Fanfic su artisti musicali > One Direction
Segui la storia  |       
Autore: Miss One Direction    18/08/2015    5 recensioni
- No, ragazze, no! Non lo voglio conoscere! - urlai in preda alla disperazione.
- Tu lo conoscerai e basta! - risposero in coro.
- E se poi è un secchione, asociale, con gli occhialoni, i brufoli, i peli e passa le giornate a mangiare schifezze e leggere libri di fantascienza che si capiscono solo loro? - chiesi terrorizzata, rabbrividendo al solo pensiero.
- Tu non stai bene ma non fa niente. Lo conoscerai, vi metterete insieme e vivrete felici e contenti - esclamò Daniela, con aria sognante.
E poi ero io quella che non stava bene...
_________________________________________________________
- No, ragazzi, no! Non la voglio conoscere! - urlai, preso dalla disperazione.
- Non fa niente, la conoscerai e basta! - urlarono loro a tono.
- E se poi è una racchia con i brufoli, gli occhialoni, asociale oppure una snob con un carattere orribile? - chiesi terrorizzato, schifandomi al solo pensiero.
- No! È bellissima, dolcissima... forse un po' strana, ma perfetta per te quindi, caro il mio Harold Edward Styles, dimostra di avere le palle e conoscila! - alzò la voce Louis, afferrandomi per le spalle.
E poi ero io quello strano...
- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -
TRAILER: https://www.youtube.com/watch?v=RVqNKUOLIAQ
Genere: Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Styles, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 



ADVICE: ascoltate l'intero capitolo con 'Flame To Glory' di Ivan Torrent. Rappresenta la mia vita, ve lo assicuro. 











