda, alle sue spalle, pervadeva l'aria tiepida come una carezza. Un' atmosfera irreale.

La prima emozione fu un certo spavento. Poi, nel tempo necessario a volgersi e realizzare che la porta alla fine dello stretto ambiente era parzialmente aperta e lasciava fuggire un alone tremulo di luce di candela, che disegnava il pavimento, sopraggiunse la meraviglia. Era la voce di Oscar, indubbiamente, ma trasfigurata da una morbidezza che non le era caratteristica, e...cantava? Stupefacente, non l'aveva mai sentita cantare. Era una delle migliori clavicembaliste che avesse mai ascoltato, ma nonostante le sollecitazioni a cui l'aveva a volte sottoposta la regina, nelle rare occasioni in cui era riuscita a costringerla a suonare nel suo salotto, si era sempre rifiutata di accompagnarsi col canto, che pure aveva studiato un po', com'era doveroso, in parallelo allo studio dello strumento.

Non avrebbe dovuto avvicinarsi, lo sapeva...ma quella strana canzone senza parole lo attirava magneticamente, sicché mosse alcuni passi nel buio, con la precisa sensazione di camminare in sogno. Non ne furono necessari molti per poter scorgere la scena, così bella nella sua domestica banalità. La donna, semi-sdraiata sul letto, accarezzava le mani dei bambini abbracciati, probabilmente impauriti dai tuoni, i capelli, i volti, chiudendo loro gli occhietti che ogni tanto tornavano ostinatamente ad aprirsi. Canticchiava quella che, evidentemente, era nelle sue intenzioni una ninna nanna. All'ascoltatore illegittimo, commosso, sembrava allo stesso tempo familiare e nuova, una melodia proveniente da un passato nel quale doveva essere stata quotidiana, ma tanto fuori contesto da presentarsi rinnovata.

Ci mise diversi secondi a riconoscerla: era la la melodia del segnare militare del Silenzio. *

 

 

*Non sono un'esperta di vita militare. Confesso di avere in mente l'attuale segnale dell'esercito italiano, confidando che quello francese di duecento anni fa ne avesse uno.

   
 
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