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Autore: Miss Y    15/08/2015    2 recensioni
"- Sarebbero solo dieci giorni, Eli, - si giustificò mentre usciva dall’ascensore prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, - considerala una vacanza.
- Eccetto che non è una vacanza, Alicia, stai andando a difendere un serial killer. Come credi che gioverebbe all’immagine di Peter?
Alicia entrò in auto e si sedette, appoggiando il telefono in vivavoce sul cruscotto e abbandonandosi contro il sedile di pelle.
- Perché credi che tutto quello che faccio vada a discapito di Peter? – domandò poi, mal celando una venatura infastidita della voce. – E’ un caso come un altro. Farà guadagnare più visibilità allo studio, e comunque farà più scalpore in Maryland che qui.
- Stai scherzando, spero – l’ironia irritata della voce di Eli era inconfondibile, - cosa pensi che siano nati a fare i tabloid? Peter perderebbe l’appoggio delle famiglie e degli elettori anziani. Nessuno si sente al sicuro con un Governatore di Stato che appoggia gli assassini seriali.
- Non stiamo appoggiando nessuno. Soprattutto non Peter. E’ una mia decisione, non ha niente a che fare con mio marito. Volo a Baltimora domani mattina."
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alana Bloom, Freddie Lounds, Hannibal Lecter, Will Graham
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- La signorina Freddie Lounds?
 
Il sole stava tramontando dietro le case della periferia di Baltimora quando Kalinda Sharma bussò alla porta dell’appartamento della giornalista del TattleCrime.com. Il primo dettaglio che colpì l’investigatrice dell’apparenza della giovane donna fu il suo colore di capelli, un rosso acceso troppo omogeneo per essere frutto di tintura. Due attenti occhi celesti la scrutavano da sopra gli zigomi alti. Freddie Lounds non sembrava affatto una sprovveduta. Il suo sguardo era intelligente e acuto, il suo aspetto curato. Kalinda non poté fare a meno di pensare che era molto attraente.
 
- Lei è Kalinda Sharma?
La sua voce era leggera e vellutata, dall’accento leggermente trascinato.
 Kalinda annuì brevemente, e la giornalista si fece da parte per lasciarla entrare.
 - Si accomodi. Vuole qualcosa da bere? Ho un ottimo whiskey.
- Volentieri –
Kalinda seguì i movimenti di Freddie con lo sguardo mentre la donna si dirigeva in cucina; quindi iniziò a darsi una rapida occhiata in giro, cercando di ottenere dettagli sulla vita e sugli interessi della giornalista. Sul tavolino da caffè davanti al divano c’era un laptop e un blocco degli appunti, sugli scaffali libri di giornalisti famosi e dai metodi discutibili.
 
Quando la giovane donna tornò con due bicchieri di whiskey e una bottiglia mezza piena, fece cenno a Kalinda di sedersi sul divano e si accomodò sulla poltrona davanti a lei dopo aver posato la bottiglia sul tavolo accanto al portatile.
Kalinda prese un bicchiere con attenzione e annusò discretamente il liquore prima di prendere un sorso.
 
- Allora, signorina Sharma…
- Kalinda, la prego.
Lo sguardo di Freddie scintillò per un secondo, - Kalinda, allora. Quali sono esattamente queste… essenziali informazioni di cui io sarei al corrente?
- Speravo che potesse aiutarmi ad avere un’idea più ampia della situazione.
- In che termini?
- Nello specifico, - Kalinda alzò lo sguardo sugli occhi chiari della giornalista, - ho assoluto e urgente bisogno di informazioni su Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom.
Freddie sospirò teatralmente e accavallò le gambe incrociando le braccia al petto.
- Sarebbe così gentile da ricordarmi per chi lavora, Kalinda?
- Per Alicia Florrick. L’avvocato di Hannibal Lecter.
 
Le labbra della giornalista si arcuarono per un secondo in un sorriso soddisfatto, e la donna si piegò in avanti poggiando i gomiti sulle ginocchia per prendere il proprio bicchiere.  
 
- Giusto, la signora Florrick. Ho parecchi colleghi in Illinois che pagherebbero fior di quattrini per avere un’intervista con la moglie del Governatore Florrick.
- Sono sicura che Alicia sarebbe felice di parlare con lei per qualche minuto se lei potesse aiutarla nel processo – suggerì pacatamente Kalinda con sguardo allusivo. Freddie abbassò gli occhi continuando a sorridere e si accarezzò le labbra con le punte delle dita.
 
Kalinda ebbe un fremito, ma lo nascose sistemandosi la gonna sulle gambe.
 
- Che tipo di informazioni le servono, Kalinda?
- Qualsiasi cosa di non ufficiale che possa screditare le testimonianze. Sappiamo dell’encefalite di Will Graham e del tentato omicidio da parte del dottor Lecter, così come sappiamo che Jack Crawford stesso è stato quasi ucciso. Non sono dati sufficienti, purtroppo, per un processo, come lei ben sa.
 
Freddie si limitò ad annuire brevemente.
 