Una settimana.
Una fottutissima settimana dove l'unica cosa più grigia del mio umore, era stato il cielo al di fuori della mia finestra. Londra era stata sovrastata da una coperta di nuvoloni scuri per sette interi giorni, regalandoci anche varie ondate di una sorta di acqua-neve davvero fastidiosa, e il mio umore non si era smosso nemmeno per un secondo. Avevo dormito a mala pena dieci ore complessive in tutto quel tempo e una delle tanti motivazioni era abbastanza semplice: un terribile presentimento allo stomaco che non riuscivo a scollarmi di dosso. All'inizio lo avevo interpretato come una sorta di segnale verso qualcosa di brutto che sarebbe successo da lì a poco ma, non avendo nessuna voglia di attendere un qualche segno dal cielo, alla fine avevo dato la colpa a dei nuggets difficili da digerire.
In quella settimana erano successe un po' di cose, brutte e belle: avevamo festeggiato il ventunesimo compleanno di Zayn, ridistribuito le due abitazioni ed Harry era stato praticamente attaccato a quel dannato cellulare tutto il santo tempo. In sette giorni, per colpa sua, ero riuscita ad imparare ogni singolo tono delle notifiche di un I-Phone ma, visto che non avevo ancora in programma di comprarmene uno, non ne ero esattamente entusiasta.
Avevamo deciso, grazie anche al consiglio dei genitori di Daniela, di dover cambiare un po' di cose nel nostro stile di vita, in vista del bambino in arrivo: la casa dei ragazzi, essendo più grande e leggermente più centrale, sarebbe stata occupata interamente dalla nuova famigliola mentre noi altri, senza più nessuna distinzione tra sesso e altre cavolate varie, saremmo stati costretti a vivere sotto lo stesso tetto, nella viletta originaria del mio gruppo. Non che ci fossero poi così tante differenze, visto che ormai non facevamo altro che stare insieme ai nostri fidanzati ogni singolo giorno. Il “trasloco” dei ragazzi in casa nostra, tuttavia, non si era concluso, così come doveva ancora stabilizzarsi il mio senso d'ambientamento, per via di tutti quei particolari maschili in giro per le varie stanze: abitare tutti insieme sarebbe stato decisamente più comodo e semplice ma, come mi ripeteva spesso mio padre, certe abitudini sono dure a morire e io dovevo ancora realizzare il fatto che avrei avuto non più tre ma ben sette coinquilini con cui avere a che fare. Se da un lato si dimostrava ancora tutto un po' strano, d'altra parte una sorta di eccitazione si aggiungeva all'intera atmosfera della situazione: eravamo un gruppo molto unito perciò, a rigor di logica, sarebbe andato tutto per il meglio. Tuttavia, non era stata esattamente una decisione semplice da prendere: Niall e Daniela erano i più dispiaciuti, per non poter più vederci poi così tanto spesso, ma anche loro, esattamente come noi, sapevano che era giusto così. L'ultima cosa che ci mancava era che la mia amica o il bambino rischiassero qualcosa a causa del troppo caos di ben nove (talvolta dieci) persone in casa.
Se, oltre a quella prima lista, aggiungevo anche l'eccessiva, ed improvvisa, dose di caffeina che avevo iniziato ad ingerire, l'insonnia dell'intera settimana risultava, all'improvviso, anche fin troppo giustificata.
In quel momento ero seduta sul bordo leggermente largo della mia finestra, sorseggiando una cioccolata calda con marshmellow e caramello, nell'invano tentativo di non ustionarmi le papille gustative, mentre la neve sembrava essersi finalmente decisa ad andarsene. Era ancora davvero troppo presto per gridare alla primavera, ma trovavo estremamente rilassante guardare la neve sciogliersi secondo i suoi tempi, senza nessuna fretta, prima di essere sostituita da un altro lieve strato. Il calore del mio fiato, a contatto con la superficie di vetro della finestra, dava vita ad una leggera condensa e, in alcune occasioni, mi ero persino ritrovata a scrivere piccole parole a caso su di essa, come una bambina. Il tutto con Flame To Glory in sottofondo. Le note decise di quella magnifica orchestra, provenienti dal mio stereo, mi fecero salire i brividi più di una volta, mentre sentivo quella canzone sempre più mia. Era uno di quei rari istanti in cui l'intero universo sembrava essere in equilibrio con tutti gli altri e, con loro, anche i miei nervi. A causa di un improvviso calo della temperatura della notte precedente, indossavo ancora delle calze nere di lana fino alle ginocchia ma, nonostante i pochi centimetri di pelle scoperta sulle cosce tra il maglione e l'orlo delle calze, mi sentii comunque abbastanza calda: la cioccolata, nonostante la stessi bevendo a piccoli sorsi, stava davvero facendo il suo effetto. Girai lentamente la testa verso la mia stanza, riconoscendo un beanie e dei calzini di Harry sul pavimento, accanto al borsone, e, per un istante, ebbi quasi voglia di alzarmi e rimetterli dentro il grande bagaglio nero nell'angolo della camera. Il momento successivo, constatai che il mio povero culo non avesse la forza necessaria per scomodarsi davvero. Il mio ragazzo non si era ancora deciso a disfare il borsone e la valigia, troppo impegnato con il suo telefono per poter anche solo pensare a mettere le sue cose al loro posto, ma non avevo la benché minima intenzione di fare il lavoro sporco per lui: i bagagli erano i suoi e, se non avesse trovato il tempo per sistemarsi da solo, io avrei comunque continuato a farmi gli affari miei.
Ricominciai a prestare attenzione alla neve al di fuori di casa, continuando a scaldarmi le mani sulla superficie della tazza contenente la cioccolata, mentre un lieve sospiro rilassato mi usciva dalla bocca: avrei dovuto concedermi quei momenti più spesso.
Quella pace così perfetta e rilassante, venne interrotta bruscamente, come se un fulmine si fosse appena scagliato nell'intera stanza, per colpa di un ennesimo e poco distante ‘Tin,’ segnale dell'arrivo di un nuovo messaggio su un I-Phone. Chiusi gli occhi subito dopo, contando su ogni briciolo di calma interiore che avevo acquistato in quei momenti di puro relax, fin quando un Harry tutto sorridente non si materializzò davvero nella stanza.

- Manu, scusa, posso abbassare? - mi chiese, dopo aver notato anche la mia presenza. - Il volume è troppo alto -.

