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Autore: Ink Voice    14/08/2015    5 recensioni
Come reagireste alla scoperta dell’esistenza di un mondo celato agli occhi della “gente comune”? Eleonora, credendosi parte di questa moltitudine indistinta di persone senza volto e senza destino, si domanderà per molto tempo il motivo per il quale sia stata catapultata in una realtà totalmente sconosciuta e anche piuttosto intimidatoria, che inizialmente le starà stretta e con la quale non saprà relazionarsi. Riuscirà a farci l’abitudine insieme alla sua compagna Chiara, che vivrà con lei quest’avventura, ma la ragazza non saprà di nascondere un segreto che va oltre la sua immaginazione e che la rende parte fondamentale di quest’universo nascosto e pieno di segreti. Ecco a voi l’inizio di tutto: la prima parte della serie Not the same story.
[RISTESURA+REVISIONE - Not the same story 1.2/3]
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Manga, Videogioco
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Not the same story'
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III
Disorientamento

In un’area nei pressi di Nevepoli, oltre gli sconfinati boschi di sempreverdi innevati che si confondevano con quelli di Riva Arguzia, era situata la Ferrovia di Sinnoh. O meglio, una vecchia linea di essa, che nascosta dalle barriere faceva in origine varie fermate: Nevepoli, Monte Corona, Evopoli, Mineropoli e infine Giubilopoli, che era il capolinea al quale saremmo scesi io, Chiara, Gold e la nostra accompagnatrice Bianca. Era domenica: avevamo aspettato un altro giorno a casa di Bianca, alla fine, su richiesta del suo capo - non ci fu detto il perché. Forse per lasciarci imparare ancora qualcosa prima di partire, visto che non avevamo fatto altro che parlare di Pokémon.
La prima cosa che imparai quella giornata era che trascinare i bagagli nella neve era più complicato di quello che si potesse pensare. Ci era stato richiesto di portarci solo lo stretto necessario e per questo molte delle nostre cose erano rimaste a casa di Bianca; in seguito sarebbero state riportate, in qualche modo, nelle rispettive case di me e di Chiara. Ciò non toglieva che avevamo un capiente e pesante zaino sulle nostre spalle e una o due valigie da trascinare per ciascuna, perché non volevamo separarci da molte delle cose più futili per l’Accademia.
Poiché rallentavamo il passo, Gold e Bianca capirono che era necessario un aiuto da parte loro e ci liberarono di qualche peso. Seguimmo un sentiero che si snodava nel bosco semisommerso dalla neve e dopo un po’ gli alberi iniziarono a diradarsi, segno che stavamo arrivando allo spiazzo che conteneva la stazione della ferrovia.
Sbucammo in un largo viale, totalmente candido se non per le rotaie grigie e ben tenute - quasi nessuno usava quel treno, perciò le loro buone condizioni erano strane - che spiccavano nella distesa bianca. Ci bastò girare la testa verso destra per notare un grande edificio in vetro e in acciaio che aveva la forma di un semicilindro, disteso sul terreno e di cui era visibile solo la metà. Era un’insolita, inaspettata visione in tutto quel bianco e verde dei boschi e nell’azzurro del cielo limpido, ed era sgradevole pensando al fatto che ci avrebbe allontanate da casa.
Ci avviammo verso di essa e in breve varcammo i grandi portoni della stazione. Da quando l’avevamo vista il silenzio era sceso sul nostro gruppo: stavamo tutti aspettando che la situazione si stabilizzasse e si rilassasse per riprendere a parlare, affinché io e Chiara potessimo imparare altro sul mondo dei Pokémon. Soprattutto volevamo sapere qualcosa in più sull’Accademia, o su qualunque cosa fosse questa fantomatica sede di addestramento “leggero” per giovani Allenatori - specie di guerrieri. Dovevamo sapere quali fossero le materie, gli orari, come ambientarci, cosa avremmo studiato e soprattutto a quale classe saremmo state iscritte. Insomma, eravamo delle novelline, ma tra i gruppi di “studenti” non poteva esserci troppo divario, soprattutto per l’età.
«Questo saranno i gestori della struttura a deciderlo. Immagino che prima vedranno a che punto siete, ma di sicuro prenderanno in considerazione molti fattori: in genere i ragazzi dell’Accademia imparano velocemente, anche per necessità. Spero capiterete in classe con Gold, almeno vi aiuterà ad ambientarvi più facilmente avere già una conoscenza nella vostra classe» ci disse Bianca, sorridendo tranquilla e serena.
Gold non era il massimo della simpatia, l’aspettativa di averlo come primo amico non era granché ma in effetti sarebbe stato rassicurante avere qualcuno che ci potesse aiutare a conoscere altre persone.
Nonostante la stazione apparisse tirata a lucido, proprio il fatto che fosse così immacolata e perfetta aumentava la forte impressione di desolazione e di assenza di viaggiatori, dandomi un vago senso di pena e malinconia. Non era bella l’aspettativa di entrare a far parte di una minoranza della popolazione del pianeta, temevo che quella stessa desertificazione fosse ovunque nel piccolo mondo dei Pokémon. Fortunatamente, scoprii abbastanza presto, non era così, ma avrei dovuto aspettare di fare le prime conoscenze all’Accademia per essere rassicurata.
«Ele,» mi chiamò Chiara sottovoce, «come ti aspetti che sia l’Accademia se qui non circola anima viva?»
Appunto. Non ero l’unica ad avere pensato cose del genere. «A vedere questo posto direi che all’Accademia saremo in tre - noi due e Gold. Ma spero di essere smentita presto.»
«Già… secondo me saremo una cinquantina di persone.»
«Così poche spero di no! Magari un centinaio scarso…»
«Addirittura?! La maggior parte degli Allenatori e di tutta la gente che ha a che fare con i Pokémon lavora nelle basi segrete disseminate un po’ ovunque. Quanti ragazzi potranno riuscire a raccogliere in una regione?»