- Lei mi sembra una persona seria, Kalinda. Spero che queste nostre… confidenze rimangano tra di noi.
- Certamente.
- La ragazza che è morta a casa del dottor Lecter un anno fa, se ne ricorda il nome? Abigail Hobbs, - si fermò per osservare la reazione di Kalinda, che si limitò ad annuire, - era come una figlia per il signor Graham. Da quando lui ha ucciso suo padre durante un’indagine ha preso la ragazza molto a cuore, tanto da sostituirsi, almeno psicologicamente, alla figura del suo vero padre. Hannibal Lecter l’ha tenuta prigioniera per quasi un anno, e poi l’ha uccisa, sgozzandola davanti a Will Graham, ferito e inerme. Lei non crede che questo sia un movente più che sufficiente a testimoniare affinché Lecter venga condannato a morte?
 
Kalinda ascoltò con attenzione e infine sorrise. Era il tipo di informazione che stava cercando. Una intera testimonianza poteva cadere.
 
- Come fa a conoscere questi particolari, signorina Lounds?
- Io ed Abigail eravamo, per così dire, amiche. Mi aveva pregato di aiutarla a scrivere un libro sulla sua esperienza traumatica, prima di sparire nel nulla.
- Crede che il collegamento con Abigail possa far vacillare tutte e tre le testimonianze?
- No, - Freddie Lounds scosse il capo, e i riccioli ordinati si sparsero sulle sue spalle, catturando l’attenzione di Kalinda, - se è vero che Alana Bloom era legata ad Abigail in un certo senso, sarebbe molto più difficile far vacillare la sua testimonianza su queste basi. E per Jack Crawford questo non vale affatto.
- Che cosa, allora?
- Non si preoccupi di Jack Crawford, Kalinda… La giuria stessa non terrà in considerazione la sua testimonianza. E’ stato un passo falso, da parte dell’accusa, ammetterlo tra i testimoni.
- Lei crede?
- Assolutamente. – Freddie sorrise, - ha già testimoniato a sfavore di Will Graham nel processo che lo accusava dei crimini commessi da Lecter. Ha incarcerato il dottor Frederick Chilton per lo stesso motivo, mettendo a repentaglio la sua vita quando un’agente dell’FBI l’ha scambiato per Lecter e gli ha sparato. No, Jack Crawford non è il testimone-chiave della vicenda. Se posso azzardare una considerazione, - lo sguardo della giornalista si fece più acuto e Kalinda più attenta, - l’accusa punta tutto sulla dottoressa Alana Bloom. Punta di diamante dell’università di Georgetown, la Bloom è stata a lungo a stretto contatto con il dottor Lecter, tanto da, secondo l’accusa, poterne garantire la sanità mentale. E’ la sua testimonianza che dovrete colpire più di qualunque altra.
 
Kalinda, a quel punto, era profondamente incuriosita. La Lounds se ne accorse e si alzò con un sorriso, sollevando un braccio in sua direzione. – Ha finito il whiskey?
- Sì – Kalinda si riscosse e le passò il bicchiere. Era evidente che fosse un diversivo per tenere alta la tensione. Tutto di quella donna urlava narcisismo, ma Kalinda non poteva dire che la infastidisse. Al contrario, la trovava estremamente interessante.
 
Quando la giornalista ebbe riempito entrambi i bicchieri, invece di tornare a sedersi sulla poltrona, si accomodò sul divano accanto a Kalinda. Il suo profumo era delicato e fresco, quasi ingenuo, in contrasto con la personalità della donna, che di ingenuo non aveva assolutamente nulla.
 
- Dov’eravamo rimaste?
Kalinda abbassò brevemente lo sguardo sulle sue labbra, ma fu un attimo soltanto.
- Alla dottoressa Bloom – le ricordò poi in tono paziente, come se non avesse fatto altro che pensare alla conversazione interrotta pochi secondi prima.
- Giusto… la dottoressa Bloom. Me n’ero quasi dimenticata. – Kalinda ebbe l’impressione che Freddie la stesse prendendo velatamente in giro e si trovò più divertita che offesa. Era un gioco che si poteva fare in due. Kalinda svuotò il secondo bicchiere e si sporse a posarlo sul tavolino da caffè.
- Mi sembra… distratta. C’è qualcosa in particolare che la distrae, signorina Lounds?
Freddie la osservò a lungo prima di rispondere. Era sia una provocazione che un’insinuazione, ed entrambe ne erano consapevoli.  A Kalinda piacque il mezzo sorriso sornione che si allargò sulle labbra della giornalista.
 
- No, niente affatto. Allora. La dottoressa Bloom... Ma questa è un’informazione molto, molto, molto confidenziale… non so quanto sia eticamente corretto da parte mia comunicargliela, Kalinda.
La sua voce assunse una tonalità più profonda, e all’investigatrice le sue allusioni parvero sempre meno velate. Kalinda si mordicchiò l’interno del labbro inferiore e accavallò le gambe.
 
- Crede che io non sappia tenere un segreto, signorina Lounds?
Freddie rise. La sua risata era seducente.
- A dirla tutta, lei non mi sembra affatto il tipo di persona che mantiene i segreti. Senza offesa, è chiaro.
- Nessuna offesa.
- Ci mancherebbe. Le pare? Divulgare segreti è il suo lavoro. – nel pronunciare le ultime parole, Freddie abbassò brevemente lo sguardo sulle labbra di Kalinda. Quando lo risollevò sui suoi occhi, le sue intenzioni erano chiare.
- E’ anche il suo, se non sbaglio. – la voce di Kalinda era una carezza. La giornalista le si avvicinò ancora chinandosi lievemente in avanti.
- Non sbaglia. Abbiamo più cose in comune di quanto pensassi.
Kalinda fermò il proprio viso a meno di una spanna da quello della giovane donna seduta accanto a lei, e riportò lo sguardo sui suoi occhi.
- Non mi piacciono le storie senza un finale, signorina Lounds… - commentò a mezza voce, - che cosa nasconde la dottoressa Bloom?
 