Era da oramai tutta la settimana che la mia identità si era tramutata magicamente in ‘Manu’, al posto dei soliti ‘Piccola’, ‘Amore’ o ‘Puffa’ ma quel nomignolo, nonostante lo avessi sentito fino alla nausea da tutta la vita, risultò comunque estremamente irritante pronunciato da lui. Inoltre, tenendo anche conto del fatto che mi avesse appena chiesto l'unica cosa in grado di farmi uscire di testa con chiunque e che avesse interrotto quei rari momenti di pace, riuscii a giustificare perfettamente i miei lunghi sospiri e la profonda voglia di far finire quel maledetto aggeggio elettronico sotto uno schiacciasassi. Mi sentivo ormai ai limiti dell'esasperazione.
Avrei voluto urlargli in faccia un “Sì, mi dispiace, okay? Perché sei a casa mia, in camera mia e la mia musica non ha mai dato fastidio a nessuno. Non ho mai abbassato nemmeno per mia madre, figurati se lo faccio per te.” ma il pensiero del quieto vivere ebbe la meglio, facendomi abbassare di poco il volume. Nemmeno una settimana prima non mi sarei fatta nessun tipo di problema ad esternargli i miei pensieri, per quanto noiosi e infastiditi, ma in quel momento non ci riuscii: stavo diventando una mollacciona, maledizione.
Sperai con tutta me stessa che Harry se ne andasse in fretta, lasciandomi di nuovo avvolta da quella pace così rara e paradisiaca che mi aveva tolto lui stesso, ma rischiai di avere una vera e propria crisi di nervi non appena osò chiedermi: - Dove hai preso quella? - per poi indicare la mia cioccolata.

- Esistono i pentolini, il latte, la cioccolata in polvere e i cucchiai: sai, è passato un po' da quando si accendeva il fuoco con i bastoni e le pietre - risposi sarcastica, non riuscendo a trattenermi, prima che mi regalasse un sorriso apparentemente divertito.

Nell'istante in cui alzò un sopracciglio, iniziai a sentire un lieve sfrigolio nello stomaco: forse tutti quei pensieri per la quantità di tempo che impiegava davanti al cellulare erano, in fondo, inutili.

- Sono nato nel 1994, non nel Paleolitico - esclamò, stranamente sarcastico. - Intendevo: perché non l'hai preparata anche a me? -.

Avrei voluto scherzare sul fatto che, con quei capelli così lunghi  che si ritrovava e con quegli stracci con cui se ne andava in giro, avrebbe potuto davvero somigliare ad un uomo preistorico ma il faccino da cucciolo, con tanto di labbro inferiore sporgente nascosto dietro quella richiesta, mi fece quasi scogliere: forse tutti quei miei filmini mentali fino a quel momento erano stati davvero inutili ma non avrei, di certo, riabbassato la guardia.

- Ci sono i mashmellow e tu sei allergico - risposi secca, leccandomi un po' di caramello rimasto nell'angolo della bocca. - Vorrei evitare di tornare in ospedale, nel caso ti sentissi male, grazie -.

