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Autore: jaybird    12/08/2015    3 recensioni
« Ehy, baby bird.
Quanto tempo è passato dal nostro ultimo incontro? Da quando ti ho /sfiorato appena/ il collo? O da quando ho avuto la /premura/ di dirti quanto facevi schifo con il tuo attuale costume? »
« Jason. »
E sembrava esserci Dick, sempre pronto a rovinare i momenti più divertenti— specialmente se poi Timothy non sembrava avere le palle per rispondere al fare strafottente e sarcastico di Red Hood. O, forse, era semplicemente più maturo del maggiore?
Genere: Comico, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bat Family, Dick Grayson, Jason Todd, Tim Drake
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Alcune città sono splendide, di notte. Gotham non è una di queste.

Ci potevano essere varie descrizioni che gli stessi Gothamiti, davano alla propria città. Delle vere e proprie perle, se si poteva essere specifici. E per specifici, s’intendeva sarcastici.
Gotham, la città per chi vuole punirsi.
Gotham, la città d’incubo costruita con metallo e pietra.
Gotham, l’inferno.
Gotham, Batman.
Umida, poco accogliente, sporca, meschina. Poteva piacere solo ad un determinato circolo di persone. Un circolo decisamente esclusivo, che risiedeva, ragionevolmente, ad Arkham. Per molti, di quel giro, Gotham era semplicemente un parco dei divertimenti.
Le banche, il banco dei dolci.
La gente, dei tiri a piattello.
Le morti, dei bonus.
Batman, il grosso peluche da vincere per far colpo sulla fidanzata.
Batman sembrava essere tutto. Batman era l’essenza di Gotham (o forse il contrario?). Batman era quello che sembrava aver deciso di lasciare il ‘’lavoro’’ di routine al sottoscritto, Dick Grayson. I grattacieli imponenti, per lo più costruiti grazie ai nobili fondi di Bruce Wayne, fungevano da torrette di guardia— e il ragazzo del circo, non sembrava mai sapere quando poteva essere realmente pericoloso sporgersi, in quel modo, dal bordo di cemento, dove a vegliarlo, sembrava esserci solamente un vecchio gargoyles. Ma, il vuoto, per un circense come lui, sembrava solamente essere come un grande salto, come per avere l’opportunità di volare, anche se solo per brevi secondi.

« Nottata fiacca, amico mio. »

Proclamò, in fine, all’amico di pietra, risucchiato semplicemente dalle luci sotto i suoi piedi, dalle sirene, immancabili, della polizia, per creare il paesaggio perfetto di una metropoli disastrata… Sempre sarcasticamente parlando, eh. Nessuna chiamata, nessun avviso da parte di Alfred o anche solo da Bruce, che poteva avvisarli di un qualche problema situato nella città. Non erano nemmeno rari, casi come questi. Un semplice pattugliamento, avrebbe saltato qualche altra palazzina, e poi, in fine, prima che possa spuntare l’alba, avrebbe persino potuto immaginarsi a prendere qualche oretta di sonno.
E poi, dei passi.

« Stasera ti sei fatto proprio desiderare, little wing. »
« Non era mia intenzione? »

Non provava nemmeno a sforzarsi; gli sembrava difficile non poter dar corda al maggiore, tant’è da andare a rispondere con quel solito velo di ironia, terminando con un fare del tutto interrogativo, come se non sapesse come poter rispondere per negare ma anche affermare la notazione altrui— e poi, andiamo, come si poteva a non dar retta al maggiore? Era una cosa che avevano sempre avuto l’abitudine di fare, sin dai loro primi incontri. Certo, sono passati anni e, ora, nel loro modo di scherzare, le cose sembravano farsi sempre più… indecenti? Uno sbuffo divertito scappa all’acrobata, mentre sul volto di Jason, comparì quella solita smorfia beffarda, arrogante, di uno che sembrava sempre avere la situazione sotto il proprio controllo. Non erano una cosa tanto infrequente, i loro incontri: le palazzine erano sempre le stesse— e poi non era così complicato vedere un tizio in calzamaglia, nel cuore della notte, che se ne stava con le gambe a penzoloni, seduto su un palazzo di una trentina di piani. Ma per Gotham, per loro, quelle cose, sembravano essere una stravagante routine che, forse, avrebbero dovuto cambiare.