Freddie si ritrasse sorridendo, mal celando una nota di fastidio.
Non erano state abbastanza vicine perché il bacio imminente fosse palese, ma la tensione era palpabile e Kalinda sapeva, sotto la giacca rossa, di avere la pelle d’oca.
 
- E’ fortunata ad essere venuta a parlare con me. Non sono in molti a conoscere questo risvolto ufficioso della storia. La dottoressa Bloom e il dottor Lecter avevano una relazione.
Kalinda rimase in silenzio, colpita. Non aveva messo in conto che l’assassino a sangue freddo di decine di persone potesse avere avuto relazioni sentimentali con degli esseri umani. Freddie sorrise alla sua reazione.
- Già. Per diversi mesi sono andati a letto insieme, e la “punta di diamante” dell’università di Georgetown non si è resa conto di avere a che fare con un serial killer. Che tipo di pretese può avanzare sul suo profilo psicologico se non è stata nemmeno in grado di rendersi conto che c’era qualcosa che non andava in lui?
 
Kalinda aveva smesso di guardarla da metà della frase e si era sporta oltre il divano per prendere il telefono nella borsa.
 
- Vuole scusarmi un secondo?
Freddie sorrise ironicamente e la invitò a fare pure con un cenno della mano.
Kalinda si alzò dal divano e uscì dalla stanza.
 
Alicia rispose al primo squillo.
- Kalinda? Non ti sento bene, sono fuori.
Sotto la sua voce, il brusio di una folla. Forse era in un ristorante, o in un locale.
- Ciao, Alicia. Ho parlato con Freddie Lounds.
Sentì dei passi leggeri dietro di sé, ma non si voltò.
- Con chi?
Sentì le mani fresche della giornalista sfiorarle il collo e poi le sue labbra, tiepide, appena accanto alla spalla.
- Con la giornalista del TattleCrime. Ha delle notizie, - dovette fermarsi per trattenere un sospiro, - molto interessanti.
- Davvero?
- Will Graham avrebbe motivo di mentire sul dottor Lecter perché, - altra pausa, - è lungo da spiegare. Possiamo parlarne domani di persona?
Alicia era sorpresa, ma non commentò.
- Certo. Ma perché non stasera all’hotel?
- No, sono… sono fuori città. Torno tardi. Comunque abbiamo notizie a sufficienza per far crollare le loro testimonianze.
- Ottimo lavoro, Kalinda. A domani.
- A domani, Alicia.
 
Kalinda si voltò verso Freddie mordendosi il labbro inferiore. Gli occhi azzurro ghiaccio della giornalista scintillavano sornioni sotto la luce soffusa del corridoio.
- La signora Florrick era contenta delle informazioni? E’ valsa la pena farle fare tutta questa strada fino a qui? – domandò abbozzando un sorriso soddisfatto.
-  Lo spero. – rispose Kalinda socchiudendo le palpebre.
- Spera bene. –
 
Le labbra di Freddie Lounds sapevano di rossetto e bugie, e Kalinda ebbe l’impressione che quel sapore fosse uno dei segreti che la giornalista aveva deciso di condividere con lei in quella limpida sera di fine maggio.
 
**
 
- Buongiorno, signora Florrick. 
 
La luce dorata del sole mattutino colava nella stanza attraverso l’unica finestra, proiettando danze luminose sulla parete opposta. Lo psichiatra era seduto esattamente dove Alicia lo aveva visto per l’ultima volta due giorni prima; l’avvocato ebbe l’angosciosa sensazione che non si fosse mai mosso.
La seguì attentamente con lo sguardo mentre lei si avvicinava al tavolo e si sedeva.
 
- Dottor Lecter, lei non è stato onesto con me. – esordì Alicia fissando gli occhi nelle sue iridi scure.
L’uomo rimase in silenzio e si limitò a restituirle lo sguardo, come se stesse aspettando che continuasse a parlare.
- Crede che tutto questo sia uno scherzo? E’ con la sua stessa vita che sta giocando, dottore. 
- Lei crede che io abbia paura della morte. – fu più una constatazione che una domanda, e Alicia si ritrovò a boccheggiare per un istante, sorpresa.
- Tutti ne abbiamo paura.
- Se non avessi messo in conto la possibilità di venir giustiziato non mi sarei consegnato alle forze dell’ordine, signora Florrick.
- Se non sperasse di evitarla, tuttavia, io non sarei qui.
 
Il dottor Lecter concordò con un cenno del capo.
Alicia nascose un moto di rabbia mentre si sedeva.
 
- Non mi piace perdere il mio tempo, dottore, - comunicò in tono serio, - o le mie risorse. Sono venuta a sapere con grande fatica di dettagli compromettenti sui testimoni dell’accusa che lei avrebbe potuto facilmente comunicarmi in pochi minuti.
 
Lo psichiatra si limitò a scrutarla. Non sembrava non aver capito, ma non sembrava nemmeno importargli. Non rispose. Nelle sue iridi scure si muovevano ombre inquietanti.
 