Ingoiai un altro sorso di cioccolata calda, quando lo intravidi alzare le spalle, in un apparente gesto di non curanza: ecco la prova del fatto che i miei filmini mentali fossero davvero giustificati.
Rigirai lo sguardo verso la finestra, creando un'altro po' di condensa per via del mio fiato, e cercai di ovattare l'ennesimo suono proveniente dal telefono di Harry, notifica che fece riportare l'attenzione del mio ragazzo proprio su di esso: una scenata avrebbe fatto male ad entrambi, soprattutto alla sottoscritta, quindi sarebbe stato decisamente meglio per lui, se mi avesse lasciata di nuovo da sola con Ivan Torrent e la sua meravigliosa orchestra.
I minuti successivi, grazie al cielo, passarono in silenzio totale, segno che se ne fosse andato: finalmente.
Feci ripartire Flame To Glory, alzando di nuovo il volume (alla faccia di quello spilungone) e sospirai grata più di una volta: riuscivo a sentirmi sotto la pelle un solo nervo ancora intatto e avevo una dannata paura di far saltare anche quello. A differenza di tutti gli altri esseri umani, io non ero ancora perfettamente a conoscenza dei miei limiti e per quel motivo ero sempre impossessata dal timore di poterne scavalcare qualcuno, rendendomene conto troppo tardi: non avevo idea delle conseguenze che ci sarebbero potute essere e, diamine, quel non sapere continuo stava iniziando davvero a pesarmi.
Domandai di nuovo a me stessa l'assurdo motivo per il quale non fossi nata come un qualsiasi altro essere umano, capace di non dare poi così tanto peso alle cose e senza stare sempre a rimuginare troppo su ogni mia azione, mentre una risata di sottofondo mi arrivava ovattata, coperta dalle note della canzone allo stereo: perché dovevo essere così maledettamente logorroica? Mi tornò alla mente l'episodio dove Mara mi aveva attribuito, per la primissima volta, quell'aggettivo e sentii un enorme peso all'altezza del petto: ingoiai un po' di saliva, nella speranza che anche quell'orribile sensazione venisse trasportata via lungo il mio esofago, ma non feci altro che peggiorare la situazione. Ecco cosa succede quando si cerca di reprimere tutto dentro la propria anima.
Scossi la testa, sospirando rumorosamente, mentre sentivo il sangue ribollirmi nelle vene: in quel momento ero un' imperfetta combinazione di rabbia, nervosismo, risentimento, dolore, determinazione e orgoglio. Un mix a dir poco letale, se presente nel corpo di qualche debole. Ma io non lo ero: diamine, non dopo tutto quello che avevo dovuto affrontare. Continuai a respirare profondamente, tenendo le labbra serrate tra loro, mentre sentivo le guance andarmi in ebollizione: un altro minuscolo dettaglio e sarei potuta scoppiare davvero.
Ecco le tanto attese conseguenze.
Toccai il pavimento di scatto con i piedi, lasciando la tazza sulla finestra, mentre spegnevo lo stereo in fretta e furia e mi precipitavo al piano di sotto: per quanto all'inizio fosse stato bello poter passare dei momenti in completa solitudine, quel silenzio, pieno zeppo di tutti i miei demoni interiori, aveva iniziato a risucchiarmi, mangiandomi viva.
Mi ritrovai in salotto più velocemente di quanto avessi immaginato, guardandomi intorno leggermente spaesata: i miei amici sembravano tutti maledettamente sereni e tranquilli mentre, per quanto riguardava la sottoscritta, mi sembrava quasi di sentire il ticchettio di una bomba nella testa.

- Manu, tutto okay? - mi chiese dolcemente Louis, spuntando alle mie spalle.

Mi girai di scatto verso di lui, facendogli aggrottare le sopracciglia per la velocità eccessiva dell'azione, fino a quando non continuò: - Sei pallida ma con le guance praticamente viola: che succede? -. Schiusi le labbra, in cerca di qualcosa da dire, mentre un profondo senso di spaccare qualcosa mi faceva fremere le mani. Al mio migliore amico bastò vedere le mie dita tremare, per stringermi a lui in una fortissima stretta: fu l'ennesima occasione in cui lo ringraziai mentalmente per non aver insistito. Chiusi gli occhi, la guancia a contatto con il suo maglione rosso morbidissimo, e mi beai di quegli attimi di ritrovata pace: mi sembrò a dir poco surreale il fatto che, per domare tutto quell'uragano che avevo dentro, fosse bastato un semplice abbraccio.

- Non ho ancora capito cosa sia successo, ma rilassati, okay? - mi sussurrò all'orecchio, esattamente come aveva fatto quando ero corsa da lui per il tradimento di Nick. - Andrà tutto bene -.