« Quando questa città è così tranquilla, sembra quasi che ci sia qualcosa che non va, più del normale, s’intende. »
« Vuoi aggiungere questo nuovo aneddoto, agli altri, per descrivere il posto in cui sei nato, Jason? »
« No, o aggiungerei molte più parolacce. »

Non c’era una definizione ben precisa per poter descrivere il rapporto dei due ‘’guardiani notturni’’. Jason nutriva un grande rispetto per il maggiore, era ovvio. Dick era senz’altro una delle persone migliori che aveva avuto  il piacere di poter conoscere… era una delle classiche persone a cui erano successe cose decisamente sbagliate. Ma lo si poteva dire anche di se stesso? Non ne era mai così tanto sicuro. Tutto sommato, quel fare un po’ rude, sembra far divertire ugualmente Dick, tant’è che avverte chiaramente quel farfuglio divertito, che forse tentava di andare a nascondere, inutilmente. E poi, una fitta, come una morsa, come quando qualcuno ti afferra le frattaglie e te le spreme come una spugna. Una cosa talmente improvvisa che  fa curvare quel metro e ottantadue centimetri su se stesso, piegandolo, esattamente come un foglio di carta. La voce di Dick che sembra essere allarmata, che lo chiama, che però non sembra aver lontanamente sentito. Qualche farfuglio incomprensibile, forse, mentre non riesce a trattenere un’imprecazione, finendo con il viso voltato verso quello smog che, loro, chiamavano cielo.
Stupida città, non sembrava nemmeno poter permettersi delle stelle.

 
***


« —son? »

Cosa?

« Jason? »

Un tono di voce troppo rude per sembrare quasi premuroso. Voce che sentiva anche fin troppo spesso e che, per di più, veniva usata per dei rimproveri, che serviva per annunciare cose che lo avrebbero fatto, sicuramente, stare in una situazione peggiore in quella in cui già stava. Eppure, al momento, non sembrava essersi mai sentito così male come in quel preciso istante. Era sicuro di non sentire più le braccia e sembrava sentire lividi e dolore in posti in cui non poteva nemmeno immaginare di poter sentire. La vista era offuscata, sforzandosi di mettere a fuoco la figura che lo chiamava, mentre non poteva proprio fare a meno di annunciare il proprio dolore fisico con dei rantoli. Ma, in fondo, faceva male solo quando respirava. Gli occhi del colore della terra, sembrano riuscire a riconoscere quei capelli corvini, quella mascella ben marcata e quelle sopracciglia corrucciate. Inutile dire che Bruce sembrava essere furioso per quello che aveva fatto Jason. Il punto, era… che cosa aveva fatto, esattamente? Ricordava solo di essere usciti, lui da Robin, il maggiore da Batman, come ogni notte. Poi, veloci, a ritrovarsi in un vecchio edificio abbandonato, al porto. Pinguino, un traffico d’armi, un’imboscata, la solita strafottenza di Jason, qualcosa che lo colpisce alla sprovvista, e nient’alto se non la voce di Bruce che lo chiamò nel modo più forte che avesse mai potuto sentire. Il viso gli pulsava e ogni fibra del suo corpo sembrava bruciare, mentre l’unica cosa che sembrava essere in grado di fare, senza avvertire del dolore, era muovere le iridi verdi. Il braccio sinistro, ingessato— e questo sembrò fargli capire fin da subito che, per almeno un mese o più, non sarebbe più potuto andate in pattuglia, per la città, con il maggiore. Avrebbe davvero tanto voluto chiedere che cosa diamine gli fosse successo e, per quanto lo sguardo altrui lo intimidisse, in quel momento, ebbe il coraggio di aprir bocca, ma inutilmente.