«Non saprei, in effetti hai ragione» mormorai, ripensandoci. «Però ci saranno sia ragazzi più grandi che più piccoli, quindi forse riusciremo ad arrivare a… non so, ma più di settanta sicuramente, dai.»
«Se lo dici tu!» borbottò lei, stiracchiandosi.
Avevamo abbandonato i nostri bagagli per terra, sulla banchina grigia. Gold stava a qualche metro di noi a farsi i fatti suoi mentre Bianca telefonava a qualcuno dell’Accademia per avvisare che stavamo per partire. Difatti il nostro treno aspettava i suoi passeggeri: era piccolo, contava poche carrozze, ma era anch’esso abbastanza curato e pronto per la lunga corsa che ci aspettava. Non mi aspettavo, a ragione, che ci fosse un conducente; a quanto ci era stato detto quel mondo a parte era abbastanza evoluto tecnologicamente per non avere bisogno di qualcuno che facesse funzionare il treno. Be’, tanto meglio: magari la carrozza con il bar era a nostra completa disposizione.
Bianca tornò dopo qualche minuto con le ultime indicazioni. «Bene, possiamo partire. Saliamo, sistemiamo i bagagli, tra poco il treno partirà e io vi dirò ciò di cui avete bisogno di sapere sull’Accademia» si rivolse per lo più a me e Chiara; Gold le basi già le aveva. Iniziammo a parlare e ad essere informate solo quando il treno si mise in movimento: ci aspettavano tre ore abbondanti di viaggio.
La Capopalestra ci parlò approfonditamente, per prima cosa, delle Poké Ball. Quelle piccole sfere, delle quali esistevano un’infinità di esemplari adatti alle più diverse specie di Pokémon, potevano contenere quegli esseri di ogni dimensione ed erano molto comode, non solo per gli Allenatori che dovevano portarle - solitamente le si mettevano in una cintura apposita oppure si tenevano semplicemente in tasca. Infatti i Pokémon dovevano stare abbastanza bene lì dentro, perché difficilmente trovavano la voglia di uscire da soli e starsene all’aperto. Ma non potevano assolutamente rimanere al loro interno senza vedere la luce del giorno - e cibo - per più di una giornata.
Bianca accennò qualcosa alle relazioni tra i vari tipi di Pokémon, disse che l’esito di un attacco si classificava in colpo semplice, superefficace e poco efficace. Un esempio banale era il tipo Erba debole al tipo Fuoco, che a sua volta era svantaggiato rispetto al tipo Acqua, il quale veniva facilmente sconfitto dal tipo Erba. Le combinazioni con i doppi tipi complicavano ulteriormente le cose e al momento preferii evitare di cercare di memorizzare tutta quella roba che mi sembrava astrusa e anche abbastanza incomprensibile.
«Qualcosa sulle relazioni tra tipi puri vi conviene impararlo» mormorò Gold, «perché altrimenti sarà dura seguire facilmente le lezioni.»
«Con la pratica riusciremo a capire tutto» ribatté prontamente Chiara. «Adesso sentirmi elencare le resistenze e le debolezze di un certo tipo non è proprio il massimo della facilità imparare tutto subito a memoria.»
«Sì, avete ragione» intervenne Bianca, «ma sarà utile anche per le prime lotte che farete per far accumulare un po’ di esperienza ai vostri futuri Pokémon…»
«Eh? Lotte ed esperienza? Sono termini tecnici o semplicemente non capisco io?» la interruppi.
«Le lotte sono essenziali per la crescita di un Pokémon. Vedete, ognuno di loro ha a disposizione quattro mosse, ne può usare al massimo quattro e se ce n’è una nuova da dover imparare bisogna sostituirne un’altra: questo è un ottimo modo per allenare sia l’Allenatore che il Pokémon a cavarsela con pochi strumenti a disposizione. Nella lotta si usano queste mosse per tentare di mandare al tappeto, o meglio K.O., il proprio avversario.»
«Quindi i Pokémon svengono? Non è che si feriscono gravemente…?» chiesi insicura.
«Tranquilla, non muoiono per così poco!» sorrise Bianca. «Ci vuole ben altro per uccidere un Pokémon, in una lotta è praticamente impossibile che uno dei due muoia. Anche perché la morte sarebbe lo stadio successivo allo svenimento, per cui si ritira il proprio Pokémon nella sua Ball per curarlo e tenerlo al sicuro; per l’avversario, in ogni caso, è vietato infierire su un’altra creatura per portarla alla morte.»
«Non che questo in guerra significhi qualcosa» disse Gold, lugubre.
«Già… però non preoccupatevi, voi siete in un ambiente sicuro e nel caso in cui le cose si mettessero male per voi, ad esempio in uno scontro con il nemico, vi basta richiamare il Pokémon nella Ball per metterlo in salvo.»
«Quindi lottando un Pokémon fa esperienza?» chiese dopo poco Chiara.
«Esatto. L’esperienza si accumula e si dice che un Pokémon cresca di livello: questo processo è stato studiato e grazie a strumenti come il Pokédex si è generalizzata la crescita di una certa specie. Non mancano le eccezioni, ma in genere tra due Pokémon della stessa specie si ha lo stesso ritmo di sviluppo e per questo si può utilizzare la stessa tabella di uno per un altro. A un certo livello, in genere, si ha poi l’evoluzione.»
«Ecco, l’evoluzione» la fermò Chiara. «Cos’è?»
«L’evoluzione è il cambiamento radicale in un Pokémon, che essendo cresciuto abbastanza si potenzia di molto e arriva a cambiare forma. Non è un processo ben decodificato ma è un momento atteso con ansia da tutti gli Allenatori. Ci sono al massimo tre stadi: quello di base, a cui appartengono il Dratini e lo Squirtle di Gold; il primo stadio al quale sono arrivati il suo Quilava e il mio Weavile e poi il terzo stadio.»
«In cosa evolveranno poi Quilava e Weavile?» domandò ancora la mia amica.