Louis era forse l'unico, a parte Harry, in grado di farmi calmare con una frase del tutto stereotipata: di solito, se dette da qualcun altro, mi sarebbe venuto solo l'istinto di sputare negli occhi alla persona davanti a me.
Annuii contro la lana del suo maglione, facendogli allentare leggermente la presa, prima che mi afferrasse il viso tra le mani e mi sorridesse: non sarei mai riuscita a smettere di ringraziarlo abbastanza, per tutto. Quell'incoraggiamento da parte sua mi portò ad alzare gli angoli della bocca insieme a lui, mentre sentivo una leggera pressione sulla fronte, durante il dolcissimo bacino che mi aveva appena regalato.
Fu lo squillo del mio cellulare a risvegliarmi del tutto, riportandomi bruscamente sulla terra ferma; sbattei le palpebre velocemente, cercando di capire da dove provenisse Can't Be Tamed, prima di rendermi conto della sua effettiva posizione: abbandonato a sé stesso sulla finestra dove ero stata seduta fino a poco prima.
Mi staccai lentamente dal mio migliore amico, correndo a rispondere ma, non appena mi scontrai con Harry per le scale, fui costretta a sopportare anche il suo sorrisino innocente: non feci nessunissima piega, ignorandolo completamente, per poi continuare per la mia strada. In fondo, era colpa sua se in quel momento mi trovavo in quello stato da morta vivente. Raggiunsi camera mia quasi subito, riuscendo per un pelo ad afferrare il telefono e rispondere.

- Manu! Amore di mamma, come stai? - risuonò la voce di mia madre, perforandomi per poco un timpano.

Le chiamate di mia madre, da quando avevo deciso di andare a vivere con le mie amiche, non erano mai state rare ma in quell'occasione inarcai un sopracciglio: aveva sempre avuto l'abitudine di chiamarmi la sera, quindi per quale motivo aveva decido di comporre il mio numero in pieno pomeriggio?

- Ehm... bene - risposi subito, cercando di sembrare credibile. - Come mai a quest'ora? -.

Ci fu un attimo di esitazione dall'altro capo del telefono, avvenimento che mi fece aggrottare le sopracciglia ancora di più.

- Mamma? -
- Eh? Oh, dai: non posso nemmeno chiamare la mia unica figlia quando mi pare e piace ora? - rispose più allegra del solito, prima che un grugnito maschile in sottofondo non mi facesse stranire ancora di più.
- Va bene che abbiamo trent'anni suonati di differenza ma sai anche tu che sono più intelligente di te - affermai con un sopracciglio alzato, ricordandomi delle sue stesse parole.

Non ero io la presuntuosa, era un dannato dato di fatto, confermato, tra l'altro, proprio da quella donna che mi stava nascondendo qualcosa. I sussurri indefiniti di mio padre in sottofondo ne erano la prova.

- E non pensare che non riesca a sentire papà - continuai, prendendo il suo silenzio come un'ennesima prova. - Tra lui e Harry non so proprio chi abbia la voce più profonda -.

Sembravo avere un radar per gli uomini dalla voce estremamente grave: il mio ragazzo, mio padre, i miei cugini, tutti i miei ex professori, persino il commesso della mia ex pizzeria preferita in Italia. Solo Nick, per qualche assurdo motivo, riusciva a salvarsi.

- Be', qualcosa in effetti c'è... - mi concesse, lasciando in sospeso la confessione.

Sbuffai subito dopo, chiedendomi il motivo per cui non fosse diretta come la sottoscritta, e controllai la tazza di poco prima per pura noia: la cioccolata era praticamente finita ma, senza che me ne fossi nemmeno accorta, un piccolo marshmellow era stato abbandonato sul fondo marrone dell'oggetto tra le mie mani. Cercai di raggiungerlo inutilmente con la lingua, aspettando una risposta dall'altro lato del cellulare, ma, non appena mi accorsi di non poterci arrivare, piegai la testa all'indietro, aspettando che il dolcetto mi scivolasse in bocca per via della forza di gravità. Stavo ormai masticando quella minuscola nuvoletta morbidissima, quando dal telefono provenne un'esclamazione: - Manu, noi abbiamo deciso di tornare in Italia -.
Sentì il marshmellow andarmi di traverso, non appena elaborai la notizia, e, anche se solo per un solo istanti, ebbi seriamente paura di rimanerci secca.

- Manu? Amore, calmati! - continuò mia madre, intuendo la situazione.