« Sei stato un incosciente, come al solito. »

Il proprio mentore va a precederlo, non mettendoci molto prima di andare a dargli la colpa, usando quel tono imperioso che non faceva celare, di certo, la delusione, senza nemmeno provare a nascondere il fatto di non sembrare nemmeno sorpreso della situazione che, ora, lo costringeva ad un riposo forzato. Era risaputo che Jason, in missione, forse, tendeva troppo a ‘’rubare la scena’’, a mostrarsi troppo impavido e avventato, senza poter sapere le reali conseguenze che sarebbero potute capitargli in qualsiasi momento. Ma una volta che indossava la maschera e il mantello, non sembrava aver bisogno di nient’altro per poter sentirsi invincibile— ma forse tendeva troppo a sopravvalutarsi. E, per quanto potesse essere a conoscenza dei suoi errori, dopo pochi istanti di silenzio, dopo quel commento postatogli, lo sguardo di Jason andò ad aggrottarsi, come per voler imitare quello del maggiore, non sapendo mai se offendersi o esserne infuriato, quando gli dava dell’incosciente o qualsiasi altra cosa che non gli andava particolarmente a genio.

« Non ho fatto niente se non quello per cui mi hai addestrato! »
« Non ti ho mai detto di suicidarti, Jason. »
« Infatti non stavo facendo nulla del genere! Stavo solo— »
« No. »

Sembrava inutile, come ogni volta. Come ogni volta che tentava di dare una spiegazioni ai suoi gesti, del perché lo faceva e del perché non sembrava mai preoccuparsi troppo delle conseguenze… ma, con Bruce, tutto sembrava apparire tutto inutile, come se non volesse sentire alcuna ragione, come se ogni cosa che potesse fare Jason, fosse totalmente una cosa sconsiderata e pericolosa.
Forse Bruce esigeva troppo. Jason era pur sempre un ragazzino e, come ogni tale, si mostrava impetuoso, esaltato messo nei panni dell’uccello dal petto rosso, spalla del Cavaliere Oscuro. Ma se il maggiore aveva deciso di mostrarsi contrariato verso il minore, quest’ultimo, non sarebbe stato di meno— tant’è che, nell’esatto momento in cui le sue parole vennero interrotte, il proprio sguardo andò ad accigliarsi maggiormente, riuscendo a fare solo quello che, al momento, gli era possibile di poter fare, senza sentir maggior dolore: finendo con l’andare a spostare il proprio viso altrove, dall’altra parte, rispetto al maggiore, come se potesse essere lontano da quello sguardo rimproveratore e che lo giudicava. Costantemente. Vi fu un rantolo, ben poco comprensibile da parte di Jason. Ed un grande sospiro, pesante, quasi rassegnato, da parte di Bruce. Aveva esagerato? Non di certo. La colpa era di Jason? Sicuramente, una grande parte di responsabilità sull’accaduto, era sua. Che fosse Bruce il suo tutore, e che non si sarebbe mai perdonato se gli fosse successo qualcosa di grave? Era ovvio. Si sentiva già responsabile di essersi permesso, ancora una volta,  di portare via la fanciullezza ad un altro ragazzino. Che non gli fosse bastata l’ultima ‘’avventura’’ avuta con il precedente Ragazzo Meraviglia? Avrebbe dovuto smetterla, effettivamente, non avrebbe dovuto lasciare che un altro ragazzo si facesse carico dei panni di cui Batman faceva parte. Non era una cosa giusta— ma, allo stesso tempo, non poteva fare a meno di pensare che, in Jason, ci fosse così tanto potenziale che, in un futuro, avrebbe solamente contribuito ad una cosa migliore… ad /essere/ una persona migliore. Il silenzio sembrava ave decido di regnare, negli angoli della camera da letto, mentre gli occhi azzurri di Bruce, si muovono, incapaci di non poter analizzare la situazione, soffermandosi sui graffi del braccio, sulle abrasioni, sui lividi. Jason voleva solo prendere quel tanto che bastava per poter essere quella persona che Bruce vedeva in lui— e forse lo stava facendo intendere nel modo sbagliato, nel mostrarsi così intrepido. Non voleva deludere nessuno, non Bruce, per lo meno. Un altro sospiro rompe il silenzio e, per fortuna, Jason decide di non dire nulla.