«Quilava diventerà un Pokémon chiamato Typhlosion. Invece Weavile non evolverà più: certi Pokémon hanno solo due stadi e altri rimangono a quello di base, a meno che in seguito non abbiano la necessità di evolversi per, non so, resistere a una minaccia o per trovare il modo di eliminare un pericolo costante. Ma non sempre si può ottenere l’evoluzione salendo di livello: a volte servono oggetti speciali, come delle Pietre. Oppure durante uno scambio con un altro Allenatore, a volte tenendo uno strumento… oppure con la felicità o…»
«Va bene, va bene, anche queste cose le impareremo con la pratica!» misi le mani avanti e ridacchiai.
Il viaggio proseguì senza intoppi, relativamente tranquillo e normale - per quanto la situazione e il mondo in cui io e Chiara eravamo state inserite potessero rientrare nella norma. Gold e Bianca furono molto disponibili nell’istruirci sulle più svariate cose riguardanti i Pokémon. Molte informazioni le dimenticammo quasi subito dopo, ancora troppo astratte per due novelline come noi. Più facilmente assorbimmo le numerose rassicurazioni sulla permanenza all’Accademia, sorvegliata accuratamente, separata anch’essa dal mondo comune attraverso le misteriose e famose barriere e situata fuori dalla città di Giubilopoli.
Inizialmente avevo paura di essere esclusa ed emarginata fin da subito, non sapevo se insieme a Chiara o no, a causa della nostra forte ignoranza. Poi però fui io stessa a calmarmi - momentaneamente, dicendomi che il contesto in cui ci saremmo mosse era molto diverso dal normale e che non era un liceo, quell’Accademia. Saremmo stati tanti ragazzi tutti sulla stessa barca, avremmo condiviso gli stessi problemi e cercato di risolverli con più leggerezza e spensieratezza possibili. La solidarietà sarebbe stata molto presente e sicuramente forte, uniti da una minaccia comune e comprensivi nei confronti del prossimo. Forse era una visione un po’ troppo rosea e avevo aspettative troppo alte, ebbi anche questi dubbi che misero in crisi le mie speranze, ma era vero che solo degli stupidi avrebbero lasciato prendere il sopravvento a sentimenti negativi?
Questo lo ritenevo quasi impossibile. Non potevano andarmi tutti a genio e lo stesso valeva per gli altri, ma le antipatie e le rivalità non dovevano impedirci di dimenticare la situazione in cui ci trovavamo. Mai avremmo potuto rifiutare di offrire un aiuto a chi ne aveva bisogno, sarebbe stato scorretto e sbagliato in tempi di guerra. L’unità era la cosa che contava, i contrasti interni dovevano essere lasciati da parte, piccoli o grandi che fossero.
Quando Bianca e Gold ci lasciarono da sole a confrontarci, andando a controllare che tutto sul treno fosse a posto prima di scendere, esposi a Chiara tutte quelle mie riflessioni e lei si trovò perfettamente d’accordo.
«Per esempio, a me Gold sta già antipatico da morire…»
«Anche a me!» ridacchiai un po’ sconsolata, interrompendola.
«Appunto, sinceramente lo trovo pieno di sé e parecchio saccente. Hai visto come si vanta dei suoi Pokémon? Però se avesse bisogno di un aiuto o di qualsiasi altra cosa, se avesse anche un problema personale e se fossi io l’unica a conoscenza di questo, mica non gli darei una mano. Spero solo che tutti la vedano allo stesso modo.»
«Ma sì, poi anche i professori ci aiuteranno e ricorderanno questo a tutti.»
Chiara sospirò e si stiracchiò. «Comunque non c’è da stare troppo sicure del buon cuore generale.»
«Lo so» mormorai. «Potrebbero nascere invidie o anche conflitti per relazioni varie o non so che altro…»
«Già pensi a trovare un fidanzato, eh?» ghignò Chiara maliziosamente.
Nemmeno arrossii per quanto la considerai scema. «Non intendevo mica questo! Volevo solo dire che se si creasse una coppia e un’altra persona fosse invidiosa, e si dimenticasse della guerra in cui ci troviamo, sarebbe un problema. Tutto qui! Non è così?» Lei continuava a sghignazzare. Io sapevo che mi aveva capita. Sapevo anche che non resisteva a prendermi in giro, come al solito, e per questo mi indispettii e le diedi una gomitata. «Dai, Chiara!»
«Ehi, calmati!» rise lei, rossa in viso per le risate. Scossi la testa e le lanciai un’occhiataccia. «Comunque so cosa intendi e hai ragione. Hai presenti le classiche galline, o oche, come preferisci, che si trovano un po’ ovunque per strada o nelle scuole? Spero che quelle stupide non ci siano pure nel mondo Pokémon.»
«Ho la brutta sensazione che non ne è immune» borbottai, rilassandomi un po’. Incrociai braccia e gambe. «Non ci resta che aspettare e sperare, come si suol dire. Anche perché non abbiamo idea di come sia l’Accademia, a parte una specie di campo di concentramento per Allenatori e simili che poi andranno al macello.»
«Non dire così» si rabbuiò subito lei. «La situazione è uno schifo, lo so, ma andremo in un ambiente protetto. Cerchiamo di non immaginare la morte di qualcuno troppo presto, va bene?»
Scrollai le spalle. Non continuammo quel discorso che volgeva sempre più verso il peggio perché tornarono i nostri compagni di viaggio dal loro giretto abbastanza inutile per il treno.
«Manca poco, ragazzi. Ancora una mezz’oretta e saremo in vista di Giubilopoli» ci annunciò Bianca.
Sentii una stretta allo stomaco. Tutto stava per diventare definitivamente realtà: non avevamo possibilità di tornare indietro. Ormai era stato tuttto deciso e io e Chiara, per il momento, eravamo ancora in balia degli eventi. Vedere la città di Giubilopoli avrebbe confermato il nostro addio alla routine, alla nostra vecchia realtà. Non ero affatto sicura di essere pronta per questo e sicuramente Chiara non era da meno: poteva mascherare l’ansia e l’impazienza quanto e come voleva, ma conoscendola sapevo che era turbata quanto me, se non di più. Era più piccola, anche se per certi versi non si sarebbe detto, e avevo come l’istinto di volerle stare accanto e di proteggerla. Se le cose fossero andate male sarebbe rimasta solo lei ad accompagnarmi in quell’avventura.