- Dottor Lecter, ci tengo a informarla che non posso offrirle un buon servizio se lei non collabora.
- Eppure ha ottenuto tutto quello che le serviva; con o senza il mio aiuto, è irrilevante.
- Non sono qui per discutere di filosofia. – Alicia cominciava ad innervosirsi, e non era facile dissimulare il fastidio, per quanto diplomatica si sforzasse di suonare. – Perdere una causa importante per colpa del mio stesso cliente non è una delle mie cose preferite da fare nei weekend.
Il dottor Lecter accennò un sorriso freddo e mosse la mano destra in segno di scuse. 
- Mi piace sapere chi ho davanti, signora Florrick, e spesso i fatti parlano molto meglio delle parole.
- Mi sta mettendo alla prova? – Alicia era sbalordita.
Il dottor Lecter non rispose, ma era chiaro a quel punto.
 
- Ci vediamo in tribunale, dottore. – lo salutò l’avvocato alzandosi, - e spero sinceramente per il suo stesso bene che non abbia omesso altre informazioni utili.
 
 
***
 
 
- Signora Florrick. Signor Polmar.
- Signor Olson. E’ un piacere rivederla.
- E’ sempre così melensa con i suoi avversari, signora Florrick? – Alicia giudicò la battuta come benevola e non si preoccupò di considerarsi offesa.
- Mi trova melensa? Io pensavo di essere soltanto cortese.
L’A.S.A. le fece l’occhiolino e  Alicia dovette trattenersi dal lanciare uno sguardo esasperato a Finn. Era sicura che stesse sorridendo, cercando di impedirsi di ridere.
 
L’entrata nell’aula dell’imputato fu accompagnata dal sollevarsi di un brusio concitato tra i presenti. Le file dietro i banchi di accusa e difesa erano gremite di gente, e nell’entrare in aula Alicia aveva riconosciuto con un’occhiata distratta Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom nella ultime file.
Il brusio cessò non appena Hannibal Lecter si avvicinò al banco della difesa scortato da quattro guardie armate. Ai detenuti era concesso vestirsi in abiti normali durante il proprio processo, e vedere lo psichiatra in doppio petto colpì Alicia molto di più di quando lo aveva visto nella divisa da prigioniero. Il completo, scuro e formale, sembrava cucito su misura, e Hannibal Lecter sembrava trovarsi completamente a suo agio in quegli abiti costosi e severi. Aveva un’espressione austera incisa sul viso che gli ombreggiava lo sguardo di una fierezza quasi ferina. I suoi occhi, scuri e intelligenti, squadravano ogni singolo presente con rapidità e metodo, quasi stesse cercando di schedare il pubblico. Era gelido e impassibile, e la sua sola presenza nelle vicinanze bastò alle prime file per zittirsi improvvisamente, come messe a tacere da una forza superiore. Nonappena le passò a fianco, il dottor Lecter rivolse ad Alicia un cenno educato della testa. La signora Florrick dovette riscuotersi rapidamente dalla propria riflessione per rispondere con un sorriso formale.
Il dottor Lecter fu scortato dietro il banco della difesa e fatto sedere tra Finn Polmar e la sedia vuota che spettava a lei; gli bastò sfiorare con le punte delle dita la sbarra che lo separava dalle panche del pubblico per far ritrarre in un sussulto un giornalista della prima fila, che si mosse verso destra con insistenza suscitando le lamentele infastidite dei vicini. Ad Alicia parve di vedere l’ombra di un sorriso allungarsi sul volto di pietra dell’imputato.
 
Hannibal si sporse leggermente verso Finn, cercando di porgergli la mano nonostante le manette.
- Non abbiamo avuto l’occasione di presentarci. Lei dev’essere l’avvocato Finn Polmar.
Contrariamente al resto dei presenti, Finn non sembrava intimorito dalla vicinanza dell’uomo. Gli strinse la mano e gli rivolse un sorriso educato. – La difenderemo meglio che potremo, dottor Lecter.
- Ne sono sicuro.
 
Le porte in fondo all’aula si aprirono per far entrare Kalinda, ma Alicia non fece in tempo ad andarle incontro perché fu annunciata l’entrata del giudice. Si affrettò a tornare al proprio posto accanto a Lecter, e, per la prima volta in piedi accanto a lui, si rese conto che la superava in altezza di dieci centimetri abbondanti.
 
- Tutti in piedi.
 
L’Onorevole Jeremy Ramsay fece la sua entrata in rapidità, incitando il pubblico a rimettersi seduto con un gesto sbrigativo della mano. Gli avvocati rimasero in piedi, e così l’imputato.
 
- Avvocati. – salutò il giudice con distacco formale. Non degnò di un’occhiata l’imputato, che parve accorgersene e mantenne lo sguardo fisso sull’uomo dietro il banco sopraelevato un istante più a lungo del dovuto.
- Bene. Ora che siamo tutti qui direi che possiamo procedere. A.S.A. Olson, chiami i suoi testimoni.
Olson abbassò lo sguardo sui propri appunti e li rimise in ordine rapidamente scambiandosi un’occhiata d’intesa con il suo collega.
Alicia si sistemò la gonna del tailleur sotto le gambe e si rimise a sedere.
 
- L’accusa chiama a testimoniare il signor Jack Crawford.
 