« Non devi dimostrare niente a nessuno, Jason. »

La voce di Bruce continuava a sembrare troppo rude per sembrare premurosa.

« Nemmeno a me. »

E dice quel tanto che basta per far voltare il minore nuovamente verso l’interlocutore e, questa volta, l’espressione sembrava essere quasi mortificata, come se fosse bastata quella confessione per far ricredere Jason Todd, su ogni cosa.

« Bruce, io— »

 
***



« —spiace- »

Cosa?

« Jason? Jason! »

La sensazione era la medesima: come se qualcuno avesse afferrato le frattaglie che aveva in corpo e gliele stesse strizzando come si faceva con una spugna. Un gran de senso di stordimento, la testa era pesante, lunghi brividi di freddo gli percorrevano la schiena e le guance erano bollenti. Una voce familiare che lo chiama e gli occhi, pesanti, che si aprono. Tutto che sembrava essere confusionario e l’unica cosa che sembrava aver intuito, Jason, era che si trovava nel suo logoro appartamento, steso sul divano con un Richard Grayson che non faceva altro che chiamarlo con un tono di voce che trovava fin troppo assordante.

 « Dannazione a te, e al tuo menefreghismo. »

Il proprio udito sembrava basso, quasi ovattato, mentre percepiva le parole altrui, senza ben afferrare che cosa stesse succedendo. L’ultima cosa che ricordava era stato il dolore improvviso che aveva provato sull’edificio, e poi nient’altro se non quello che sembrava essere stato un sogno— o meglio, un vecchio ricordo. Gli occhi verdi erano visibilmente stanchi, eppure, fu facile notare l’espressione di rimprovero sul viso del maggiore, per chissà quale motivo apparente.

« Avevi una ferita che ha fatto infezione, Jason. »

E quando lo chiamava per nome, significava che era proprio arrabbiato.

« Ah, ecco cos’era quel fastidio che mi dava  da giorni. »
« Non è divertente. »

Jason scrolla le spalle, avendo persino il coraggio di prendere la cosa sottogamba, mentre pensava d essere divertente, andando a rispondere in quel modo totalmente fuori luogo, usando un tono talmente basso e fiacco, che non sembrava nemmeno essere la sua voce, avendo persino la forza di tirare un’aria sghemba sul viso. Viso che, dopo poco, si sposta, lentamente, quasi a fatica, verso la sua destra: una sedia, accanto a se, proprio a pochi centimetri dal divano, fungeva da tavolino, vedendo la cassetta del pronto soccorso (che era sicurissimo di non avere in casa propria), con una pila infinita di cotone sporco di sangue e… altra roba. Forbicine e del filo e del disinfettante. Un set da medico master, insomma.

« Ho chiamato Alfred, ha ripulito tutto e ti ha ricucito. »

Alfred, un sant’uomo, un amico che valeva davvero la pena di tenersi stretto.
Gli occhi smeraldini ritornano ancora una volta sul viso dell’altro che, oltre tutto, sembrava non aver alcuna intenzione di smetterla di fissarlo in quel modo che riteneva /fin troppo/ angosciante, come se fosse sul baratro della morte, cosa che fece gorgliare Jason, esattamente come una vecchia caffettiera rotta, trovando la forza di mostrare un’espressione ben poco d’approvazione.

« Piantala. »

Già il fatto di sentirsi uno straccio, lo metteva a disagio, il fatto di essere così inerme, lo faceva star peggio— era sempre stato così, effettivamente. Grande e grosso, ma che si lamentava per un po’ di febbre… anche se, beh, in questo caso, la situazione era un po’ più grave. Ma Dick era Dick, e finiva sempre con il preoccuparsi più del dovuto, rendendo tutto un dramma. Ma, anche se Jason non lo avrebbe mai confessato, quel tipo di attenzione, quella sensazione confortevole di sapere che ci fosse sempre stato qualcuno per lui, come in quel momento, gli faceva piacere.