Mi lasciai sfuggire un impercettibile sospiro preoccupato. Quanto tempo avrei impiegato per realizzare davvero - poiché tutto mi sembrava quasi finto - che stavamo per diventare Allenatrici?

«Perché stiamo passando praticamente in mezzo a Giubilopoli e nessuno si accorge di un treno ipertecnologico e soprattutto mezzo vuoto, oltre che senza conducente e mai visto prima?»
Questa fu l’unica domanda di senso compiuto che Chiara riuscì a formulare appena entrammo nella provincia della capitale della regione. Giubilopoli era la città economicamente, tecnologicamente e demograficamente più sviluppata di Sinnoh, quindi pur essendo carente dal punto di vista storico e dei monumenti attirava molti turisti, soprattutto da Unima, e offriva servizi di un certo livello. Tutto questo l’aveva resa la città più importante.
«No, non rispondete.» Chiara fermò con un gesto della mano Bianca e Gold, che all’unisono avevano aperto bocca per rispondere qualcosa. «C’entrano sempre e comunque le famose barriere.»
I due annuirono. La situazione era abbastanza comica, in particolare le loro facce perplesse dai comportamenti ansiosi della ragazza; poiché anche io ero piuttosto agitata non riuscii a trattenere una risatina di puro nervosismo.
«Poco preoccupate, voi due» commentò Gold.
«Zitto tu» ribatté subito Chiara mordicchiandosi le unghie.
«Non era una crit-»
«Ragazze, tranquille» intervenne Bianca con un sospiro. Sorrise con il suo fare gentile e alzò leggermente le spalle. «Non dovete temere nulla, stiamo arrivando. È questione di pochi minuti.»
«Appunto, stiamo arrivando. E questo dovrebbe farci stare tranquille?» La mia amica mi gettò un’occhiata di complicità, in cerca di appoggio. Io la ricambiai con parecchia insicurezza e feci spallucce; profondamente delusa dalla mia reazione passiva e incerta, sbottò: «Porca miseria! Almeno arrivassimo subito, io non ce la faccio più!»
«Neanche io» mormorai. O forse rimase un pensiero.
Ero sfiancata dalle emozioni che non smettevano neanche per un momento di tenermi compagnia e che dopo un po’ risultavano essere una sgradevolissima presenza. I dubbi e le domande su quello che avremmo trovato appena arrivate all’Accademia si accavallavano l’uno sull’altro e si accumulavano senza fermarsi un secondo, se ne creavano di nuovi in continuazione. Quindi non mi sorpresi troppo del mal di testa insistente che dopo un po’ mi colse e che mi distrasse da gran parte delle chiacchierate che gli altri tre si stavano facendo: forse fu un bene non essere rintontita dagli strepiti di Chiara che stava facendo ampiamente sfoggio della sua parlantina senza fine. Mentre io mi tenevo le mie domande per me, infatti, lei le diceva a voce alta e acuta senza poi ascoltare le risposte.
Perciò restò di sasso nel sentirsi ripetere fermamente che, praticamente appena arrivate all’Accademia, dopo aver simulato un’iscrizione - che per lo più serviva a farci conoscere dal preside - avremmo ricevuto un Pokémon. «Quand’è che l’avete detto per la prima volta, se l’avete fatto?» chiese con un filo di voce.
Mancavano davvero un paio minuti all’arrivo. Bianca e Gold erano visibilmente stanchi di lei e quindi toccò a me inventarmi qualche risposta, poiché avevo seguito a malapena le ultime battute scambiate.
«Be’, forse non lo hanno detto dando a questa cosa il giusto peso» li giustificai. «In fondo per noi è… motivo di preoccupazione, ehm. È anche ovvio che ne riceveremo almeno uno, anche se non mi aspettavo che subito…»
«No che non è ovvio!» ribatté lei interrompendomi. «Non avrei mai immaginato di poter ricevere un Pokémon, credevo che all’Accademia si studiasse e basta!»
«Praticamente non ha ascoltato nulla delle nostre spiegazioni» sentii dire Gold a Bianca, sottovoce, mentre Chiara era troppo occupata a protestare. Feci un sospiro rassegnato: era fatta così.
«Chiara, ti voglio riassumere la situazione all’Accademia in questo ultimo minuto che precede il nostro arrivo.» Bianca attirò la sua precaria attenzione afferrandole le spalle e guardandola negli occhi. La mia amica era un po’ preoccupata per la sua azione. «Non so in quale classe sarete inserite, non mi ricordo nemmeno se ci sono divisioni in base all’età perché da un po’ di tempo non vado all’Accademia e alcune cose sono state cambiate. Però prima di specializzarsi attraverso i più svariati corsi offerti bisogna anzitutto essere Allenatori e costruirsi una squadra di almeno sei membri nel minor tempo possibile ma con il massimo impegno che un ragazzo come voi può metterci.»
Chiara stava per interromperla e chiedere qualcosa, ma Bianca non la lasciò parlare. «Non credo tu abbia ascoltato le descrizioni dei vari ruoli che potreste assumere, ma se vuoi diventare una spia hai bisogno di Pokémon. Lo stesso vale per un esploratore o un tecnico. Se poi vorrai combattere, se vorrai essere una recluta delle Forze del Bene, a maggior ragione dovrai allenare i tuoi Pokémon sempre di più, migliorandoti di volta in volta, perché il loro addestramento non ha mai fine. Così come quello di un Allenatore, che per essere degno di una buona squadra deve lavorare tanto quanto i suoi compagni, se non di più, dando prova di rispetto e amicizia nei loro confronti. Ecco come funziona a grandi linee. Hai capito?»