Non appena mandai giù il dolciume, il cervello sembrò andare in completo blackout: perché volevano tornare in Italia? L'Inghilterra non era ‘abbastanza’? Ricordavo fin troppo bene la nostra piccola città d'origine: piccola, essenziale, fredda, di poco più di sessanta mila abitanti. Riuscivo a ricordare ogni singolo luogo, ogni singolo avvenimento. Eppure, nonostante alcuni di essi fossero stati anche piacevoli, mi salì comunque un pressante peso allo stomaco.

- Che ha l'Inghilterra che non va? - domandai secca, non aspettandomi una notizia del genere.

Non abitavo più con i miei genitori e riuscivo a vederli pochissimo, anche quello era vero, ma si trattava comunque di chilometri perfettamente percorribili in macchina o in treno: se fossero davvero tornati in Italia, ci sarebbe stata ben quasi mezza Europa a dividerci. Cercai di ignorare il sospiro dall'altro capo del telefono, sperando con tutta me stessa che si trattasse solo di una lontana ipotesi e non una decisione già presa, ma, in fondo, stavo solo cercando di arrampicarmi sugli specchi: non me lo avrebbero nemmeno detto, se si fosse trattato solo di un'eventualità futura.
Poi, all'improvviso, un'idea assolutamente terrificante mi balenò nel cervello in un solo istante: sarei dovuta anch'io tornare in Italia con loro? Avrei dovuto rinunciare alla mia nuova vita, rinunciare a Harry, per un'altra che mi aveva portato lentamente verso l'auto-distruzione? Non era un fatto poi così irrealizzabile, conoscendo fin troppo bene le persone con cui avevo a che fare: se quella era la loro era intenzione, i miei genitori avrebbero iniziato, di sicuro, a mettermi la pulce nell'orecchio, cercando di convincermi con una persuasione qualsiasi. E avevo paura, una paura insopportabile addosso, perché, in fondo, sapevo benissimo che, se avessero davvero preso la decisione di riportarmi in Italia con loro, non avrei avuto nessuna via d'uscita. Già riuscivo ad immaginarmi mia madre, intenta a spiegarmi quanto quel ‘periodo di prova’ mi avesse aiutata ma fosse giunto al termine, quando, in realtà, le avevo spiegato sin dal primo giorno che quello non sarebbe stato uno di quei suoi maledettissimi periodi, ma un vero e proprio nuovo capitolo della mia vita, dopo essermi lasciata alle spalle, in fiamme, intere pagine ingiallite con cui avevo avuto a che fare fino ad allora.
Tutta quella ragnatela intricata di pensieri venne interrotta nel preciso istante in cui sentii di nuovo quella voce dall'altro capo del telefono: - Non ha niente che non va. È solo... Manu, andiamo: lo sai anche tu che questa non è la nostra vera casa -.
Non appena quel ‘nostra’ mi arrivò al cervello, giurai silenziosamente di aver sentito un intero brivido percorrermi l'intera spina dorsale. Mi stavo seriamente rifiutando di pensare che quel senso di possessione potesse appartenere anche alla sottoscritta.
Ingoiai un po' di saliva, sentendomi un velo d'ansia addosso, non sapendo nemmeno io cosa rispondere: avrei dovuto giocare d'attacco, magari mettendo in chiaro dall'inizio le mie intenzioni? O avrei dovuto puntare sulla difesa e aspettare qualche altra informazione? Mi balenò alla mente un episodio nitido, dove mia madre mi rinfacciava, per l'ennesima volta, il mio carattere così orgoglioso e provocatorio e il nodo alla gola rischiò seriamente di soffocarmi all'improvviso.

- Amore? Ci sei? - sentii dall'altra parte del telefono, mentre io annuivo, nonostante la consapevolezza di non essere vista.