« Io ora devo andare, » avverte, facendo che alzarsi dal bordo del divano, sul quale vi era seduto. « ma ti ho preso una baby-sitter. »
« Spero proprio che abbia le tette grosse. »
« Non proprio. »

E, seppur quello di Jason era una finta esaltazione, l’espressione sul suo viso andò a mutare, non potendo che mostrarsi contrariato, come se Dick gli avesse appena detto qualcosa che non voleva sentire, sebbene fosse una cosa abbastanza ovvia.

« Ho chiamato Tim, che— »
« No. »
« Jason. »
« Ho detto di no. »

Avete presente quelle madri che, completamente esasperate, non sembravano più essere in grado di sopportare i capricci dei propri figli? Ecco, Dick, si sentiva nei panni di quel medesimo ruolo. Certo, forse non era stata una cosa intelligente, quella di chiamare il ragazzo che fino a non molto tempo fa, Jason voleva morto e, sebbene quel suo desiderio si fosse placato, c’era anche un certo restio nel voler stare in presenza di Timothy Drake.  Sebbene fosse una cosa reciproca, alla fin fine. Ma nemmeno quello sguardo di disapprovazione avrebbe fatto cambiare idea a Dick che si rifiutava di lasciarlo da solo, in quello stato… era convinto che, nemmeno muovendosi, sarebbe stato un pericolo per se stesso. Si lascia andare ad un lungo sospiro, mentre una voce, da dietro la porta, va a chiamarlo. Era Tim.

« E’ solo per qualche ora. Grande e grosso, ma continui a sembrare quel ragazzino di dieci anni. »
« Dacci un taglio, Richard. »

Il tono fiacco non sembrava essere così minaccioso, tant’è che Dick, incurante del tutto, si lasciò scappare una risata, come se fosse divertito, come se avesse fatto un passo indietro nel tempo, come se sul divano rivedesse veramente quella piccola figura di dieci anni che si lamentava per il fastidio del proprio malessere, finendo, poi, con l’andare ad aprire la porta dalla serratura sgangherata. Un altro paio di capelli corvini, scombinati, e due altre pozze azzurre, che non trasmettevano propriamente l’entusiasmo che si aspettava, nel trovarsi nella tanto famigerata ‘’tana’’ di Jason Todd.

« Tranquillo, oggi abbaia ma non morde. »
« Io sarei qui, in casa mia, e sento tutto. »
« Visto? »

Non erano propriamente la cosa migliore per poter rassicurare Timothy, ma il sentire quella risposta, con un tono così smorto, non potette che farlo entrare nell’appartamento senza timore, nonostante Jason lo stesse guardando in un modo tale che, se avesse potuto, lo avrebbe incenerito. Timothy fa finta di niente, mentre non può proprio fare a meno di guardarsi in torno, come se gli venisse in automatico il fatto di studiare la situazione, così come anche per il posto in cui si trovava. Si poteva affermare che l’appartamento dell’ex Robin lo rispecchiava perfettamente: sudicio e mal ridotto, esattamente come lui. Il pavimento cigolava ad ogni passo che faceva, mentre negli angoli delle pareti si trovavano un sacco di crepature— senza contare dell’aria pesante che si respirava. I mobili erano pochi e anche abbastanza inguardabili. Era un po’ come se Jason avesse seriamente deciso di abitare come un reietto… e dire che, se avesse voluto, sarebbe potuto tornale alla villa, nella sua stanza, che Alfred si curava di lasciare perfettamente intatta. Inutile dire, anche, che Jason sembrava aver notato come il più piccolo si stesse guardando in torno, potendo ben immaginare che cosa stesse pensando, mentre Richard rimaneva in bilico tra l’interno dell’appartamento e lo stipite della porta.