Non capivo perché Chiara apparisse tanto turbata dalle parole di Bianca, che invece avevano rassicurata me. I suoi grandi occhi scuri erano spalancati e riflettevano la preoccupazione e l’ansia. Sembrava anche mortificata ma il motivo non potevano essere i sensi di colpa per non aver ascoltato metà dei discorsi di Bianca e Gold durante il viaggio, non era da lei imbarazzarsi per cose “futili” del genere. La risposta arrivò dopo qualche secondo di silenzio; la Capopalestra di Nevepoli lasciò le spalle della ragazza e tornò a sedere in maniera composta.
Chiara abbassò la testa. «E se non fossi brava?» chiese a bassa voce. «Se non fossi all’altezza delle aspettative?»
Bianca e Gold spalancarono gli occhi per la sorpresa: si erano fatti un’idea di Chiara che non includeva assolutamente tutta l’insicurezza che quelle poche parole, grazie al tono di voce, avevano mostrato. Io abbassai lo sguardo e girai la testa verso il finestrino: eravamo arrivati. Capivo perfettamente la mia amica perché anche io avevo paura di non essere abbastanza. Temevo di rimanere indietro con il programma, di non stare al passo con le Forze del Bene e di deludere i miei futuri Pokémon o non instaurare un buon rapporto con loro. Sapevo che Chiara non era da meno e che pure lei aveva tante paure, e le sue stesse parole ne erano state la prova.
«Chiara, non…» esordì Gold incerto, volenteroso di consolare la ragazza, ma Bianca lo interruppe insieme al treno che si era rumorosamente fermato.
«Siamo arrivati» confermò. Il suo viso, in seguito a ciò che aveva detto la mia amica, si era rabbuiato. Silenziosamente, tutti piuttosto turbati dalle poche ma forti parole di Chiara - e soprattutto dal tono della sua voce, recuperammo le valigie e le borse e scendemmo dal treno.
La stazione era pressoché uguale a quella poco lontana da Nevepoli, senonché attraverso le grandi vetrate si vedeva il paesaggio urbano colmo di grattacieli  ed edifici di ogni genere, anziché la foresta innevata e la semplice distesa bianca del nord. La stazione era in periferia, poco lontana dal trafficato e famoso incrocio che si diramava su tre percorsi: quello per Mineropoli, quello per Giadinfiorito e l’altro per Canalipoli.
Era proprio quest’ultimo quello che prendemmo. Oltrepassammo con una vaghezza quasi comica, molto discretamente da parte di Bianca e Gold e più goffamente da me e Chiara, le barriere che chiudevano l’accesso alla stazione: se qualcuno senza permesso si fosse avvicinato troppo ad essa avrebbe girato i tacchi e cambiato meta.
Il caldo di Giubilopoli era soffocante. La cappa di smog che sovrastava la città aumentava a dismisura l’afa ed era davvero molto umido. Noi quattro non eravamo abituati ad un simile clima e subito ci ritrovammo sudati in una maniera a dir poco imbarazzante a sventolarci con qualche cartina di Giubilopoli e dintorni come se fossimo comunissimi turisti. A Nevepoli faceva sempre freddo, in estate meno del solito ma abbastanza, per i suoi abitanti, per sopravvivere con delle T-shirt o altri indumenti estivi; essendo poi una città molto piccola l’inquinamento era quasi nullo perché si gestiva piuttosto facilmente. Lì invece fui sorpresa soprattutto dall’inquinamento acustico che nella nostra città era davvero assente, non serviva esagerare: non c’era proprio. Aggrottai le sopracciglia in segno di forte disapprovazione e mi aggiustai gli occhiali da sole sul naso.
Ero già stata a Giubilopoli in vacanza ma solo per due o tre giorni poiché non c’era granché da vedere: molto più bella era stata la settimana abbondante a Canalipoli che era seguita a quelle poche giornate di noia nella metropoli. Lì mi ero beata del silenzio della Biblioteca e avevo ascoltato il placido suono delle onde, il cigolio del famoso ponte levatoio e il più forte e disturbante rumore prodotto dalle navi, che però ben si sposava con l’atmosfera marittima e pacifica della piccola città. Avevo anche visitato l’Isola Ferrosa.
Prima di arrivare ai confini di Giubilopoli e di imboccare il passaggio per il percorso 218, passammo accanto alla sede principale della Giubilo TV e a quella di un’azienda abbandonata detta PokéKron SpA. Era più piccola dell’imponente emittente televisiva e le porte a vetri sembravano dare su sale buie e prive di arredamento.
«Cos’è PokéKron?» chiesi a Bianca.
Lei alzò il polso e mi mostrò quello che sembrava un orologio. Al posto del quadrante però c’era uno schermo piccolo, quadrato, affiancato da due pulsanti. «Questo è un PokéKron e l’azienda era l’unica al mondo a produrli. Ormai non servono più in grande quantità e vengono prodotti in segreto e resi disponibili ai nuovi arrivati nel mondo Pokémon. Ha numerose funzioni, va dall’orologio alla calcolatrice, c’è una mappa di Sinnoh, fa vedere lo status di salute della propria squadra, l’affetto dei Pokémon nei confronti dell’Allenatore ed altro ancora…»
«Quindi ne riceveremo uno anche noi?» Era una specie di telefono da polso che, be’, non poteva telefonare.
Bianca annuì. «Ormai la sede ospita un rifugio per chi ha delle urgenze di qualche tipo, ma non si sono neanche preoccupati di farne una base segreta - anche perché è troppo visibile. Qui a Giubilopoli, un tempo, c’erano le strutture più importanti e basilari per un Allenatore: la Scuola per Allenatori, il Centro Pokémon…» Continuò ad elencare numerosi luoghi di cui a malapena avevo sentito pronunciare il nome in quei giorni. Concluse il discorso con un sospiro: «Quasi tutti sono stati demoliti, altri sono ben difesi… o almeno, è quello che si spera.»
L’aggiunta finale non mi piacque affatto.
Quando ci ritrovammo nel percorso 218 sobbalzai. «Cos’è successo?!»