Sussurrai un flebile “Sì”, sempre più spaventata dalle frasi successive che sarebbero provenute dall'apparecchio poggiato al mio orecchio, finché non sganciai finalmente la bomba: - Cosa... Cosa c'entra tutto questo con me? -.
Sentii il labbro tremarmi, sperando (quasi pregando) che mia madre non iniziasse a discutere, di nuovo, la mia maledetta abitudine di attaccare: non sarei riuscita a sopportare anche le sue dure parole, col quel tono deluso e distaccato che avevo sentito e risentito milioni di volte. Gli istanti in cui attesi una risposta, furono i più lunghi della mia intera esistenza: non riuscivo a ricordare nessun'altra occasione anche solo vagamente analoga.

- Non sei costretta a venire con noi. Hai praticamente vent'anni, figlia bella: è quasi ora di sistemarti per conto tuo - riprese il discorso mia madre, facendomi perdere un battito. - La tua vita ormai è qui e poi, diciamocelo: se fossimo rimasti in Italia, invece che trasferirci qui, a quest'ora ti avrei già sbattuta fuori di casa per farti responsabilizzare -.

Finì il responso con una risata dovuta alla sua stessa battuta, mentre un brivido mi percorse l'intera spina dorsale. Non mi sembrò quasi vero che non avessero nemmeno provato a convincermi. Restai in silenzio per alcuni minuti successivi, cercando di prestare un briciolo di attenzione al monologo di mia madre su quanto le mancassero i nonni e il resto della famiglia, ma feci parecchia fatica a far rimanere connesso il cervello: ero ancora leggermente sconvolta per il fatto che avessi, finalmente, ricevuto il permesso di pensare a me stessa.

- Amore, ci sei ancora? Mi sembra di star parlando al telefono da sola - ridacchiò mia madre, riportandomi alla realtà.

Farfugliai un “Sì, ci sono” un po' assente, mentre un sorriso mi nasceva inconsciamente sul viso: mi sembrò quasi di aver trovato quella dannata ragione per sorridere, in un giorno così carico di emozioni dannatamente devastanti.
Nel preciso istante in cui iniziai a giocare con i miei anelli, con gli angoli della bocca ancora più sollevati, intravidi Louis fare capolino dalla porta; gli feci segno di aspettare un secondo, concludendo in fretta e furia la chiamata con mia madre, prima di corrergli incontro e sprofondare tra le sue braccia.

- Qualcuno è tornato di buon umore, a quanto vedo - affermò divertito, stringendomi forte.

Annuii contro la sua spalla, ancora entusiasta del fatto che avrei potuto continuare la mia vita sia con lui che con tutti gli altri: non riuscii a ricordare nessun altro episodio con quella sensazione addosso. Mi sentivo come se, finalmente, mi fosse stato appena concesso un nuovo capitolo della mia vita: un capitolo che avevo atteso e desiderato a lungo, con tutta me stessa. Allo stesso tempo, sentivo il cuore esplodermi, per via di quel senso di maturità e fiducia che i miei genitori mi avevano concesso.
Sentii i piedi staccarsi da terra, segno che Louis mi avesse appena sollevata leggermente per la foga dell'abbraccio, prima di piegare leggermente le gambe all'indietro, ridendo.
Solo qualche tempo dopo, il pensiero di poco prima rifece capolino nella mia testa: sarei potuta rimanere a Londra con i miei amici, ma ci sarebbe stata quasi mezza Europa a separarmi dalla mia famiglia. Bastò quella minuscola scintilla a farmi tornare di nuovo titubante, costringendomi a pensare a quanto fosse dannatamente ingiusto: fino a quella telefonata, non mi ero mai resa effettivamente conto di quanto fossi stata fortunata per la poca distanza tra me e i miei genitori. Quel pensiero mi era balenato in testa, portandomi a rimpiangere quelle poche occasioni in cui avevo rifiutato di incontrarli per passare maggior tempo con i miei amici, solo nel momento in cui avevo ricevuto la notizia della loro partenza. Troppo tardi, per tenere rinchiusi dei sensi di colpa.
Non appena l'abbraccio con Louis si sciolse, il mio migliore amico sembrò non poter fare a meno di notare il mio repentino cambio di atteggiamento, motivo per cui: - È successo qualcosa di grosso, eh? - mi domandò.
Non avevo alcuna voglia di spifferare l'intero accaduto agli altri, volendo proteggerli da un'altra, inutile, preoccupazione: sarei rimasta. In fondo, era quello l'importante. Ma ero comunque perfettamente consapevole del fatto che al ragazzo davanti a me non sfuggisse mai nulla, del fatto che odiasse vedermi reprimere ogni mio sentimento, con la speranza che svenissero tutti col tempo. Mi conosceva troppo bene.
Ebbi attimi di titubanza in cui non seppi nemmeno io cosa fare, se raccontargli ogni cosa o meno, ma alla fine fu lui stesso a darmi una risposta: furono i suoi occhi, quelle iridi azzurre così intenerite, a convincermi.
I miei punti deboli, mio malgrado, erano proprio lui e Harry.
Gli feci segno di sedersi sul letto, posizionandomi davanti a lui, prima di guardarmi le mani ed iniziare a eliminare una minuscola striscia di smalto nero al di fuori dell'unghia. Non mi capitava spesso di liberare i miei sentimenti repressi ad alta voce, motivo per cui non riuscivo a trovare un vero e proprio punto da dove iniziare il discorso. Poi, dopo una leggera meditazione, decisi di utilizzare il mio classico metodo: giocare d'attacco.