La testimonianza di Crawford fu semplice e piuttosto breve, ma non particolarmente utile all’accusa. L’uomo non aveva competenze mediche, per cui, per quanto il suo resoconto dimostrasse univocamente la colpevolezza oggettiva dello psichiatra, non poteva dimostrarne la sanità mentale. Quando l’avvocato dell’accusa tentò di farlo speculare sulle condizioni mentali del dottor Lecter, ad Alicia bastò una blanda obiezione e un richiamo al caso Graham per mettere a tacere entrambi. Il giudice non sembrò impressionato e il testimone tornò stancamente a sedersi tra il pubblico senza degnare l’imputato di uno sguardo.
 
- L’accusa chiama ora il signor Will Graham.  
 
L’uomo si alzò dall’ultima fila e procedette con passo calcolato verso il banco dei testimoni. Il dottor Lecter lo seguì con lo sguardo quando passò accanto al tavolo della difesa, ma il giovane non ricambiò l’occhiata neanche una volta seduto dietro al microfono. Si limitò a fissare l’assistente del Procuratore con vago interesse e a pronunciare il giuramento con voce atona.
 
- Signor Graham, - iniziò Olson uscendo dal banco dell’accusa e avvicinandosi al testimone, - può declamare le sue generalità per i signori della giuria? Nome, cognome e professione, per favore.
- William Graham, collaboratore speciale dell’FBI.
- Grazie. Ora, per cortesia, racconti come ha conosciuto l’imputato.
 
- Obiezione, Vostro Onore. Irrilevante. – Alicia evitò di alzarsi di scatto per non sembrare nervosa. Era la prima obiezione che opponeva ed era pressoché sicura che sarebbe stata respinta. Serviva in verità soltanto a far presente all’accusa che lei era pronta ad attaccare al minimo errore.
- Ci sto arrivando, Vostro Onore – rispose Olson diretto al giudice con un sorriso infastidito. Questi annuì pigramente.
- Respinta. Vada pure avanti, avvocato.  
 
Le domande erano semplici, le risposte secche. L’avvocato dell’accusa era bravo, e Graham poteva sembrare un buon testimone: era conciso, rapido e chiaro. Ma Alicia sapeva di poter trovare una falla nel suo discorso, che era ormai palesemente un copione recitato chissà qualche volte nell’ufficio del Procuratore. C’era qualcosa che Will Graham non stava dicendo, e Alicia sapeva che cos’era.
 
Per la maggior parte dell’interrogatorio rimase ad ascoltare attentamente, ma nulla che l’avvocato chiedesse al testimone la indusse ad intervenire. Tentò alcune obiezioni per sentito dire, ma furono respinte pigramente dal giudice.
Non c’era effettivamente nulla di azzardato nella linea d’interrogatorio dell’accusa.
 
- Come è avvenuta la cattura del dottor Lecter?
Graham si limitò a riportare neutralmente i fatti messi agli atti nei dossier dell’FBI, ma prima di terminare esitò per un istante, come se stesse indugiando sulla possibilità di aggiungere qualcosa.
- Non siamo stati noi, - disse infine, - a catturare Hannibal Lecter; è stato – il suo sguardo si spostò sui presenti fino a incatenarsi a quello dello psichiatra seduto accanto ad Alicia, - è stato lui stesso a consegnarsi a noi. Sa quello che fa e ne trae giovamento.
 
Le ultime parole pronunciate dal teste fecero intuire alla signora Florrick dove l’accusa volesse andare a parare: l’obiettivo era dimostrare la sanità mentale del dottor Lecter. Alicia si scostò i capelli dalla fronte.
 
- Signor Graham, la sua esperienza con molti criminali le ha certamente fornito una certa perizia nel definire lo status psicologico delle persone che ha attorno.
 
Alicia si alzò in piedi e si tese in avanti, decisa.
- Obiezione, Vostro Onore. L’avvocato sta testimoniando. Non è una domanda.
Olson non diede il tempo al giudice di rispondere. – Riformulo. Signor Graham, in virtù della sua esperienza professionale, crede di essere in grado di definire lo status psicologico delle persone che ha attorno?
- Sì.
- Secondo la sua opinione, il dottor Lecter può imputare le proprie azioni ad un eventuale disturbo mentale o psichico?
 
- Obiezione. – Alicia si alzò di nuovo, indignata, senza attendere la risposta del testimone – speculazione! Il testimone non ha la competenza professionale per trarre certe conclusioni.
- Il testimone è un profiler criminale, signora Florrick, e—
Alicia lo fermò con un cenno della mano e sollevò un foglio dai propri documenti, - “Le tecniche di profilazione criminale aiutano gli investigatori ad analizzare le prove della scena del crimine, le vittime e le dichiarazioni dei testimoni con lo scopo di sviluppare una descrizione del delinquente. Tale descrizione è indicativa e non corrisponde al tracciare un profilo psicologico adeguato a fini diagnostici.”, - citò, - Sta chiedendo al teste di speculare sulle condizioni del mio assistito.
 
Entrambi gli avvocati si voltarono verso il giudice, che dovette fermarsi a riflettere.
- Accolta. – disse infine, mal celando un certo fastidio. Alicia sorrise e tornò a sedere, scambiandosi uno sguardo soddisfatto con Finn. Aveva tagliato ogni via d’uscita all’avvocato dell’accusa, che ora aveva iniziato a porre domande inconsistenti per poter girare attorno all’informazione che voleva.
 
- In conclusione, signor Graham, il dottor Lecter ha mai dato segno evidente di qualche disturbo psichiatrico mentre si trovava in sua compagnia? Non le sto chiedendo di fare una diagnosi, - l’A.S.A. lanciò uno sguardo velenoso ad Alicia, - solo di riportare eventuali fatti.  
 