Era semisommerso dall’acqua. L’ultima volta in cui lo avevo visto una lunga strada asfaltata si snodava tra i modesti rilievi del percorso, i quali ora emergevano timidamente a malapena collegati tra di loro da una serie di ponticelli quasi galleggianti sull’acqua. Le parti in depressione erano state scavalcate chissà quando dall’acqua del mare e la cosa che più mi stupì era che nessuno ne aveva mai parlato in televisione o sui giornali. Anche quello stravolgimento del paesaggio era merito delle barriere o comunque dello scoppio della guerra?
Quando lo chiesi a Bianca, lei mi rispose: «Sì, è vero: prima Canalipoli e Giubilopoli erano collegate da un percorso totalmente di terra, pur essendo lambito dal mare. Le comunicazioni tra le due città erano molto intense e per questo prese di mira dai Victory: per rallentarli chiudemmo il percorso con l’acqua e poi in qualche altro modo si riuscì a bloccarli totalmente. Ma il percorso rimase così e si arriva a Canalipoli con dei traghetti o tramite Surf.»
«Ma io al massimo riesco a nuotare» obiettai. «Ho fatto qualche anno di piscina, però…»
Gold scoppiò a ridere. Bianca, scuotendo la testa divertita, disse: «Sono i Pokémon a fare Surf, non gli umani! Surf è una di quelle mosse che si possono utilizzare anche al di fuori di una battaglia.»
Feci un cenno d’assenso, più interrogativa del voluto. La Capopalestra tirò fuori dalla borsa due Ball con una fantasia marina, colorate con numerose sfumature di blu e azzurro: ne uscirono fuori due Pokémon uguali chiamati Lapras. Lei e Gold insieme ai loro piccoli bagagli montarono sul dorso dell’esemplare più piccolo, evidentemente più giovane, mentre io e Chiara con le nostre valigie scoprimmo di stare piuttosto comodamente sul guscio che rivestiva la schiena del Pokémon d’Acqua e di Ghiaccio. Era davvero bello, aveva un muso gentile e grandi occhi tranquilli. Serenamente i due Lapras scivolavano sulla distesa d’acqua senza difficoltà. L’assenza quasi totale di onde e di vento favorì il trasporto che si concluse in pochi minuti: scendemmo su un isolotto al centro del percorso, ricoperto da alberi dalle foglie larghe.
Neanche il tempo di muovere un passo su quel pezzo di terra emerso dal mare che il bosco si dissolse e lasciò il suo posto ad un grosso edificio, il quale sorgeva in mezzo al grande cortile che occupava gran parte dell’area della piccola isola. Le pareti esterne erano di un triste grigio e mi pareva che le finestre in vetro scuro fossero poche per tutti i ragazzi e i professori che dovevano girare lì dentro - perché sì, soltanto quella poteva essere l’Accademia.
Quelli che dovevano essere Pokémon Volante volteggiavano placidamente attorno al tetto della struttura, alta e larga come una caserma circondata da quel praticello ben curato. Qualcuno di quei volatili era appollaiato sul bordo del tetto piatto o sulle ringhiere di piccoli balconcini - ne contai tre o quattro a facciata.
Solo la vista dell’Accademia aumentò di molto l’ansia che stavo provando e per un po’ dovetti costringermi a respirare profondamente per calmarmi. Era lì dentro che sarebbe nata la mia identità di Allenatrice e in quel luogo avrei fatto nuove conoscenze, belle e brutte che fossero state. Avrei imparato a distinguere il bene dal male grazie agli aiuti che mi sarebbero stati dati almeno dai professori. Perché d’altronde non era importante fare amicizia con qualcuno, al momento, ma solo imparare a muovere qualche passo nell’atmosfera pesante e incerta della guerra.
Prima o poi sarei stata pronta per affrontare tutto quanto da sola con i miei Pokémon, forse. Ad essere sincera, però, la prospettiva di rimanere con quella specie di animali geneticamente modificati e smettere di frequentare assiduamente dei compagni umani non mi piaceva granché. Non conoscevo i Pokémon e non ero sicura che mi sarebbero piaciuti davvero, una volta sperimentati i primi incontri con loro. In fondo il loro mondo era pieno di pericoli e loro stessi potevano diventare aggressivi: era lecito per una ragazzina come me provare ansia, paura.
E poi, stando a quanto avevano detto Bianca e soprattutto Gold, lì all’Accademia i cosiddetti insegnanti - cioè personalità influenti nel mondo Pokémon che potevano essere sia studiosi che Allenatori eccezionali - erano a dir poco severi. Non c’era modo di “perdere tempo” con bocciature nelle varie materie perché quell’aria scolastica era fittizia, era solo un metodo per far sentire i ragazzi più a proprio agio senza metterli sotto pressione con la guerra. Però quel peso si sentiva comunque e se si osava procurare qualche problema proprio esso veniva sfruttato come punizione. Non volevo immaginare quanto potessero stancarsi psicologicamente, oltre che fisicamente, i ragazzi come noi. Altro che Accademia Pokémon, quel casermone aveva tutta l’aria di essere un’accademia militare.
«Eleonora, tutto bene?» mi chiese la voce di Chiara. «Sei diventata pallidissima…»
«Alla grande» balbettai, intimidita da tutti i film mentali che mi stavo facendo e che probabilmente non erano troppo lontani dalla realtà - che di per sé era già degna di essere parte del mondo del cinema.
Gli altri mi superarono di qualche passo mentre io mi chiedevo, contemplando angosciata l’enorme edificio, se quelle finestre minuscole che ci erano state concesse lasciassero entrare aria a sufficienza per mantenere in vita anche due persone in più. Mi stavo facendo decisamente tanti, forse troppi problemi; ma mi giustificavo ritenendo lecito che una ragazzina di quattordici anni, che con i videogiochi non aveva molta esperienza e che nemmeno era abbastanza combattiva, avesse paura di doversi confrontare con lotte, allenamenti e quant’altro.