« Ehy, baby bird.
Quanto tempo è passato dal nostro ultimo incontro? Da quando ti ho sfiorato appena il collo? O da quando ho avuto la premura di dirti quanto facevi schifo con il tuo attuale costume? »
« Jason. »

E sembrava esserci Dick, sempre pronto a rovinare i momenti più divertenti— specialmente se poi Timothy non sembrava avere le palle per rispondere al fare strafottente e sarcastico di Red Hood. O, forse, era semplicemente più maturo del maggiore?

« Cosa? Stavo cercando di mettere a proprio agio il mio ospite. »

A questo punto, sembrava inutile continuare a rimproverarlo; era come parlare con un muro e, l’ennesimo sospiro di Richard, sembrava essere l’ennesima arresa a quel fare insopportabile, deciso a non rispondergli, per poi voltarsi verso il più piccolo, a Timothy.

« Ritornerò, al massimo, tra un paio d’ore. Per qualsiasi cosa, chiamami, capito? »

Timothy non fiata ancora, facendo solo che annuire con il capo, mentre la figura più grande, va a minacciare quella stesa sul divano, per poi sparire da dietro la porta, andando a dare l’ultimo saluto, prima di sentirlo scendere frettolosamente lungo le scale. E ora? E ora si sentiva esattamente come se fosse nella stessa gabbia con un leone. Insomma, come aveva anche solo potuto mettersi in mezzo in questa situazione, dove non c’entrava assolutamente niente? Maledetto Richard, era senz’altro in debito con lui. Le iridi azzurre, ancora fisse sulla porta (come per sperare che il maggiore tornasse indietro e gli dicesse che poteva tornare a casa), si spostano, quasi cautamente, finendo con lo scontrarsi sulla carcassa del suo predecessore, steso sul divano che continuava a guardarlo in un modo tale che sembrasse quasi volergli saltare addosso da un momento all’altro e giocare con la propria pelle, prima di mangiarselo vivo. E, per quanto l’espressione e il fare di Timothy fossero completamente imperturbabili, si sentiva a disagio— ma, d’altronde, come si poteva non esserlo quando si doveva fare da balia alla persona che aveva tentato di ucciderti? Questa situazione si sarebbe potuto definire ironica tanto quanto stupida.

« Ti stai godendo la vista? »
« Eh? Che? No! Stavo solo— »
« Basta, mi hai già annoiato. Puoi anche andartene ora. Ci manchi solo tu, qui dentro. »
« Ma Dick ha detto— »
« Si, abbiamo capito tutti che sei una brava bambina che ascolta sempre tutti. Ma ora puoi anche andartene. »

Effettivamente, che cosa ci avrebbe guadagnato, Tim, a restare lì, con una persona che lo detestava e che tentava di detestare a sua volta? Non aveva assolutamente voglia di restare per le prossime ore a farsi punzecchiare da Jason, ci mancava solo quello poter da aggiungere alla lista. Eppure, il fatto che Jason non potesse far altro se non muovere quella boccaccia, stuzzicava la curiosità del minore che, ora, con lo sguardo corrucciato, andava a guardarlo in malo modo, conscio che, in quelle pessime condizioni, il più grande, non sarebbe stato in grado nemmeno di alzarsi dal proprio posto. Che cosa aveva da temere? Per tanto, dopo un paio di secondi, come se avesse avuto il tempo necessario per prendere una decisione, si limita a restare immobile— anzi, finì persino per andare ad appoggiare la propria schiena contro quel muro che, in tutta sincerità, sperava non si sbriciolasse, andando a portare le braccia al petto, poi.

« No. »

Sentenzia, in fine, come se gli stesse chiaramente lanciando uno sguardo di sfida, come per fargli capire che, per una questione di principio, ora, non se ne sarebbe andato, fino a quando Richard non sarebbe ritornato, ovviamente. E Jason? Jason gorgoglia, come una vecchia caffettiera maltenuta.  
 
  
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