- Mai, - pronunciò Graham sputando le parole, -. E’ stato lucido a sufficienza da indurmi a credere di essere io stesso il colpevole, ha piazzato prove contro di me,  è venuto allo scoperto solo una volta giocate tutte le sue carte. Non ha mai dato prova di essere confuso o in preda a deliri. Se c’è un uomo più lucido di Hannibal Lecter in tutti gli Stati Uniti, io sarei curioso di conoscerlo.
 
L’obiezione finale di Alicia fu debole e inconsistente. Ormai il teste aveva detto quello che la giuria voleva sentire.
 
L’aula rimase in silenzio un istante più a lungo di quanto fosse confortevole mentre Graham e Lecter si guardavano negli occhi.
Quindi l’avvocato dell’accusa si voltò verso il banco della difesa e poi verso il giudice sorridendo.
- Grazie, non ho altre domande. Il testimone è a disposizione della difesa.
 
Alicia ringraziò con un cenno del capo e prese i propri appunti dal banco.
 
- Grazie, signor Olson. Signor Graham, buongiorno. –
L’uomo rispose con un cenno convenzionale del capo.
- Circa un anno fa le è stata diagnosticata una forma di encefalite autoimmune, dico bene? Una sorta di infiammazione del sistema nervoso. Non sono molto pratica con le faccende mediche, - si finse incuriosita mentre si avvicinava al banco del testimone, - quindi le dispiacerebbe spiegare alla corte in che cosa consistono i sintomi di tale malattia?
Graham serrò le labbra e rivolse un’occhiata indecisa oltre la spalla della signora Florrick, in direzione di Olson. Ad Alicia non servì voltarsi per sapere che l’avvocato non poteva fare nulla per obiettare.
- I sintomi di tale malattia, - ripeté Will Graham a denti stretti, - sono forti mal di testa, sensazione di vertigine e nausea.
- Leggo scritto qua, - Alicia passò fotocopie del proprio foglio al testimone, al giudice e al banco dell’accusa, - e questo documento è estratto da un manuale di neurologia il cui titolo è riportato alla fine del foglio, che la suddetta malattia può portare a disturbi quali “allucinazioni” e “distacco dalla realtà”, con conseguente “incapacità di distinguere l’immaginario dal reale”. Si riconosce in qualcuno di questi sintomi, signor Graham?
Il testimone rimase in silenzio a lungo e contrasse la mascella.
- Le ricordo che è sotto giuramento, signor Graham.
- Sì, - sibilò tra i denti alzando lo sguardo su di lei, - ho avuto alcuni episodi simili, in passato. Ma ora sono sotto trattamento e sto migliorando notevolmente.
- Può affermare, sempre sotto giuramento, di non aver avuto affatto episodi di allucinazioni o affini dal momento in cui la sua encefalite è stata diagnosticata e conseguentemente trattata?
 
- Obiezione, - tentò l’accusa, - Irrilevante.
- La rilevanza dell’intervento del signor Graham mi pare più che evidente, signor Olson. Respinta.
 
- Grazie, Vostro Onore, - continuò Alicia. Il solo fatto di dimostrare che Will Graham non era completamente attendibile, tuttavia, non bastava a screditare la sua testimonianza. L’avrebbe solo resa zoppicante. Serviva un colpo di grazia, e lei aveva quello che serviva.
 
- No, - fu la risposta forzata, - non posso affermarlo.
 
Alicia annuì, fingendosi comprensiva.
 
- Ho ancora una domanda, - proseguì in tono formale tornando verso il banco della difesa per recuperare tre fotocopie di una fotografia. Quando sollevò lo sguardo sul viso del dottor Lecter, notò con una punta di sorpresa che stava sorridendo. La piega delle sue labbra, seppur minima, era evidente e la sua espressione divertita la agghiacciò. Non sembrava soddisfatto dei risultati, sembrava paradossalmente intrattenuto dall’interrogatorio stesso.
Alicia si riscosse e tornò al centro dell’aula, facendo ticchettare i tacchi sul pavimento di marmo.
Passò la foto all’accusa e al giudice; quindi la mostrò al teste.
 
- Riconosce questa ragazza?
 
Aveva scelto di proposito una fotografia di Abigail Hobbs da morta per suscitare una reazione emotiva.
Will Graham non sussultò; strinse la mascella e deglutì, per poi aggiustarsi gli occhiali sul naso. Sembrava profondamente a disagio.
 
- Sì. E’ Abigail Hobbs.
- In che rapporti era con la signorina Hobbs?
 
- Obiezione, - scattò Olson, - Irrilevante!
- Ci sto arrivando – citò Alicia con un sorriso formale.
- Respinta. Mi ha incuriosito, signora Florrick.
Alicia sorrise prima di riportare l’attenzione sul giovane profiler.
 
- Signor Graham?
- L’ho salvata dall’aggressione di suo padre, un serial killer noto come “L’averla del Minnesota”.
- Può dire di aver sviluppato un legame affettivo nei suoi confronti?
- Sì, credo.
 
Era evidente che non si aspettasse quel genere di domanda; si stava tenendo sul vago per non compromettersi, ma non sapeva da che cosa difendersi. Alicia accettò la risposta con un cenno paziente del capo.
 