Forse se avessi provato abbastanza videogiochi e film di ogni tipo, sarei riuscita ad immedesimarmi nella situazione terribilmente reale che adesso sarebbe diventata la mia nuova vita… invece non avevo alcun punto di riferimento né fonte di ispirazione. Dovevo confrontarmi con qualcosa di sconosciuto, imparare a familiarizzare con i Pokémon, far combattere loro per il mio conto e dimostrarmi all’altezza di cose che mai avevo sperimentato.
“Spero che la bocciatura non esista davvero, perché sono a dir poco a rischio.” Camminavo meccanicamente in coda al gruppo e avevo la sensazione di essere osservata. Sensazione che mi sarei portata dietro per tutti gli anni a venire lì nell’Accademia e ovunque fossi stata sotto l’influenza delle Forze del Bene: quella di essere costantemente tenuta d’occhio. Avevo i brividi al solo pensiero di figurare in una telecamera in momenti imbarazzanti.
Mi diedi qualche colpo su una guancia con una mano. “Calmati, Eleonora: guarda Chiara che di film mentali non se ne sta facendo troppi, e se così invece fosse sta aspettando il momento giusto per sommergere qualcuno di domande e mostrarsi, eventualmente, preoccupata… che vergogna, e se ci fossero un sacco di bulletti là dentro che ci prenderanno in giro perché siamo inesperte? Mi sento così fuori posto… se hanno tutti i capelli di strani colori come Gold e si atteggiano in ogni momento perché sono speciali? Sembrerò sicuramente una bambina sperd…”
Il lamentoso e ansioso flusso dei miei pensieri fu interrotto quando mi fermai ad aspettare con gli altri due che Bianca, armeggiando con un grosso mazzo di chiavi, aprisse il portone in acciaio da cui saremmo ufficialmente entrate nell’Accademia. Invece di continuare a preoccuparmi, le mie facoltà mentali andarono semplicemente a farsi benedire e rimasi sola con il vuoto nella mia testa. Erano meglio i problemi che mi stavo facendo prima.
La Capopalestra trovò due o tre chiavi che facevano al caso suo e poco dopo udii il preoccupante cigolio emesso dal portone, che palesemente di rado veniva utilizzato. «Abbiamo anche altri mezzi, come i Pokémon Volante… o Terra, a volte» disse lei. Ovvio, i Pokémon Volante e Terra. A malapena mi ricordavo quattro o cinque dei Tipi in cui erano suddivisi i Pokémon e in più avevo totalmente rimosso quanti fossero in totale.
Un lungo e largo corridoio, illuminato da una sgradevole luce giallognola rigorosamente artificiale, si presentò ai nostri occhi. In fondo c’era una porta senza alcuna indicazione. Notai subito delle scale che portavano ai piani superiori ma anche a uno o più inferiori. Di un ascensore neanche la traccia: dovevamo farci una sfacchinata su o giù per le scale caricandoci tutti i nostri bagagli, infinitamente pesanti? Al solo pensiero le mie gambe, la schiena, le braccia imploravano pietà, già distrutte dalla tensione a cui ero stata sottoposta psicologicamente.
«Bene, vi accompagno in presidenza e mentre fate il colloquio io e Gold vediamo dove portare le vostre cose.»
“Ottimo, non mi devo porre il primo problema della giornata. No, aspetta… cosa?! La presidenza?”
«Che colloquio dovremmo fare nella presidenza?» chiese Chiara. Viva la telepatia.
«Oh, devono conoscere direttamente da voi i dettagli della vostra entrata nel mondo Pokémon e quale livello di conoscenze avete. Non fate fare brutta figura a me e Gold, qualsiasi cosa vi dicano mostratevi preparate!» scherzò. Feci un risolino nervoso desiderando di tappare la bocca della Capopalestra che non era stata affatto divertente, risolino che costrinse Chiara a fermarsi un momento, appoggiata al muro, mentre le sue vere risate si placavano. Quasi indifferente al tutto, Bianca continuò: «Quindi organizzeranno le vostre lezioni, vedendo a che punto siete, e probabilmente vi manderanno quasi subito a prendere un Pokémon…»
Dopodiché le mie orecchie si rifiutarono di ascoltare gli altri dettagli che, in confronto con la notizia che ci era stata appena data, mi apparivano come assolutamente privi di senso. Meglio, di importanza. Ci avrebbero subito dato un Pokémon e noi non avevamo ancora un minimo di preparazione in più su come dovessero essere tenuti e trattati. Dimenticai le brevi rassicurazioni fatte a chiara e quelle avute da Bianca. Avevo voglia di andarmene e dimenticare tutto: la nostalgia e la paura si facevano sempre più pesanti.
Ma nonostante quella pesantezza che avrebbe dovuto tenermi bloccata nel punto in cui mi trovavo, schiacciarmi sotto la sua gravità, riuscii a muovere dei passi verso quella porta in fondo che evidentemente era la presidenza. O qualunque cosa fosse che si avvicinasse, anche solo lontanamente, a un normale ufficio di una scuola normale. Con persone normali e materie di studio normali. Ma in che tipo di posto ero finita veramente?
Bianca bussò discretamente alla porta e chiese permesso. Una rauca voce maschile le concesse di entrare: non riuscii a sentire quello che si dissero sottovoce, rimasta indietro di qualche passo insieme a Chiara. Non guardai nemmeno la mia amica, troppo concentrata sul forte batticuore che avevo. Bianca salutò e lasciò il posto a noi, ammiccando in segno d’incoraggiamento. Mi parve l’ennesima condanna alla mia segregazione in quella caserma.
Chiara, vedendomi così turbata - probabilmente non lo ero mai stata tanto in vita mia, decise di farsi avanti prima di me. Prese un respiro profondo, però, facendomi capire quanto anche lei fosse preoccupata. E subito ebbi i sensi di colpa per averla lasciata andare per prima: ero la maggiore delle due e avrei dovuto essere io a fare strada. O forse era meglio non aggiungere anche quelle brutte sensazioni al tutto, altrimenti sarei scoppiata a piangere - o a ridere, le opzioni erano quelle due - davanti al cosiddetto preside.