- Giurami - proferii parola, continuando a rifiutare il contatto visivo. - Giurami sulla persona a cui tieni di più, che non dirai mai a nessuno quello che ti sto per dire -.

Mi decisi a guardarlo solo nel momento in cui finii la frase, notando la sua espressione profondamente preoccupata, prima di scandire, di nuovo, la parola ‘Giuramelo’. Annuì all'istante, avvolgendomi le mani con le sue, prima che mi lasciassi finalmente condurre lungo una strada senza ritorno.
 
 
 
 
 


 

                                                     
    I don't know my limits and I'm scared as fuck about that. 










Spazio Autrice: Ave, popolo! 
Vi ricordate di me? Sono quell'autrice un po' fuori di testa che non si è fatta sentire da... tempo immemore. 
Serve specificare che, più procedo con la fine di questa storia, e più mi risulta difficile? Sta diventando complicata, my God. Come ve la spassate? Io sono stata a Messina due settimane, mi sta per arrivare il telefono nuovo e sono ancora in alto mare per i compiti delle vacanze ma per il resto tutto palesemente normale *alza i pollici*. 
Tra poco rinizia la scuola, frequenterò il terzo, e io non sono ancora psicologicamente preparata, holy crap. 
Ma non mi sono affatto dimenticata di voi e, in questa mite serata di agosto, vi ho appena pubblicato un capitolo a dir poco... inspiegabile. 
Manuela non potrebbe rappresentarmi meglio di così per quanto è lunatica. Il passaggio da calma, a furiosa, a  bomba, a felice, a logorroica di nuovo, rappresenta una mia giornata tipo: sarebbe decisamente strano se mantenessi un solo stato d'animo per troppo tempo. 
Harry
È solo una povera pedina. (Spoiler af: nei prossimi capitoli, l'identità misteriosa verrà svelata)
Qual è la vostra opinione? Io, personalmente, non riesco a farmi un'idea vera e propria al riguardo: c'è troppa psicologia in ballo. Decisamente troppa. 
Che ne dite di passare alle domande? 
1) Siete più Marry af o Louela af? Il motivo? 
2) Come avreste affrontato la situazione con Harry, se fosse state al posto della protagonista? 
3) Pensate che la storia si concluderà con un lieto fine o un 'morirono tutti felici e contenti'?
4) Avete letto l'intero capitolo con 'Flame To Glory' di sottofondo? Eh eh, io voglio la verità u.u

Momento SHUT OUT: 
 Raeleen Ranyadel perché awawawawawawaw *-*
Un grazie meritato anche a tutte voi che recensite e mi fate sorprese bellissime sui social :3
Ce se vede! 
Peace and Love
Xx Manuela




TEEN WOLF FOR LIFE
DRAG ME DOWN
, SHE'S KINDA HOT E FLY AWAY SONO VITA: ADDIO. 
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: Miss One Direction