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Autore: Elissa_Bane    14/08/2015    1 recensioni
Seguito di "Cercatevi una stanza".
Questo è ciò che accade, un anno dopo l'epilogo.
E' una storia sull'amore.
Perchè l'amore è il primo motore del nostro mondo. Ed è in nome dell'amore che si compiono i gesti più belli e quelli più terribili.
[dal prologo]
Ho capito che non puoi meritare o meno l'amore. L'amore è un difetto chimico, una mutazione pericolosa quasi quanto un tumore, che ti si attacca prima ad una cellula e poi infetta tutto il resto, fino a portarti via anche il cuore. Tanti pensano che il cuore sia la prima cosa che l'amore ti porta via. Non è così: è l'ultima, e quando te ne accorgi ormai è troppo tardi.
Non lo puoi controllare, così come non puoi controllare le tempeste solari. L'amore non ha regole: non puoi scegliere a chi darlo, nè da chi riceverlo. Non puoi smettere di amare a tuo piacimento. Non puoi rifiutarti di amare, per quanto tu ti sforzi. Non puoi controllare l'amore, ed è per questo che ci fa così paura.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Deduction Is Easy, Life Is Not.'
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Nda: Salve gente! Perdonate il mio clamoroso ritardo, davvero, ma, oltre ad essere tornata da poco dalle vacanze (durante le quali non ho avuto la possibilità di accedere a internet) sto avendo qualche piccolo problema con uno dei prossimi capitoli. Perchè si, anche questa storia è quasi terminata (ne ho già altre tre in cantiere XD ). Per ora vi lascio alla lettura, ringraziandovi come sempre!
xxxxxxxx
-Dan


 

Capitolo 2

Tearing Apart.

Ovvero di urla, porte sbattute e fratelli.

 

And finding answers
Is forgetting all of the questions we called home
Passing the graves of the unknown.

As reason clouds my eyes, with splendor fading
Illusions of the sunlight
And a reflection of a lie, will keep me waiting
With love gone, for so long.

And this day's ending
Is the proof of time killing, all the faith I know
Knowing that faith is all I hold.

Passai tutta la notte a guardare Jude dormire serena, dimentica di quel mondo crudele che le aveva strappato il padre e la madre. Era così piccola e fragile nel sonno e quando stretta tra le mie braccia le sue ciglia avevano frullato un'ultima volta prima di chiudersi sugli occhi scuri avevo percepito una specie di stretta al cuore. Ma nella mia vigliaccheria preferivo pensare che fosse perché mi faceva quasi pena, quella bambina, piuttosto che ammettere quanto già la amassi e temessi che da un momento all'altro si facesse vivo un parente per portarla via con sé.
Allo stesso modo, cercavo di non pensare al dolore che leggevo benissimo negli occhi di Sherlock. Preferivo fingere di essere analfabeta e andare avanti con una vita che semplicemente ci logorava entrambi, sospesi tra parole non dette. Se non lo avessi fatto, avrei avuto solo due opzioni davanti a me: o dire di no, dirgli che non volevo sposarlo, dire un'ultima, grande bugia e poi andarmene, oppure accettare, rovinandogli la vita. Non sono mai stata una persona facile e dopo Jim, Francesca, Molly e Marta le cose non hanno fatto altro che peggiorare. So benissimo che non avrei rovinato affatto la sua vita, ma il mio cuore non voleva capirlo. Restava qualcosa, bloccato nel mio Mind Palace, un residuo di buio e di dolore che urlava e strepitava legato da catene di ferro che si agitavano e rimbombavano e quel qualcosa, che aveva il viso di Josh, il viso di chi mi aveva fatto comprendere davvero quanto sia pericoloso l'amore, rideva dicendomi che non ero abbastanza. Che non sarei mai stata abbastanza. E allora ci credevo, perché preferivo pensare di non andare bene per Sherlock, perché la vita mi aveva insegnato solo una cosa che già non sapessi grazie alla mia mente: non ti fidare mai della felicità. Preferivo passare la notte stringendo un piccolo corpo di bambina nel buio di una stanza, da sola con me stessa e il suo respiro e le migliaia di immagini che la mia mente raccoglieva per ogni istante in cui la guardavo, piuttosto che scendere al piano di sotto e affrontare il mio compagno.