Era un uomo abbastanza anziano seduto dietro un’imponente scrivania, ma subito si alzò quando Chiara mosse il primo passo dentro l’angusta stanza. Nei nostri incontri successivi capii che per lui stare seduto era più che altro una costrizione, visto che ogni occasione era buona per muoversi. Si presentò come Aristide, Capopalestra della città di Boreduopoli specializzato nei Pokémon Drago. Non ero mai stata in quella città, a Unima ci ero andata una volta o due: avevo visitato Austropoli, la capitale economica e politica, e Sciroccopoli, la capitale del divertimento.
Aveva una folta barba bianca che quasi gli nascondeva la bocca e capelli dello stesso colore, in contrasto con la pelle scura. Fisicamente, nonostante l’età - doveva avere quasi settant’anni, era messo benone. In passato doveva essere stato sicuramente un bell’uomo, però la sua espressione corrucciata e severa non m’ispirava affatto.
Ci chiese i nostri nomi, la provenienza e se ci conoscessimo tra noi due. La risposta fu quasi all’unisono: «Lei è la mia migliore amica.» Ci scambiammo un’occhiata e un sorrisetto meno nervoso.
Aristide inarcò leggermente le sopracciglia nel sentire il piccolo coretto in risposta. Il motivo della voce rauca era suggerito da un forte odore di fumo e dal posacenere occupato dai resti di un sigaro. La finestra era aperta per far arieggiare la stanza ed era abbastanza grande, nonostante le altre mi fossero sembrate piccolissime.
«Quando avete scoperto il cosiddetto mondo dei Pokémon?»
«Ehm… l’altroieri circa.» Mi imbarazzai non poco a rispondere a quella domanda.
«E le vostre conoscenze come sono messe? Certo, farete la maggior parte delle scoperte con la pratica sul campo di lotta, ma le basi ve le hanno fornite? Combinazioni di tipi, mosse, Poké Ball, evoluzione e metodi…?»
Annuimmo sia io che Chiara dando per imparato, magari inconsapevolmente, tutto quello che l’uomo diceva, sperando di non dover smentire con i fatti le conferme che gli stavamo dando.
Però Aristide non era un nonnetto facilmente traibile in inganno. Appena socchiuse gli occhi capii che era più che sospettoso delle nostre conoscenze. «Quali Pokémon avete incontrato finora?» chiese.
Solo quello ci mise in difficoltà: sforzando la mia memoria richiamai alla mia mente i Pokémon fino ad allora incontrati. «Snover, Weavile… poi, ehm, Dratini, Squirtle… e Quilava.» “Credo.”
«Quali sono i tipi di Weavile?»
«Ghia… Ghiaccio e… e Buio…?» “Chiara, per la miseria, aiutami!” La mia amica se ne stava zitta e ora me la stava facendo pagare per prima, perché avevo fatto inaugurare a lei l’ingresso nella presidenza.
«E le sue debolezze quali sono?»
Seguì un silenzio notevolmente imbarazzato. Non mi presi la briga di interromperlo ma gettai uno sguardo di sbieco a Chiara, parecchio rossa in viso. Fu Aristide a sospirare lievemente e a proseguire: «Be’, come ho già detto, la maggior parte delle cose le imparerete con la pratica… è anche vero che, in due giorni, parlare e basta di qualcosa rende tutto molto effimero. Non mi stupisce che ancora non sappiate praticamente nulla.»
Be’, almeno non si sarebbe arrabbiato con nessuno. Forse non ci sarebbe andata così male quel primo giorno.
«Comunque avete bisogno di almeno un Pokémon per qualsiasi evenienza o bisogno ci possa essere,» aggiunse, «così potrete iniziare fin da subito ad allenarvi e a conoscere i vostri futuri compagni. Aspettate Bianca e fatevi portare nella stanza che vi è stata assegnata, poi da lì andate all’ultimo piano. Incontrete uno dei Professori Pokémon più anziani e più in vista di Sinnoh, Rowan, che potrà aiutarvi nella scelta. Tutto chiaro?»
Annuimmo. Sentivo che le mie mani iniziavano a sudare per la preoccupazione e sperai che Aristide non si accorgesse del disagio che io, e probabilmente anche Chiara, stavo provando. Ma mi sembrava troppo sveglio per non fare caso a quanto fossi preoccupata, difatti mi guardò a lungo: mi sentii ancora più preoccupata. Ci congedò e aspettammo che Bianca tornasse. Quando arrivò salimmo le scale in cerca del nostro posticino nell’Accademia.







Angolo ottuso di un'autrice ottusa
Eh eh eccomi qua con un altro aggiornamento. Sono leggermente in anticipo perché questo pomeriggio parto e domani non credo avrei avuto modo di aggiornare. O meglio, sì, e infatti probabilmente mentre sarò in vacanza in montagna aggiornerò un'altra volta con il prossimo capitolo; però domani credo proprio che non ci sarei riuscita (?).
In realtà sono un po' indecisa se aggiornare anche sabato prossimo o saltare quella settimana per rimandare a fine agosto/inizio settembre, quindi appena sarò di ritorno e avrò il pc. Posso passarmi il prossimo capitolo con tutto l'HTML sul telefono, l'ho già fatto una volta e ha funzionato; se a voi va bene (?) e se avrò wifi e modo di farlo, allora posterò anche il quarto capitolo. Spero che questo terzo vi sia piaciuto.
Devo dire che sono un po' indecisa su questa storia. Non so, sto cercando di rallentare tutto per curare l'entrata nel mondo Pokémon e rendere il tutto il più verosimile possibile, ma non so se ci sto riuscendo. Ditemi voi se c'è qualcosa da migliorare o se vi sembra abbastanza reale la situazione della storia.
Se riceverò recensioni in queste due settimane non potrò rispondere, al massimo le leggerò. Il 31/1° settembre mi metterò d'impegno per rispondere.
Allora niente. Vi saluto e ci risentiamo la prossima volta. Nel prossimo capitolo non ci sarà l'angolo ottuso, ma non credo serva stavolta, quindi... ciccia (?). Baci!
Ink
  
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