- Le dispiace essere più preciso, signor Graham?
- Ero molto affezionato ad Abigail, - si arrese l’uomo, - era come una figlia per me. Crederla morta per più di un anno è stato davvero… doloroso.
- Come si è sentito quando ha scoperto che era viva?
 
- Obiezione, - tentò l’A.S.A.
- Respinta. Continui, signor Graham.
 
Will osservò il giudice con esitazione prima di continuare.
- Sconvolto. Per la prima volta in molti hanno ho pensato che avrei potuto finalmente vivere una vita felice.
- Quindi è corretto dire che, uccidendo Abigail Hobbs, Hannibal Lecter ha privato lei della sua, cito le sue parole, “vita felice”.
- Non capisco dove lei voglia arrivare con questo suo sillogismo.
- Fin dove è disposto ad andare, signor Graham, per privare Hannibal Lecter della sua vita felice? O, meglio ancora, della sua vita e basta?
 
Alicia sentì la sedia di Olson grattare il pavimento con forza furiosa.
- Obiezione! Argomentativo! – ruggì sbattendo la mano sul tavolo.
- Accolta.
 
Ad Alicia non interessava. Il giudice aveva sentito quello che doveva sentire, non aveva importanza che quella parte di controinterrogatorio fosse stata cancellata dagli atti. 
 
- Grazie, non ho altre domande.
 
Tornò a sedersi sentendo lo sguardo del dottor Lecter su di sé. Si voltò verso di lui e gli sorrise cordialmente; lui si limitò ad osservarla per qualche secondo e poi riportare la propria attenzione sul signor Olson, che si era alzato in piedi.
Alicia ne approfittò per cercare lo sguardo di Finn, che le sorrise.
 
- L’accusa chiama a testimoniare Alana Bloom.
La donna si alzò dal fondo dell’aula e avanzò lentamente verso di loro.
Indossava una giacca e dei pantaloni di un completo evidentemente su misura che la rendeva più slanciata e severa, e nonostante le sue abilità motorie fossero state compromesse (testimone di ciò era la stampella su cui si appoggiava per camminare, zoppicando vistosamente), sfoggiava un paio di tacchi piuttosto alti per dissimulare la sua altezza moderata.
Era molto bella, notò Alicia mentre la psichiatra le passava accanto. I capelli scuri, pettinati da una parte in un bizzarro richiamo alla moda degli anni Cinquanta, incorniciavano un viso pallido e dai lineamenti taglienti.
 
Si sedette elegantemente dietro il banco dei testimoni, e mentre giurava di dire soltanto la verità fissò gli occhi azzurro ghiaccio in quelli dello psichiatra seduto accanto ad Alicia.
 
Il signor Olson si consultò brevemente con il suo collega, l’A.S.A. Randall, quindi uscì dal banco dell’accusa e si avvicinò alla testimone.
 
- Buongiorno, dottoressa Bloom. Può declamare le sue generalità per la giuria?
- Alana Bloom, psichiatra e insegnante ordinaria presso l’Università di Georgetown e l’Accademia di Quantico.
 
Georgetown era l’università da cui Alicia si era laureata con il massimo dei voti più di vent’anni prima—ma soprattutto era il luogo in cui aveva conosciuto Will Gardner. I ricordi l’assalirono con impeto, e Alicia si ritrovò a fissare il vuoto abbastanza a lungo perché Finn lo notasse e si sporgesse oltre il loro cliente per riscuoterla delicatamente.
 
- Alicia.
Lei si voltò e improvvisò un sorriso di scuse, tornando a concentrarsi. Non era facile con l’immagine del sorriso di Will stampata a fuoco vivo nella sua mente.
L’Assistente del Procuratore aveva già fatto le domande di rito, e, a giudicare dallo sguardo allarmato di Finn, Alicia doveva aver perso un paio di opportunità di obiezione. 
Innervosita dalla propria stessa distrazione, si mise a tamburellare le dita sul legno laccato della scrivania davanti a lei. Lecter se ne accorse, e Alicia lo vide con la coda dell’occhio portare lo sguardo sulla sua mano. Smise immediatamente di esibire la propria insicurezza e gli rivolse un tentativo di sorriso rassicurante. Gli occhi dello psichiatra erano seri.
 
- Dottoressa Bloom, al contrario di Will Graham, come abbiamo potuto appurare, - Olson accompagnò la frecciata con uno sguardo laterale diretto ad Alicia, - lei ha tutta la competenza professionale per confermare o smentire la vociferata infermità mentale di Hannibal Lecter. Può, se ritiene di avere sufficienti elementi, fornire a questa corte il suo parere in merito?
 
- Sono certa di poter dare una risposta univoca e non dibattibile sulla situazione psicologica del dottor Lecter. Nel lungo tempo in cui ho potuto stargli accanto e studiarlo, non ha mai dato segno di  soffrire di alcun disturbo psichiatrico o neurologico. E’ con un insignificante margine d’errore che mi riservo il diritto di affermare che il dottor Lecter è pienamente in possesso delle sue capacità mentali.
 
Lo sguardo di Finn indugiò a lungo su Alicia, attendendo che lei obiettasse. La risposta della psichiatra era inattaccabile ed era stata messa agli atti. L’avvocato strinse le labbra.
 
- Non ho altre domande. La teste è a disposizione della Difesa.
 