Eppure, alla fine dovetti fare anche quello. Sorse l'alba sui tetti di Londra, mentre finalmente smetteva di piovere e io scesi al piano di sotto, rabbrividendo di freddo nella camicia da notte blu. Sherlock mi aspettava, come avevo immaginato, seduto sulla sua poltrona, una tazza di the in mano. Non aveva preparato il caffè, quel piccolo vizio che mi regalava ormai da mesi. Aveva scritto a lungo, lo notavo dalle due macchie d'inchiostro sull'anulare destro, e aveva parlato a Teschio, spostato rispetto alla sera prima. Non aveva dormito.
«Avresti dovuto dormire» lo rimproverai con voce fredda, mentre accendevo il fuoco sotto la caffettiera.
«Dove sei stata tutta la notte?» mi chiese, senza guardarmi.
«Ho guardato Jude dormire» ammisi, sedendomi di fronte a lui. I suoi occhi non si staccarono dalla finestra e questo mi fece capire quanto male andassero le cose. Sherlock mi guardava sempre, anche quando litigavamo e proprio ora sceglieva di nascondersi da me. Allora non lo sapevo il perché, ma lo avrei scoperto presto.
«Stanotte sono andato al Bart's. Giulia mi ha detto di darti degli esami.» continuò, indicando una busta sul tavolino.
«Grazie.»
«Perchè?» domandò ad un certo punto, incrinando quel silenzio sottile caduto su di noi.
«Perchè mi sentivo strana» dissi, tentando di fingere di non capire la domanda. Fu quella, credo, la goccia che fece traboccare il vaso. Sherlock scattò in piedi, voltandosi a guardarmi di nuovo, gli occhi accesi di furia.
«Smettila! Cazzo, Cecilia, adesso basta!» urlò, imprecando. Sherlock, sempre così controllato, quasi da star male, che imprecava. «Ti prego. Se non lo vuoi, dimmelo, ma dammi una risposta! Non posso andare avanti così! È perché non ti ho mai detto che ti amo? È per quello?» domandò, senza chiedermelo davvero «Ti ho dimostrato meglio che potevo quanto ti amassi e tu lo sai! Non riesco a parlare, eppure ho sempre fatto in modo che tu lo sapessi! Hai davvero bisogno di stupide parole gettate al vento, parole inutili che morirebbero ancor prima di raggiungere la tua mente? Bene, allora te lo dico adesso: io ti amo. Ti amo, e vorrei che non fosse così.» sospirò sconsolato, alzandomi di nuovo addosso i suoi occhi, quegli occhi che mi aveva tenuto nascosti, perché nell'istante in cui me li aveva mostrati si era scoperto. I suoi occhi, che da troppo tempo guardavo solo superficialmente, perché lui era Sherlock e io lo conoscevo così bene, oh quegli occhi mostravano apertamente tutto il loro amore, il loro sconsiderato, malsano e probabilmente folle amore che lo aveva addirittura spinto a farmi affidare una bambina, solo perché aveva capito che lo desideravo. Non mi diede nemmeno il tempo di razionalizzare la caterva di emozioni che mi aveva scaricato addosso, che la porta si richiuse con un orribile suono che sembrava definitivo dietro di lui, fuggito chissà dove.

Rimasi seduta lì, con il cuore che faceva male, da tanto forte batteva nel petto, le lacrime che mi incendiavano gli occhi e il respiro che mi si accartocciava nel petto. Ma restai immobile e aspettai che il sole fosse completamente sorto, prima di alzarmi ed entrare in quella che un tempo era stata la mia camera, dove Jude aveva dormito. I suoi occhi, già vispi e attenti, scrutarono il mio viso e aprì le braccia paffutelle, in cerca di un abbraccio, mentre le lacrime riempivano il suo e il mio campo visivo. La afferrai, stringendomela forte addosso, il suo cuoricino che batteva impazzito contro le costole mentre piangeva, conscia infine che quella era la realtà e che la sua mamma non sarebbe mai tornata. I singhiozzi sconquassavano il suo piccolo corpo e lei si aggrappò a me, che finalmente lasciai andare le lacrime che avevo trattenuto. Stette accoccolata su di me a lungo, di nuovo bambina e non la piccola, forte adulta che sembrava il giorno prima. Non ricevetti notizie da Sherlock, se non per un brevissimo messaggio.

Prenditi cura di entrambe. SH

 

Uscii di casa con una sensazione, che avevo imparato a riconoscere in tanti mesi, opprimente dentro al petto. Forse ero stato troppo diretto, ma da quando lei era entrata nella mia vita, scavandosi a fatica e a forza uno spazio dentro di me, qualcosa era cambiato. E non potevo più aspettare.
Decisi di andarmene, mi sembrava la soluzione migliore. Avrei avuto più tempo per dedicarmi al caso, così Jude sarebbe di nuovo stata libera di essere sballottata da una casa famiglia all'altra e io e Cecilia avremmo finalmente risolto la questione, in un modo o nell'altro. Andai a rifugiarmi in uno dei pochi posti dove ero certo di poter lavorare indisturbato, il Bart's, e mi rimisi a pensare al caso. C'era qualcosa che doveva essermi sfuggito. Qualcosa a cui non avevo prestato abbastanza attenzione. Rimasi a fissare la finestra e il mio pensiero tornò a Cecilia e a Jude, a casa. Jude... Jude, che preferiva quando a toccarla era Cecilia. Jude, che da me non si lasciava abbracciare. Jude, che aveva parlato per prima con Cecilia. Per Cecilia.
Jude sapeva che l'uomo che chiamava padre non lo era davvero. Qualcuno glielo doveva aver detto, probabilmente lui stesso in un momento di rabbia, e lei si era rifugiata nell'unica certezza che ancora aveva: la madre. Una volta toltale anche quella, era arrivata Cecilia, nonostante la reazione più naturale, ammesso che sapesse chi fosse il padre naturale, sarebbe stata quella di reagire solo alla sua presenza.
A meno che non fosse il padre l'assassino.