Mentre Alicia si alzava dalla sedia e si avvicinava al banco, il giudice le scoccò un’occhiata divertita.
- E’ rimasta piuttosto silenziosa durante questo interrogatorio, signora Florrick. Qualcosa non va?
La donna gli sorrise, educata, e congiunse le mani.
- Niente affatto, Vostro Onore. Sarò molto breve.
 
- Dottoressa Bloom, il suo parere medico sul mio assistito mi è sembrato perentorio. Deduco che abbia avuto modo di condurre una serie di sedute psichiatriche con il qui presente dottor Lecter per poter stilare in maniera tanto accurata il suo profilo?
 
- Obiezione, - sollevò Olson, quasi ridendo, - capzioso.
Alicia si voltò verso di lui e si scusò con un gesto della mano. – Riformulo. A che tipo di test psicologici ha sottoposto il mio assistito per giungere alla sua conclusione, dottoressa?
- Nessuno. Dalla mia sola esperienza—
- Nessuno? – Alicia si finse estremamente sorpresa, - neanche una griglia di valutazione ufficiale? O un qualsiasi metodo psichiatrico riconosciuto dalla comunità medica?
- No. – fu la risposta secca della donna, che iniziava visibilmente a innervosirsi.
-  E’ molto bizzarro che lei abbia tanta fiducia in sé stessa da avanzare questo tipo di pretese.
 
Olson si alzò in piedi, ma Alicia lo aveva previsto.
- Obiezione. E’ una domanda?
- Accolta. Deve rivolgere domande alla testimone, signora Florrick, non insinuazioni.
 
- Certo, Vostro Onore. Mi scuso. La mia domanda è quindi che cosa renda la testimone così sicura del proprio parere pur non avendo utilizzato mezzi professionali per la valutazione.
- Conosco da molto tempo l’imputato, ho avuto modo di confrontarmi verbalmente con lui molto più approfonditamente che se avessi condotto una qualsiasi valutazione ufficiale della durata di due ore.
 
Alicia annuì, comprensiva. La testimone era arrivata esattamente dove Alicia la stava portando.
 
- Da quanto tempo conosce il mio assistito, dottoressa Bloom?
Alana Bloom fece indugiare lo sguardo su Alicia molto a lungo prima di rispondere. Sembrava sicura di sé.
- Da quasi dieci anni. Era il mio mentore durante i corsi di Medicina al college, e abbiamo continuato a frequentarci anche dopo la mia laurea, diventando buoni amici. Credo di poter affermare di conoscerlo molto bene, signora Florrick, se è questo che intende.
Alicia le sorrise.
- Dunque, dottoressa Bloom, e mi corregga se sbaglio, mi pare di capire che lei avesse già compreso che il dottor Lecter era coinvolto nel caso Chesapeake prima della sua cattura.
Alana esitò e si mordicchiò l’interno di una guancia.
- Non capisco la domanda.
- Certo, riformulo. Perché avrebbe dovuto fare una valutazione psicologica accurata di un suo conoscente se non avesse avuto il sospetto che fosse coinvolto negli omicidi di Chesapeake?
- In qualche modo lo sospettavo, suppongo.
- Davvero? Dottoressa Bloom, è corretto dire che lei ha intrattenuto rapporti sessuali volontari con un uomo che sospettava essere l’autore dei ventidue omicidi di cui è accusato?
 
- Obiezione – ruggì l’accusa, - irrilevante!
- Accolta. Signora Florrick, riformuli.
- Va bene. Dottoressa Bloom, mi lasci riformulare la domanda: ha mai avuto una relazione che andasse oltre il professionale con il mio assistito?
La Bloom strinse i denti. – Sì.
- Durante questa relazione sospettava che il qui presente dottor Lecter fosse il responsabile delle azioni di cui questa corte lo accusa?
- …no.
- Mi pare che qui stia usando due pesi per due misure, dottoressa Bloom. Mi corregga: sta quindi dicendo che era in grado di valutare in modo attendibile il dottor Lecter mentre si trovava con lui in veste non ufficiale al punto da definirlo sano di mente, ma non è stata in grado di intuire che fosse coinvolto, come questa corte lo accusa, in ventidue omicidi? Non le sembra poco coerente?
 
- Obiezione, l’avvocato sta infierendo sulla testimone.
- Accolta.
- Non ho altre domande.
 
***
 
- Ottimo lavoro. Li hai stesi.
 
Finn sembrava entusiasta dopo il processo, e Alicia era di buon umore. Anche Kalinda sorrideva.
 
- Non c’è una testimonianza che regga ora. Hai preso un caso che sembrava disperato e l’hai rovesciato. Lascia che ti offra da bere. Anche a te, Kalinda. Dobbiamo festeggiare. 
 
Alicia rise ed acconsentì. Si obbligò a fingersi seria quando l’A.S.A. Olson le passò accanto furente senza nemmeno guardarla, per poi scambiarsi un’occhiata divertita con Finn.
 
Il telefono iniziò a squillarle nella borsa quando erano appena usciti dal tribunale. Il numero era sconosciuto.
 
Fuori era già buio.
 
- Alicia Florrick – rispose portandosi il dispositivo all’orecchio. Finn e Kalinda camminavano chiacchierando un paio di passi davanti a lei.
 
- Salve, signora Florrick. Sono il dottor Frederick Chilton.
- Ci conosciamo?
- No, ma credo di avere qualcosa che potrebbe interessarla.
Alicia aggrottò la fronte.  – Che cosa?
- Una testimonianza a favore di Hannibal Lecter. 
  
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