 

Erano da poco passato mezzogiorno, quando suonò il campanello. Alla porta c'era proprio chi pensavo: James. Mio fratello. Gli sorrisi, con uno di quei sorrisi che riservo solo a lui, nel quale so che si mescolano in ugual misura affetto, rabbia, accettazione e perdono. Sorrise in risposta, chiedendomi come sempre scusa con quel suo sorriso triste e accettò l'offerta di sedersi con me e prendere un the. Era da tempo che sapevo che aveva anche lui, come Mycroft, piazzato delle spie intorno a me, non per attaccarmi, ma per difendermi. Ne ero consapevole e la cosa non mi faceva né caldo né freddo, come le mie cicatrici. Avevo già perdonato James, senza che cercasse ancora il mio perdono con queste stupide dimostrazioni di affetto e senza che mi regalasse informazioni che avrei potuto usare contro di lui. Si sedette con la solita delicatezza quasi femminea e incurvò un angolo della bocca verso l'alto, sentendo il rumore dei passetti di Jude scendere dalle scale e fermarsi davanti alla porta.
«Jude» la chiamai con voce dolce «Vieni qui.» la bambina si fece avanti intimorita da mio fratello, che la guardava con uno sguardo che avevo visto solo un'altra volta nella mia vita. Era divertito.
Jude si aggrappò alle mie gambe e ci si sedette sopra, posando la testa sulla mia clavicola.
«Perchè sei qui, James?» gli domandai. Non era ancora passato un mese dall'ultima volta che ci eravamo visti.
«Vi voglio aiutare. L'uomo che state cercando è venuto a chiedermi aiuto. Gliel'ho negato. Non toglierei mai una madre ad una figlia.» Annuii, sentendo la mano di Jude posarsi fresca nella mia.
«Perchè ci stai aiutando? Perché vuoi che io ti perdoni? L'ho già fatto, James.»
«Lo so» ammiccò «Penso di essere stato per troppo tempo il tuo demone. Forse è ora che diventi il tuo angelo custode. Certo, questo non vuol dire che ho rinunciato alla mia attività, né che sono diventato un uomo onesto. Ma tu sei mia sorella.» continuò, mentre lo vedevo analizzare le mie occhiaie e gli occhi lucidi di pianto. «Avete litigato, vero, piccioncini?» Non gli risposi, guardando fuori dalla finestra.
«Stai con uno nuovo. Hai già dimenticato Josh?» ribattei.
«Non ho mai voluto Josh, lo sai. Era una delle mie pedine» rispose senza scomporsi «Si chiama Sebastian. È un cecchino. Stavamo insieme da prima di Josh.» continuò, regalandomi preziosissime informazioni. Annuii, facendogli capire di aver compreso la portata del suo gesto, e sorrisi.
«Spero che tu sia felice.»
«Io lo sono. Tu no.»
Tornai a guardare fuori dalla finestra. «Sherlock se n'è andato.»
Non rispose, continuando a sorseggiare il suo the. Poco dopo sentii un paio di labbra fredde sulla mia guancia. Mio fratello se n'era andato.

 

«Sheeeeerlock» sentii la sua voce ben dopo i suoi passi. Moriarty era di fronte a me, appoggiato al bancone. «Perchè sei scappato? Mia sorella ha bisogno di te.»
«Stamane non mi è parso così»
«Stupido idiota» rise «E' ovvio che non te lo mostrerà mai. L'ho ferita troppo perché lo possa fare. Ho intenzione di aiutarti, così risolverai in fretta questa cosa e tornerai da lei come hai sempre fatto.»
«Non ho bisogno del tuo aiuto.»
I suoi occhi scintillarono gelidamente. «Non lo sto di certo facendo per te. E ricorda a mia sorella di aprire le analisi che le ha mandato Giulia.»
Mossi la mano con un gesto distratto, sentendo un rumore di fogli. Quando rialzai lo sguardo dal miscroscopio, sul tavolo c'erano degli esami del sangue. Ma guardando meglio, mi accorsi che era un test di paternità.

  
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